Maggio 30th, 2011 Riccardo Fucile
“GRAVE CHE UN AMMINISTRATORE AGGIRI LE REGOLE”…CHIESTI TRE ANNI E SEI MESI DI CARCERE E LA SOSPENSIONE DAI PUBBLICI UFFICI PER 5 ANNI PER IL PRESENTATORE DELLA LISTA TAROCCO “PENSIONATI PER COTA”
Tre anni e sei mesi, e sospensione dai pubblici uffici per 5 anni: il pm Patrizia Caputo
concentra in un’ora esatta una requisitoria durissima contro il consigliere regionale Michele Giovine e la chiude con queste richieste di pena, altrettanto severe.
Per il padre Carlo, concorrente nella medesima accusa di aver autenticato firme false dei candidati della lista «Pensionati per Cota» alle ultime Regionali, l’accusa vorrebbe una condanna di 2 anni e mezzo.
«Il fatto è estremamente grave, rappresenta lo sfregio più totale di ogni forma di legalità . – chiosa il magistrato – Si sono costruite falsità a ripetizione mentre, per presentare la lisita in modo corretto, sarebbe bastato, con una modica spesa, mandare i candidati a firmare davanti a uno o più notai».
Il pm ce l’ha in particolare con Michele Giovine, scampato con la prescrizione del reato ad una prima condanna «per questi stessi fatti» e diventato per quella via «un amministratore pubblico che, anzichè rispettare la legge, ha continuato a dimostrare spregio verso le regole e ha pure indottrinato i vari testimoni nell’immediatezza delle loro convocazioni in procura o dai carabinieri perchè dicessero il falso».
Secondo il pm, con le pene accessorie richieste Giovine non dovrebbe essere rieletto nemmeno consigliere comunale a Gurro, dove, in un certo senso, sono cominciati suoi guai.
L’essere un consigliere regionale uscente gli ha risparmiato, l’anno scorso, di raccogliere le firme di un certo numero di cittadini per presentare la sua lista collegata al centrodestra e di evitare i guai di Rabellino.
Doveva soltanto, evitando i notai, autenticare le firme dei suoi candidati insieme al padre. Tutti e due erano e sono consiglieri comunali – l’uno a Gurro (al confine con la Svizzera), l’altro a Miasino (in punta al lago d’Orta) – e perciò pubblici ufficiali.
Così hanno dichiarato di aver fatto, trasferendosi nei due paesi con 18 parenti e amici, i candidati dei Pensionati per Cota, di cui Michele Giovine è stato il capolista e l’unico eletto.
Su e giù per i laghi, a piccoli gruppi, in un solo giorno, il 25 febbraio 2010.
Il pm ritiene sulla base dei tabulati telefonici degli uni e degli altri che in quella data nessuno di loro si è avvicinato alle due località : «Michele Giovine non si è mosso da Torino, il padre si è recato nell’Astigiano e poi in provincia di Alessandria. Idem per i candidati torinesi e a maggior ragione quelli più lontani».
Quindi: «Sono false le autentiche delle firme e pure false sono gran parte delle firme dei candidati. Cinque candidati sono venuti in aula a disconoscere le “loro” sui moduli per le elezioni, per le altre vale la consulenza grafologica del dottor La Sala».
Lo stimato ex superpoliziotto delle investigazioni scientifiche.
L’accusa conclude chiedendo al giudice Alessandro Santangelo di «dichiarare la falsità dell’accettazione delle candidature».
Argomento ripreso da tutti i difensori di parte civile perchè utile in sede amministrativa, qualora la Corte Costituzionale demandasse al Tar Piemonte l’onere di dover decidere sulla regolarità delle elezioni.
L’avvocato Gian Paolo Zancan, per la lista «Insieme per Bresso», è stato sferzante: «Vicenda elementare e squallida. Sono stati sfruttati trascorsi amori e rapporti con anziani parenti per avere un aiuto nella falsità . Accusa rispetto alla quale non vi è stata alcuna difesa nel merito: 5 candidati hanno dichiarato in aula di non aver mai firmato la candidatura, da parte di tutti gli altri c’è stato un assordante silenzio al processo, ultima ed estesa prova di falsità che pesa sull’esito elettorale».
Tema, «non ci nascondiamo dietro un dito», rilanciato dagli avvocati Paolo Davico Bonino e Alberto Ventrini, secondo cui «la legalità , anche formale in materia elettorale, va rispettata da tutti».
Forse avevano presagito un argomento del collega Giovanni Nigra, difensore dei Giovine: «Conta la sostanza, in tanti avevano intenzione di candidarsi».
Se non han firmato, nè a Gurro nè altrove, sarebbe un dettaglio?
