Destra di Popolo.net

BONDI, DOPO LA POESIA, SI DA’ ALLA MUSICA: DIVENTA PIANISTA IN AULA E VOTA PER IL MINISTRO SACCONI ASSENTE

Dicembre 21st, 2010 Riccardo Fucile

SUL WEB LA PERFORMANCE DEL CHIACCHIERATO MINISTRO ALLA CULTURA… DOPO IL RICCO CONTRIBUTO ASSEGNATO AL TEATRO DI NOVI LIGURE, HA PENSATO FORSE DI ESIBIRSI COME PIANISTA IN QUALCHE ORCHESTRA?… CERTO CHE IL GOVERNO SEMBRA DAVVERO UNA CORTE DI MIRACOLATI

Chi urla, chi vorrebbe il coprifuoco, chi minaccia dimissioni, chi non vorrebbe darle e poi è costretto a rassegnarle, chi litiga con altri ministri, chi è indagato, chi in delirio di onnipotenza, chi compra e chi acquista.
Un quadro teatrale o il governo del fare?
L’ultima scena, in ordine di tempo, della piece teatrale di “berluscolandia” è andata in scena poche ore fa al Senato, durante la discussione sulla riforma universitaria.
Protagonista il ministro della cultura (si fa per dire)   Sandro Bondi.
È il capogruppo dell’Italia dei Valori, Felice Belisario, a denunciare il ruolo di ‘pianista’ del ministro, colpevole di aver votato per conto del ministro Sacconi, durante le votazioni del ddl Gelmini.
Belisario ha chiesto l’annullamento delle votazioni della mattinata e le dimissioni del ministro o, in alternativa, la convocazione della Giunta del Regolamento per affrontare la questione.
”Quando ci sono delle irregolarità  nell’esercizio del voto, le votazioni – ha osservato Belisario – vanno annullate ai sensi dell’art. 118, primo comma, del Regolamento. Il ministro Bondi ci ha dimostrato di essere un bravo pianista. Oggi, si deve vergognare. Un ministro sotto sfiducia ritiene di far cadere il decoro del Parlamento. Sapevamo che era un poeta ma che fosse anche un pianista ci risulta nuova. Chiedo alla presidenza l’annullamento delle votazioni di questa mattina, come risulta dal web, di un ministro della Repubblica che bara al momento del voto. La seconda richiesta in via subordinata è che venga convocata con urgenza la Giunta del Regolamento”.
Bondi si è fatto beccare in pratica mentre vota con la scheda anche per conto del ministro Sacconi, in quel momento assente.
Una leggerezza che un ministro non dovrebbe mai compiere, pure a favore di telecamere, tra l’altro.
Esiste un regolamento che lo vieta ormai in modo ferreo, voluto da Fini tra l’altro, per porre un limite a quella indecente prassi che ormai ci aveva sputtanato in tutto il mondo, ovvero di decine di parlamentari che votavano per il vicino di banco assente.
Ma che un ministro sotto richiesta di sfiducia per fatti gravi si faccia anche beccare in questa prassi induce davvero a interrogarsi sulla superficialità  della nostra classe politica.
Se poi Bondi preferisse darsi al piano, abbandonando la politica, non potremmo che accogliere come una liberazione questa sua scelta.

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BARBARA BERLUSCONI ATTACCA LA CARFAGNA: “DOVREBBE AVERE IL PUDORE DI TACERE”, LA SAGA FAMILIARE CONTINUA

Dicembre 21st, 2010 Riccardo Fucile

LA FIGLIA DEL PREMIER DICHIARA A “VANITY FAIR”: “DAI TELEGATTI A MINISTRO, DI COSA SI LAMENTA?”… “SE MIO PADRE HA PORTATO LE SHOWGIRL IN PARLAMENTO, GLI ITALIANI PERO’ LE HANNO VOTATE”… POI AMMETTE: “QUELLE CHE MIO PADRE CHIAMA DEBOLEZZE HANNO INCISO SULLA SUA VITA E SULLA SUA POLITICA”

