Novembre 16th, 2014 Riccardo Fucile
“HO CREATO 153.000 NUOVI POSTI”… MA I DATI ISTAT LO SMENTISCONO: I NUOVI OCCUPATI A SETTEMBRE ERANO SOLO 70.000 (CONTEGGIANDO I PRECARI E I LAVORI SALTUARI STAGIONALI DA UN GIORNO)
Ci risiamo. Stavolta i posti di lavoro “creati dal governo” sono 153mila.
A rivendicarlo è stato lo stesso Matteo Renzi, parlando al G20 di Brisbane, ma una settimana fa la stessa cifra è stata citata dal ministro delle Riforme, Maria Elena Boschi, in visita a Piacenza.
Già in settembre, d’altronde, Renzi e Boschi avevano parlato di un aumento del numero degli occupati.
Da attribuire, secondo loro, al decreto Poletti che ha liberalizzato ulteriormente i contratti a termine.
Ma, così come all’epoca i risultati attribuiti al decreto legge varato in marzo non trovavano riscontro nei dati dell’Istat, anche oggi il premier ha esagerato.
Basta un’occhiata ai numeri ufficiali registrati dall’istituto di statistica, infatti, per rendersi conto che dall’insediamento dell’esecutivo, il 22 febbraio scorso, gli occupati sono saliti solo di 70mila unità .
Meno della metà di quanto dichiarato dal presidente del Consiglio durante l’intervento davanti agli altri leader dei Paesi che rappresentano il 90% del prodotto interno lordo mondiale.
A marzo, infatti, gli italiani con un posto di lavoro a tempo determinato o indeterminato erano 22.387.000.
Nell’ultima rilevazione Istat, relativa a settembre (quando peraltro il numero di disoccupati ha toccato i massimi dal 2004), si legge invece che gli occupati sono 22.457.000. Settantamila in più, appunto.
E i conti non tornano nemmeno se il termine di paragone si anticipa a febbraio, quando comunque Renzi ha trascorso a Palazzo Chigi solo una settimana: in quel mese si sono registrati 22.318.000 occupati, quindi 139mila in meno rispetto a settembre.
Cifra comunque più bassa rispetto ai 153mila citati a Brisbane.
A cui ci si avvicina solo partendo dal dato di aprile, quando l’occupazione ha fatto segnare il picco minimo dell’intero 2014.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Novembre 16th, 2014 Riccardo Fucile
IL PREMIER, INVECE DI PENSARE ALLE PALLE CHE RACCONTA, POLEMIZZA CON LE REGIONI, COME SE LUI ARRIVASSE DA MARTE E NON FOSSE CORREO DEL DISASTRO AMBIENTALE
La breve tregua concessa dal meteo ai territori flagellati in questi giorni dal maltempo, con tre vittime
soltanto nella notte tra sabato e domenica, non tranquillizza le istituzioni locali e i cittadini.
Alla fine il governo si accorge del disastro ambientale e sarà il sottosegretario alla presidenza Graziano Delrio, domani, a recarsi nelle zone alluvionate del Nord Italia per un sopralluogo e per un incontro con le istituzioni dei territori.
L’ex sindaco di Reggio Emilia, accompagnato dal capo della Protezione Civile Franco Gabrielli, andrà prima in Liguria, a Genova, quindi ad Alessandria in Piemonte e infine a Milano.
Una giornata, quella di oggi, segnata anche dallo scontro a distanza tre il presidente del Consiglio Matteo Renzi e il presidente della Regione Liguria Claudio Burlando. “Quando come primo atto di governo ho costituito un’unità di missione contro il dissesto idrogeologico mi hanno deriso (giustamente, è solo un’operazione di immagine…n.d.r.). Ora spero sia chiaro il motivo: ci sono vent’anni di politiche del territorio da rottamare, anche in alcune regioni del centrosinistra”, ha detto il premier dall’Australia, di ritorno dal vertice del G20.
Chissà dove era Renzi in questi 20 anni, se non a fare carriera politica e a tenere lo strascico ai vari De Mita, Andreotti e Buttiglione.
Burlando: “Condoni fatti da Roma, non dalle regioni”.
Nessun riferimento particolare, ma certo abbastanza per chiamare in causa almeno alcune delle regioni — come Piemonte, Liguria e Toscana — che nelle ultime settimane hanno registrato le maggiori difficoltà .
E proprio dalla Regione Liguria infatti è arrivata una risposta diretta a Renzi: “Il problema del territorio di cui parla il presidente del Consiglio è legato anche ai condoni edilizi. Non li ha fatti il premier e non li abbiamo fatti noi, ma sono stati fatti a Roma. Tre condoni in 30 anni”, ha sottolineato il governatore Burlando.
Un altro che dovrebbe tacere visto che è stato anche sindaco, ministro e da dieci anni governatore della Liguria, con gli esiti che possiamo vedere in questi giorni.
