Novembre 27th, 2014 Riccardo Fucile
SE FOSSE GUIDATO DA LANDINI POTREBBE ANCHE ANDARE OLTRE… SONDAGGIO DATAMEDIA: PD 38%, M5S 17,5%, FORZA ITALIA 13%, LEGA 11,2%, SEL 3,9%, FDI 3,3%, NCD 2,5%
I sondaggisti sono concordi, la minoranza dem vale già il 10 per cento.
È il Tempo a provare a quantificare il peso della corrente di sinistra del Partito Democratico.
“C’è una parte della popolazione di sinistra, a cui Matteo Renzi non piace, che se i dissidenti fondassero un nuovo partito li voterebbe” spiega Renato Mannheimer dell’Ispo. Questo ipotetico partito da noi viene stimato intorno al 10 per cento”.
Antonio Noto di Ipr Marketing è convinto che la minoranza dem, unita a Sel, possa “conquistare quell’elettorato storico del Pd che adesso è in grande fermento” e raggiungere il 9 per cento.
Per Luigi Crespi determinante sarebbe però la scelta del leader, con Maurizio Landini capace di dare un valore aggiunto e portare il raggruppamento di sinistra a “un risultato a due cifre, intorno alle percentuali che raggiunse Rifondazione Comunista”.
Più cauta Alessandra Ghisleri di Euromedia Research, secondo cui “è troppo presto per ragionamenti di questo tipo”, bisogna aspettare di capire come si evolverà la situazione interna al Pd.
Il Tempo pubblica poi il sondaggio settimanale di Datamedia Ricerche, che conferma il trend delle ultime settimane.
Lega in corsia di sorpasso su Forza Italia in frenata, tenuta del Pd, flessione di M5S.
Nel dettaglio, nella maggioranza il Pd resta stabile al 38%, così come Ncd che resta fermo al 2,5%.
Fra le opposizioni, la Lega continua a crescere (+1,2 punti) a quota 11,2%, appena due punti sotto il dato di Forza Italia, in discesa (-1 punto) al 13%.
Modesta flessione (-0,5 punti) per M5S, al 17,5%.
In crescita Sel al 3,9%, in calo Fdi al 3,3, mentre Udc è dato all’ 1,2%
In lieve crescita il dato sull’astensionismo, dopo le regionali, al 28%.
Stabile, anche se in sensibile calo rispetto a un mese fa (-5 punti) la fiducia in Matteo Renzi, che si attesta al 48%.
Si tratta comunque del doppio rispetto a Matteo Salvini (24%, +3 punti), il triplo rispetto a Beppe Grillo (16%, -2 punti in una settimana).
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Novembre 27th, 2014 Riccardo Fucile
FINALMENTE SI REALIZZA IL SOGNO DI AGNELLI
Il sogno di Gianni Agnelli si realizza, e scusate il ritardo. 
Il suo cinismo lo portava a pensare, e va bene, ma anche a dire: “La sinistra può fare delle cose che la destra non potrebbe fare”, cioè le cose che piacevano a lui.
E così eccolo, nell’ottobre 1998, che vota al Senato, con moderato entusiasmo (“Avrei preferito De Gasperi”), la fiducia al governo di Massimo D’Alema, primo e ultimo presidente del Consiglio ex comunista.
L’avvocato maramaldeggiava come un Oscar Farinetti qualsiasi sui suoi dipendenti futuri disoccupati: “I conflitti di classe, da quando è caduto il muro di Berlino ed è successo quello che è successo a Mosca, si può dire siano già finiti”.
Sì, si poteva dire già allora al Senato, oggi l’Avvocato l’avrebbe ripetuto allegramente alla Leopolda, dove non sarebbe sicuramente mancato, lui che sostenne D’Alema ma anche De Mita e Berlusconi.
Ci voleva Matteo Renzu per realizzare la quadratura del cerchio, la Confindustria che detta, letteralmente, e il governo che trascrive commi scritti altrove.
Agnelli, da presidente della Confindustria, trattava con Luciano Lama e, insieme, imprenditori e sindacati dettavano al governo i termini della loro faticosa intesa.
E lo stesso maestro del collateralismo, Silvio Berlusconi, non è mai riuscito a combinare niente, solo a promettere.
Perchè non è di sinistra come Renzi, è solo di destra, un difetto che impedisce di dire ai lavoratori “lo faccio per voi” e far scattare l’applauso.
Basta ricordare i due momenti chiave, l’alfa e l’omega della sua parabola.
Marzo 2001, nella campagna elettorale che lo porterà a sterminare il cosiddetto centro-sinistra di Francesco Rutelli, B. va a Parma, al convegno della Confindustria, abbraccia il presidente Antonio D’Amato e proclama: “Il vostro programma è il mio programma”.
Agosto 2011, dieci anni dopo: il governo Berlusconi annaspa tra spread alle stelle, manovre e contromanovre, lettere della Bce e colloqui riservati al Quirinale per preparare l’avvento si super Mario Monti.
Si presenta a Palazzo Chigi una strana alleanza dei produttori capitanata dalla presidente della Confindustria Emma Marcegaglia (oggi nominata da Renzi alla presidenza dell’Eni) che impartisce al Caimano un cazziatone strepitoso: “No all’atteggiamento rilassato del governo”.
Al suo fianco annuiscono padri della patria come il presidente dei banchieri Giuseppe Mussari e leader sindacali come Susanna Camusso della Cgil e Raffaele Bonanni della Cisl, oggi fresco pensionato d’oro.
Berlusconi ci aveva provato, a cancellare l’articolo 18, facendosi teleguidare dalla Confindustria.
Ma c’era l’opposizione, allora, e Sergio Cofferati riempì il Circo Massimo senza che il segretario dei Ds Piero Fassino gli desse del conservatore.
Aveva dunque ragione Agnelli, ci voleva il trionfo politico della sinistra (41 a zero, due a zero etc.) per consentire finalmente alla Confindustria di dare ordini al governo di Renzi.
Che in una cosa è coerente: effettivamente non tratta con le parti sociali, si limita a obbedire agli industriali, tanto i conflitti di classe sono finiti.