Riuscirà  Mara Carfagna a farsi scivolare addosso anche l’attacco frontale di Barbara Berlusconi, così come è accaduto con le provocazioni di Alessandra Mussolini?
In un’intervista a Vanity Fair, che le dedica la copertina, la figlia del premier definisce “grave” che il ministro per le Pari Opportunità  “trovi il coraggio di lagnarsi. A volte bisogna avere il pudore di tacere. Se si sente discriminata lei, che dai Telegatti è diventata ministro, la cosa assume dimensioni ancora più grottesche”.
“Vedere certe signorine girare in auto blu – rincara la figlia del premier – non fa bene all’immagine del Paese, perchè davvero si fatica a coglierne i meriti”.
Oddio anche vedere certi signorini cortigiani non concilia l’umore dell’elettore per quello.
La Carfagna insomma che denuncia il maschilismo politico   nei suoi confronti altri non sarebbe se non una miracolata, agli occhi di Barbara Berlusconi.
Ma per giustificare parole tanto dure al riguardo del ministro sarà  il caso di ricordare che Barbara è nata dal matrimonio tra Silvio Berlusconi e Veronica Lario , la donna che si sentì così offesa dai complimenti rivolti pubblicamente dal premier alla Carfagna (“se non lo fossi già  ti sposerei”) da scrivere un’indignata lettera aperta pubblicata da Repubblica.
Nell’intervista si fa notare a Barbara che, in fondo, a portare le showgirl in Parlamento è stato proprio suo padre.
Lei ribatte: “Non dimentichiamoci che sono gli italiani che le hanno votate. La democrazia propone delle scelte, poi si chiede il consenso. E non mi pare che Berlusconi abbia un problema di consenso. Certo, non voglio eludere così il problema, credo che siano state fatte valutazioni superficiali, e che queste abbiano sminuito la classe politica nel suo complesso”.
Parole pesanti come macigni, anche se Barbara dimentica che agli italiani certe signorine sono state “imposte” in liste bloccate, non certo scelte dall’elettore.
Obbligata, a questo punto, la domanda sul caso Ruby 4. “Sono vicende che mi hanno amareggiato. E faccio fatica a rispondere serenamente – risponde Barbara Berlusconi -. Vorrei che una lettrice provasse a mettersi nei miei panni. E’ ovvio che non sono d’accordo con un certo tipo di condotta, ma devo anche credere alle verità  di mio padre”.
Dopo averlo difeso, nell’intervista Barbara ammette che “quelle che mio padre chiama pubblicamente ‘debolezze ‘ abbiano inciso sulla sua vita privata, ma anche sulla vita politica”.
A dimostrazione che uno stile è necessario, come andiamo sostenendo da tempo.
“Molto si sarebbe potuto evitare – spiega Barbara – se non avesse trascurato l’idea che tutti siamo vulnerabili e che certi comportamenti possono rendere le cose inutilmente più fragili. Sarebbe ingiusto se della sua straordinaria vita politica si ricordasse solo questa stagione”
Quanto ai presunti contrasti legali tra i genitori, incentrati sull’assicurare un futuro a lei e ai fratelli Eleonora e Luigi, Barbara nega tutto. “Non siamo mai stati oggetto di discussioni legate al patrimonio o a ruoli in azienda. Non abbiamo mai preso parte alle vicende personali dei miei, che rimangono un loro fatto privato”.
Un’ultima battuta sul recente, e discusso, pranzo ad Arcore fra suo padre e il sindaco di Firenze Matteo Renzi, al quale lei era presente. “Renzi mi è sembrata una persona che vuole davvero cambiare le cose. Da lui mi sentirei rappresentata. Credo che ad avvicinarci non siano le idee politiche ma la stessa cultura generazionale”.
Bastasse quella per dare credibilità  a un rottamatore presenzialista, ambizioso e con contenuti scarsi…
Comunque la saga familiare continua, dopo Marina è toccato a Barbara scendere nella polemica politica.
Avanti il prossimo.

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MAURIZIO GASPARRI: IL MISSINO SOFT CHIAMATO “CARRIERINO”

Dicembre 21st, 2010 Riccardo Fucile

MAI UNO SCONTRO, SEMPRE “QUATTO QUATTO” IN SECONDA FILA…. LA CARRIERA NELL’OMBRA DEL CAPOGRUPPO DEL PDL AL SENATO FINO ALLA LEGGE TV, IL TRADIMENTO DI FINI E L’APPRODO ALLA CORTE DEL SULTANO