Chiamparino: “sforare il patto”.
Dal Piemonte, intervistato a Repubblica, il presidente della Regione Chiamparino ha lanciato però un messaggio chiaro al governo: di fronte all’emergenza è possibile violare i vincoli di bilancio.
Il principio — ha detto Chiamparino – è che se un sindaco valuta che un’opera è davvero urgente per tutelare la sicurezza dei suoi cittadini, quel sindaco deve poter sforare il patto di stabilità e fare la spesa urgente”.
Silenzio di Renzi.
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Novembre 16th, 2014 Riccardo Fucile
UN PENTITO ANNUNCIA “IL TRITOLO” PER IL PM… SILENZI E VELENI IN PROCURA E AI PIANI ALTI DI PALERMO… LUI AI 2.000 IN PIAZZA: “NON VI ADEGUATE”
Il tritolo per lui è nascosto da qualche parte nelle borgate di Palermo, ma da 48 ore, da quando cioè il neopentito Vito Galatolo ha raccontato che il piano di morte per Nino Di Matteo è pronto a scattare, non una mail e neppure un sms è arrivato al magistrato sotto minaccia da parte dei colleghi della Procura di Palermo.
“Niente di niente”, dice un amico che lo conosce bene.
Dopo due anni di continue intimidazioni, il pm della “trattativa” continua a rimanere un uomo solo.
Per questo ieri mattina, dritto nella piazza davanti al Palazzo di Giustizia, il magistrato non ha trattenuto la commozione davanti agli studenti, coordinati da Scorta Civica e dalle Agende Rosse, che si sono riversati in strada con megafoni e cartelli per chiedere al ministro dell’Interno Angelino Alfano di concedere il bomb-jammer al pm più minacciato della storia dell’antimafia.
“Io non so cosa accadrà — ha detto Di Matteo — ma ho una speranza nel cuore: la speranza che conserverete sempre questa passione civile e che non vi adeguerete mai all’andazzo prevalente di un Paese sempre più indifferente alla giustizia e insofferente alla verità e all’indipendenza della magistratura ed alla tutela vera dei valori costituzionali”.
Davanti a lui non più di duemila persone, nè poche, nè molte, i soliti marziani in una Palermo abulica, che vive l’ennesimo allarme nei confronti del sostituto anziano del pool Stato-mafia con la granitica indifferenza di sempre.
E se in piazza c’è l’immancabile sindaco Luca Orlando, c’è il portavoce del M5s Maurizio Santangelo, c’è persino qualche esponente del Pd come Fabrizio Ferrandelli, e numerosi familiari delle vittime di mafia (da Franca De Mauro a Vincenzo Agostino), dietro gli striscioni che urlano la rabbia degli studenti non c’è la città dei piani alti che il sabato mattina preferisce passeggiare a Mondello e non ci sono i professionisti, neppure quelli dell’antimafia istituzionale che solo poche ore prima, nello scenario luccicante dell’Hotel delle Palme, avevano dato vita a un convegno targato Pd sulla “lotta alla criminalità organizzata”, senza neppure pensare di invitare il pm nel mirino.
E tantomeno di nominare la trattativa Stato-mafia.
Di lui, dell’uomo che da un giorno all’altro rischia di saltare su una carica di tritolo perchè così vogliono “anche entità esterne a Cosa nostra” (questo sostiene Galatolo, rampollo di un clan da sempre sospettato di legami con i servizi segreti), nel convegno-passerella del Pd non si sarebbe neppure parlato, se il procuratore ad interim di Palermo Leo Agueci, alludendo all’escalation delle minacce, non avesse detto che “si guarda a questa situazione con grande attenzione”, e se il presidente dell’Antimafia Rosy Bindi, ospite d’eccezione, non avesse dichiarato che “tutti i dispositivi di sicurezza sono stati messi a disposizione”.
Ma dietro l’ipocrisia delle dichiarazioni ufficiali, tutti sanno che non è così: da mesi Salvatore Borsellino, fratello del giudice ucciso in via D’Amelio, si è intestato una battaglia per ottenere che sulla jeep blindata di Di Matteo possa essere montato il jammer, “l’unico strumento che potrebbe realmente tutelarlo dal rischio di un attentato”.
Nei mesi scorsi, Alfano giurò che avrebbe fatto il possibile per concedere il sofisticato congegno alla scorta del magistrato di Palermo, ma le sue promesse sono rimaste sulla carta.
E quando Antonio Ingroia ha puntato il dito contro il “silenzio delle istituzioni”, Agueci ha minimizzato: ‘”Non è vero, l’allarme è costante, si è vista una risposta in tempo reale”. La verità è che Di Matteo, giorno dopo giorno, è sempre più solo: nella città indifferente, in un Palazzo pieno di invidie.