Giorgio Meletti
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Novembre 27th, 2014 Riccardo Fucile
INCURANTE DEI SOSPETTI CHE LO VOGLIONO IN CORSA PER IL QUIRINALE E DI ISPIRATORE DI UN NUOVO PARTITO
Nelle ultime settimane la pioggerella si sta trasformando in acquazzone.
C’era una volta il Prodi fuori dai radar, sempre all’estero, sempre pronto a schivare qualsiasi domanda sulla politica italiana.
Era il Prof del dopo 101, quello che aveva deciso di chiudere definitivamente con la politica italiana e che non aveva rinnovato neppure la tessera del Pd.
Nell’ultimo mese, e in particolare nei giorni delle regionali nella sua Emilia, i tg ricordavano invece quelli tra il 2005 e il 2008, con il faccione di Prodi in tutti gli schermi e il suo indimenticabile eloquio emiliano a lanciare stoccate in forma di sorrisi bonari.
Archiviate le regionali, con il boom dell’astensione proprio nella sua terra, il Prof è tutt’altro che tornato ai suoi studi. Anzi, continua a intervenire, ormai quotidianamente, sulla scena politica: prima per difendere l’Ulivo vilipeso, poi per ricordare a Giuliano Ferrara che il Cav di leader della sinistra ne avrà battuti molti, ma lui no. “Io ho vinto due volte, nel 1996 e ne 2006”, precisa con una nota di agenzia.
E così in tanti cominciano a domandarsi cosa abbia davvero in testa il Professore, che non lascia mai nulla al caso.
Chi lo conosce bene osserva che questo interventismo “dimostra che al Colle davvero non ci vuole andare, altrimenti se ne starebbe zitto”.
Non è un mistero infatti che i papabili veri preferiscono il low profile, soprattutto quando la data delle votazioni per il Quirinale si avvicina, come in questi giorni.
Non per tutti è stato così, a ben guardare.
Nell’estate del 2005, un grande vecchio del Pci-Pds-Ds non lesinò frustate ai titolari di allora della Ditta, Fassino e D’Alema, a proposito dei rapporti troppo confidenziali con i vertici di Unipol nei mesi della tentata scalata alla Bnl. “Hanno sottovalutato il rischio di comportamenti impropri, i partiti non devono tifare per alcun gruppo economico o finanziario…”
Si trattava di Giorgio Napolitano, che pochi mesi dopo arrivò al Quirinale.
L’interventismo del Professore, dunque, potrebbe non impedirgli comunque di salire al Colle.
Ma il profluvio di questi giorni nasce da altre ragioni, che riguardano il legame tra Prodi e il Pd, “che considera come suo figlio,” ricorda chi lo conosce bene.
E quando il figlio sta male, al vecchio padre prudono le mani.
E, nonostante si morda la lingua il più delle volte, ogni tanto Prodi non resiste alla tentazione della dichiarazione.
Come il giorno dopo il flop delle regionali in Emilia. Mentre palazzo Chigi twittava la vittoria per 2 -0 e ridimensionava l’astensione a “problema secondario”, il prof citando un suo vecchio insegnante spiegava che “così ti fai il letto, così dormi”.
E ribadiva che quella scarsa partecipazione a Bologna e dintorni era un “preoccupante segnale di malessere”. Un modo più forbito per dire “chi semina vento raccoglie tempesta”. Rivolto a tutti, compresi i vertici del Nazareno.
Fonti vicino a Prodi non nascondono quanto il prof non abbia gradito l’attacco durissimo di Renzi alla Cgil dal comizio al Paladozza di Bologna, negli ultimi giorni di campagna elettorale.
Così come non gradisce la rottura dei ponti con la sinistra di Vendola e la trasformazione del Pd in qualcosa di diverso dal suo progetto originario.
Non è un caso che Prodi si sia speso a difesa dell’Ulivo “cui ho dedicato la metà della mia vita” proprio mercoledì, nel giorno in cui Rosy Bindi denunciava dalle pagine del Corriere la rottura del filo rosso tra il pullman del 1995 e il Pd di Renzi.
Il giro prodiano non ha affatto apprezzato le parole di Debora Serracchiani, che ha certificato come quello spirito sia ormai archeologia, e comunque non più una bussola per i nuovi inquilini del Nazareno.
E in molti in questi giorni hanno sentito dire all’ex premier che “l’Ulivo nasceva per unire il centrosinistra, mentre oggi si rischia di dividere…”.
Nonostante la volontà di “fare il nonno”, nei momenti chiave per il Pd Prodi c’è sempre stato. Anche quando, alle primarie che incoronarono Renzi, decise alla fine di partecipare per allontanare lo spettro dell’astensione, nonostante fossero passati pochi mesi dallo schiaffo dei 101.
Il professore dunque pronto a tornare come icona di un nuovo Ulivo alternativo a Renzi?
In tanti ci sperano, a partire da Civati e Bindi. Ma non sarà così. Così come vengono giudicate lunari le ricostruzioni del Giornale che vede il Prof come regista dietro le fronde di D’Alema e Fitto, dentro Pd e Forza Italia.
Prodi quando dice di aver lasciato l’impegno politico attivo in Italia è sincero.
E non condivide il muro della minoranza dem contro il Jobs Act.
Per l’ex premier l’intervento di Renzi è “non creerà nè farà perdere posti di lavoro”. “In pratica, rispetto all’attuale legge Fornero cambierà pochissimo ma può servire come prezzo da pagare a Bruxelles per avere in cambio maggiore flessibilità ”, è il ragionamento che gli sentono fare i suoi collaboratori.
In questo nuovo Pd, raccontano fonti vicino al professore, si vedono dei problemi strutturali, che rischiano di minare il bipolarismo: non tanto per la stretta collaborazione con Berlusconi sul dossier riforme, ma soprattutto per l’atteggiamento “troppo ostile” verso i sindacati.
Senza dimenticare la nuova classe dirigente, che spesso nei salotti tv non si dimostra sufficientemente autorevole e si limita a ripetere a pappagallo il verbo renziano.