L’allievo di Julius Evola, l’onorevole Giulio Maceratini, quel giorno di aprile (’93) blindava con il corpo l’ingresso di palazzo Montecitorio.
Una fila più indietro, ben visibile ma non troppo, c’era un giovane deputato del Movimento sociale italiano, il romano Maurizio Gasparri.
I missini urlavano contro i maneggioni barricati all’interno: “Ladri, ladri, ladri. Arrendetevi, siete circondati”.
E una coreografia di biglie e monetine sui vetri rendeva il messaggio più chiaro.
Reato senza condanna: interruzione attività  parlamentare.
Il “carrierino” (nomignolo adolescenziale) Gasparri, ai tempi di cortei e lotte, batteva le piazze con tattica raffinata: mai uno scontro. Sempre in regia. Fedele a se stesso: “La mia era una famiglia moderata che votava Msi. Mio padre era ufficiale dei carabinieri. Io sono nato e cresciuto in caserma, sono andato fin da bambino alle parate militari. Mi piacevano De Gaulle, Salazar, i colonnelli greci. Fidanzate solo di destra”.
Non c’era mai nella Roma di piombo con spedizioni punitive e cazzotti in faccia: “O se c’era — maligna un vecchio camerata — stava quatto quatto”.
Ha studiato tra i rossi del liceo “Tasso”, scalato gerarchie politiche, Fronte della Gioventù, poi i movimenti universitari.
Nell’83 Gasparri manifestava – dall’altra parte – per chiedere l’autonomia di chi studia dal giogo dei partiti.
Gasparri col fascismo aveva un rapporto protetto. Mai aderente col rischio di farsi male. Pochi saluti romani, poche canticchiate di Faccetta nera: “Una volta – ricorda – al cimitero Verano per la commemorazione dei morti della Marcia su Roma”.
Più che sufficiente insomma.
Disse a Sabelli Fioretti: “Dal punto di vista igienico è meglio della stretta di mano. Mi tocca stringere centinaia di mani, sudate, calde, sporche. E al Sud, addirittura il bacio. Il saluto romano è più pulito. Dovrebbero imporlo le Asl, per evitare contagi”.
Era il 2002, governo Berlusconi, ministro per le Comunicazioni.
La destra finalmente al potere, emancipata, rinnovata, a tratti berlusconiana nel midollo.
A Gasparri fu affidata la missione di riformare il sistema televisivo a favore di Mediaset: la legge che porta il suo nome fu approvata con un rinvio di Carlo Azeglio Ciampi, 130 sedute e 14 mila emendamenti.
Gasparri correva più veloce del suo passato fascista.
A volte, però, tornava missino. Quei missini di Giulio Caradonna, che nel ’68 liberò a bastonate la Sapienza dai comunisti: “Se non ci conoscete, pregate la madonna, noi siamo gli arditi di Caradonna”.
Gasparri nel ’68 aveva 12 anni, ma rese omaggio a Caradonna con Ignazio La Russa ai nostalgici funerali: la bara ricoperta   con la bandiera della Repubblica sociale e centinaia di saluti romani.
Non un secolo fa, ma nel novembre 2009.
Gli ex parlamentari di Alleanza nazionale faticano a riconoscere il militante Maurizio, che inneggiava ai colonnelli greci e più avanti persino al pm Antonio Di Pietro: “Meglio di Benito Mussolini”.
Per cambiare ancora, dimenticare il duce: “Mi hanno regalato un suo ritratto, che me ne faccio?”.
Fra le tante amnesie storiche c’è un insulto duro e puro ai leghisti: “Le elezioni padane sono garantite da una legge: la 180, detta Basaglia, sulla chiusura dei manicomi”.
Scaricati gli ultimi residui missini, il busto e la faccia di Gasparri, s’adattano al ruolo di paroliere berlusconiano, instancabile collezionista di gaffe.
Con quel cipiglio che rimanda a Igor (Martin Feldman) di “Frankenstein junior”.
Profilo nazionale: “Don Sciortino di ‘Famiglia Cristiana’ non è un sacerdote, fa bisboccia e non usa la tonaca”.
Profilo internazionale: “Con Obama Al Qaeda forse è più contenta”.
Soffre l’astinenza da interviste deliranti.
Durante i giorni del caso di Piero Marrazzo, dei ricatti e dei transessuali, il senatore fu costretto all’ennesima autopsia storica. Zona Acqua Acetosa, periferia romana che pullula di prostitute e travestiti, qui nel ’96 la Punto bianca di Cretino Gasparri frenò: “Stavo andando a cena in un circolo che si trova nei paraggi”.
Un equivoco disse ai commensali: “M’hanno fermato i Carabinieri qua   vicino. Pensa se passava qualcuno e me vedeva, poteva pensà¡ che annavo coi trans!”.

Carlo Tecce
(da “Il Fatto Quotidiano“)

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LE VOCI E LA RABBIA: “STUDIARE E’ RESISTERE CON 1000 EURO AL MESE”

Dicembre 21st, 2010 Riccardo Fucile

I TAGLI SULLA PELLE DI UNA GENERAZIONE… “GLI ASSALTI AL BANCOMAT? MOLTI DI LORO NON LO AVRANNO MAI”… LE FAMIGLIE E I LORO FIGLI: SU DI LORO IL CONTO DI CHI SI E’ “MANGIATO TUTTO”