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Maggio 30th, 2011 Riccardo Fucile
LA SVIZZERA METTE SOTTO ACCUSA IL GOVERNO ITALIANO: “TREMONTI HA INTRODOTTO MAGGIORE BUROCRAZIA, NON POSSIAMO ACCETTARE DI RISTORNARE OGNI ANNO ALL’ITALIA 50 MILIONI DI IMPOSTE SENZA ALCUNA CONTROPARTITA”… E CHI RIMETTE SONO I LAVORATORI ITALIANI
Come se non bastassero le continue provocazioni Giuliano Bignasca, lo strabordante leader della Lega dei Ticinesi, ora sulla testa dei 45 mila lavoratori frontalieri italiani pendono anche le nuove minacce dell’Udc.
A dispetto del nome rassicurante, non si tratta della versione elvetica del partito di Casini.
Per nulla moderata, l’Unione democratica di centro del Canton Ticino, è un movimento che si ispira a valori di ultradestra e che pone nella propria agenda temi come la cacciata degli stranieri, espulsioni veloci ed efficaci, maggiori controlli alle frontiere e forti limitazioni all’immigrazione.
E il prossimo 28 maggio, nel corso dell’assemblea nazionale dei propri delegati, l’Udc svizzera lancerà un’iniziativa popolare per limitare l’immigrazione.
Si tratta di una proposta di legge in grado di portare alla reintroduzione del contingentamento dei flussi di stranieri (compresi i lavoratori frontalieri italiani), in cui si chiede inoltre di porre nell’agenda politica la rinegoziazione degli accordi sulla libera circolazione stipulati con l’Unione europea.
L’Udc è lo stesso partito che nei mesi scorsi si è guadagnato il biasimo di mezza Europa tappezzando il Canton Ticino con manifesti anti italiani, che raffiguravano i lavoratori stranieri come dei topi intenti a mangiare una forma di formaggio svizzero (metafora rozza, ma efficace, degli umori che serpeggiano in una certa parte dell’opinione pubblica della Confederazione). Una provocazione, servita probabilmente per tirare la volata elettorale ai cugini della Lega dei Ticinesi, altro partito che ha tra i propri obiettivi la limitazione del numero dei lavoratori stranieri nel Canton Ticino.
E’ probabile che nei prossimi mesi assisteremo a una nuova escalation di provocazioni da parte dell’Udc, che sta alzando i toni del dibattito politico in vista delle elezioni federali del 23 ottobre.
Un esponente del partito, Marco Chiesa, già lo scorso 26 marzo era intervenuto in un’assemblea a Lugano sostenendo che “il Ticino ha un problema, un grosso problema: gli accordi bilaterali”, rincarando poi la dose con una manifestazione di disprezzo verso il Belpaese: “Purtroppo non possiamo scegliere il vicino che più ci piace, ma a noi ticinesi, in verità , è andata piuttosto malino; ci è capitata l’Italia”.
Le colpe italiane affondano le radici nel 1999, quando la Svizzera venne iscritta nelle “black list” delle nazioni a fiscalità privilegiata.
“Di recente — continua Chiesa -, il ministro Tremonti ha inoltre adottato nei nostri confronti nuove normative di lotta alla frode fiscale, inasprendo il quadro giuridico e causando l’aumento della burocrazia senza nessun motivo valido. Noi svizzeri le regole e i contratti li rispettiamo ma, trattati a pesci in faccia, non siamo certo d’accordo di accettare 50 mila, 1 lavoratore su 4 del nostro Cantone, 12 mila distaccati e, dulcis in fundo, di ristornare 50 milioni di imposte ogni anno all’Italia, senza avere nulla in contropartita”.
Insomma, Tremonti ci mette lo scudo fiscale?
Noi ci rivaliamo sulla pelle dei lavoratori frontalieri.
Intanto sul sito nazionale dello Schweizerische Volkspartei (il nome tedesco dell’Udc) il leader Christoph Blocher spiega che: “La Svizzera ha perso il controllo dell’immigrazione. Sempre più persone si riversano nel nostro paese con conseguenze negative che stanno diventando evidenti. È ora che la Svizzera recuperi il controllo dell’immigrazione e limiti l’afflusso di nuovi immigrati”.
A smorzare i toni dell’Udc ci ha provato l’Ufficio di presidenza della Comunità di lavoro Regio Insubrica, che ha preso le distanze dalle dichiarazioni rilasciate sui temi della piazza finanziaria di Lugano e dei frontalieri, auspicando che “si privilegino modalità di dialogo franco e costruttivo, in uno spirito di comprensione e collaborazione”.