Senza un adeguamento approfondimento delle tante e complesse questioni sul tavolo. Lui ha sempre spinto i giovani a “prendersi i loro spazi senza aspettare di essere cooptati”.
Ma questo non può avvenire, sostengono prodiani doc, a discapito dell’autorevolezza, solo per una questione anagrafica.
E tuttavia nel merito il suo giudizio sul piano Juncker, sostenuto dal premier, è assai duro: “Mezza lumaca cammina più forte”.
“Gli Stati Uniti sono usciti dalla crisi abbastanza in fretta perchè il pubblico ha messo sul piatto 800 miliardi di dollari subito, ha salvato l’industria automobilistica e ha previsto sussidi alla ricerca”, ha spiegato nei giorni scorsi ai cooperatori bolognesi.
“Il problema è grosso e per un problema grosso ci vuole un intervento grosso, proporzionato. Se l’Europa non esce dalla crisi non è per problemi strutturali, ma perchè non fa la politica che altri hanno fatto per uscire dalla crisi. Un problema semplicemente politico”.
Una lettura molto distante da quella del governo, che sul piano Juncker ha scommesso molto. E su quella promessa di più investimenti e maggiore flessibilità ha investito molte delle fiches di questo primo anno di governo.
E il Quirinale? “Quell’impiccio non è nel mio futuro”, continua a ripetere il Professore.
E a favore di questa opzione ci sarebbe anche la netta contrarietà della signora Flavia a lasciare nuovamente via Gerusalemme per una Capitale mai amata.
Ma il fatto è che Prodi sembra essersi stufato di mordersi la lingua. E il boom dell’astensione in Emilia, 63% rimasti a casa, ha fatto saltare il tappo.
“Così ti fai il letto, così dormi…”, ha mandato a dire. Renzi, dal canto suo, non ha mai interrotto i canali di comunicazione con Bologna.
E se mai avesse voluto farlo, Prodi glielo sta sconsigliando. Del resto, per un premier che ha siglato il “Patto del Tortellino” con i leader socialisti europei, sarebbe un paradosso ignorare i consigli che arrivano da via Gerusalemme…
(da “Huffingtonpost”)
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Novembre 27th, 2014 Riccardo Fucile
TRA I SUOI SOSTENITORI “ROTTAMATORI” SI RIVEDONO ANCHE ESPERTI SFASCIACARROZZE: ANDREA RONCHI, ADOLFO URSO, FRANCESCO STORACE E GIANNI ALEMANNO
È standing ovation quando Raffaele Fitto cita Margaret Thatcher: “I voti non cadono dagli alberi come
prugne secche, i voti bisogna conquistarseli, giorno per giorno”.
Poi, l’affondo rivolto a Berlusconi, mai nominato direttamente: “Basta improvvisazioni, più che concentrarsi sul centravanti o sul centrocampista serve una squadra riconoscibile sui contenuti”.
Tempio di Adriano 27 novembre del 2014, trigesimo della Decadenza di Silvio Berlusconi, votata un anno fa a palazzo Madama.
Allora, sotto palazzo Grazioli sembrava di stare a Bisceglie tanti erano i pugliesi chiamati a raccolta da Raffaele Fitto per esprimere solidarietà a Berlusconi.
Oggi, nuovo passo della Decadenza politica. Nasce il correntone azzurro.
Per la prima volta, i ribelli ci mettono la faccia in pubblico, sfilando di fronte alle telecamere.
Il pallottoliere segna 36 tra parlamentari e senatori ma, spiegano, altri potrebbero arrivare.
È una notizia che trova conferma nel panico di palazzo Grazioli, dove alla Camera secondo Denis Verdini i parlamentari berlusconiani ortodossi su cui mettere la mano sul fuoco sono 36, quelli fuori controllo 32, perchè oltre ai fittiani puri c’è una vasta area di malcontento sul Nazareno.
Il “parroco di Lecce”, così lo apostrofò Berlusconi nel corso di un ufficio di presidenza, controlla quasi la metà dei parlamentari.
Per questo si muove da capo, fermo sulle posizioni di chi vuole un “chiarimento” politico. Quando Silvio Berlusconi lo fa chiamare per invitarlo a pranzo con i capigruppo, Giovanni Toti e Deborah Bergamini fa sapere che è disponibile a un faccia a faccia non ad un incontro con una delegazione: “Lo volevano imbrigliare – dice un big del correntone – nel senso che gli avrebbero chiesto di non parlare di questo o quest’altro, mettendo il silenziatore all’iniziativa, ma senza aprire una discussione vera. E lui non è andato per stare libero. Quando Berlusconi vorrà trattare, allora andrà ”
Aria elettrica, quasi da congresso di nuovo partito, ci sono parecchi ex ministri dei governo Berlusconi. Saverio Romano, Gianni Alemanno.
Arriva Francesco Storace: “Sono un pregiudicato, ma a me piace la politica. Per questo sono qui”.
L’ex finiano Andrea Ronchi sembra ringiovanito: “Sono qui, perchè bisogna creare, partendo da personaggi come Fitto, un centrodestra, forte e credibile, alternativo alla sinistra renziana, che torni allo spirito del ’94”.
Guai a nominare la parola scissione, guai a nominare Berlusconi: “Noi — dice Fitto dal palco — non siamo contro qualcuno, ma per qualcosa”.
Applaudono pure i rappresentanti delle categorie invitate a parlare, Confcommercio, Confartigianato, Confediliza, categorie tradizionalmente vicine al centrodestra, sotto la grande scritta “Per l’alternativa”.
Proprio partendo dall’interlocuzione con loro Fitto spinge sulla necessità di partire dai “contenuti”, termine — aggiunge — “che dà quasi fastidio”, critica il governo Renzi sulla politica economica, sui fondi europei, sull’approccio subalterno a Bruxelles.
E in nome dell’alternativa di governo invoca la “rifondazione” di Forza Italia e del centrodestra: “Se il nostro partito si confrontasse con questi temi, avrebbe una credibilità diversa di quella che ha. Questo intendo quando parlo di rifondazione”.
