Settembre 23rd, 2011 Riccardo Fucile
IL GUERRIERO DEI TRIBUNALI E DEI CAVILLI SI SGANCIA DA SILVIO
Mai, avremmo pensato di dover celebrare il de profundis del memorabile “Mavalà ” ghediniano,
nello spazio angusto di questo squarcio di inizio secolo.
Mai su queste pagine.
Mai con il Cavaliere ancora epicamente impegnato a far danni.
Sarebbe come se Mariastella Gelmini si spingesse a dire che le sta a cuore la scuola pubblica, come se Renato Brunetta carezzasse un precario, come se Sabina Began — l’arma letale del Cavaliere — con la sua splendida vocetta flautata, chiamasse Italo Bocchino e gli dicesse: “Sei un ragazzo sensibile, ho letto il tuo sms, e mi ha colpito profondamente. Voglio stare con te perchè mi desideri!”. Bestemmia.
L’uomo che riusci a tramutarsi in un innocente Rasputin del berlusconismo, il Cavaliere templare di Arcore nell’arena teatrale e sbarrata di Annozero, il bardo legislatore capace di riscrivere ogni cavillo del codice civile con la leggerezza di un bulldozer e la precisione chirurgica di un killer sentimentale, pur di salvare anche un solo processo del suo cliente, improvvisamente getta lo spadone e l’armatura, si straccia la toga di primo difensore e davanti ai magistrati dice: “Faccio una vita molto ritirata, sto moltissimo con il Presidente, ma nelle ore di lavoro”.
Dopo cena? “Dopo cena no”.
Sarebbe come se Noemi Letizia gettasse i suoi zigomi in titanio, le sue labbra lipopneumatiche e le sue protesi siliconate quarta C (coppa larga), come se Pietro Lunardi facesse una vibrante dichiarazione antimafia, come se mentre scoppia una catastrofe mondiale, Franco Frattini non si facesse sorprendere in settimana bianca.
Mai mai mai. Anzi, impossibile.
Ecco perchè occorre dire che il “Mavalà ” fu davvero l’epigrafe di un’epoca, l’icona di una stagione di teleguerriglia, uno stendardo azzurro.
Ed era stata proprio la china alata del nostro The Hand (subito raccolta e celebrata dalla penna di Marco Travaglio) a fare di quell’intercalare un sistema di pensiero.
Quando Ghedini gridava “Mavalà ” ad Annozero, nel paese si fermavano gli orologi, i bimbi insonni cessavano il pianto. In quel volto opalescente e crisantemico si riassumeva qualcosa di più di un grumo di berlusconismo avvocatizio: c’era il senso di sdegno della grande borghesia produttiva e anti-intellettuale del Nord, in quel moto di sdegno appena filtrato dalle lenti a goccia di vetro, c’era il riverbero di un blocco sociale che il centrodestra seppe catalizzare prima che i sogni finissero.
Adesso Ghedini va dai magistrati con tono dimesso, non si avvale nemmeno del segreto professionale, ci tiene a segnare la differenza fra se stesso e il presidente del Consiglio. Sono una donna/ non sono una santa, sono il suo difensore, non sono mica un suo amico, un frequentatore di “cene eleganti”.
Leggere per capire: “Non ho ottenuto nessuno dei risultati che mi prefiggevo”.
E anche “Il presidente ha una straordinaria capacità di comprensione delle debolezze umane, io non ce l’ho”.
Notare la perfida ironia dell’aggettivo “umane” riferito a Tarantini.
Insomma, alla stessa velocità implacabile in cui la luce sgretola il regno dell’ombra nel finale epico della trilogia tolkieniana, il crepuscolo del berlusconismo annichilisce le trasfigurazioni che costituirono lo scudo del Cavaliere.
Ghedini non parla.
Ghedini adesso si dissocia: “Il presidente mi pare che abbia detto: ‘A Tarantini gli ho fatto avere 500 mila euro’. E io gli ho detto: ‘Quando, come, perchè?’ Quando ho saputo questa cosa non ho reagito entusiasticamente, soprattutto quando ho saputo che la dazione era avvenuta tramite Lavitola”.
Adesso, per cortesia, pesate le parole, perchè Ghedini con le parole ci vive, ci produce reddito.
Ghedini è pagato all’ora, come gli avvocati americani, mille euro all’ora, mille euro per tremila parole, quando noi diciamo “mavalà , mavalà , mavalà ” prendiamo fiato, quando lo dice Ghedini ha già guadagnato un euro.
Ghedini era discepolo e profeta del Berlusconi che schioccava tre volte le dita davanti alla stampa estera e diceva: “In questi tre secondi ho già guadagnato tremila euro”.
Ed è per questo che Ghedini non può dire “dazione”, e associare questa parola contundente a Berlusconi.
Perchè “dazione” è il vocabolo dipietrese con cui l’ex pm più famoso d’Italia ha battezzato le tangenti di Mani Pulite.
Quando dice “dazione” davanti ai magistrati è come se Ghedini stesse dando a Berlusconi del corrotto davanti ai giudici che lo indagano, è come se fosse diventato per il Pdl quello che Roberto Peci è stato per le Br.
E dire che Ghedini era l’uomo che con le parole costruiva giochi di prestigio, quello che nascondeva il concetto di puttaniere dietro la meravigliosa invenzione burocratica dell’“utilizzatore finale”.