Secondo l’associazione di confine (che dal 1995 riunisce le provincie di Varese, Como, Lecco, Novara, Verbania e il Canton Ticino), la ricerca di soluzioni utili e condivise nel rispetto e nell’interesse della popolazione al di qua e al di là del confine, va perseguita con impegno e lungimiranza, chiedendo infine “di considerare con la dovuta attenzione e rispetto l’importante apporto che la manodopera frontaliera offre all’economia ticinese”.
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Maggio 29th, 2011 Riccardo Fucile
NEL SEGRETO DELL’URNA MISTER BERLUSCONI NON TI VEDE, MA LA TUA COSCIENZA SI’
Ci siamo, ormai manca poco. 
Ecco l’ultimo sforzo da fare per completare l’opera iniziata due anni fa.
Ai ballottaggi serve coraggio, convinzione e determinazione.
Serve un voto per spodestare chi ingurgita il paese, chi lo infanga e ne gioisce.
Chi lo insulta e lo mette alla berlina.
Votate perchè, nel segreto dell’urna “mister B. non ti vede, ma la tua coscienza sì”.
La coscienza che chiama a raccolta le energie di un paese che anela ad un cambiamento.
Che vuole finalmente voltare pagina, aprire un vero e proprio rinascimento sociopolitico sulla base di quel patriottismo repubblicano fondato su “certi” valori.
E non sugli umori dei responsabili.
Votare tutti tranne i candidati di Silvio Berlusconi, significa chiudere un cerchio, completare un percorso iniziato due anni fa.
Una traversata nel deserto, perchè di questo si è trattato.
Senza dubbio difficile, impervia, con cadute, ma anche con risalite.
Con virate improvvise, con defezioni, con ripartenze.
moltissimi stop and go, ma per questo, ancora più dolce perchè finalmente in fondo al tunnel, si iniziano a scorgere i primi raggi di luce.
Una luce bella, incoraggiante, che invoglia al nuovo.
Perchè, come disse Hannah Arendt, «la politica è la facoltà di dare inizio».
E allora completiamo l’opera.
A testa alta.
(da “Il Futurista“)
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Maggio 29th, 2011 Riccardo Fucile
IL CANDIDATO DEL CENTROSINISTRA HA RACCOLTO AL PRIMO TURNO IL 40,7% DEI VOTI, QUELLO DEL PDL IL 27,5%… DECIDERANNO I GRILLINI CON IL 6% E UNA LISTA CIVICA CON IL LORO 10,7% AL PRIMO TURNO… PER LA PROVINCIA LA VITTORIA DELLA SINISTRA NON SEMBRA IN PERICOLO
C’è un vento che soffia contro il centrodestra e che talvolta sospinge gli altri candidati del centrosinistra oltre i loro effettivi meriti.
È il caso, ad esempio di Trieste, città nella quale Roberto Cosolini (centrosinistra) ha vinto il suo primo tempo (ha un vantaggio del 13% ) nella partita contro il rivale Roberto Antonione (centrodestra).
Ma ora, palla al centro, domenica e lunedì si saprà se il centrosinistra guiderà la città .
Archiviata la campagna elettorale moscia (bipartisan), i programmi elettorali e i comizi simili per contenuti (gli unici che erano riusciti ad interessare i triestini erano stati quelli di Sel e del Movimento 5 Stelle) la destra si presenta più divisa che mai e il Pd spera nel ribaltone.
Dove eravamo rimasti dopo il primo turno?
Roberto Antonione 27,50%, Roberto Cosolini 40,67%, Massimiliano Fedriga (6,26%), Paolo Menis (Movimento 5 Stelle) 6,01 ma soprattutto Franco Bandelli (lista Un’altra Trieste in coalizione anche con Forza Nuova) con 10,76% di voti.
Tradotto: se il centrosinistra riuscirà a vincere a Trieste sarà grazie all’elettorato di destra.
Sembra peggio di un rompicapo ma così è.
Già perchè Franco Bandelli (detto il “rottamatore” della destra, popolare per aver ideato la maratona d’Europa, la “bavisela”) alla fine non ha sottoscritto l’apparentamento con Roberto Antonione che non ha accettato i sei punti del documento programmatico presentato da Bandelli.
Così quest’ultimo ha consigliato al suo elettorato di votare scheda bianca. Altra incognita sarà il voto del cosiddetto Pda (partito degli astenuti) che a Trieste ha superato quota 40%.
Un segnale “che viene dall’elettorato del centrodestra” era stato il commento del coordinatore Pdl Isidoro Gottardo.
Il quadro dei ballottaggi sembra essere meno complicato per la Provincia dove l’uscente Maria Teresa Bassa Poropat (centrosinistra) da sola, ha davvero trionfato al primo turno 48,48% di voti, 55.270 contro i 34 mila dello sfidante Giorgio Rot che, pure facendo meglio del suo collega Pdl Antonione, deve esorcizzare lo spauracchio della sconfitta al secondo turno.