È “governo” la parola più usata nel discorso sotto lo sguardo accudente dello spin doctor Luigi Crespi, l’inventore del contratto con gli italiani del 2001, e di Daniele Capezzone, la “mente” economica del correntone, infaticabile produttore di materiali sull’economia.
E non è un caso che Fitto batta molto proprio sull’alternativa di governo. Perchè il battesimo del correntone non è un’iniziativa di rottamazione, nè — almeno per ora — la prova di una scissione.
Il “parroco di Lecce” è cresciuto e si pone come goleador, anti Salvini nel guidare un nuovo centrodestra.
Per questo parla di unità del centrodestra, gioca di sponda col leghista invocando le primarie: “Tutte le investiture devono passare dal popolo”.
Parla, esattamente come Salvini, non contro Berlusconi ma già oltre Berlusconi: “Sulle primarie – dice – anche Salvini sarebbe d’accordo”.
Se la ride all’ingresso quella vecchia volpe di Vincenzo D’Anna: “Ora Raffaele deve stare attento agli zelatori”.
Perchè sul territorio i portatori di voti, il ceto politico delle amministrazioni lo cerca, per proporsi nel correntone.
Andrea Ronchi racconta: “Andando in giro c’è voglia di politica, non sai quanta. Ti faccio vedere la lista di imprenditori, gente seria, professionisti che hanno voglia di impegnarsi perchè non vogliono Renzi. E in questo momento Forza Italia sul territorio non c’è”.
Proprio sul territorio Forza Italia pare una polveriera pronta ad esplodere.
Il governatore della Campania Caldoro, ad esempio, è sbottato: “Io — ha dichiarato a Repubblica — non so se mi ricandido”.
Significative le sue parole sulla guida del centrodestra: “La leadership si conquista sul campo: corrono Salvini, Alfano, Fitto, Toti e chiunque si voglia misurare. Ma non necessariamente con le primarie”.
Ecco, la sensazione è che il problema sia sempre lo stesso: Silvio Berlusconi.
Nei capannelli la fantasia della politica è scatenata. C’è chi ragiona di un “listone nazionale” di centrodestra alleato con Salvini, chi di una Forza Italia fittizzata come motore di una alleanza. Chissà .
Augusto Minzolini dice: “Il paradosso del momento è che sia Salvini sia Renzi sono, ognuno a suo modo, il prodotto del berlusconismo, nel senso della politica come leadership, come la concepiva Berlusconi. Ora l’unico partito senza leader è Forza Italia”.
Decadenza, atto secondo. Un anno dopo.
(da “Huffingtonpost“)
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Novembre 27th, 2014 Riccardo Fucile
UNA DELEGAZIONE DI SETTE DEPUTATI IN ARRIVO A MARINA DI BIBBONA DOPO L’ALLUCINANTE ESPULSIONE DEI DUE DEPUTATI CON UNA VOTAZIONE FANTASMA CHE NESSUNO PUO’ CONTROLLARE E CONTRARIA ALLO STATUTO
Una delegazione di deputati del Movimento Cinque Stelle, guidata da Massimo Artini, sta raggiungendo
Beppe Grillo per incontrarlo di persona e avere così “chiarimenti” sul post del blog del leader M5S che ha avviato la procedura di espulsione nei confronti dello stesso Artini e della deputata Paola Pinna.
La delegazione dei ribelli – di cui non fa parte la Pinna – sta viaggiando alla volta di Marina di Bibbona proprio per chiedere un confronto aperto all’ex comico.
“Ci dicono che un centinaio di attivisti stazionano già lì, davanti casa di Beppe”, ha detto all’Adnkronos il deputato Marco Baldassarre.
I deputati Massimo Artini e Paola Pinna sono fuori dal Movimento 5 stelle.
La lunga giornata del voto per l’espulsione dei due parlamentari finisce così: con una delegazione di consiglieri comunali, attivisti e parlamentari sotto casa di Beppe Grillo a Marina di Bibbona in Toscana.
Chiedono un colloquio e chiedono spiegazioni al leader.
“Questa votazione non è valida”, dice a ilfattoquotidiano.it Marco Baldassarre, “siamo qui per parlare con Beppe. Vogliamo capire una volta per tutte che cosa gli sta passando per la testa. Io non ho nemmeno votato: quello che contestiamo è il metodo. Questo modo di fare non appartiene al Movimento 5 stelle. Un voto fatto così è una totale presa in giro”.
Sono sette i parlamentari davanti a casa di Grillo, oltre a Baldassarre e Artini sono arrivati anche i colleghi Federica Daga, Samuele Segoni, Tatiana Basilio, Silvia Benedetti e Gianluca Rizzo.
“Io personalmente”, continua Baldassarre, “non ho nemmeno votato. Il blog dice che Massimo non ha rispettato le regole quando in realtà ha pubblicato tutti i rendiconti. La cosa che mi lascia perplesso è il fatto che la maggior parte dei commenti fosse in favore degli espulsi, ma alla fine la votazione sia stata così schiacciante per l’uscita. Non voglio nemmeno pensare al fatto che non abbiamo una società terza che certifica il voto, ma è un altro elemento che non si può dimenticare”.
Tutto questo vogliono chiedere a Grillo: “Abbiamo investito tempo, energie ed emozioni. Non possiamo veder finrie tutto così”, conclude Baldassarre.
L’M5s perde due parlamentari ed incassa l’ennesima ferita: accusati di non restituire parte dello stipendio, hanno smentito mostrando i rendiconti pubblicati sui propri siti internet personali.
Ma alla base dello scontro ci sarebbero le posizioni critiche.
Dopo le elezioni Regionali, Massimo Artini in un’intervista a ilfattoquotidiano.it ha chiesto un confronto con Grillo e Casaleggio.
Una procedura di espulsione lampo, senza passare dalla sfiducia dei Meetup o dall’assemblea congiunta dei parlamentari, al contrario di quanto prevede il codice di comportamento.