Faccio il regista, ma sono anche docente alla Sapienza e ho insegnato vari anni in un’università  americana.
È la prima volta che mi trovo davanti a una lotta studentesca che non ha somiglianza alcuna con quelle del passato.
Per capirla, il modo migliore è lasciar parlare loro.
Sono scesi in piazza non soltanto gli studenti universitari, ma tantissimi adolescenti delle scuole medie e superiori.
Di nuovo nelle prossime ore, assieme a loro, scenderanno per le strade di tutta Italia disoccupati, terremotati, cassintegrati.
Non so se ce rendiamo conto. Qui il problema non è più e non solo il decreto Gelmini. La posta in gioco è molto più alta.
È il governo, sono i politici tutti, chiamati a pagare un conto da troppo tempo rimasto in sospeso.
Non sono gli studenti soltanto a scendere in piazza ma l’intero popolo dei precari. “Vi siete pappati tutto, siete peggio delle cavallette”, dice rivolto al mondo degli adulti Alberto, 17 anni, ultimo anno di liceo.
Stiamo parlando di un blocco sociale che oggi rappresenta un vero soggetto politico, il solo che vive sulla propria pelle l’impoverimento crescente del paese.
I politici, quelli dei piani alti, non sono neppure capaci di dare un segnale. Tacciono quando gli chiedono di rinunciare a poche migliaia di euro, a fronte delle decine che percepiscono, al fine di colmare le casse del diritto allo studio, svuotate con tagli mostruosi da Tremonti.
Il linguaggio delle interviste che raccolgo non è forbito. “Mi hanno rotto il cazzo”, dice Giorgia, 15 anni, liceo romano.
Chi? Risponde Luca, suo compagno di scuola: “C’hanno rotto tutti: Berlusconi e il suo gregge di maiali. Ma anche Fini, che fa tanto il democratico ma al Senato vota contro di noi per i suoi giochini di Palazzo”. Chiedo: Vendola almeno ti piace? “È un politico pure lui! Ma almeno è gay”.
Due ragazze di Scienze politiche, entrambe vent’anni ce l’hanno con i giornalisti. Scrivono sui disordini del 14 dicembre, ma “cagano stronzate, black-bloc qua, infiltrati là , ma non spendono una parola sulle ragioni della protesta”.
Se la prendono anche con Roberto Saviano, per il suo articolo sulla violenza. La prima dice: “Sta a fare le prediche come i chierichetti. Cazzo ne sa lui di cosa significa vivere con 1.000 euro al mese, doversi trovare un letto a 500 euro, pagarsi da mangiare e se ci riesci andare una volta al mese in birreria?”.
Prende la parola la sua compagna: “Sai cosa ti dico, che hanno fatto bene a dare fuoco ai bancomat. Io il bancomat non l’avrò mai. Il bancomat non ce l’ha neppure mio padre, che guadagna 1.600 euro al mese. Mia madre non ha lavoro e a noi il bancomat la banca non lo dà ”.
Chiedo come fa a mantenersi gli studi con un reddito familiare così basso.
Di giorno studia, la sera fa la cameriera in una pizzeria sulla Tiburtina.
Quanto ti pagano? Mi guarda fisso: “Aho, ci fai o ci sei?”.
Non capisco. Allora precisa: “Mica lavoro a stipendio”.
Anche pizzerie e trattorie per campare trattano in nero.
Lei guadagna solo con le mance. “Se mi va bene, prendo 30-40 euro a sera, lavoro sino alle due del mattino, prima di andare via devo pure pulire i cessi, ma almeno con questi soldi non peso su mio padre”.
Sarebbero questi i figli della borghesia di cui ha parlato la tv in questi giorni? In mezzo agli studenti ci saranno pure i figli di papà , ma sarà  un caso che ne incontro pochissimi.
La maggioranza che protesta è messa veramente male.
Rispetto al ’68 c’è un mare di differenze. Là  i figli della borghesia se la prendevano con i poliziotti, che venivano difesi da Pasolini.
Qui in mezzo alla protesta ci sono i figli di falegnami, pompieri, impiegati, militari. Quelli che La Russa ha difeso con tanta passione.
“Quel cazzone di La Russa”, dice Michele 19 anni, primo anno di Matematica. E aggiunge: “Se c’ero io da Santoro sapevo come fargli un culo così!”. Come? “Chiedendogli quanto guadagna lui e quanto guadagna un militare per andare a farsi ammazzare in Afghanistan”.
Luigi, secondo anno di Fisica, aggiunge: “Mio padre è carabiniere, rischia la pelle per 1.300 euro al mese. Fa la scorta ai politici che ne prendono ventimila”.
Dei politici, La Russa, dopo l’exploit da Santoro, è il più gettonato.
Uno studente del terzo anno di Fisica mi dice: “Quel taroccato di La Russa Ignazio Benito s’è messo d’accordo con la Gelmini per insegnare a scuola a sparare, tirare con l’arco e compiere esercizi ginnico-militari. Siamo tornati allo studio e moschetto, fascista perfetto”.