Non ha neanche un capo nel suo ufficio sconquassato dai rancori, perchè l’asse Napolitano-Renzi-Berlusconi ha deciso di tarare le procure più “calde” su una giustizia modello Nazareno: e dunque si attende che il Csm coaguli le sue preferenze verso un candidato istituzionale, Franco Lo Voi o Sergio Lari, che vada a Palermo con la benedizione del Colle.
Ecco perchè l’uomo solo che ieri parlava agli studenti appariva quasi sorpreso di trovarsi attorno quei duemila in corteo: “Voi giovani — ha detto — avete la possibilità di cambiare le cose: coltivate il vostro sogno”.
Due piani più sopra, nella Procura dei veleni, nessuno ha pensato di scendere in strada al suo fianco: da mesi l’ostilità dei colleghi si alimenta nelle chiacchiere di corridoio e nelle riunioni della Dda: l’ultima quella del 21 ottobre scorso, quando discutendo dell’imminente deposizione di Napolitano nel processo sulla “trattativa”, i sostituti presenti non trovarono di meglio che contestare i pm del pool Stato-mafia, Di Matteo in testa, “accusandoli — come riferisce l’Ansa — di avere cercato la ribalta mediatica attraverso la citazione del capo dello Stato”.
L’uomo solo lo sa e tira dritto: “Comunque vada — dice ai suoi ragazzi — avrete combattuto per rendere più giusto e libero il Paese, e sarà stata una giusta battaglia”.
Sandra Rizza
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Novembre 16th, 2014 Riccardo Fucile
I TIMORI DI FALLE NEI DISPOSITIVI E L’INFINITA ATTESA DEL BOMB JAMMER
“Possono darci quello che vogliono, ma senza bomb jammer ci fanno fuori comunque”. 
L’ultimo allarme si è infilato nei corridoi del palazzo di giustizia di Palermo portandosi dietro l’odore della paura.
Un odore acre, come il tritolo che secondo Vito Galatolo, il boss dell’Acquasanta che ha deciso di saltare il fosso e farsi pentito, sarebbe già arrivato a Palermo, per fare saltare in aria Nino Di Matteo, il pm che da anni indaga sulla trattativa Stato—mafia, condannato a morte dalle parole di Totò Riina, oggi bersaglio principale di una strategia della tensione che mescola minacce, allarmi bomba e confidenze che dal ventre molle di Cosa nostra raccontano di un attentato già in fase preparatoria
“Non è questione di paura, con quella ci lavoriamo”
La notizia non ha scalfito il muro umano che ogni giorno sta a guardia del magistrato: sono una decina di uomini, i suoi angeli custodi, posizionati alla fine del corridoio al secondo piano del palazzo di giustizia, dove c’è l’ufficio di Di Matteo.
L’ultima rivelazione sul tritolo già arrivato a Palermo, è finita sui giornali mentre stavano facendo il loro lavoro, muti e impassibili come ogni giorno.
“Non è una questione di paura: con quella ci lavoriamo portandocela addosso e guadagnandoci lo stipendio” si lascia sfuggire qualcuno, tradendo un minimo di emozione.
Un lusso, l’emozione, che chi fa questo lavoro non può permettersi di avere, neanche ora che al palazzo dei veleni tornano a risuonare quelle frasi, parole nere che raccontano dell’arrivo di esplosivo e che già vent’anni fa erano state presagio di stragi.
“In realtà non è cambiato granchè: semplicemente ogni notte penso che potrebbe essere l’ultima che passo con mia moglie”.
Fino a un anno e mezzo fa, a fare da scorta all’uomo più in pericolo d’Italia c’erano soltanto cinque carabinieri: poi in Procura erano iniziate ad arrivare lettere di minaccia, missive anonime in cui si spiegava come “amici romani” di Matteo Messina Denaro avessero già decretato la morte del pm, perchè qualcuno non voleva un governo fatto di “comici e froci”.
Doppi turni per evitare il cambio a metà giornata
Da quel momento il livello di guardia per Di Matteo è stato alzato, la scorta è stata raddoppiata, e da Roma sono arrivati gli uomini del Gis, il Gruppo intervento speciale dei carabinieri, teste di cuoio addestratissime per ogni evenienza.
Seguono Di Matteo ogni metro, fanno turni doppi per evitare di darsi il cambio a metà giornata, controllano ogni dettaglio nella vita del magistrato, bonificano gli ambienti e i percorsi quotidiani: solo che qualche falla nella protezione del pm continua a esserci.
A cominciare dalle vetture con cui Di Matteo si sposta: sono tre jeep, due di colore grigio, un po’ datate e con una blindatura media, e una nuova, con una blindatura B6, resistente a colpi ripetuti di Kalashnikov.