Che poi non voleva dire un benamato cavolo, ma sempre meglio di quello che voleva nascondere, era. Ghedini che dice “Sì, d’accordo, no, faccio l’avvocato penalista da non pochissimi anni, posso aver espresso giudizi non collimanti con i suoi, sia su Tarantini, sia su Lavitola, non ho ottenuto nessuno dei risultati che mi prefiggevo”.
È il proclama di una resa.
È come se Mara Carfagna avesse davvero letto la letteratura francese che raccontava di aver divorato da ragazza in una sdegnata replica a Filippo Facci, è come se Susanna Petruni pensasse davvero che la farfalla è un insetto, è come se Augusto Minzolini facesse uno dei suoi video-editoriali sul processo Mills, e si ricordasse di dire che non è stato assolto.
Di fronte a questa metamorfosi del “Mavalà ”, non si può che applaudire il primo pentito del berlusconismo, esattamente come il generale Alberto Dalla Chiesa considerò Peci un eroe dell’anti-terrorismo.
Quando si arriverà al 25 aprile, per cortesia, facciamogli avere un salvacondotto speciale e una medaglia.
Ormai è un nostro infiltrato.
Ghedini è il Donnie Brasco ad Arcore di questo iridescente fine regime.
Luca Telese blog
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Settembre 23rd, 2011 Riccardo Fucile
“TUTELANO LA PERSONA DEL PREMIER, NON LA CARICA”
La Camera dei deputati non ha alcun rispetto per le funzioni istituzionali, ma vuole solo proteggere Silvio Berlusconi.
E sul caso Ruby è andata anche contro la Costituzione.
È scritto, con parole a tratti più sfumate ma inequivocabili, nel ricorso del procuratore di Milano, Edmondo Bruti Liberati, contro il conflitto di attribuzioni sollevato dai deputati alla Corte costituzionale.
Un conflitto che nel luglio scorso, come sempre in questi casi, la Consulta ha dichiarato ammissibile ma che giudicherà nel merito nei prossimi mesi.
Si legge nella memoria firmata dal professor Federico Sorrentino, che rappresenta la procura: ”Il dubbio sollevato dalla Camera sulla possibile natura ministeriale di una delle condotte contestate al presidente del Consiglio è tutto fuorchè ‘ragionevole’ e pone in luce la sua tendenza a proteggere la persona del presidente del Consiglio piuttosto che la sua funzione.
Se non altro perchè è basato su una supposizione, l’essere cioè Karima El Mahroug parente dell’ex capo di Stato egiziano (Mubarak, ndr), pacificamente infondata. Sicchè non vi è alcuno spazio per affermare che il presidente del Consiglio abbia agito per la difesa del supremo interesse dello Stato”.
Non a caso nella memoria vengono ricordati i fatti: il fermo di Ruby, a Milano, il 26 maggio 2010, la telefonata di Berlusconi in questura per chiedere il rilascio della “nipote di Mubarak”, l’affidamento formale a Nicole Minetti, ma in realtà , alla prostituta Michelle.
La ricostruzione di quanto accaduto porta la Procura di Milano a una critica feroce alla Camera: “Con una decisione che la stessa Presidenza ha evidenziato essere senza precedenti, anzichè pronunciarsi sull’autorizzazione alla perquisizione (degli uffici del cassiere di B., Giuseppe Spinelli, ndr)… deliberava di restituire gli atti all’autorità giudiziaria, ritenendola incompetente in considerazione del possibile riconoscimento della qualificazione come reato ministeriale del reato di concussione’”.
È riportato l’intervento del deputato Pdl, Maurizio Paniz: “Poichè il presidente del Consiglio – disse – asserisce di aver agito ritenendo che la ragazza fermata fosse davvero la nipote di Mubarak, il reato di concussione si configurerebbe come reato ministeriale in quanto commesso nell’esercizio delle funzioni governative per la tutela del prestigio internazionale dell’Italia e delle relazioni internazionali del nostro Paese” .
Parole, quelle, ridicolizzate: “Sebbene – prosegue la memoria – nel suo ricorso il difensore della Camera cerchi di sorvolare questo passaggio, non si può omettere di considerare che, per quanta possa apparire risibile, è il nucleo fondante della tesi sostenuta dalla maggioranza della Camera. Una tesi, invero, che urta contra il comune buon senso e contro ogni evidenza dei fatti”.
La Procura di Milano accusa la Camera anche di aver violato la Costituzione poichè “Si è arrogata il potere di interferire con l’esercizio del potere giudiziario al di fuori di qualsiasi previsione costituzionale” e osserva che ha sovrapposto “una propria valutazione giuridica a quella del giudice, quando invece a essa spetta – in materia di reati ministeriali – solo una valutazione politica sull’operato dei membri del govemo, restando ben fermo il fondamentale principio costituzionale dell’indipendenza del giudice nella sua attività interpretativa…”.
Ma – si legge ancora – il quesito che deve esaminare la Consulta, “a quanto è dato intendere” non è se il reato imputato a Berlusconi sia ministeriale o comune, ma se “ogni volta che sia iniziato un procedimento penale a carico di un ministro o del presidente del Consiglio” il magistrato debba investire il Tribunale dei ministri che poi deve rivolgersi alle Camere per l’autorizzazione.