Ma torniamo in città Trieste dove è davvero accaduto di tutto nelle due settimane precedenti il ballottaggio.
Non è infatti mancato neppure un esposto alla Procura della Repubblica annunciato dal consigliere regionale (e vice coordinatore del Pdl) Piero Tononi.
I magistrati, per la verità , si sono riservati di valutare “i fatti relativi ad alcune richieste avanzate dalla Fiamma Tricolore al Pdl riportate dagli organi di stampa”.
Si era parlato di soldi in cambio di voti ma mentre su questa faccenda rimangono molti lati oscuri ciò che è chiaro è che l’unico apparentamento riuscito al Pdl, alla fine è quello con la Lega.
Sì perchè, in base alla legge elettorale regionale, gli apparentamenti possono scattare solo se ottengono il via libera di tutte le formazioni che hanno sostenuto il candidato al primo turno.
E dunque la Fiamma, opponendo il proprio veto alle intese in via di definizione, ha rischiato davvero di far saltare il banco dell’intero centrodestra.
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Maggio 29th, 2011 Riccardo Fucile
PER LA PRIMA VOLTA, IN UNA CITTA’ IN MANO DA SEMPRE AL CENTRODESTRA, L’ESITO E’ SUL FILO DI LANA…IL CANDIDATO DELLA SINISTRA, IL GIOVANE MASSIMO ZEDDA, PARTE DAL 45,1% CONTRO IL 44,7% DELL’ESPONENTE DEL CENTRODESTRA MASSIMO FANTOLA… SARANNO DETERMINANTI I VOTI DI FLI CHE AL PRIMO TURNO HA OTTENUTO OLTRE IL 4% DI CONSENSI
Chissà quale vento soffierà , oggi e domani, su Cagliari. 
Se nel bel mezzo di una primavera “capricciosa” prevarrà la voglia di rinnovamento del giovane Massimo Zedda o l’impronta della continuità con le giunte di centrodestra di cui è esponente Massimo Fantola.
Il primo ha 35 anni, è in quota Sel e ad appoggiarlo c’è l’intera coalizione di centrosinistra dopo la vittoria alle primarie di gennaio.
Al primo turno ha ottenuto il 45,1 per cento dei consensi, superando l’avversario (44,7) e aggiudicandosi già un risultato storico in una città dominata da un centrodestra abituato a vincere al primo colpo.
Massimo Fantola, 63 anni, è esponente dei ‘Riformatori’, un partito nato in Sardegna e che a livello nazionale fa riferimento a Mario Segni; Fantola può contare sul sostegno di Pdl e Udc (che nell’isola è in controtendenza rispetto allo scenario nazionale), ma non di Fli e Msi Destra nazionale.
Fli ha corso al primo turno con un suo candidato, Ignazio Artizzu che ha ottenuto il 4 per cento dei consensi.
Determinante nel ballottaggio potrebbe essere proprio l’orientamento degli esponenti di Fli, anche se qualcuno dei suoi dirigenti ha manifestato di gradire il nome di Zedda, così come hanno fatto quelli nazionali di Msi Destra nazionale.
Importante sarà naturalmente anche la posizione degli indipendentisti, che avevano candidato a sindaco la consigliera regionale Claudia Zuncheddu. Nella campagna elettorale per il ballottaggio non sono mancate le critiche e neppure l’ironia.
Fantola, davanti alla presenza dei big nazionali di Pd e Sel a sostegno di Zedda ha parlato di ‘stampella rossa’.
Dichiarazioni che hanno avuto l’effetto di un boomerang quando a supporto del candidato del centrodestra, che aveva annunciato di non volere sostenitori nazionali per il ballottaggio (ma al primo turno non è certo mancata la presenza dei ministri e dirigenti nazionali del Pdl), sono arrivati i video-messaggi del presidente del Consiglio.
Presenza che ha fatto scattare la replica del Pd regionale che ha diramato una nota ironica in cui, facendo riferimento alla presenza in video del premier, ha chiosato: “Ma Massimo Fantola non aveva criticato il centrosinistra per la presenza dei padrini romani? Lui sale di livello: a suo sostegno arriva il padrone. Ed è certamente un’altra cosa”.
Cinzia Simbula
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Maggio 29th, 2011 Riccardo Fucile
MA ANCHE QUELLE FONDATE, CIOE’ QUASI TUTTE….ECCO QUALI SONO I PROCEDIMENTI PENALI GIA’ CONCLUSI E QUELLI ANCORA IN CORSO.. IL PREMIER SI E’ SALVATO SPESSO PER AMNISTIA O PROMULGANDO LEGGI CHE DERUBRICAVANO IL SUO REATO
1. Falsa testimonianza P2.
Accusa fondata: la Corte d’appello di Venezia dichiara B. colpevole, ma salvo per amnistia.