Il primo commento è stato quello della deputata Pinna: “E’ un’esecuzione sommaria, ma non potevano trovare un pretesto peggiore di questo. I bonifici ci sono, li trovano sul mio blog e su Facebook”.
Alla base dello scontro c’è la decisione di una parte dei portavoce M5s (sono 18 in tutto) di non pubblicare sul sito di Grillo (tirendiconto.it) le note di rimborso. “Vogliamo garanzie sulla gestione del sito e spiegazioni”, si erano giustificati nei giorni scorsi. Ma per i leader non basta.
Il Movimento perde oggi due parlamentari ed incassa l’ennesima ferita. La squadra M5s a Montecitorio passa così da 104 a 102 deputati.
E questa volta le polemiche rischiano di fare più male del solito. Per tutto il giorno il gruppo dei portavoce si è spaccato tra accuse e difese, e in molti hanno minacciato di lasciare il Movimento nel caso Pinna e Artini fossero effettivamente cacciati.
I critici si sono riuniti nel pomeriggio e hanno cercato di delineare una strategia.Alla fine la decisione di andare sotto casa di Grillo, nella speranza di avere una risposta.
Martina Castigliani
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Novembre 27th, 2014 Riccardo Fucile
“FITTO? UN POLITICO DI PROVINCIA CHE HA PRESO VOTI A BISCEGLIE”… “SENZA SILVIO CI SAREBBE STATA UNA DESTRA DI SERIE B, DAL MSI AD AN”…”SALVINI LEADER? BERLUSCONI LO AVEVA DETTO ANCHE DELLA BRAMBILLA”
Appuntamento con Giuliano Ferrara, direttore de Il Foglio , alle quattro del pomeriggio
Ma è in lieve ritardo.
«Sto salendo adesso su un taxi…». Cellulare, Roma, il frastuono del traffico di sottofondo. «Però se il tassista è disposto a sopportare le mie chiacchiere, l’intervista possiamo cominciarla subito… Dai, parti con la prima domanda…»
Silvio Berlusconi controlla ancora Forza Italia?
«Berlusconi non ha mai controllato Forza Italia. Non controlla coalizioni, nè governi, nè partito: lui è il partito, è la coalizione, è il governo. Una figura simile a Kim Il-sung, il dittatore coreano. Poi, certo, è anche un grande e famoso megalomane che, per anni e anni, è stato comunque l’unica giustificazione della destra italiana. Senza di lui cosa ci sarebbe stato, cosa c’è? Il Movimento sociale, An, Fratelli d’Italia… Roba da serie B. Bossi capì ed ebbe l’astuzia di essergli amico. Ma ora l’erede di Bossi è Salvini, un brillante attaccamanifesti. No, dai: la verità è che senza Berlusconi non erano niente e non saranno niente»
Non ti sarà sfuggito, direttore, che Raffaele Fitto sembra muoversi come uno pronto a lanciare un’Opa e…
«Non accetto domande su Raffaele Fitto!».
Permettimi d’insistere.
«Ma cosa dovrei dirti? È un politico di provincia che ha preso preferenze a Bisceglie, con enorme rispetto per Bisceglie. Posso parlarti di Fitto? Posso parlarti di Fitto, dopo che mi hai appena chiesto un parere su Berlusconi, uno che ha battuto tutti i suoi avversari, da Occhetto a D’Alema, da Prodi a Bersani?».
Berlusconi intanto dice che Salvini può essere il nuovo candidato premier del centrodestra.
«Sai, Berlusconi cambia spesso le statuine del suo presepe personale… Ricordi quando diceva che Fini sarebbe stato il suo successore? No, dico: ad un certo punto indicò persino la Brambilla e io me lo ricordo Tremonti, a cena, che quando lo seppe quasi mi svenne davanti al ristorante… No no… Vuoi la verità ?».
Dai.
«Berlusconi vuole governare con lucidità , e la parola lucidità qui la dico e qui la nego, una fase di transizione del Paese d’intesa con il Pd: poi, se al termine di questo percorso lui ce la facesse a vincere ancora, allora sarà Napoleone…».
E non ce la facesse?
«Gestirà la sconfitta con il suo vero erede».
E chi sarebbe?
«Renzi, è chiaro! Perchè è Renzi il capo della nuova generazione che si riconosce nel trasversalismo inventato da Berlusconi medesimo. Staffetta perfetta».
Per immaginarci un Berlusconi vittorioso dobbiamo cominciare ad immaginarci un Berlusconi di nuovo candidabile: devi ammettere che ci vuole un bel po’ di fantasia.
«Più che alla fantasia, dobbiamo affidarci alla Divina provvidenza. Ci sono di mezzo tribunali italiani e la corte europea, l’interpretazione di molte leggi e l’elezione del nuovo capo dello Stato…».
Non hai mai nominato Angelino Alfano.
«Alfano?».
Alfano sostiene d’essere disposto a ricostruire un’alleanza di centrodestra ma…
«Dimmi un po’: non ti ho risposto su Fitto e ora pensi che ti risponda su Alfano? Guarda, non è antipatia. Però davvero questi sono tutta robetta… Fratelli di Alfano, Fratelli di Fitto, Fratelli di Salvini… partitucci, veri o potenziali, che non arrivano al 6%…».
Patto del Nazareno.
«Se mi dici che scricchiola, mi metto a urlare…».
Non te lo dico: ma è un patto destinato a durare, sì o no?
«Il cosiddetto Patto del Nazareno è la legittimazione della legislatura, e non per ragioni puramente aritmetiche. Vogliamo rinfrescarci la memoria? Dopo le elezioni del 2013, Berlusconi disse: voglio un governo di larghe intese e voglio che Napolitano resti presidente. Ricorderai che Bersani non lo ascoltò e provò a fare il governo del cambiamento con Grillo, andando subito a sbattere. Così spuntò fuori Letta, che pensò di farsi un governo in accordo con Alfano. Ma durò un battito d’ali. A quel punto chi arriva?».
Renzi.