La tesi viene respinta.
Nel ricorso si citano leggi e sentenze della Cassazione per sostenere che non c’è alcun obbligo di investire il Tribunale dei ministri qualora un magistrato ritenga che il reato sia comune, come per il caso Ruby.
Secondo i pm, il giudice per le indagini preliminari che ha disposto il giudizio immediato e il tribunale che sta processando Berlusconi, la concussione eventuale è stata commessa nella “qualità ” di presidente del Consiglio e non nella “funzione”.
Ora Bruti Liberati chiede alla Corte costituzionale che dichiari, nel merito, “inammissibile o, in subordine, infondato, il conflitto”.
Antonella Mascali
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Settembre 22nd, 2011 Riccardo Fucile
IL COORDINATORE LIGURE DI FLI, ENRICO NAN, LUNEDI’ SERA HA PRESIEDUTO UNA RIUNIONE DEL DIRETTIVO REGIONALE NELLA SEDE DELLA FIUMARA (GENTILMENTE CONCESSA IN COMODATO GRATUITO DA UN PLURI-INQUISITO) E SENZA AVVISARE NESSUNO L’INDOMANI LA CHIUDE… POI FA APPARIRE 1.000 ISCRIZIONI A ROMA PER POTER INDIRE IL CONGRESSO
Altro che il Mago Otelma quando appariva su Canale 5 avvolto in improbabili pastrani, tra
formule magiche e riti pagani.
Altro che il Mago Silvan che faceva sparire le collaboratrici dietro una tenda o le faceva riapparire illese dalla scatola delle spade acuminate.
Un nuovo mito sta nascendo nel mondo dell’occulto e con orgoglio possiamo dire che viene proprio dalla nostra amata Liguria: non ha assunto ancora il nome d’arte di “Mago di Pietra Ligure” ma è questione di poco.
Per ora si accontenta di fare il coordinatore regionale di Futuro e Libertà , il partito della legalità , non a caso lui è un legale.
Che poi abbia ricevuto “casualmente” nella sede di partito personaggi attenzionati dalla Dia e imputati in vari processi o che abbia avuto in comodato gratuito da un altro pluri-indagato i locali di Fli o che ne sia stato socio è cosa irrilevante.
La notizia ha sicuramente suscitato in Bocchino meno reazioni scandalizzate di quanto abbia generato in lui l’intervista di Sabine Began in cui lo accusava di molestie telefoniche.
A distanza di tre mesi dall’insorgere dello scandalo genovese che ha avuto ampi riscontri di stampa, il vertice nazionale di Fli non ha ancora preso una decisione: da una parte chi richiede il commissariamento della Liguria, dall’altra i pasdaran campani che hanno preso il controllo dell’organizzazione del partito, intenti a difendere l’indifendibile e a far perdere voti a Fli in Liguria.
Solo un colpo di bacchetta magica potrebbe risolvere la vicenda ma, come diceva Don Abbondio, “se uno il coraggio non l’ha non può mica darselo da solo”.
E allora le qualità di illusionista le dimostra Nan che si gioca il tutto per tutto.
E riesce a superarsi lunedi sera quando convoca una riunione allargata ( si fa per dire) della direzione regionale nella sede di Fli della Fiumara, quella tanto discussa.
Tutti ospiti di Nucera, insomma.
Calano le tenebre e i partecipanti escono senza sapere di aver partecipato a una sorta di “ultima cena”.
Eh sì, perche il giorno successivo la sede non c’è più: staccati dall’esterno ogni simbolo o riferimento a Fli, i locali vengono restituiti con un anno di anticipo a Nucera.
Direte: Nan la sera prima avrà informato i dirigenti liguri della chiusura della sede.
Sbagliato.
Nan è un mago e come tutti i maghi ama le improvvisate, se spiegasse il trucco prima che gusto ci sarebbe?
E così Fli resta per adesso senza una sede.
Chi dice che la società in liquidazione, proprietaria dei locali e riferibile a Nucera, abbia chiesto la restituzione degli stessi per far fronte ai creditori, visti i vari fallimenti della holding di riferimento chiesti dalla procura di Savona.
Si rincorrono voci di un trasferimento della sede in centro città o di un trasloco temporaneo al piano superiore (sempre di proprietà dell’inquisito Nucera).
Tutti concordano che non si fosse mai vista una chiusura così improvvisa e clandestina di una sede senza nemmeno una comunicazione agli altri dirigenti di partito.
La bacchetta magica del “Mago di Pietra Ligure” ha colpito ancora.
Ma non solo per far sparire le cose, lui è un mago anche per farle apparire all’improvviso.
E se a luglio era stata trovata la scusa per commissariare il partito a Genova in quanto si era raggiunto solo il 50% del tesseramento richiesto, ecco che in pieno agosto assistiamo alla moltiplicazione dei pani e delle tessere.
Centinaia di genovesi interrompono le vacanze per mettersi in fila e iscriversi a Fli, approfittando dei momenti di ferie dei dipendenti dei lavori edili, circoli che avevano fatto 12 tessere in un anno balzano improvvisamente a 312, circoli che Roma aveva suggerito di chiudere per timore di infiltrazioni mafiose restano aperti, vengono calcolati anche coloro che si sono dimessi per protesta.
