INTERVISTA A UNA VOLONTARIA DEL CENTRO DI ACCOGLIENZA: “SIAMO DIVENTATI UNA VALVOLA DI SFOGO DEL MALESSERE SOCIALE”
“I RAGAZZI CI CHIEDONO “CI SPIEGATE COSA ABBIAMO FATTO?”… “NESSUNO DI LORO HA COMPIUTO ATTI DI VIOLENZA, LI HANNO SEMMAI SUBITI”
Pakistan, Etiopia, Mali, Afghanistan, Eritrea. Tutti rifugiati e richiedenti asilo. Vengono dai conflitti e dalla negazione di libertà .
“Sono scappati da una guerra e si sono trovati al centro di un’altra”.
Carmen Palazzo è una delle operatrici del centro di accoglienza di via Morandi, a Tor Sapienza, il luogo che si è trasformato nel simbolo della rivolta e della guerriglia di una borgata romana.
“La cosa più difficile è provare a spiegargli le ragioni di questa esplosione di violenza”.
Lei le ha capite?
Sono convinta che questo centro sia diventato la valvola di sfogo di una protesta che con i rifugiati e i richiedenti asilo ha poco a che fare. I problemi di Tor Sapienza, di certo, non sono iniziati tra anni fa con l’apertura di questa struttura. Ma siamo un obiettivo sensibile, il più semplice. Siamo il simbolo dell’immigrazione, dello straniero, del diverso. E siamo deboli.
Qual è stata la reazione all’esplosione di rabbia del quartiere?
Continuano a chiedersi che colpa hanno, cosa hanno fatto di male per scatenare una rabbia del genere. Sono increduli, ovviamente non è facile spiegare il contesto in cui è nato questo pandemonio. Alcuni hanno subito violenze fisiche, tutti invece stanno subendo violenze psicologiche profonde. E sono persone che sono arrivate qui già con dei traumi.
Nonostante questi traumi, venerdì mattina 17 minori egiziani trasferiti in un’altra struttura erano tornati in via Morandi da soli, prima di essere portati via di nuovo.
Con questi ragazzi si crea un legame speciale. Ora stiamo facendo dei turni extra nella struttura dell’Infernetto, dove sono stati portati, perchè continuano a chiedere la nostra presenza. Proviamo a fargli capire che non hanno nessuna responsabilità per quello che è successo.
Alcuni dei rifugiati però durante gli scontri hanno provato a rispondere all’aggressione.
Gestire quella tensione era impossibile. Sono persone, oltretutto, che vengono da contesti socioculturali in cui la risposta alla violenza è molto più diffusa che qui in Italia. Persone abituate ad avere una rivolta di fronte casa. Solo che stavolta l’obiettivo della rivolta erano loro. E non riescono a capacitarsene.
Non c’erano stati precedenti che facessero prevedere l’aumento della tensione nel quartiere?
Non mi pare proprio. Gli episodi di violenza in questo territorio non mancano, ma le persone assistite nel nostro centro non ne sono state protagoniste. Al contrario, a loro è capitato anche di subirne. Qualche giorno prima dell’inizio degli scontri, uno dei nostri ragazzi è tornato con uno zigomo fratturato da un colpo di casco. Quattro persone avevano provato a derubarlo. Ma il dialogo con gli abitanti di Tor Sapienza non era mai mancato. Appena poche settimane fa, la sera di Halloween, abbiamo fatto una festa insieme alla gente del quartiere.
Ora sembra difficile immaginarlo.
Adesso sono costretti a vivere come in un carcere. Gli sconsigliamo di mettere piede fuori dal centro. Ci muoviamo noi al posto loro, anche solo per comprare un pacchetto di sigarette. E pure gli operatori, in questi giorni, si sono presi insulti e minacce. Stringiamo i denti, perchè chi rimane dentro è ancora più esposto.
Tommaso Rodano
(da “il Fatto Quotidiano“)
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