Solo che l’auto più nuova e sicura, quella messa a disposizione di recente per proteggere meglio Di Matteo, non è di colore grigio come le altre, ma nera: un dettaglio importante per ipotetici attentatori che capirebbero facilmente in quale jeep si trova il pm.
“All’esplosivo non si scampa neanche con l’auto blindata”
“Il problema maggiore — dicono però i ragazzi della scorta — non è uno scontro a fuoco o un attentato con fucili mitragliatori o armi da fuoco: il vero problema è un attentato con il tritolo, a quello non si scampa neppure con le auto più blindate del mondo”.
L’unica soluzione per evitare una nuova strage troppe volte annunciata è rappresentata dal bomb jammer, il dispositivo elettronico in grado di bloccare le frequenze radio, neutralizzando così qualsiasi ordigno esplosivo piazzato nei pressi delle auto blindate dei magistrati.
“Il bomb jammer per Di Matteo è già stato messo a disposizione” aveva detto nel dicembre 2013 Angelino Alfano, dopo aver partecipato al vertice del comitato per l’ordine e la sicurezza, convocato alla prefettura di Palermo proprio per incrementare la sicurezza del pm minacciato da Riina.
E invece a quasi un anno dalle rassicurazioni del Ministro dell’Interno, il bomb jammer per Di Matteo non è mai arrivato.
Ufficialmente perchè il dispositivo sarebbe ancora in fase di sperimentazione per saggiare i possibili effetti collaterali.
In realtà il dispositivo è stato già utilizzato diverse volte, per scortare i capi di Stato stranieri in visita nel nostro Paese.
A Palermo, però il bomb jammer non c’è ancora. Nonostante le scorte raddoppiate, le teste di cuoio e i veicoli blindati, lo Stato non ha ancora spedito l’unico strumento che può davvero salvare la vita al pm che indaga sulla Trattativa.
E con la sua, salvare anche quella dei suoi angeli custodi.
Giuseppe Pipitone
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Novembre 16th, 2014 Riccardo Fucile
L’IMPRENDITORE FURIO MONACO A PROCESSO PER ESTORSIONE PRESENTE ALLA CENA DA 1000 EURO CON RENZI ALL’EUR
Alla cena di finanziamento del Pd di Matteo Renzi, al Palazzo delle Fontane dell’Eur di Roma, c’era anche un imputato.
Era seduto al tavolo numero 50. Si chiama Furio Monaco, imprenditore edile.
Il suo nome spunta in un’inchiesta della procura di Roma – condotta dai pm Paolo Ielo e Giuseppe Cascini – per tentata estorsione.
Il gip Stefano Aprile ha disposto il suo rinvio a giudizio e ora, il rampollo della famiglia Monaco, che ha finanziato con almeno mille euro la cena di fund raising del partito di Renzi, dovrà difendersi dalle accuse di Alessandro Filabozzi, manager del Consorzio cooperative costruzioni.
Secondo gli inquirenti Monaco, in concorso con Riccardo Mancini, ex ad di Eur Spa e braccio destro di Gianni Alemanno, avrebbero indotto Filabozzi, a non presentare ricorso al Tar, minacciando di escluderlo da tutti i rapporti di lavoro con l’amministrazione capitolina.
L’impugnazione riguardava un appalto di circa 200 milioni di euro, per la realizzazione del “corridoio filobus Laurentino”, vinto da Monaco, vertice di un’associazione temporanea d’impresa.
I fatti risalgono al 2008, nel periodo a cavallo tra la giunta Veltroni e Alemanno, e l’indagine nasce da un’inchiesta più ampia, su una presunta tangente da 600mila euro, versata dalla Breda Menarini alla società Roma Metropolitane, controllata dal Comune di Roma, come garanzia per la fornitura di 40 vetture.
La gara per la costruzione dei binari per i filobus è indetta dall’amministrazione di centrosinistra e aggiudicata da quella di centrodestra.
Il neo assessore ai trasporti di Alemanno, Sergio Marchi, a giugno, decide di sospendere l’iter di assegnazione. Ma a novembre la Monaco Spa si aggiudica i lavori e Filabozzi, secondo classificato, manifesta l’intenzione di impugnare l’appalto con una richiesta d’accesso agli atti.
Ed è proprio in questa fase che, secondo l’accusa, s’inserisce l’estorsione a Filabozzi “affinchè rinunci, a seguito di serie e concrete minacce, al ricorso giurisdizionale”. Filabozzi racconta ai pm di aver “ricevuto una telefonata da Monaco… il quale mi suggeriva di non presentare ricorso e m’invitava a una colazione di lavoro con Mancini, espressione della nuova amministrazione”.