Devo ammettere che non sapevo nè che il secondo nome di La Russa fosse quello del Duce, nè dell’accordo bombardiere con la Gelmini.
A dimostrare per le strade ci saranno anche tanti figli di papà , ma il fatto è che la grande maggioranza dei loro genitori non è più appartenente alla borghesia benestante come nel ’68.
Sono madri e padri che a migliaia, quando va bene se lavorano entrambi, portano a casa in due 4.000 euro al mese.
Con un figlio a carico non ci campano, anche se i sociologi continuano a iscriverli tra le classi borghesi.
Nel ’68 gli slogan erano infarciti di idealismo: la fantasia al potere, viva Marx, viva Engels, viva Mao Tse Tung… Qui si parla poco di ideali, ma molto di soldi che mancano, di salari, di stipendi, di borse di studio.
Nel ’68 la rivolta era contro i baroni e contro i genitori. Qui la media dei docenti, la maggior parte dei quali non sono baroni, non arriva a guadagnare 3.000 euro al mese, partecipa alle veglie degli studenti, sale sui tetti assieme a loro.
E per la prima volta salgono sui tetti anche molti genitori, che si sentono in colpa perchè vedono per i loro figli un futuro nero.
A un’assemblea della Sapienza all’indomani degli scontri di Roma partecipano tutti insieme studenti, docenti, precari e sub precari.
I baroni, quelli veri, che sfruttano un esercito di sub precari hanno coniato un termine da vernissage. Li chiamano “collaboratori didattici”. Sono quei trentenni che lavorano gratis all’università , sperando un giorno di ricevere una qualche forma di remunerazione. Affiancano i docenti nelle tesi di laurea, dialogano con gli studenti, compiono ricerche che poi vengono firmate da baroni e baroncini.
Anche loro a formare una massa sempre più impoverita di giovani e meno giovani da sotto-pagare, da sfruttare, da mantenere ai livelli minimi di sussistenza, in perenne attesa di un posto di lavoro lontano come un’araba fenice.
Federica, 20 anni, fa il secondo anno a Ingegneria. Suo padre, dice, “viaggia sui 10.000 euro”. È il suo stipendio mensile.
“Lo invidio”, aggiunge. Le ha raccontato che trent’anni fa, ingegnere pure lui, dopo cinque anni dalla laurea già  poteva permettersi di metter su famiglia e comprar casa.
Federica invece sa che una volta laureata, se trova lavoro, potrà  contare al massimo su 1.300-1.400 euro al mese. Con i quali non potrà  permettersi di uscire di casa.
Mi impressiona il percorso di Mario, laureato in Fisica a pieni voti. Ha già  37 anni e non ha smesso di sperare in un posto da ricercatore. Intanto può solo contare su assegni sporadici e dare ripetizioni di matematica.
Quei pochi soldi non bastano.
Per sopravvivere, fa il potatore nei pressi di Roma. Sale sugli alberi, taglia rami e continua a sognare.
Giovanni, 21 anni, laureando a Tor Vergata, se la prende con i parlamentari: “Vorrei vedere loro scendere in strada perchè gli tolgono l’86% dello stipendio, vorrei vederli caricati dalla polizia, schiacciati nell’imbuto di Piazza del Popolo. Cosa farebbero?”.
Cita l’86%, che è quanto la Finanziaria di Tremonti toglierà  al fondo per il diritto allo studio nei prossimi anni.
Giovanni prosegue: “Sì, vorrei vedere La Russa, magari con in mano il manganello di quando manifestava coi fascisti contro la polizia. Lo vorrei proprio vedere. Altro che camionette incendiate. Quel rotto in culo si mette a sparare se gli toccano lo stipendio da parlamentare!”.
Gentile signor Prefetto e caro signor Questore, ho letto che per le prossime manifestazioni studentesche è prevista la mano dura.
Mi permetto di darvi un consiglio. Lasciate perdere le zone rosse.
È la città  blindata che scatena la rabbia di chi si sente impedito a manifestare e protestare. Non ripetete l’errore del 2001 a Genova e della caserma Bolzaneto.
La massa degli studenti e dei precari è profondamente pacifica.
Lo ha dimostrato in tutti questi mesi.
Lasciateli arrivare davanti al Parlamento. Non lanceranno un sasso.
Lasciateli arrivare di fronte al Senato.
Ricordatevi da dove nasce quel termine. Senatus Populusque Romanus. Senza la presenza del popolo non sarebbe mai nato.
Quelli che oggi scendono in piazza sono la parte più sana del popolo.
Non sono nemici cui sbarrare la strada e tantomeno da manganellare.