Ed ecco raggiungere quota mille tessere da portare in pellegrinaggio a “Santo Subito Italo” per indire un congresso patacca a ottobre e sancire la spartizione del potere locale.
Altro che Terzo Polo e cordata con il candidato Musso: data la qualità del personale politico, qua si punta a un candidato sindaco in proprio (ovviamente l’assistente e reggicoda del mago).
Quando tale grande magia avrà sprofondato Fli all’1% e allo sputtanamento totale anche negli angoli più riposti della Liguria, non resterà che cambiare teatrino.
Dal palco dell’illusionista a quello dell’avanspettacolo.
Il prodotto non cambia.
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Settembre 22nd, 2011 Riccardo Fucile
TUTTO COME PREVISTO: FINISCE 312 A 305, LA LEGA “DURA E PURA” LASCIA IN LIBERTA’ UN INDAGATO PER CORRUZIONE E ASSOCIAZIONE A DELINQUERE…IL PREMIER PARLA DI “STATO DI POLIZIA”: FORSE SI RIFERIVA AL SUO MODELLO IDEALE
Avanti col governo, no allo Stato di polizia, basta intercettazioni sui giornali e coesione contro l’arresto di Milanese.
E’ quanto comunicato dal presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, durante il consiglio dei ministri che si è tenuto stamane a Palazzo Chigi.
Circa un’ora e mezza di incontro (iniziato alle 9.35 e finito alle 11.10) per ribadire quanto comunicato ieri dal premier al capo dello Stato Giorgio Napolitano e per dare il via libera all’approvazione il piano per le infrastrutture entro la prossima settimana.
Il Cavaliere, inoltre, sarebbe tornato a parlare anche sulle intercettazioni del caso Lavitola- Tarantini.
“Contro di me è in atto una persecuzione da parte della solita magistratura politicizzata. Sembra di vivere in uno Stato di polizia” avrebbe detto il Cavaliere, prima che iniziasse la riunione del Consiglio dei ministri fermandosi a parlare con alcuni membri del governo.
Berlusconi, inoltre, avrebbe anche a criticare aspramente la pubblicazione degli ascolti telefonici: “Non è possibile assistere ad una cosa del genere — sarebbe il pensiero del capo del governo — in questo modo si stravolge il senso anche di conversazioni puramente scherzose”.
Il presidente del Consiglio, inoltre, ha dettato la linea sulla votazione sull’arresto di Marco Milanese: “Dobbiamo votare compatti, respingere l’attacco della magistratura, restare uniti”.
Sulla presunta intesa con il presidente del Consiglio (la Lega vota contro l’arresto di Milanese e a gennaio Berlusconi si fa da parte), invece, il senatùr ha detto che non esiste nessun accordo, pur non rispondendo alle domande dei cronisti sull’ipotesi di fine anticipata del Governo.
Prima della votazione, non poca preoccupazione tra i banchi della maggioranza, con i rappresentanti del Pdl che, calcolatrici dei telefonini alla mano, fanno e rifanno i conti per esser sicuri di evitare l’arresto di Milanese.
L’ansia è ai massimi livelli, il timore è che non ci siano i numeri per respingere al mittente le manette per l’ex braccio destro di Tremonti.
Al momento delle dichiarazioni di voto, nessuna sorpresa. Api, Idv, Pd, Udc e Fli sono per l’arresto del deputato; la Lega — così come il Pdl (Paniz:”C’è fumus persecutionis”) — invece voterà contro l’arresto, almeno stando a quanto dichiarato Rodolfo Paolini a nome del Carroccio.
Alle 12.10 iniziano le procedure di voto.
Il risultato arriva dopo pochissimi minuti: 312 voti contro 305, la casta salva anche Marco Milanese.
Anche se per soli 7 voti.
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Settembre 22nd, 2011 Riccardo Fucile
IL PREMIER CHIEDE SE E’ MEGLIO LASCIARE SUBITO, IL SENATUR “ASPETTIAMO INIZIO 2012″… SPERANO DI RISALIRE NEI SONDAGGI E POI ANDARE A VOTARE L’ANNO PROSSIMO E SALVARSI LA PELLE… NAPOLITANO CONTESTA L’OTTIMISMO DEL GOVERNO SULLA CRISI ECONOMICA
“Umberto, cosa devo fare? Pensi anche tu che mi debba dimettere? Se me lo dici tu io lo faccio
subito”. A
l termine di un incontro drammatico a Palazzo Grazioli con lo Stato Maggiore del Carroccio, il Cavaliere tenta il tutto per tutto.
Getta sul tavolo in anticipo la carta delle dimissioni per poterla subito rimettere nel mazzo.
È un bluff, visto che a passare la mano a un nuovo governo non ci pensa affatto.
E dall’altra parte trova Bossi disposto a concedergli un altro giro di tavolo.
Ma senza entusiasmo. “Io voglio solo la Padania”, gli risponde laconico il Senatùr senza offrire ulteriori garanzie sul futuro. “Poi ne riparliamo a gennaio…”.
Ma tanto basta a Berlusconi per salire in serata al Quirinale e scacciare, in un colloquio teso e preoccupato con il capo dello Stato, il fantasma della crisi di governo.