2. Corruzione Guardia di Finanza.
Accusa fondata: Fininvest pagò tre tangenti di £ 100 milioni ciascuna per addomesticare verifiche fiscali. Il corruttore Sciascia e i finanzieri corrotti sono condannati, B. è assolto per “insufficienza probatoria” grazie alla falsa testimonianza di Mills.
3. Fondi neri sui terreni di Macherio.
Accusa parzialmente fondata ( £ 4,4 miliardi pagati in nero all’ex proprietario): B. assolto da appropriazione indebita, frode fiscale e un falso in bilancio; salvo per amnistia da un altro falso in bilancio.
4. Fondi neri sull’acquisto di Medusa.
Accusa fondata: il manager Fininvest Bernasconi dirottò £ 10,2 miliardi in nero su 5 libretti al portatore di B., che però è assolto dal falso in bilancio per insufficienza di prove: è troppo ricco per potersi essere accortodell’introito.
Lo incassò a sua insaputa.
5. All Iberian-1.
Accusa fondata: condannato in primo grado a 28 mesi per £ 23 miliardi di finanziamenti illeciti a Craxi, B. si salva in appello per prescrizione grazie alle attenuanti generiche.
6. All Iberian-2.
Accusa fondata: B. assolto dai falsi in bilancio per £ 1200 miliardi di fondi neri esteri “perchè il fatto non è più previsto dalla legge come reato” (depenalizzato dallo stesso B.).
7. Caso Lentini.
Accusa fondata: per i 10 miliardi versati in nero dal Milan al Torino in cambio del calciatore, il falso in bilancio è prescritto grazie alle attenuanti generiche e al taglio della prescrizione previsto dalla riforma del governo B.
8. Bilanci Fininvest 1988-’92.
Accusa fondata: prescrizione del falso in bilancio e dell’appropriazione indebita nell’acquisto di diritti tv, per attenuanti generiche e prescrizione abbreviata da B.
9. Consolidato Fininvest.
Accusa fondata: ancora prescrizione grazie alle generiche e ai nuovi termini della legge B. anche per i falsi in bilancio da £ 1500 miliardi di fondi neri su 64 società offshore del “comparto B” della Fininvest.
10. Sme-Ariosto/1.
Accusa infondata: non c’è prova che i sicuri pagamenti di Previti ai giudici Squillante e Verde con soldi Fininvest fossero legati all’affare Sme e ordinati da B. (assolto).
11. Sme-Ariosto/2.
Accusa fondata:B.assolto dai falsi in bilancio relativi ai pagamenti ai giudici “perchè il fatto non è più previsto dalla legge come reato” (l’ha depenalizzato lui).
12. Mondadori.
Accusa fondata: gli avvocati Fininvest Previti, Pacifico e Acampora corruppero il giudice Metta con £ 420 milioni (soldi di B.) per annullare il lodo Mondadori, ma B. si salva grazie alla prescrizione abbreviata dalle solite generiche.
13. Corruzione Saccà .
Accusa parzialmente fondata: è provato da intercettazioni che B. chiese a Saccà di sistemare a Raifiction alcune sue protette e gli promise aiuti per la sua attività privata di imprenditore,ma è assolto perchè Saccà (dirigente del servizio pubblico) non sarebbe un incaricato di pubblico servizio.
14. Compravendita senatori.
Accusa parzialmente fondata: B. e suoi uomini offrirono posti di sottogoverno e sostegno elettorale al sen. Randazzo (Unione) per votare contro Prodi. Ma B. è prosciolto: non è istigazione alla corruzione, solo “malcostume”.
15. Caso Sanjust.
Accusa parzialmente fondata: l’ex marito di Virginia Sanjust, amante di B. fu degradato e trasferito dal Sisde per ordine di Palazzo Chigi. Ma B. è assolto dall’abuso d’ufficio e dal mobbing: il trasferimento potrebbero averlo deciso Letta e il gen. Mori.
Come sempre, a sua insaputa.
Marco Travaglio
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Maggio 29th, 2011 Riccardo Fucile
LA GAFFE CON IL “CORRIERE DELLA SERA” E’ SOLO IL CULMINE DI UNA MEMORABILE SERIE DI AUTOGOL DELL’ODONTOIATRA BERGAMASCO… IL SUO MINISTERO PATACCA CON 73 DIPENDENTI COSTA 2,6 MILIONI DI EURO E FA SOLO SPOT: SE VOLESSE DAVVERO TAGLIARE LE SPESE INUTILI, DOVREBBE ELIMINARE PER PRIMO SE STESSO
C’è un modo per semplificare il governo: eliminare il ministero per la Semplificazione. 