Roberto Faenza
(da “Il Fatto Quotidiano“)

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‘NDRANGHETA E VOTO DI SCAMBIO: 12 ARRESTI IN CALABRIA, ANCHE UN CONSIGLIERE REGIONALE PDL

Dicembre 21st, 2010 Riccardo Fucile

MICROSPIE NELLA CASA DEL BOSS “GAMBAZZA” RIVELANO UNA PROCESSIONE DI POLITICI PER AVERE SOSTEGNO ELETTORALE ALLE REGIONALI… TRA QUESTI ANCHE ZAPPALA’ (PDL), IL PIU’ VOTATO NEL REGGINO… PREFERENZE IN CAMBIO DI APPALTI, TRASFERIMENTI DI DETENUTI E VISITE MEDICHE AI LATITANTI

Si rivolgevano ai clan per avere sostegno elettorale in vista delle regionali. Andavano a casa di Peppe Pelle (detto “gambazza”), capo della più potente famiglia di San Luca, e chiedevano i voti.
In cambio erano pronti a “mettersi a disposizione degli amici”.
Preferenze in cambio di appalti, del trasferimento dei detenuti, di visite mediche “quando qualcuno non può muoversi”, come ad esempio i latitanti.
I politici una volta eletti avrebbero lavorato per la ‘ndrangheta con favori d’ogni genere.
Non sapevano però che nella casa del boss c’era una cimice del Ros che registrava tutto. E che tutti gli incontri, i summit, le riunioni nell’appartamento dei Pelle erano ascoltato dai Carabinieri.
Stamattina sono finiti in carcere in 12, ed almeno altrettanti sono gli indagati. Sono mafiosi, intermediari, capi elettori, imprenditori e, soprattutto politici.
In manette con l’accusa, a vario titolo, di voto di scambio, mafia e concorso esterno in associazione mafiosa, sono finite 5 persone che il 29 e 30 marzo scorso portarono una marea di voti, quasi tutti al centrodestra calabrese che sostenne il governatore Giuseppe Scopelliti.
Il Ros ha notificato gli ordini di custodia cautelare a Santi Zappalà  del Pdl (l’unico che poi è stato eletto), a Francesco Iaria dell’Udc, a Pietro Nucera e Liliana Aiello (entrambi in corsa nella lista “Insieme per la Calabria   –   Scopelliti Presidente) e Antonio Manti (candidato con Alleanza per la Calabria).
Il più noto è certamente Santi Zappala ed a lui la Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria contesta l’accusa di avere stipulato con Peppe Pelle, il più solido degli accordi: “preferenze in cambio di appalti”. L’esponente del Pdl, alle scorse regionali fu il più votato dell’intera provincia di Reggio, il terzo in assoluto nell’intera Regione Calabria.
Una macchina elettorale potentissima quasi 12 mila voti, che in riva allo Stretto sono tantissimi.
Uno schiacciasassi, capace di mietere consenso in ogni angolo della provincia.
Sindaco di Bagnara Calabra e ex consigliere provinciale, per i magistrati era uno “capace di andare a casa di Pelle a parlare con lui alla pari”.
E secondo quanto emerge dall’inchiesta non si rivolse solo alla famiglia di San Luca.
Zappalà  incontrò altri capi mafia, tra cui i vertici del potente clan dei Commisso di Siderno “che si erano impegnati con un altro candidato, ma che comunque promisero un pacchetto di voti anche a lui”.
Il quadro che emerge dalle carte dell’inchiesta – che porta la firma del Procuratore Giuseppe Pignatone, degli Aggiunti Michele Prestipino e Nicola Gratteri, e dei Pm Maria Luisa Miranda e Giovanni Musarò   –   è impressionante.
I clan, di fatto si muovevano all’unisono.
Come un vero e proprio cartello elettorale.
Sostenevano i propri candidati in maniera compatta, puntando di volta in volta su quattro o cinque di essi in maniera da essere certi di farne eleggere certamente qualcuno.
Lo stratega era proprio Pelle, che diceva ai suoi, “se noi siamo uniti, se tutte le famiglie sono compatte ne possiamo fare salire tre o quattro”.
Tra l’altro, con le regionali alle porte già  pensavano alle provinciali che a Reggio si svolgeranno tra qualche mese: “Anche lì ne possiamo prendere tanti”.

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FALLITO IL MIRACOLO DI NATALE: NAPOLI E’ ANCORA SOTTO LA SPAZZATURA COME PRIMA

Dicembre 21st, 2010 Riccardo Fucile

CUMULI OVUNQUE, PER LE STRADE DELLA CITTA’ VI SONO 2.200 TONNELLATE DI RIFIUTI NON RACCOLTI… NONOSTANTE LE SOLITE PROMESSE DI BERLUSCONI LA SITUAZIONE NON E’ CAMBIATA