«Bravo, arriva Renzi. E che fa? Riceve subito Berlusconi al Nazareno, nella sede del Pd, e lì gli spiega che accetterà entrambe le sue richieste, su governo e Quirinale. Tutto qui. Semplice semplice. Per questo il Patto tiene. E vi sarei grato se voi del Corriere riusciste a spiegarlo anche a quei due premi Nobel di Fitto e di Brunetta…».
( Pausa ).
«Aspetta che devo dire al tassista… ecco, qui, se accosta qui è perfetto. Io sono arrivato… E tu che dici? Mi sembra che l’intervista c’è tutta, no?».
Fabrizio Roncone
(da “il Corriere della Sera“)
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Novembre 27th, 2014 Riccardo Fucile
“SE IL PREMIER FOSSE STATO LEADER DI UN PARTITO NEGLI ANNI ’50, IO E MIO PAPA’ L’AVREMMO VISTO COME UN RIVALE POLITICO”
Nemmeno Gianni Morandi ha votato, domenica scorsa per le elezioni in Emilia-Romagna. 
La sua confessione sorprende perchè negli ultimi anni non ha mai parlato volentieri di politica e figuriamoci di voti: anche le pietre, intanto, sanno la sua storia orgogliosa di ragazzo figlio del ciabattino di Monghidoro, e di quei pomeriggi della domenica passati insieme a distribuire l’Unità a chi entrava nel cinema Aurora del paese.
Si intuisce ora un fiotto di amarezza che gli esce dal cuore, in una serata nata invece tutta calda e affettuosa: all’improvviso le canzoni tacciono e si parla fuori dai denti della sua Regione che ha perso l’onestà ; e di una parte nella quale si è a lungo riconosciuto ma che non è più la stessa: «Se ci fosse stato Matteo Renzi leader di un partito negli Anni Cinquanta, io e mio papà forse l’avremmo visto come un rivale politico».
Che cambio di atmosfera, alla Eatery, mentre Morandi canta i settant’anni che arriveranno il prossimo 11 dicembre, festeggiati anche con un album di successi dal titolo prudente, «Autoscatto 7.0».
Ma la musica, quando ha un senso, anche questo sa fare: confessa.
Gianni racconta che da ragazzo la sua preferita era «Un mondo d’amore», il grande prato verde dei ragazzi che si chiamano speranza.
Invece ora: «Per il disco, i titoli sono stati scelti dai 1 milione e centomila fans sulla mia pagina Facebook: la più votata, con un grande margine, è stata “Uno su mille”. È una canzone che è un termometro vero di disagio, con il suo testo che fa “Se sei a terra non strisciare mai, se ti diranno che è finita non ci credere…”».
Magari allora, nel 1985 quando la canzone fu scritta da Bardotti, proprio pensando ai tempi difficili che Morandi aveva appena passato con l’avvento del rock, ce la faceva uno su mille, caro Gianni Morandi: adesso quante sono le probabilità ?
La risposta arriva affilata e oscura per un attimo l’idea dell’emiliano giovialone: «Io dico che un momento così non se lo aspettava nessuno in Italia. Non c’è qualche spiraglio, qualche speranza vera a cui appendersi, qualche luce lontana alla quale ispirarsi, a parte le parole che dice ogni tanto Papa Francesco».
Il tempo di un sospiro, di rendersi conto che, con la sua storia e il suo mestiere, ha il dovere del tiramisù. E allora prosegue: «Ma io sono ottimista, credo nei giovani, credo che salveranno l’Italia e non solo».
In realtà , la delusione per la sua Emilia brucia ancora: «Un mese prima delle elezioni è successo lo scandalo in Regione. Sembrava che a casa nostra non succedessero queste cose, invece anche loro alla fine hanno messo le mani nella marmellata. Ecco, io sono uno di quel 63 per cento che non è andato a votare: ma forse anche perchè davo per scontato l’esito, pensavo che alla fine Bonaccini avrebbe vinto e forse non c’era bisogno di grande sostegno».
Rimarca che è stata la prima astensione della sua vita: «Certo che ci rimani male. Non so se è Renzi che non ha portato la gente a votare, però in Emilia c’è uno zoccolo duro che sta un po’ più a sinistra di lui».
Certo, caro Morandi, la politica di sinistra è molto cambiata…
Sorride, riprendendo le sue memorie doverose da compleanno rotondo: «Nella mia vita ho fatto un’excursus ben lungo. Da Togliatti, che mi fa sempre pensare a mio padre quand’ero bambino, a Berlinguer che è stata l’ultima grande figura del partito, uno veramente meraviglioso, serio, sobrio, da classe dirigente… E poi, c’era sempre Andreotti: ci ho convissuto per 45 anni. Lui era ministro e io cantavo a Canzonissima, lui era primo ministro e io continuavo a cantare…».
Marinella Venegoni
(da “La Stampa”)
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Novembre 27th, 2014 Riccardo Fucile
DOPO LE ELEZIONI REGIONALI AVEVANO OSATO CRITICARE I VERTICI… PIZZAROTTI A GRILLO: “RIPRENDI LUCIDITA’ E FERMATI”
La motivazione dichiarata è la mancata restituzione di parte dello stipendio. Ma dietro potrebbero esserci le critiche mosse al Movimento dai due deputati messi sotto accusa.
Beppe Grillo lascia la decisione alla Rete e dal blog apre un voto on line, sino alle 19, sulla proposta di cacciare da M5s i deputati Paola Pinna e Massimo Artini, rei di non rispettare il codice interno.
“Chi non restituisce parte del proprio stipendio (come tutti gli altri) viola il codice di comportamento dei cittadini parlamentari M5s, impedisce in questo caso a giovani disoccupati di avere ulteriori opportunità di lavoro oltre a tradire un patto con chi lo ha eletto. Un comportamento non ammissibile in generale, ma intollerabile per un portavoce del M5s”, si legge nel ‘capo d’imputazione’.
“Quindi valuta: sei d’accordo – si chiede ai militanti – che Pinna e Artini NON possano rimanere nel Movimento 5 Stelle?”.
