LA RABBIA IN PIAZZA RESUSCITA PURE ALEMANNO
AL CORTEO DELLE PERIFERIE APPENA MILLE PERSONE MA RIAPPARE MOLTA DESTRA LOCALE TRA GAFFE E REDUCI
Puoi farti distrarre dalla musica sparata a palla dal furgone tricolore, successi sempreverdi come L’esercito del surf (ma Catherine Spaak non c’è), e l’eterno inno dell’indolenza romana che invoca opulente e unte società de li magnaccioni, ma qui in piazza sei per capire.
Sabato di metà novembre a Roma, piazza dell’Esquilino, la destra romana sale a cavallo del disagio delle periferie. Un migliaio di persone.
Tantissimi striscioni, uno, il più grande di tutti, porta scritto “Ora basta, Marino vattene”.
Marino è Ignazio, il chirurgo genovese inopportunamente prestato alla politica, che a un certo punto della sua vita volle provare l’ebbrezza di essere sindaco della Capitale, Ottavo Re di Roma. E fu un disastro.
Il ventre di Roma se ne vuole liberare. “Il popolo si riprenderà la Capitale”, urla a favore di telecamere un anziano signore. “Perchè Roma deve tornare ai romani”. “Basta co sti zingari che se prendono tutto”. “Negli asili nido non c’è più posto per i figli degli italiani, arrivano sempre prima i clandestini”.
Tor Sapienza, Tor di Nona, Corcolle, Centocelle, Roma Est, Tuscolana, Tor Bella Monaca, periferie che sono città . Abbandonate.
Luoghi destinati ad accogliere disagi, che si intrecciano, si sovrappongono, si contrappongono, si scontrano. Una Santabarbara sociale pronta a esplodere.
Che nessuno racconta più.
Nando, Jessica, Giusy, non hanno avuto una scuola e non vedranno lo straccio di un lavoro, Marianna fa le pulizie nei portoni e ha un figlio in una comunità di recupero, Fabrizio faceva il commerciante ma ha dovuto chiudere (“colpa de sti stronzi de cinesi”).
Vite difficili che non finiranno mai sulle pagine di un libro. Non c’è un Pasolini moderno per loro, oggi gli scrittori declamano il loro ombelico comodamente stravaccati nei salotti che contano.
La destra romana ha capito che nelle periferie c’è una prateria immensa da conquistare per riprendersi la città . E allora dal furgone tricolore partono le parole d’ordine.
“Dedichiamo questo corteo e questa meravigliosa marcia alla signora Reggiani, vittima della violenza dei rom clandestini”.
È una tragedia di qualche anno fa, ma va bene lo stesso in questi giorni di rabbia. “Dedichiamo questa giornataa Falcone e Borsellino, i nostri eroi”. E giù applausi. “Noi il centro d’accoglienza non lo vogliamo”, urlano in coro.
Ma il ragazzo con i bicipiti tatuati ben in mostra che dal furgone dirige slogan e corteo, ci tiene a precisare: “Destra e sinistra non esistono di fronte alla legalità . I giornali ci accusano di essere razzisti ma non è vero”.
E per dimostrarlo chiama accanto a sè un uomo di colore, l’unico presente al corteo. “Tu sei contro la legalità ? ”, gli chiede.
Quello si emoziona, non capisce e replica sì.
Imbarazzo.
“Non ha capito, le paghi le tasse? ”. Di nuovo sì. Entusiasmo dello speaker:
“Avete visto, così li vogliamo gli immigrati, chi viene qui si deve integrare con la nostra cultura, altrimenti via”. Ancora applausi.
Il signor Giulio viene da Settecamini: “Io quelli di Casa Pound manco li conosco, sto qui perchè da noi vogliono costruire un centro d’accoglienza. So matti, prima i soldi per le scuole che non ci sono, per le mense e il tempo pieno… ”. Il Campidoglio promette, il governo taglia, l’esasperazione cresce
Intanto il corteo passa per via Cavour. I camerieri dei ristoranti cinesi che propongono involtini primavera, ma anche rigatoni cacio e pepe, osservano.
Come i pakistani che vendono statuette del Papa e colossei in miniatura made in Taiwan. “Basta, basta con le rapine, l’illegalità e gli stranieri che non pagano il biglietto sui mezzi pubblici”, si scandisce in coro.
“E finiamola pure co sti venditori ambulanti, ma lei ha visto quante bancarelle? ”, si lamenta una signora nel momento sbagliato.
Perchè ora a stringere mani nel corteo c’è Giordano Tredicine, sorriso d’ordinanza e pacca sulle spalle per tutti.
La sua famiglia ha costruito un impero sulle bancarelle, ma poco conta. Perchè qui la destra è di casa e la memoria corta.
Arriva Gianni Alemanno, ultimo sindaco del disastro, scortato come Obama. Gli amici neri assunti nelle municipalizzate, il disastro dei trasporti, gli scandali.
E chi se ne ricorda? “C’è una invasione, troppi nomadi e troppi immigrati, io l’avevo detto ai tempi di Mare Nostrum”.
Ovazioni per Gianni, e destra tutta unita. Adriano Tilgher regge lo striscione insieme agli altri. Quando gli anni erano di piombo, fondò con Delle Chiaie Avanguardia Nazionale, è invecchiato, ma marcia ancora.
Con i camerati di un tempo e quelli giovani. Si sono divisi e ora sono di nuovo qui, a sentire gli sberleffi su Marino e la sua Panda plurimultata.
C’è Fabrizio Ghera, Giovanni Quarzo, Marco Pomarici, consiglieri capitolini ed ex assessori, c’è il figlio di Domenico Gramazio (“er Pinguino”), Luca, consigliere alla Regione.
Sono i lepenisti d’Italia, pronti a unirsi alla Lega. Presenti. Sempre.
Pronti a ricominciare. Basta soffiare sul fuoco delle periferie.
Enrico Fierro
(da “il Fatto Quotidiano“)
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