E tuttavia la mano più difficile, quella che si gioca oggi alla Camera sull’arresto di Marco Milanese, il premier sembra essersela aggiudicata.
Roberto Maroni non ha la forza necessaria per sostenere uno strappo così violento, visto che l’arresto dell’ex collaboratore di Tremonti provocherebbe lo squagliamento della maggioranza.
Il ministro dell’Interno ha valutato con preoccupazione le conseguenze di una crisi di governo provocata dai suoi: “Non ce lo possiamo permettere – racconta un suo fedelissimo – perchè ce la imputerebbero totalmente e noi saremmo finiti”.
E dunque Maroni garantirà oggi il voto dei suoi a favore di Milanese.
La resa dei conti è spostata in avanti.
A gennaio.
Oppure molto prima, quando a fine settembre si voterà la sfiducia al ministro Saverio Romano.
Così, forte della sponda offerta dalla Lega, il Cavaliere alla sette della sera può salire baldanzoso al Quirinale per conferire con il capo dello Stato.
Un colloquio richiesto da palazzo Chigi il giorno prima, per capire dalla viva voce di Napolitano il significato di quella sorta di “consultazioni” che hanno fatto irritare e preoccupare il Cavaliere.
Nell’ora e un quarto di incontro, il capo del governo ripete il suo mantra e spande ottimismo sulla situazione finanziaria: “Il peggio è passato. Abbiamo presentato una manovra che ha ricevuto consensi da tutta Europa e adesso tocca al piano per la crescita. Stavolta lo seguirò personalmente. Ho messo al lavoro un nucleo di esperti per elaborare delle proposte da presentare al Consiglio dei ministri al più presto”. Napolitano resta in ascolto.
Scettico e preoccupato svolge un’analisi che non coincide con quella rosa e fiori del premier.
“Il paese resta in grave difficoltà , lo spread è tornato a salire e oggi anche le nostre principali banche sono state declassate. Non possiamo permetterci alcun ritardo”. Berlusconi elenca una serie di titoli senza riempirli di contenuti, ma dal presidente della Repubblica arriva l’invito pressante a trasformare quel libro dei sogni in realtà . Per Napolitano è questa “la vera sfida dopo la manovra”, quella su cui “ci stiamo giocando tutto”.
Chiede misure per la crescita “il più possibile condivise”, anche attraverso “ampie consultazioni in Parlamento e con le parti sociali”.
E tuttavia per Berlusconi “l’unica garanzia perchè il paese sia al riparo da ulteriori tempeste è proprio la stabilità dell’esecutivo”. Il suo, ovviamente.
“Presidente, non c’è alcun problema per la tenuta della mia maggioranza. Ne ho parlato anche con Bossi, il nostro rapporto è solido”.
Quanto alle ripetute sconfitte della maggioranza in aula, “non hanno valore politico, sono solo incidenti parlamentari”.
Eppure Napolitano insiste nel chiedere certezze sulla tenuta della coalizione. “Siete sicuri sui vostri numeri?”. E Berlusconi: “Lo vedremo su Milanese”.
La giustizia è sempre il tormentone che accompagna ogni incontro di Berlusconi al Quirinale.
“Sono un perseguitato, per fortuna ho trovato un Gip a Napoli che ha acclarato quello che vado dicendo da tempo. La competenza sull’inchiesta Tarantini è di Roma”.
Ma Napolitano, infastidito, cambia discorso e lo riporta sulle questioni concrete. L’economia, la tenuta del centrodestra.
Alla fine si lasciano dopo aver parlato per tutto il tempo due lingue diverse.
Ma Berlusconi, per un altro giorno, è convinto di averla sfangata.
Tanto che ai suoi, tornato a palazzo Grazioli per un vertice sulla giustizia, consegna una battuta un po’ irriverente sul capo dello Stato: “Tranquilli, Napolitano non si dimette. E andiamo avanti”.
Francesco Bei e Umberto Rosso
(da “La Repubblica“)
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Settembre 22nd, 2011 Riccardo Fucile
LA LEGA COSTRETTA A SALVARE MILANESE PER NON PERDERE LE POLTRONE DI ROMA LADRONA E PUNTELLARE IL GOVERNO… E IL PAVIDO MARONI SI ALLINEA
“Voteremo a favore della richiesta della Giunta per le Autorizzazioni e diremo no all’arresto senza se e senza ma”.
La dichiarazione più attesa della giornata arriva alle 20 e 45, per bocca del capogruppo della Lega alla Camera, Marco Reguzzoni, che così sintetizza la posizione del Carroccio sul voto su Marco Milanese dopo una riunione del gruppo durata solo un quarto d’ora.
Poche parole, ufficiali.
Che significano poche semplici cose: Umberto Bossi ancora una volta non ha intenzione di aggravare la posizione di Berlusconi (“Voto no per non far cadere il governo”) e Roberto Maroni a sua volta non se la sente di spaccare il partito, imponendo una linea diversa o insistendo per “la libertà di coscienza”.
E infatti il ministro dell’Interno non parla: “Ha detto tutto Bossi”.
A questo punto, il salvataggio di Milanese sembra decisamente vicino.
Anche se poi, nel segreto dell’urna, chissà .