Camion carichi di rifiuti che rimangono ore (giorni) in fila davanti agli stabilimenti. Camion che tornano indietro, senza scaricare.
Camion che non riescono a tenere il ritmo della città .
Seguendo gli autocompattatori stipati di immondizia, che fanno il giro dell’oca, si comprende la schizofrenia di una città  che torna in emergenza e si prepara a passare un Natale sommersa dai rifiuti, tra scioperi, inchieste della magistratura per infiltrazioni mafiose nei cda delle aziende che gestiscono la raccolta e cittadini esasperati per le strade invivibili e il paradosso degli aumenti in bolletta per la Tarsu.
Il miracolo di Napoli pulita è fallito ancora una volta, nonostante le ripetute promesse del premier Berlusconi.
Ieri per le strade di Napoli c’erano 2.200 tonnellate di immondizia non raccolta, a cui si devono aggiungere le oltre seimila della Provincia.
Cumuli ovunque. Soprattutto nel centro storico.
Il Comune non riesce neanche più a tutelare i percorsi turistici.
Asìa (l’azienda di igiene urbana) riesce a smaltire 300 tonnellate in più rispetto alla produzione giornaliera (1.500).
Ma le previsioni sono nere: per il 25 dicembre si potrebbero superare le 3.500 tonnellate di rifiuti in strada.
Il 24, infatti, chiudono per le feste gli Stir, gli impianti di tritovagliatura, e l’inceneritore di Acerra.
“La Regione Campania potrebbe smaltire un milione di tonnellate al giorno – interviene duro l’ad di Asìa, Daniele Fortini – Ma il capoluogo viene lasciato con l’immondizia in strada a Natale. Non parliamo di emergenza. Questa è una scelta politica”.
“La situazione è gravissima e se non si metterà  a punto un piano di raccolta straordinaria, i cittadini trascorreranno il Natale con i rifiuti, tanti, sotto casa”, interviene l’assessore all’Igiene Urbana del Comune, Paolo Giacomelli, che chiede “di conferire i rifiuti negli impianti sia della provincia che in altre province”. Alle accuse del Comune risponde la Regione: “Se la situazione è critica la responsabilità  è solo di chi gestisce il Comune e la sua Società “, affonda l’assessore all’Ambiente della Giovanni Romano.
E Giacomelli: “Non è così e ci tuteleremo in sede legale”.
Botta e risposta e scaricabarile, mentre i rifiuti in strada aumentano.
Le prime avvisaglie della nuova emergenza (dopo quella scoppiata nell’estate 2007 e chiusa, con il primo decreto Berlusconi, nella primavera 2008) si hanno a fine settembre.
La crisi esplode a ottobre, quando si superano le 4.000 tonnellate non raccolte. Novembre è un mese di passione tra rivolte e allarme sanitario.
E quando il 15 dicembre Napoli respira con appena 800 tonnellate per strada ecco di nuovo il caos.
Il 16 scioperano gli ex dipendenti della ditta Enerambiente.
Su Asìa, Enerambiente e le altre ditte subappaltatrici, il procuratore aggiunto, Giovanni Melillo, apre un’inchiesta.
Intanto la città  torna in emergenza, complici anche le feste e la maggiore produzione di rifiuti.
Domenica 80 mezzi Asìa non hanno potuto scaricare fino a tarda notte.
E nei giorni normali le file agli stabilimenti di smaltimento (ormai saturi) sono estenuanti.
Ieri i mezzi carichi di rifiuti, che lavorano per il Comune di Napoli, dopo ore di fila allo stabilimento di Tufino, sono tornati indietro senza scaricare.
Il sistema fragile rallenta ogni giorno.
Nell’area flegrea è da una settimana in campo l’esercito.
Gli autocompattatori dei Comuni flegrei sono stati fermi, in coda agli Stir, anche tre giorni.
Ieri a Pozzuoli c’erano 1.500 tonnellate di immondizia.
Intanto, l’ultimo studio di Cittadinanzattiva segnala Napoli come la città  con la spesa annua per lo smaltimento dei rifiuti più alta d’Italia: 453 euro, con un incremento quest’anno del 61 per cento.

Cristina Zagaria
(da “La Repubblica“)

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CONTRO I TAGLI ALLA SICUREZZA, NUOVA PROTESTA DEGLI AGENTI SOTTO LA VILLA DI ARCORE: “TRADITI DAL GOVERNO”

Dicembre 21st, 2010 Riccardo Fucile

BEN VENTIDUE SIGLE SINDACALI , DI DESTRA E DI SINISTRA, PROTESTANO “CONTRO IL GOVERNO CHE DA DUE ANNI E MEZZO NON MANTIENE GLI IMPEGNI”….”NO AL   DASPO PER I CORTEI, SAREBBE UN BAVAGLIO ALLA DEMOCRAZIA”

Nuovo sit-in ad Arcore, all’esterno della residenza milanese del premier Silvio Berlusconi, dei sindacati del comparto sicurezza (polizia, penitenziaria, forestale e vigili del fuoco): in totale 21 sigle per protestare contro i tagli al settore.
Un presidio era stato organizzato già  lo scorso 9 dicembre, preludio della manifestazione di Roma del 13, e oggi in circa 200 sono tornati sotto Villa San Martino per protestare contro il governo che «da due anni e mezzo non mantiene gli impegni».
«Il pacchetto sicurezza è stato convertito in legge, ma purtroppo il nostro emendamento è stato ritirato: permangono quindi i disagi e i tagli alla sicurezza, per questo siamo tornati», dice Santo Barbagiovanni, segretario regionale della Silp Lombardia.
«Abbiamo anche inviato delle letterine al premier per chiedergli che ci regali qualcosa di buono. La categoria è preoccupata – spiega Barbagiovanni – soprattutto di fronte alla possibilità  che dopo il 31 dicembre i nostri straordinari rischieranno di non essere pagati. Non è un buon regalo alla categoria e c’è un forte disagio».
«I nostri colleghi stanno tutti i giorni a prendere le botte in piazza o essere additati come comunisti e il governo li ripaga così: i carabinieri poi la pensano esattamente come noi, ma non possono dare voce ai loro disagi. Non si tratta di politica o ideologie, ma di impegni che il governo ha sottoscritto con il comparto e che non ha onorato. Sono fatti oggettivi», conclude il sindacalista, che poi fa un riferimento alle polemiche di questi giorni sulle «misure preventive» ipotizzate per scongiurare incidenti durante i cortei studenteschi: «Non condividiamo nessun tipo di Daspo, la piazza è giusto che esprima la propria opinione. Il bavaglio non è segno di una democrazia vera come quella del nostro Paese».
E sull’estensione del Daspo alle manifestazioni di piazza si è espressa lunedì anche a Camera penale di Milano, sostenendo che «costituirebbe una sicura violazione delle libertà  costituzionali, del diritto di manifestare le proprie idee, di riunirsi in luogo pubblico e violerebbe la riserva di giurisdizione prevista dall’art. 13 della Costituzione».
«Resta da scongiurare il pericolo – dice ancora la Camera in un comunicato – che si legiferi, ancora una volta magari con il consenso di tutti i gruppi parlamentari, nel senso indicato da un sottosegretario del ministero dell’Interno».
«Si affievolirebbe in modo significativo e costituzionalmente illegittimo – conclude – quel diritto di critica del cui esercizio, come abbiamo visto, ha goduto anche il sindaco di Roma e che dobbiamo considerare irrinunciabile».