Immediata su Facebook la replica della deputata: “Io le regole le ho sempre rispettate, i soldi li ho restituiti come previsto. Sono loro che le stanno violando visto che”, sulla procedura di espulsione, “non stanno passando per l’assemblea come previsto da Statuto M5s”, ha detto Pinna, che ha aggiunto: “Quanto apparso poco fa sul blog www.beppegrillo.it è falso. Per non parlare di quella che è una vera e propria sospensione dello stato di diritto…Sul sito www.tirendiconto.it abbiamo deciso di non pubblicare in 18 perchè ci sono troppi dubbi sulla gestione e attendiamo delle risposte. Sul mio blog www.paolapinna.it sono caricate le contabili dei bonifici fino al mese di settembre, tre mesi in più rispetto al blog”.
La deputata ha pubblicato sempre su Facebook la copia delle ricevute dei bonifici, pari a circa 23 mila euro. E su Twitter: “Un cittadino in buona fede, anche se parlamentare, non ha nulla da temere. Soprattutto se ha le prove”.
Pinna e Artini all’attacco.
I due deputati finiti nel mirino non hanno risparmiato critiche al M5s dopo i risultati delle Regionali: Paola Pinna, già in passato accusata di essere una ‘dissidente’, aveva apertamente dichiarato che il Movimento “perde pezzi”.
Per la rappresentante M5s, “da interpreti della protesta e da unica alternativa credibile a un sistema corrotto e inefficace, dominato da un malaffare lontano dalle istanze dei cittadini, siamo diventati marginali sulla scena politica. Ci siamo auto-condannati all’esclusione rinunciando al nostro ruolo di innovatori, che è stato usurpato da chi oggi inneggia a un 2 a 0 che non c’è o da chi festeggia dicendo ‘ho fatto meglio dell’Umberto e anche del Silvio'”.
Non meno dure le parole di Massimo Artini: “La gente sul territorio non è arrabbiata, di più”, ce l’ha “con chi si inventa una cavolata come quella di Mussolini che non ha ucciso Matteotti da mettere sul sito il giorno in cui ci sarebbe da parlare della sconfitta elettorale. Immagino ce l’avessero nel cassetto da mesi”, aveva detto in un’intervista a Repubblica. “Il punto è che non riusciamo ad avere la credibilità che ci meritiamo. Anche stavolta, non siamo stati credibili. E visibili”. Dichiarazioni forti, che potrebbero aver accelerato la decisione del leader di mettere ai voti la permanenza o meno dei due nel Movimento.
Altre critiche.
Ma quelle di Pinna e Artini non sono le uniche voci critiche contro M5s. Altri due deputati, Sebastiano Barbanti e Tancredi Turco, sono apparsi in tv, sfidando apertamente il divieto fatto ai parlamentari pentastellati di apparire in trasmissioni televisive e soprattutto talk show: parlando davanti alle telecamere di Agorà , i due, che già avevano preso le difese di Walter Rizzetto, “scomunicato” via blog per la partecipazione a Omnibus su La7, hanno messo in discussione in sostanza il ruolo di Grillo, come “unico megafono” del Movimento: “È il momento di fare autocritica, di fare una riflessione seria al nostro interno. Troppe volte i cittadini hanno visto i toni accesi e poche volte le nostre proposte”.
A rischio espulsione altri 15 deputati.
Ci sono altri 15 deputati M5s, oltre a Massimo Artini e Paola Pinna, che non hanno rendicontato le spese sul blog di Beppe Grillo.
Sul blog mancano gli aggiornamenti delle spese e dei versamenti al fondo per le Pmi di Marco Baldassare, Sebastiano Barbanti, Eleonora Bechis, Silvia Benedetti, Paolo Bernini, Federica Daga, Marta Grande, Mara Mucci, Girolamo Pisano, Aris Prodani, Walter Rizzetto, Gessica Rostellato, Samuele Segoni, Patrizia Terzoni, Tancredi Turco.
Ora, dentro e fuori il Movimento, c’è chi si chiede se anche per loro sia pronto il cartellino rosso.
Le reazioni.
“Spero che qualcuno riprenda lucidità e si fermi in tempo. Non ho sacrificato parte della mia vita per vedere accadere tutto questo”. In un tweet, il sindaco di Parma, Federico Pizzarotti, così ha commentato alla luce delle due espulsioni avviate dal blog di Beppe Grillo contro due deputati M5s, Paola Pinna e Massimo Artini.
“Ciù is melk che uan #pinna #artini”. Così Rizzetto commenta su Twitter la proposta di Grillo di espellere dal Movimento Pinna e Artini. Alla frase, Rizzetto allega la foto di un biscotto gelato a due gusti.
Anche la deputata M5s Patrizia Terzoni esprime la sua contrarietà all’espulsione dei suoi colleghi: “Io voto no, aiutateci a diffondere la verità “, scrive sulla sua pagina Facebook lanciando l’hashtag #beppequestavoltanoncisto.
Poi è stata la volta di un’altra deputata del Movimento, Eleonora Bechis: “Il blog viola il regolamento!”, scrive la deputata M5S su Twitter contro il blog di Beppe Grillo. “Artini e Pinna sono M5S – scrive Bechis – chi ha scritto quello schifo?”
“Siamo alle solite. Il blog di Beppe Grillo, con un nuovo atto d’imperio e senza rispetto per il codice di comportamento per gli eletti 5 stelle, procede a due nuove espulsioni nel Movimento, senza passare per l’assemblea congiunta. E questa sarebbe la tanto sbandierata democrazia? A quanto pare gli errori compiuti in passato non hanno insegnato niente ai vertici”, dicono i senatori ex M5s, ora nel gruppo Misto, Alessandra Bencini, Monica Casaletto, Maurizio Romani, Fabrizio Bocchino, Laura Bignami, Francesco Campanella e Luis Alberto Orellana, commentano il via libera alla procedura di espulsione.
(da “La Repubblica”)
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Novembre 27th, 2014 Riccardo Fucile
ELETTO DA 21 ANNI, HA PORTATO LA PRIMA MOGLIE A LAVORARE IN CONSIGLIO COMUNALE A MILANO… LA SECONDA È FINITA IN LOMBARDIA CON MARONI… UN APPARTAMENTO A SOLI 40.000 EURO… SALVINI E’ GIA’ COSTATO ALLO STATO ITALIANO 2 MILIONI DI EURO
Gli immigrati vanno cacciati perchè creano degrado, professa Salvini, ma a volte anche buoni affari. 