Un eldorado romano diretto dal leghista Roberto Calderoli, dove 73 infaticabili filologi esaminano leggi, testi, atti e decreti regi in italiano dantesco.
E poi zacchete: puliscono, tagliano, bruciano.
Il ministro è veloce a infilare trapani e forbici, fedele al suo mestiere originario di odontoiatra a Bergamo: ieri ha confessato al Corriere della Sera di voler chiudere l’ufficio del ministero di piazza San Lorenzo in Lucina a Roma, complice un trasloco di massa di un paio di ministri e del Colle a Milano.
Poi ha capito di averla sparata più grossa che in tante (e notevoli) occasioni precedenti.
E in panico, smarrita la lucidità che partorì la legge (porcata) elettorale, ha cercato di smentire l’intervista, secondo lui vittima di un’incomprensione, di un’interferenza telefonica tra un comizio e una tavolata.
La direzione del Corriere risponde con un comunicato, Calderoli annuncia querela e il direttore Ferruccio de Bortoli raddoppia: “Le confermo quanto le ho già scritto. Raramente mi è capitato di avere a che fare con una persona confusa e in malafede come lei, ma ormai non mi stupisco più di nulla. Sa che le dico? La querela la faccio io. E le chiederò anche i danni per le troppe interviste che generosamente le abbiamo fatto in questi anni”.
Un numero che sarà abbondante, eppure mai pari ai tagli del Semplificatore. Nessun regista americano si sarà accorto di una scena memorabile, ancora a disposizione di chi adora l’azione e le facce drammatiche: il ministro Calderoli che, in giacca di pelle e cravatta verde di ordinanza, dà fuoco a un muretto di cartoni contenenti 29.100 leggi inutili.
Un bel falò di 375.000 fascicoli e fogli che Gian Antonio Stella, un anno fa sul Corriere, calcolava in una sforbiciata al minuto del super-eroe Calderoli. Mentre il governo sfornava pacchi di nuove leggi e nuovi articoli ugualmente incomprensibili.
L’avviso di sfratto (a mezzo stampa) del ministro per il palazzo di San Lorenzo in Lucina è andato perso.
I 73 dipendenti del ministero per la Semplificazione erano momentaneamente assenti o irraggiungibili. Tutti.
Compreso il sottosegretario Francesco Belsito, la folta pattuglia della struttura di missione, la segreteria tecnica, un doppio ufficio stampa, portavoce e collaboratori.
Un encomiabile guardiano, di passaggio al capezzale di Calderoli, ci guarda con aria esterrefatta: “Che vuole? Oggi è venerdì di ballottaggio. C’è solo la sorveglianza”.
Sul sito del ministero benedicono l’operazione Taglialeggi, scritta con la maiuscola: “Via 411.298 atti per un risparmio di carta di 75,6 milioni l’anno”.
E ricordano che restano 10.000 leggi in pericolo, che diventeranno presto 5.000.
Ma come fa Calderoli a infiammare una norma al minuto e dove ha preso 411.298 atti?
Deve rallentare, altrimenti manca legna per ardere.
Forse domani Calderoli rettificherà la rettifica, i 73 di San Lorenzo in Lucina saranno salvi e con loro i 2,6 milioni di euro per pagare stipendi e cancelleria. L’impresa titanica è un’altra: come semplificare Calderoli.
Carlo Tecce
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Maggio 29th, 2011 Riccardo Fucile
VIA PADOVA, DALLA RIVOLTA ALLE FESTE DI STRADA: DOVE IL BERLUSCONISMO PAGA DAZIO E LA LEGA PERDE IL 25% DI CONSENSI… MARONI E LA RUSSA HANNO MANDATO I MILITARI, MA LA SINISTRA CON L’ASCOLTO HA PRESO PIU’ VOTI…”PISAPIA OGNI SETTIMANA SI FACEVA VEDERE, LA MORATTI L’ABBIAMO SOLO VISTA IN TV A FARE PROMESSE”
I destini dell’Italia si decidono a Milano e il destino di Milano si è già deciso in periferia, per esempio a via Padova.
La casbah, il ghetto, il Bronx di Milano per le cronache.
Nella realtà , un mondo in miniatura.
Quattro chilometri, cinquecento negozi, cento più di corso Buenos Aires, 130 mila abitanti, ovvero un milanese su dieci, cinquanta comunità straniere da tutti i continenti.
Durante i mondiali di calcio dell’estate scorsa, con le bandiere di ogni colore, sembrava d’essere a New York.
Una media città italiana che per un anno e mezzo, dopo la rivolta del febbraio 2010 in seguito all’assassinio di un ragazzo egiziano alla fermata dell’autobus 56, è diventata la capitale della paura, il laboratorio del rancore politico contro gli immigrati.