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FERROVIE: MAURO MORETTI, IL MONOPOLISTA CHE NON SI SCUSA

Dicembre 21st, 2010 Riccardo Fucile

I “PROFESSIONISTI DEL FARE” SCONFITTI DA UNA CALAMITA’: LA NEVE A DICEMBRE…AVEVA PROMESSO UN “AUTUNNO CON I FIOCCHI, TUTTA ITALIA   A 19 EURO”, E’ FINITO SOMMERSO DAI FIOCCHI DI NEVE…

Un anno dopo, l’unica differenza è che Mauro Moretti, gran capo delle Ferrovie dello Stato, sta zitto.
Per il resto, lo scenario sembra lo stesso: arrivano le   prime nevi di dicembre e tutto si blocca, gli orari dei treni diventano soltanto un parametro per misurare il ritardo, i binari identici alle autostrade, cioè intasati e inutili.
Era il 21 dicembre 2009 quando Moretti, con quella che qualcuno ha definito “l’arroganza del monopolista”, commentava così la cancellazione di 300 treni e la paralisi di molti altri: “Per le lunghe percorrenze, nel caso dovesse saltare la rete elettrica e quindi il treno fermarsi, il mio unico consiglio a chi prende il treno è quello di portare qualche coperta, un po’ d’acqua e qualche panino in più”.
Soffrire senza   lamentarsi e senza chiedere rimborsi.
Dopo le proteste e altre   giornate di paralisi, almeno il rimborso integrale del biglietto per l’assenza integrale del servizio venne concesso, “come segno di attenzione verso la clientela ”.
La faccenda del panino e della coperta, si diceva in quei giorni nei Palazzi romani, poteva costare il posto a Moretti, per il quale era comunque pronta una poltrona allettante, quello allora di Guido Bertolaso, capo della Protezione civile.
Invece Moretti regge, torna la primavera e ricominciano le inaugurazioni che a Silvio Berlusconi, indimenticato “presidente-ferroviere” con cappello d’ordinanza, piacciono tanto.
L’ultima, soltanto una settimana fa, per tagliare il nastro dell’atrio della stazione Tiburtina a Roma (il resto dei lavori è ben lontano dalla conclusione).
Siamo arrivati al 17 dicembre 2010: poco è cambiato, questa volta la comunicazione delle Fs di   Moretti, celebrato fino a pochi giorni fa per le acquisizioni societarie in cui ha impegnato il gruppo in Germania, è un po’ più tradizionale.
Chi cerca informazioni sul sito di Trenitalia trova il messaggio promozionale “Un autunno con i fiocchi, tutta Italia a partire da 19 euro”.
Ma per capire cosa è successo quando i fiocchi sono arrivati davvero, si deve rintracciare uno scarno comunicato che, evitando accuratamente di avanzare scuse o promesse di risarcimenti, ricorda annuncia che “il Gruppo Fs è impegnato a fare il massimo per limitare i disagi ai viaggiatori, garantendo comunque i collegamenti”.
E tre righe dopo ammette però che “non è stato possibile garantire servizi sostitutivi con autobus per l’impraticabilità  delle strade”.
Enrico Rossi, presidente della Toscana, adesso vuole la class action contro Moretti e Michele   Mario Elia, l’amministratore delegato di Rfi, società  del gruppo Fs che gestisce la rete, cioè i binari.
Dice Rossi: “È un disastro e tutto per pochi centimetri di neve. Il servizio sull’asse tirrenico si è bloccato fin dalla mattina perchè si sono bloccati gli scambi che, come ho appreso, non sono dotati di sistemi di riscaldamento”.
Niente è mutato, insomma, dal 2009 quando soltanto le Ferrovie Nord di Milano non si erano fermate perchè, come sembrerebbe naturale, quando scende la temperatura i ferrovieri aumentano i controlli sugli scambi e la rete elettrica, l’altro grande punto debole del sistema, con i cavi che diventano fragilissimi in caso di ghiaccio.
Già  un anno fa si erano bloccati gli scambi per il gelo, e lo stesso sembra sia successo questa volta a Firenze, epicentro del caos ferroviario.
Bisogna aspettare il bilancio 2010 per capire se e quanto sono cambiate le risorse destinate da Rfi e Fs alla manutenzione e prevenzione dei danni da maltempo.
Per ora, uno dei principi che dovrebbero guidare l’azione di Moretti resta più un auspicio   che una promessa: “I servizi ferroviari vengono erogati tutti i giorni dell’anno”

Stefano Feltri
(da “Il Fatto Quotidiano“)

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