Durante l’incontro – continua Filabozzi – “Mancini, alla presenza del Monaco, disse che tenuto conto del nuovo orientamento di maggioranza un appalto di tale portata non poteva essere aggiudicato al CCC (azienda di Filabozzi, ndr) e aggiunse che, se ci fossimo rivolti al Tar, ci avrebbe impedito la materiale esecuzione del lavoro ed escluso da ogni successiva partecipazione sul territorio comunale. Se non avessimo impugnato l’atto, si sarebbe potuto parlare dei lavori del prolungamento della Metropolitana B”.
Ma Filabozzi presenta comunque ricorso.
E le minacce diventano concrete: “Mi venne disdetto l’appuntamento per discutere dei lavori della metro. E decisi di recedere dal ricorso”.
Il gip ritiene le dichiarazioni di Filabozzi “logiche” e “attendibili” e quelle di Monaco “laconiche” e “reticenti”.
E c’è un’altra inchiesta nella quale — sebbene non abbia avuto ripercussioni penali — compare il nome del costruttore, ospite alla cena del premier
Ne parla Lorenzo Cesa agli inquirenti di Piazzale Clodio, nell’ambito dell’inchiesta in cui fu condannato a 3 anni, poi prescritto, sulle tangenti Anas da 30 miliardi di lire.
È il 1993 e Cesa, portaborse dell’allora ministro Giovanni Prandini, racconta di aver conosciuto il giovane Furio Monaco, che gli presenta suo padre, per chiedergli di sbloccare una pratica pendente all’Anas.
Per il disturbo — racconta Cesa — “Monaco portò nel mio studio una busta di carta rigida contenente denaro destinato al ministro (…) Penso che la somma si aggirasse intorno ai 15 milioni di lire”.
Il Fatto Quotidiano ha contattato Monaco che ha confermato di esser stato presente alla cena del Pd, versando la quota di mille euro. “Sono stato invitato dal mio amico Domenico Tudini, ex ad di Ama, e ho deciso di partecipare perchè nutro stima profonda nei confronti di Renzi”.
Loredana Di Cesare
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Novembre 16th, 2014 Riccardo Fucile
“I RAGAZZI CI CHIEDONO “CI SPIEGATE COSA ABBIAMO FATTO?”… “NESSUNO DI LORO HA COMPIUTO ATTI DI VIOLENZA, LI HANNO SEMMAI SUBITI”
Pakistan, Etiopia, Mali, Afghanistan, Eritrea. Tutti rifugiati e richiedenti asilo. Vengono dai conflitti e dalla
negazione di libertà .
“Sono scappati da una guerra e si sono trovati al centro di un’altra”.
Carmen Palazzo è una delle operatrici del centro di accoglienza di via Morandi, a Tor Sapienza, il luogo che si è trasformato nel simbolo della rivolta e della guerriglia di una borgata romana.
“La cosa più difficile è provare a spiegargli le ragioni di questa esplosione di violenza”.
Lei le ha capite?
Sono convinta che questo centro sia diventato la valvola di sfogo di una protesta che con i rifugiati e i richiedenti asilo ha poco a che fare. I problemi di Tor Sapienza, di certo, non sono iniziati tra anni fa con l’apertura di questa struttura. Ma siamo un obiettivo sensibile, il più semplice. Siamo il simbolo dell’immigrazione, dello straniero, del diverso. E siamo deboli.
Qual è stata la reazione all’esplosione di rabbia del quartiere?
Continuano a chiedersi che colpa hanno, cosa hanno fatto di male per scatenare una rabbia del genere. Sono increduli, ovviamente non è facile spiegare il contesto in cui è nato questo pandemonio. Alcuni hanno subito violenze fisiche, tutti invece stanno subendo violenze psicologiche profonde. E sono persone che sono arrivate qui già con dei traumi.
Nonostante questi traumi, venerdì mattina 17 minori egiziani trasferiti in un’altra struttura erano tornati in via Morandi da soli, prima di essere portati via di nuovo.
Con questi ragazzi si crea un legame speciale. Ora stiamo facendo dei turni extra nella struttura dell’Infernetto, dove sono stati portati, perchè continuano a chiedere la nostra presenza. Proviamo a fargli capire che non hanno nessuna responsabilità per quello che è successo.
Alcuni dei rifugiati però durante gli scontri hanno provato a rispondere all’aggressione.
Gestire quella tensione era impossibile. Sono persone, oltretutto, che vengono da contesti socioculturali in cui la risposta alla violenza è molto più diffusa che qui in Italia. Persone abituate ad avere una rivolta di fronte casa. Solo che stavolta l’obiettivo della rivolta erano loro. E non riescono a capacitarsene.
Non c’erano stati precedenti che facessero prevedere l’aumento della tensione nel quartiere?
Non mi pare proprio. Gli episodi di violenza in questo territorio non mancano, ma le persone assistite nel nostro centro non ne sono state protagoniste. Al contrario, a loro è capitato anche di subirne. Qualche giorno prima dell’inizio degli scontri, uno dei nostri ragazzi è tornato con uno zigomo fratturato da un colpo di casco. Quattro persone avevano provato a derubarlo. Ma il dialogo con gli abitanti di Tor Sapienza non era mai mancato. Appena poche settimane fa, la sera di Halloween, abbiamo fatto una festa insieme alla gente del quartiere.