In perfetta linea con la confusione della sua maggioranza, il capogruppo Pdl Fabrizio Cicchitto in mattinata aveva chiesto di andare al voto con le palline, sistema che, secondo lui, avrebbe garantito la segretezza, più di quello elettronico (quando si è votato per Alfonso Papa i deputati che volevano ostentare il loro sì hanno usato solo l’indice).
Cosa che non si può fare per regolamento a meno che non ci sia il malfunzionamento del sistema elettronico.
Che poi la segretezza giovi all’esito sperato dalla maggioranza di cui Cicchitto è esponente, è tutto da dimostrare.
Anche perchè i voti di scarto sono 10-12 e i franchi tiratori sono previsti un po’ da tutte le parti.
E molti dicono che l’ex consigliere di Tremonti ha fatto piaceri a tutti. “Oggi qua non parla nessuno. Difficile capire pure cosa pensino i colleghi”.
Alle 4 del pomeriggio a fotografare l’atmosfera di una vigilia strana, tesissima, in cui si rincorrono le voci non solo su quello che succederà oggi in Aula, ma anche su quale significato politico assumerà il voto, è Maria Teresa Armosino, deputata e presidente della Provincia di Asti, che dal 2001 al 2006 è stata Sottosegretario del ministero dell’Economia.
Dunque con Tremonti. Ma è una giornata in cui si moltiplicano le implicazioni, i testi, i sotto-testi, le chiacchiere.
C’è il Pdl che ufficialmente dirà di no, anche se molti – approfittando della segretezza – sono tentati di votare per l’arresto. E per le scarse simpatie che gode lo stesso Milanese nel partito, e per dare un segnale politico che così non si può continuare. Nessuno ha il coraggio di dirlo in chiaro.
Emblematica la reazione di Santo Versace, che smentisce a brutto muso dichiarazioni fatte il giorno prima al Fatto quotidiano, in un luogo pubblico (la buvette) e riportare in maniera assolutamente fedele (difficile inventare frasi così precise): “Querelo il Fatto Quotidiano per avermi attribuito parole e significati che non mi appartengono. Chiederò un risarcimento da devolvere interamente in beneficienza. Quanto a Milanese avevo deciso, prima della pubblicazione dell’articolo di votare contro il suo arresto”.
Di più: “Alla luce di quanto accaduto ho deciso di fare un invito personale ai deputati della maggioranza perchè votino compattamente contro la richiesta di arresto”.
Viene da chiedersi quanto debbano essere state fatte pesare le dichiarazioni in questione (tra le altre: Su Milanese? Forse neanche ci vengo a votare”).
In una giornata di nervi a fior di pelle arriva a inizio pomeriggio la notizia che Berlusconi andrà da Napolitano.
A fine giornata si chiarisce che i due hanno parlato soprattutto di economia e che Berlusconi ha ribadito di avere tutte le intenzioni di restare.
Prima dell’incontro al Colle, comunque Milanese si autosospende dal gruppo. Intanto, i deputati fanno avanti e indietro dall’Aula.
A un certo punto esce Maroni, accompagnato da Cota. Va alla buvette. I due parlano prima un po’ con Walter Veltroni. Poi, più a lungo con Pier Luigi Bersani, che dopo rimane in colloquio solitario con il ministro dell’Interno.
Vista da lontano, la scena sembra quella di uno (il segretario Pd) che cerca di convincere l’altro a far qualcosa (evidentemente a portare i suoi sul sì all’arresto), e l’altro che si giustifica.
In serata arriva pure una dichiarazione decisamente algida di Tremonti: “Ho sempre avuto e ho fiducia nella giustizia. Penso che l’accusa e la difesa, i fatti, il diritto e infine il giudizio possano e debbano essere separati dalla politica”.
Mentre lui a lasciare neanche ci pensa, intanto lo molla l’esperto americano di sicurezza Luttwak: “Berlusconi è bollito, già da tempo, e difeso solo da servitori, come Alfano.”
Wanda Marra
(da “Il Fatto Quotidiano“, vignetta da diksa53a)
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Settembre 22nd, 2011 Riccardo Fucile
LA GUARDIA COSTIERA ITALIANA, IN PIENA EMERGENZA LAMPEDUSA, HA MANDATO SEI NAVI A PANAMA…UN OPTIONAL DEL CONTRATTO DI FINMECCANICA PER IL QUALE IL FACCENDIERE E’ STATO LAUTAMENTE RICOMPENSATO
Eccolo il regalo di Valter Lavitola al governo panamense, pagato dai contribuenti italiani:
un’intera flotta.
Che viene sottratta alla Capitaneria di porto e girata ai marinai della Repubblica centroamericana.
Sì, la nostra Guardia costiera rinuncia a sei navi, preziose soprattutto per affrontare l’emergenza immigrazione, che stanno salpando verso l’Atlantico.
Un bellissimo omaggio per il quale il presidente panamense Ricardo Martinelli ha pubblicamente ringraziato il suo amico Lavitola, che oggi si gode la latitanza proprio da quelle parti: «E’ stato molto utile per ottenere la donazione da parte dell’Italia».
La lista dei doni di Valterino e Papi comprende due pattugliatori d’altura e quattro motovedette. Difficile calcolare il valore del cadeaux: una stima potrebbe essere di 30/35 milioni.