Il leader del Carroccio lo sa bene visto che ha acquistato un appartamento nel cosiddetto fortino milanese di viale Bligny 42 per appena 40 mila euro.
Lui ovviamente non ci vive. È, appunto, un investimento.
La zona è quella dei Navigli e con una cifra simile non ci si compra neanche una cantina, ma al civico 42 vivono 700 stranieri, è saltato fuori l’affare e Salvini ci si è avventato.
Perchè lui, in fondo, è renziano: conta ciò che si dice in tv, i fatti rimangano marginali.
Come le invettive contro i meridionali, dipinti come maniche di raccomandati nelle strutture pubbliche, o gli strali schifati nei confronti delle parentopoli della casta.
Poco conta che lui abbia fatto lavorare prima sua moglie Fabrizia Ieluzzi per dieci anni al Comune di Milano, quando lui a Palazzo Marino era consigliere, e poi abbia fatto assumere l’attuale compagna, Giulia Martinelli, in Regione dall’amico Roberto Maroni con un compenso che sfiora i 70 mila euro annui
Ma in Padania le parentopoli non esistono. Poi, certo, arriva la Corte dei conti e scopre che l’ex capogruppo leghista al Pirellone, Stefano Galli , con i soldi della Regione ha pagato anche il pranzo di nozze della figlia (soldi poi restituiti) e concesso una consulenza al genero.
O la procura che rinvia a giudizio l’intero gruppo consiliare per le cosiddette spese pazze e salta fuori che tra i rimborsi fantasiosi contestati dai magistrati ai leghisti lombardi ci sono anche numerose ricevute di pasti consumati nei pub della catena Brando di cui è comproprietaria Giulia Martinelli.
Anche lei, come il compagno, ha fiuto per gli affari.
Lui però nel settore politico.
È entrato nei Palazzi nel 1993 senza mai uscirne. Ventidue dei suoi 41 anni li ha trascorsi da eletto.
Più della metà dell’esistenza l’ha vissuta stipendiato dai contribuenti. Che a volte gliene hanno pagati pure due, di stipendi.
Salvini entra in consiglio comunale a Milano nel 1993 e ne esce solamente nel 2012. Nel frattempo, dal 2004 in poi, siede anche al Parlamento europeo.
E la busta paga che arriva da Bruxelles ammonta a circa 18 mila euro al mese.
In dieci anni, con un rapido calcolo al ribasso, Salvini ha ricevuto dalla Comunità più di 2 milioni di euro.
Certo, per conquistarsi quel seggio ha dovuto crescere a pane, Padania e acqua del Po. Dietro a Umberto Bossi dal 1990, fedele e silente, amico del Trota Renzo e di tutta la famiglia.
Quando nel 2004 Salvini sbarcò per la prima volta a Bruxelles scelse come suo portavoce Franco Bossi, il fratello “sfortunato e poco sveglio” di Umberto, diceva il Capo.
Della delegazione padana faceva parte anche Riccardo, il primogenito del Senatùr.
E già allora Salvini, da direttore di Radio Padania Libera, sparava a zero contro il clientelismo in terronia e le assunzioni nel pubblico di amici e parenti.
Ma la coerenza in via Bellerio è un principio saldo come i confini della Padania. Scivolati dal Po ai piedi dell’Etna. Cambiare idea è lecito.
Salvini è passato dalla secessione all’unità d’Italia, dal “Napoli merda” al “viva il Vesuvio”.
Ma soprattutto è riuscito, in poco più di dieci anni, a coprire l’intero asse sinistra-centro-destra.
Entrato nella Lega nel 1990, nel 1997 ha dato vita ai Comunisti Padani dicendo di voler sviluppare “il progetto di Bertinotti al Nord”, ha poi lasciato la spilletta di Che Guevara che era solito portare sul bavero della giacca per sposare le tesi della famiglia Le Pen (che invece da generazioni l’idea non l’hanno mai cambiata) e ora partecipa a dibattiti circondato da busti e poster del Duce in compagnia dei suoi nuovi alleati: Casa Pound.
Ormai c’è una sorta di sodalizio: le nostrane teste rasate, infatti, si prestano a fare anche servizio d’ordine ai comizi leghisti.
L’ultima occasione? A Roma la settimana scorsa per la visita dell’ideologo, nonchè tutore di Salvini in Ue per oltre dieci anni, Mario Borghezio.
Le radici sono importanti. E per quanto Salvini non sia mai riuscito, nonostante la devozione mostrata, a entrare nelle grazie del vecchio capo, Umberto Bossi, che per farsi tenere il posacenere ha sempre preferito altri come l’ex governatore in mutande verdi Roberto Cota, il Matteo padano ci tiene alla coerenza leghista.
Anche negli studi, per dire, ha tentato di seguire le orme del leader: iscritto alla facoltà di Storia ha pagato le tasse per 16 anni consecutivi per poi rinunciare.
Ma senza fingere di essersi laureato, cosa che invece Bossi ha fatto per due volte.
Ma se il Senatur è passato alla storia per aver dato vita a un movimento identitario e ideologico, Salvini sarà ricordato per colui che quel partito lo ha azzerato: le casse di via Bellerio sono infatti in profondo rosso, il giornale la Padania il primo dicembre stamperà l’ultimo numero e tutti i 71 dipendenti del Carroccio sono stati appena spediti in cassa integrazione.
Eppure, nonostante i drammatici conti del partito, Salvini ha deciso di rinunciare a costituirsi parte civile contro l’ex tesoriere Francesco Belsito.
Quello che in dieci interrogatori ha raccontato di aver dato soldi in nero a tutti i vertici del partito, di ieri e di oggi.
Per carità : al processo dovrà dimostrare tutto.
E Salvini ora ha altro di meglio da fare. Travestire di nuovo il vecchio Matteo.
Davide Vecchi
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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