Con Maroni che schierava l’esercito per strada, il vicesindaco della Moratti, Riccardo De Corato che firma per il coprifuoco, l’assessore al decoro urbano, Maurizio Cadeo, che arriva a far oscurare le luminarie natalizie con gli auguri in inglese, cinese e arabo.
Non bastasse, in campagna elettorale, gli strateghi della destra aggiungono il carico da novanta della «grande moschea» («Pisapia la farà qui, dove sennò?») e della «zingaropoli» di via Idro.
Il risultato, la risposta dei cittadini spaventati?
In un anno, dalle regionali del 2010 al primo turno delle comunali, nei nove seggi di via Padova la Lega perde un elettore su quattro, il centrosinistra balza avanti di dieci punti, Berlusconi e lo sceriffo De Corato franano nelle preferenze.
Una piccola rivoluzione, come nel resto di Milano.
Ma qui, nel laboratorio della paura cittadino, ancora più inattesa.
Il giorno dopo è partito un ciclopico scaricabarile.
La Moratti se l’è presa con De Corato, impegnato a imprecare contro la Lega, che nel frattempo attribuiva tutte le colpe alla latitanza del sindaco e, massì, «all’estremismo del Pdl».
«Perchè di colpo – spiega il Davide Boni presidente del consiglio regionale – quelli di Berlusconi, alla disperata caccia di voti, si son messi a fare i leghisti più leghisti di noi, con quelle trovate del piffero di smontare gli auguri di Natale».
In mancanza di meglio, alla fine la destra milanese s’è inventata un altro, formidabile spauracchio da affiancare alla magistratura di sinistra.
Ed ecco, dopo le toghe rosse, le tonache rosse.
Pericolosa categoria di preti sovversivi che spazia dal cardinal Tettamanzi allo storico parroco di via Padova, il settantacinquenne popolarissimo don Piero Cecchi.
Passando s’intende per don Virginio Colmegna, il sindaco dei poveri che secondo i berluscones avrebbe trasformato la casa della carità in fondo a via Padova, mirabile esempio di solidarietà e accoglienza, in un «covo di propaganda elettorale per Pisapia».
Una verità un po’ più onesta la racconta uno dei tanti leghisti «smarronati», Alessandro Valsasina, presidente dell’associazione dei commercianti di «via Padova futura», fondata subito dopo la rivolta di febbraio, con la benedizione del Carroccio.
«Premesso che non sono diventato di sinistra, tocca ammettere che Pisapia è partito dalle periferie. Qui passava ogni settimana e ascoltava tutti, mentre la Moratti l’abbiamo vista soltanto in tv a fare promesse».
Cinque anni di promesse, il recupero del parco del Trotter, che era una promessa elettorale già ai tempi di Pillitteri, le piste ciclabili, i bellissimi progetti da archistar per il rilancio delle periferie, i poliziotti di quartiere, la lotta ai racket e così via, per cinque anni.
Ma nel terremoto elettorale delle periferie milanesi non ci sono soltanto gli errori degli strateghi della destra o l’abilità di un candidato della sinistra che finalmente mette il naso oltre la fatidica cerchia dei Navigli e per giunta è proprio di sinistra, non un prefetto, un industriale o un tardo imitatore dei leghisti con la fissa dei campi rom.
La ribellione di via Padova alla paura ha radici più profonde, che rivelano il limite ultimo del berlusconismo.
Quella presunzione di volere e potere cambiare la natura dei milanesi, degli italiani, oltre ogni limite, azzerando di colpo la storia.
Prima o poi la storia di questa città , perfino di questa via, si sarebbe ribellata alla falsa immagine nello specchio.
Negli anni ’50 e ’60 via Padova era il ponte d’integrazione degli immigrati del Sud, la prima tappa dalle coree verso la conquista del benessere cittadino. Un passaggio che in altre città , Torino per esempio, non c’era, un luogo d’incontro e di solidarietà , una rete di associazioni, un quartiere vero, un fiore all’occhiello per i sindaci riformisti milanesi.
Una periferia dove le scuole erano buone come quelle del centro, con le prime elementari montessoriane e il liceo di zona, il Carducci, che valeva come i più rinomati Berchet e Parini della borghesia; le librerie e i centri culturali e i circoli sportivi; perfino il cineforum dove vedevi Ferreri e Bunuel senza doverti travestire da intellettuale di sinistra come al mitico Obraz cinestudio; bei ristoranti e negozi, la gente in strada fino a notte.