Ora sembra difficile immaginarlo.
Adesso sono costretti a vivere come in un carcere. Gli sconsigliamo di mettere piede fuori dal centro. Ci muoviamo noi al posto loro, anche solo per comprare un pacchetto di sigarette. E pure gli operatori, in questi giorni, si sono presi insulti e minacce. Stringiamo i denti, perchè chi rimane dentro è ancora più esposto.
Tommaso Rodano
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Novembre 16th, 2014 Riccardo Fucile
AL CORTEO DELLE PERIFERIE APPENA MILLE PERSONE MA RIAPPARE MOLTA DESTRA LOCALE TRA GAFFE E REDUCI
Puoi farti distrarre dalla musica sparata a palla dal furgone tricolore, successi sempreverdi come L’esercito del surf (ma Catherine Spaak non c’è), e l’eterno inno dell’indolenza romana che invoca opulente e unte società de li magnaccioni, ma qui in piazza sei per capire.
Sabato di metà novembre a Roma, piazza dell’Esquilino, la destra romana sale a cavallo del disagio delle periferie. Un migliaio di persone.
Tantissimi striscioni, uno, il più grande di tutti, porta scritto “Ora basta, Marino vattene”.
Marino è Ignazio, il chirurgo genovese inopportunamente prestato alla politica, che a un certo punto della sua vita volle provare l’ebbrezza di essere sindaco della Capitale, Ottavo Re di Roma. E fu un disastro.
Il ventre di Roma se ne vuole liberare. “Il popolo si riprenderà la Capitale”, urla a favore di telecamere un anziano signore. “Perchè Roma deve tornare ai romani”. “Basta co sti zingari che se prendono tutto”. “Negli asili nido non c’è più posto per i figli degli italiani, arrivano sempre prima i clandestini”.
Tor Sapienza, Tor di Nona, Corcolle, Centocelle, Roma Est, Tuscolana, Tor Bella Monaca, periferie che sono città . Abbandonate.
Luoghi destinati ad accogliere disagi, che si intrecciano, si sovrappongono, si contrappongono, si scontrano. Una Santabarbara sociale pronta a esplodere.
Che nessuno racconta più.
Nando, Jessica, Giusy, non hanno avuto una scuola e non vedranno lo straccio di un lavoro, Marianna fa le pulizie nei portoni e ha un figlio in una comunità di recupero, Fabrizio faceva il commerciante ma ha dovuto chiudere (“colpa de sti stronzi de cinesi”).
Vite difficili che non finiranno mai sulle pagine di un libro. Non c’è un Pasolini moderno per loro, oggi gli scrittori declamano il loro ombelico comodamente stravaccati nei salotti che contano.
La destra romana ha capito che nelle periferie c’è una prateria immensa da conquistare per riprendersi la città . E allora dal furgone tricolore partono le parole d’ordine.
“Dedichiamo questo corteo e questa meravigliosa marcia alla signora Reggiani, vittima della violenza dei rom clandestini”.
È una tragedia di qualche anno fa, ma va bene lo stesso in questi giorni di rabbia. “Dedichiamo questa giornataa Falcone e Borsellino, i nostri eroi”. E giù applausi. “Noi il centro d’accoglienza non lo vogliamo”, urlano in coro.
Ma il ragazzo con i bicipiti tatuati ben in mostra che dal furgone dirige slogan e corteo, ci tiene a precisare: “Destra e sinistra non esistono di fronte alla legalità . I giornali ci accusano di essere razzisti ma non è vero”.
E per dimostrarlo chiama accanto a sè un uomo di colore, l’unico presente al corteo. “Tu sei contro la legalità ? ”, gli chiede.
Quello si emoziona, non capisce e replica sì.
Imbarazzo.
“Non ha capito, le paghi le tasse? ”. Di nuovo sì. Entusiasmo dello speaker:
“Avete visto, così li vogliamo gli immigrati, chi viene qui si deve integrare con la nostra cultura, altrimenti via”. Ancora applausi.
Il signor Giulio viene da Settecamini: “Io quelli di Casa Pound manco li conosco, sto qui perchè da noi vogliono costruire un centro d’accoglienza. So matti, prima i soldi per le scuole che non ci sono, per le mense e il tempo pieno… ”. Il Campidoglio promette, il governo taglia, l’esasperazione cresce
Intanto il corteo passa per via Cavour. I camerieri dei ristoranti cinesi che propongono involtini primavera, ma anche rigatoni cacio e pepe, osservano.