I due pattugliatori oggi vengono venduti nuovi a un prezzo compreso tra i 17 e i 20 milioni di euro ma anche sul mercato dell’usato hanno quotazioni di rilievo, non inferiori ai dieci milioni.
I mezzi classe Diciotti sono vere navi, lunghe 52 metri, con motori Isotta Fraschini corrono fino a 32 nodi l’ora e dispongono di un sistema di avvistamento radar.
L’armamento è limitato a una mitragliera ma può essere aumentato: quelli comprati dall’Iraq montano cannoni Oto Melara.
Sono tra i migliori prodotti di Fincantieri: la Capitaneria li ha schierati nel 2002 e li impiega senza sosta soprattutto nel Canale di Sicilia per intercettare e soccorrere i barconi dei disperati in fuga dal Maghreb.
In tutto ne aveva sei, inclusa un’unità più vecchia: adesso ne resteranno solo quattro.
Le motovedette invece vengono dai cantieri Intermarine di Sarzana. Lunghe 25 metri, sono state progettate per navigare in ogni condizione meteo e hanno dimostrato le loro capacità nautiche negli interventi a Lampedusa, dove riescono ad affiancare i gommoni dei migranti senza capovolgerli e farli naufragare.
La Capitaneria ne ha comprate 28, ma quattro ora isseranno bandiera panamense.
La flotta in omaggio è una sorta di optional gratuito inserito nel contratto firmato da Finmeccanica a Panama, che prevede forniture per 160 milioni.
Un accordo voluto dal premier Silvio Berlusconi e dal presidente Martinelli.
Il colosso pubblico ha piazzato una rete di sorveglianza elettronica delle coste panamensi, che verrà realizzata dalla Selex, e una squadriglia di elicotteri Agusta, più la mappatura satellitare del paese a cura di Telespazio.
E su questo contratto – stando alle intercettazioni della procura di Napoli – Valterino Lavitola è stato riccamente ricompensato per la sua opera di mediatore.
Quanto? Non è stato reso noto, ma nel settore le provvigioni oscillano tra l’1 e il 5 per cento: ossia tra 1,6 milioni e 8 milioni di euro.
In pratica, ci guadagnano Finmeccanica e Valterino mentre i cittadini italiani subiscono un doppio danno.
Si accollano la spesa per la flotta cadeaux e rinunciano a una parte significativa della nostra Guardia Costiera, proprio nel momento in cui la situazione nell’Africa settentrionale sembra indicare la partenza di una nuova ondata di immigrati diretti verso la Sicilia.
Ci siamo lamentati in tutte le sedi europee, invocando il sostegno delle altre marine, e poi noi regaliamo i mezzi migliori per affrontare i barconi dei migranti?
Un paradosso, pagato a caro prezzo.
L’accordo panamense venne firmato dai due capi di governo e da Pierfrancesco Guarguaglini nel giugno 2010.
In cambio dello shopping di prodotti Finmeccanica l’Italia si è impegnata a sostenere le istituzioni nella lotta al narcotraffico nel Golfo del Messico fornendo una guardia costiera “chiavi in mano”. Ma il trattato è diventato operativo solo a inizio agosto di quest’anno, grazie a un cavillo inserito nel decreto per il finanziamento delle missioni militari all’estero.
Tra i fondi per i soldati in Afghanistan e per la missione aerea sulla Libia, si è infilata anche la flotta di Valterino: solo poche righe per annunciare la cessione delle sei navi.
Nessuno ha comunicato se e quando verranno sostituite.
Anche perchè solo due settimane dopo la ratifica del mini-patto atlantico persino Silvio Berlusconi ha dovuto prendere atto della crisi e varare una manovra che falcia la spesa pubblica.
Gianluca Di Feo
(da “L’Espresso“)
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Settembre 22nd, 2011 Riccardo Fucile
SI CONTINUA A PAGARE LA LOCAZIONE DI UN PALAZZO FATISCENTE ALLE ASSICURAZIONI GENERALI QUANDO ALMENO DUE PIANI DELLA NUOVA SEDE SONO PRONTI DA TEMPO…IL MOTIVO? QUALCUNO SI DIMENTICA DA TRE ANNI DI METTERE A BILANCIO LE SPESE DI TRASLOCO
Il ministero dello Sviluppo economico paga un canone di 2 milioni e 600 mila euro l’anno per la sede romana di via del Giorgione.
Eppure dal 2008 l’ex ministro Scajola aveva annunciato il trasferimento nella nuova sede demaniale.
Due milioni e seicento mila euro l’anno di affitto, tutti a carico dei contribuenti.
Per un prezzo del genere ci si aspetterebbe almeno un po’ di decoro. Macchè. L’edificio del ministero dello Sviluppo economico di via Giorgione 2/b a Roma, costa caro e cade anche a pezzi.
L’elenco dei disservizi è lungo: ascensori che non funzionano, grovigli di fili elettrici senza canaline di copertura, rubinetti che perdono, porte tagliafuoco difettose o ostruite da mobili e pc fuori uso.
Così mentre i contribuenti pagano, già sono stati spesi circa 8 milioni di euro, il governo sembra essersi scordato che esiste da tempo una soluzione alternativa allo spendi e spandi.
Una soluzione meno onerosa, nuova nuova e completamente gratuita. E, per di più, a poche centinaia di metri dalla sede attuale.