Di tutto questo paesaggio della Milano più aperta e vitale, oggi è rimasto a via Padova soltanto il parco Trotter, una scuola modello per mille bambini, dei quali seicento di cognome straniero, la più multietnica d’Italia e uno dei luoghi d’infanzia più belli e verdi di Milano, l’unica a prevedere una fattoria didattica e una piscina fra gli alberi.
Una magnifica istituzione pubblica che tira avanti grazie al sacrificio degli insegnanti, al volontarismo degli «Amici del Trotter», alla passione dei genitori che ridipingono le classi e riparano i cessi nel fine settimana.
Qui gli impresari della paura hanno spedito le camionette dell’esercito a pattugliare le notti vuote.
Pisapia e i suoi sono venuti invece in bicicletta e sono tornati con le ventotto pagine di progetto del parco da affidare all’architetto ed ex rivale Stefano Boeri.
Fra una finzione di Bronx blindato e un progetto di parco giochi per bambini, forse non ci volevano tanti spin doctors per capire dove sarebbero andati i voti.
Curzio Maltese
(da “La Repubblica“)
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Maggio 29th, 2011 Riccardo Fucile
DUE CONSIGLIERI ELETTI NELLA LISTA DELLA PRESIDENTE DELLA REGIONE PASSANO COL PDL… LA POLVERINI DENUNCIA LA “COMPRAVENDITA DI CONSIGLIERI” E APRE LA CRISI: “NON SONO PIU’ DISPOSTA A SPENDERE LA MIA FACCIA PER QUESTI SIGNORI”
Nemmeno la scadenza dei ballottaggi ha funzionato da argine. 
Il centrodestra nel Lazio si spacca, frana e rischia di portarsi dietro anche il governo della Regione.
Che ormai la «crisi è aperta» lo decreta la governatrice Renata Polverini a 48 ore dal voto.
Dopo settimane di polemiche per l`exploit della sua lista “Città nuove” alle amministrative (a Sora e Terracina due suoi candidati domani se la vedranno contro il Pdl), è arrivato quello che la presidente ha definito «un atto ostile del Popolo delle libertà » nei suoi confronti.
Due consiglieri eletti lo scorso anno nella sua lista, Andrea Bernaudo e Giuseppe Melpignano, decidono, a sorpresa, di passare nel Pdl.
La reazione della Polverini è furiosa: «È la fine della coalizione».
Parla di «compravendita di consiglieri alla vigilia di un voto così importante: caso di autolesionismo politico e di totale mancanza di responsabilità che supera quello dello scorso anno quando non fu presentatala lista del partito. Non sono più disponibile a spendere lamiafacciaper questi signori».
Nessuna diplomazia e nessuna cautela: la frattura è sotto gli occhi di tutti.
E mentre l`opposizione parla di un centrodestra «morto» e «al capolinea», iniziano a delinearsi anche gli schieramenti nel Pdl.
Gianni Alemanno, ad esempio, sostiene la governatrice.
Il sindaco di Roma (che da giorni lavora insieme agli ex finiani Urso e Ronchi e al sottosegretario Andrea Augello a un progetto per spostare il baricentro del partito e che vedrebbe la costituzione di gruppi autonomi in Parlamento ma federati al Pdl) auspica «un chiarimento per rilanciare l`azione del centrodestra».
Poi si fa vedere al fianco della Polverini sul palco di Terracina, a sostegno del candidato Gianfranco Sciscione contrapposto a Nicola Procaccini, Pdl ed ex portavoce del ministro Giorgia Meloni.
Da quel palco la governatrice rincara la dose:
«Qualcuno ha fatto dei giochi di potere per mettermi paura. Ma neanche il diavolo mi mette paura».
Devono intervenire i big del partito, in testa i capigruppo alla Camera e al Senato, Fabrizio Cicchitto e Maurizio Gasparri, per richiamare tutta la coalizione al «senso di responsabilità ».
Ma la paura principale è che la Polverini possa chiedere (e ottenere) la sponda del Pd per andare avanti.
Un primo abboccamento c`era stato proprio da parte dei democratici che avevano ipotizzato l`appoggio ai candidati di Città nuove contro quelli del Pdl. A stoppare qualsiasi «impiccio» è Nicola Zingaretti, presidente della Provincia: «Si vada dritti al voto», afferma.
E così chiedono anche i deputati romani, Enrico Gasbarra e Roberto Morassut.
Il segretario regionale dell`Idv, Vincenzo Maruccio, invita tutta l`opposizione a «riunirsi per definire le strategie comuni».
«Non vogliamo replicare il modello Sicilia», avverte, ricordando l`appoggio dei democratici al governatore Lombardo.
Per ora, l`opzione appare remota.
Ma per capire cosa accadrà nel centrodestra laziale bisogna aspettare i ballottaggi.
Con lo sguardo rivolto a Sora e Terracina e la testa a Milano e Napoli.
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