Come i pakistani che vendono statuette del Papa e colossei in miniatura made in Taiwan. “Basta, basta con le rapine, l’illegalità e gli stranieri che non pagano il biglietto sui mezzi pubblici”, si scandisce in coro.
“E finiamola pure co sti venditori ambulanti, ma lei ha visto quante bancarelle? ”, si lamenta una signora nel momento sbagliato.
Perchè ora a stringere mani nel corteo c’è Giordano Tredicine, sorriso d’ordinanza e pacca sulle spalle per tutti.
La sua famiglia ha costruito un impero sulle bancarelle, ma poco conta. Perchè qui la destra è di casa e la memoria corta.
Arriva Gianni Alemanno, ultimo sindaco del disastro, scortato come Obama. Gli amici neri assunti nelle municipalizzate, il disastro dei trasporti, gli scandali.
E chi se ne ricorda? “C’è una invasione, troppi nomadi e troppi immigrati, io l’avevo detto ai tempi di Mare Nostrum”.
Ovazioni per Gianni, e destra tutta unita. Adriano Tilgher regge lo striscione insieme agli altri. Quando gli anni erano di piombo, fondò con Delle Chiaie Avanguardia Nazionale, è invecchiato, ma marcia ancora.
Con i camerati di un tempo e quelli giovani. Si sono divisi e ora sono di nuovo qui, a sentire gli sberleffi su Marino e la sua Panda plurimultata.
C’è Fabrizio Ghera, Giovanni Quarzo, Marco Pomarici, consiglieri capitolini ed ex assessori, c’è il figlio di Domenico Gramazio (“er Pinguino”), Luca, consigliere alla Regione.
Sono i lepenisti d’Italia, pronti a unirsi alla Lega. Presenti. Sempre.
Pronti a ricominciare. Basta soffiare sul fuoco delle periferie.
Enrico Fierro
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Novembre 16th, 2014 Riccardo Fucile
SU UN BUDGET ANNUALE DI 10.000 EURO, IL COMITATO REGIONALE SULLE PARI OPPORTUNITA’ (PRESIEDUTO DALLA COLLI) NE SPENDE LA META’ PER INTERVISTE A PAGAMENTO SU DUE TV LOCALI
Il comitato per le Pari opportunità della Regione Lombardia ha un budget annuale di 10mila euro. E la metà di
questi sono stati stanziati per pagare le ospitate tv di Ombretta Colli, che lo presiede, sulle tv locali Antenna3 e Telelombardia.
L’importo esatto stanziato per le comparsate della ex soubrette, a capo della provincia di Milano in quota Forza Italia dal 1999 al 2004, è di 4500 euro più Iva. Quindi, 5550.
Soldi che andranno per parlare dell’attività del comitato nel corso di Eccellenza Donna, spazio ad hoc all’interno delle due emittenti locali condotto da Giorgia Colombo, che che ogni settimana intervista il governatore Roberto Maroni nel programma Orario continuato.
Per capire di cosa si occupi il comitato, basta andare sulla pagina dedicata sul sito della Regione Lombardia, dove si spiega che l’organismo “esercita funzioni consultive, di proposta e di controllo allo scopo di realizzare le finalità di uguaglianza tra uomini e donne, promuovendo la democrazia paritaria nella vita sociale, culturale, economica e politica. Inoltre, esprime parere obbligatorio sulle proposte di legge in materia statutaria, elettorale e di nomine che abbiano rilevanza diretta o indiretta in materia di pari opportunità “.
Il suo compito principale, si legge ancora, è “di valutare l’applicazione di norme antidiscriminatorie, verificare l’attuazione del principio di parità ed operare per la diffusione della cultura della parità “.
Anche spendendo metà del budget annuale per le interviste a pagamento del suo presidente.
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Novembre 16th, 2014 Riccardo Fucile
M5S 20,8%, FORZA ITALIA 16,1%, LEGA 8,1%, SEL 4%, NCD 3,2%, FDI 3%, UDC 1,7%
Sei mesi dopo le elezioni europee gli orientamenti di voto degli italiani ripropongono lo stesso scenario politico.
La graduatoria dei principali partiti, infatti, risulta confermata dal sondaggio odierno: il Pd si conferma al primo posto con il 38,3% delle preferenze, seguito da Movimento 5 Stelle (20,8%), Forza Italia (16,1%) e Lega Nord (8,1%).
Più staccati Sel (4%), Ncd (3,2%), Fratelli d’Italia An (3,0%), Udc (1,7%) e Rifondazione (1,1%).
I restanti partiti si collocano al di sotto dell’1%.
Nel complesso la partecipazione al voto risulta più elevata: gli elettori indecisi e astensionisti rappresentano circa un terzo mentre nel maggio scorso il 41,3% degli elettori disertò le urne, e a costoro si aggiunse il 3,1% di schede bianche o nulle. Rispetto alle Europee si osserva una flessione del Pd (-2,5%), una sostanziale stabilità di M5S e FI (rispettivamente -0,4% e -0,7%) e una crescita della Lega Nord (+1,9%).