In teoria, la dismissione del palazzo di via Giorgione doveva avvenire nel 2008.
“Il personale doveva essere trasferito tutto nella vicinissima sede demaniale di viale America, all’Eur. E, invece, tre anni, una manovra lacrime e sangue e tanti tagli annunciati dopo, lo Stato ha continuato e continua a versare annualmente il canone alle Assicurazioni Generali, proprietari dell’edificio”.
La denuncia arriva da Marco Marzocchi, responsabile Uil del ministero dello Sviluppo economico (Mise) che, oltre a polemizzare sull’atteso (ma mai completato) piano di risparmi enfatizzato “come un grande successo” dall’ex ministro Claudio Scajola, ha presentato un esposto alla Asl “perchè la sede del ministero è indecorosa”.
Il contratto di affitto stipulato tra Mise e Generali è scaduto tre anni fa. Ma i contribuenti continuano a pagare il canone.
“Gli oltre 40mila dipendenti — spiega Marzocchi — sarebbero dovuti passare tutti nell’altra sede, nell’immobile di Stato. Due piani sono già stati ristrutturati e sono pronti ad accoglierci. Invece paghiamo ancora per via del Giorgione”.
Come mai?
“Il governo si è scordato di includere nel piano di risparmi i soldi del trasloco: ci mancano tra i 300/400mila euro per spostare i nostri archivi da un palazzo all’altro”. Sembra una barzelletta, ma tant’è.
E il ministro Paolo Romani? Che dice?
“Il ministro — continua Marzocchi — più di una volta ha promesso a noi del sindacato che avrebbe preso in mano la situazione, ma oggi siamo ancora qui e chissà fino a quando”.
Giulia Cerino
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Settembre 22nd, 2011 Riccardo Fucile
DEI 38 DOCUMENTI NECESSARI PER L’OPERATIVITA’ SOLO 4 SONO STATI PUBBLICATI SULLA GAZZETTA UFFICIALE…GLI ALTRI STAZIONANO ALLA CORTE DEI CONTI PER LA COPERTURA FINANZIARIA
Scampoli di fine estate: gli atenei riaprono i battenti, comincia un nuovo anno accademico ma dei
decreti attuativi della legge 240/2010, indispensabili per rendere operativa la Riforma dell’Università , si son perse le tracce.
L’ultima comunicazione ufficiale reperibile sul sito istituzionale del Miur è datata 7 luglio: “Università , procede velocemente l’approvazione dei decreti attuativi della riforma”, questo il titolo del comunicato in cui si spiega che “dei 38 provvedimenti previsti (decreti legislativi, regolamenti, decreti ministeriali), 32 sono già stati firmati dal ministro e a breve saranno emanati anche i restanti 6”.
Ma il 16 settembre (cioè ben 71 giorni dopo), la situazione non è cambiata: “Dei sei decreti restanti – rispondono dal Miur – alcuni sono alla firma del ministro, per altri l’iter è più lungo perchè si tratta di decreti legislativi”.
Il 13 aprile scorso, intervenendo al question time alla Camera, il ministro Mariastella Gelmini aveva garantito che entro sei mesi tutti i decreti attuativi sarebbero stati operativi.
Il 13 ottobre è vicino ma questa promessa del ministro difficilmente sarà mantenuta: la sua firma, da sola, non basta e la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale avviene solo al termine dell’iter legislativo che, in alcuni casi, può essere molto tortuoso.
Come nel caso dei decreti legge che, facilmente, possono “perdersi” in un dedalo di meandr
burocratici nel corso del loro lungo cammino legislativo.
Dei 38 decreti attuativi di stretta competenza del Miur, a tutt’oggi soltanto 4 sono stati pubblicati in Gazzetta Ufficiale e sono entrati, dunque, in vigore: quello sull’importo minimo degli assegni di ricerca; quello sulla definizione dei settori concorsuali per il conseguimento dell’abilitazione scientifica; quello sulla rideterminazione del numero dei posti disponibili nei corsi di laurea in Medicina e Chirurgia e la loro distribuzione su base regionale; infine, quello sui criteri per l’individuazione con regolamento d’ateneo degli standard qualitativi per la valutazione dei ricercatori a tempo determinato in possesso di abilitazione.
Quest’ultimo, il n.344 emanato il 4 agosto, è stato pubblicato sul n. 198 della Gazzetta Ufficiale in data 26 agosto. Altri 6 decreti sono attualmente in fase di pubblicazione.
Non tutti i decreti attuativi “in via di approvazione” sono uguali: ciascuna tipologia prevede un determinato percorso e necessita di pareri vincolanti da parte di una molteplicità di soggetti.
Per quanto riguarda i “decreti regolamentari” c’è una tappa obbligata dal presidente della Repubblica o presso il Consiglio di Stato; alcuni altri devono essere decisi di concerto con il Ministero dell’Economia e delle Finanze, con quello della Salute o con le Commissioni parlamentari; altri ancora necessitano del parere del Cun (Consiglio Universitario Nazionale), del Cnam (Consiglio Nazionale per l’Alta Formazione Artistica e Musicale) o dell’Anvur (Agenzia Nazionale di Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca).
Attualmente 7 decreti “stazionano” alla Corte dei Conti che deve verificarne la copertura finanziaria.
Manuel Massimo
(da “La Repubblica“)
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