L’area moderata (Ncd e Udc) e la sinistra (Sel e Prc) nel loro insieme non mostrano variazioni di rilievo rispetto al maggio scorso: si collocano intorno al 5%.
È un dato interessante in relazione alla discussione in corso sulla soglia di sbarramento prevista dalla nuova legge elettorale.
Al momento entrambe le possibili alleanze supererebbero il fatidico 4% (che potrebbe essere abbassato al 3%) ma è noto che le alleanze tra partiti, con pochissime eccezioni, determinano risultati inferiori rispetto alla somma algebrica degli elettorati di provenienza.
In altri termini, le alleanze fra partiti solitamente producono più disaffezione tra gli elettori dei soggetti che si coalizzano rispetto al consenso aggiuntivo e alla capacità di attrazione di nuovi elettori.
Dunque il Pd, sebbene in calo, mantiene un largo vantaggio e risulta il primo partito tra tutti i segmenti sociali con le sole eccezioni degli elettori tra 25 e 44 anni, i disoccupati e coloro che si informano prevalentemente tramite Internet, tra i quali prevale il M5S.
Come già avvenuto in modo in modo inedito alle Europee, il Pd di Renzi si conferma un partito molto trasversale, «pigliatutto» ( catch-all party , secondo la definizione del politologo Otto Kirchheimer) che si afferma tra ceti molto diversi: gli imprenditori, gli operai, le casalinghe, gli studenti e i pensionati, i più istruiti e quelli con licenza elementare o nessun titolo di studio, i cattolici praticanti, i non praticanti e i non credenti, coloro che si informano con la Tv, quelli che privilegiano i giornali e la radio, i residenti al Nord, al Centro e al Sud, nei piccoli, medi e grandi Comuni.
Nonostante questa grande trasversalità , analizzando i dati cumulati dei sondaggi realizzati da ottobre ad oggi, si registrano alcuni interessanti cambiamenti nel consenso al Pd che aumenta solo tra imprenditori, dirigenti e liberi professionisti e si riduce soprattutto tra impiegati (in particolare del settore pubblico), operai e studenti; inoltre tra le donne, le persone di età compresa tra 25 e 34 anni (giovani preoccupati per il loro futuro) e tra 45 e 54 anni (famiglie con figli e spese crescenti).
Infine tra coloro che si collocano a sinistra. Il Jobs act e gli effetti della crisi economica sembrano quindi alla base di questi cambiamenti.
Il M5S pur mantenendo una prevalente componente maschile, aumenta tra le donne (in particolare le casalinghe), i più giovani, gli studenti e coloro che si collocano a sinistra, mentre diminuisce nelle fasce centrali di età , tra i lavoratori autonomi, i ceti dirigenti e i disoccupati.
Forza Italia riduce il proprio consenso tra le persone meno giovani e meno istruite, gli imprenditori e i ceti dirigenti, le casalinghe, i residenti nelle regioni meridionali e i cattolici; al contrario aumenta soprattutto presso artigiani e commercianti e, in misura minore, tra i giovani (25-34 anni), gli operai e i dipendenti pubblici.
Da ultimo, la Lega Nord. Il partito di Salvini aumenta in particolare tra i più giovani (18-24 anni) e gli adulti (45-54 anni), tra gli imprenditori e i ceti dirigenti, tra gli impiegati, gli operai e, più in generale, tra i dipendenti del settore privato nonchè tra gli elettori che si collocano a destra o non si collocano politicamente.
Il cambiamento della leadership del Pd e della Lega ha prodotto un significativo incremento del consenso (testimoniato dai risultati delle Europee e dai successivi sondaggi) ma anche un profondo cambiamento della propria base elettorale.
In particolare i nuovi elettori del Pd (che rappresentano circa il 40% degli elettori del partito di Renzi) hanno valori diversi ed esprimono aspettative diverse rispetto agli elettori «storici». Pertanto sono portatori di opinioni e atteggiamenti differenti rispetto al centrosinistra tradizionale.
Alla luce di questi cambiamenti Renzi sembrerebbe di fronte a un bivio, come peraltro abbiamo potuto osservare in queste settimane con il Jobs Act, la legge di Stabilità e l’ltalicum: da un lato, armonizzare domande e interessi sempre più disomogenei, facendo sintesi e cercando punti di mediazione; dall’altro puntare alla convergenza delle aspettative incentrate sul cambiamento, la modernizzazione e il superamento delle ideologie.
Nel primo caso si tratterebbe di un Pd rinnovato, nel secondo di un partito post ideologico e inclusivo: il partito della nazione.
Nando Pagnoncelli
(da “il Corriere della Sera”)
argomento: elezioni | Commenta »