I COMPAGNI DI MERENDE SILVIO E UMBERTO: “DIMISSIONI? NE PARLIAMO A GENNAIO”
IL PREMIER CHIEDE SE E’ MEGLIO LASCIARE SUBITO, IL SENATUR “ASPETTIAMO INIZIO 2012″… SPERANO DI RISALIRE NEI SONDAGGI E POI ANDARE A VOTARE L’ANNO PROSSIMO E SALVARSI LA PELLE… NAPOLITANO CONTESTA L’OTTIMISMO DEL GOVERNO SULLA CRISI ECONOMICA
“Umberto, cosa devo fare? Pensi anche tu che mi debba dimettere? Se me lo dici tu io lo faccio subito”. A
l termine di un incontro drammatico a Palazzo Grazioli con lo Stato Maggiore del Carroccio, il Cavaliere tenta il tutto per tutto.
Getta sul tavolo in anticipo la carta delle dimissioni per poterla subito rimettere nel mazzo.
È un bluff, visto che a passare la mano a un nuovo governo non ci pensa affatto.
E dall’altra parte trova Bossi disposto a concedergli un altro giro di tavolo.
Ma senza entusiasmo. “Io voglio solo la Padania”, gli risponde laconico il Senatùr senza offrire ulteriori garanzie sul futuro. “Poi ne riparliamo a gennaio…”.
Ma tanto basta a Berlusconi per salire in serata al Quirinale e scacciare, in un colloquio teso e preoccupato con il capo dello Stato, il fantasma della crisi di governo.
E tuttavia la mano più difficile, quella che si gioca oggi alla Camera sull’arresto di Marco Milanese, il premier sembra essersela aggiudicata.
Roberto Maroni non ha la forza necessaria per sostenere uno strappo così violento, visto che l’arresto dell’ex collaboratore di Tremonti provocherebbe lo squagliamento della maggioranza.
Il ministro dell’Interno ha valutato con preoccupazione le conseguenze di una crisi di governo provocata dai suoi: “Non ce lo possiamo permettere – racconta un suo fedelissimo – perchè ce la imputerebbero totalmente e noi saremmo finiti”.
E dunque Maroni garantirà oggi il voto dei suoi a favore di Milanese.
La resa dei conti è spostata in avanti.
A gennaio.
Oppure molto prima, quando a fine settembre si voterà la sfiducia al ministro Saverio Romano.
Così, forte della sponda offerta dalla Lega, il Cavaliere alla sette della sera può salire baldanzoso al Quirinale per conferire con il capo dello Stato.
Un colloquio richiesto da palazzo Chigi il giorno prima, per capire dalla viva voce di Napolitano il significato di quella sorta di “consultazioni” che hanno fatto irritare e preoccupare il Cavaliere.
Nell’ora e un quarto di incontro, il capo del governo ripete il suo mantra e spande ottimismo sulla situazione finanziaria: “Il peggio è passato. Abbiamo presentato una manovra che ha ricevuto consensi da tutta Europa e adesso tocca al piano per la crescita. Stavolta lo seguirò personalmente. Ho messo al lavoro un nucleo di esperti per elaborare delle proposte da presentare al Consiglio dei ministri al più presto”. Napolitano resta in ascolto.
Scettico e preoccupato svolge un’analisi che non coincide con quella rosa e fiori del premier.
“Il paese resta in grave difficoltà , lo spread è tornato a salire e oggi anche le nostre principali banche sono state declassate. Non possiamo permetterci alcun ritardo”. Berlusconi elenca una serie di titoli senza riempirli di contenuti, ma dal presidente della Repubblica arriva l’invito pressante a trasformare quel libro dei sogni in realtà . Per Napolitano è questa “la vera sfida dopo la manovra”, quella su cui “ci stiamo giocando tutto”.
Chiede misure per la crescita “il più possibile condivise”, anche attraverso “ampie consultazioni in Parlamento e con le parti sociali”.
E tuttavia per Berlusconi “l’unica garanzia perchè il paese sia al riparo da ulteriori tempeste è proprio la stabilità dell’esecutivo”. Il suo, ovviamente.
“Presidente, non c’è alcun problema per la tenuta della mia maggioranza. Ne ho parlato anche con Bossi, il nostro rapporto è solido”.
Quanto alle ripetute sconfitte della maggioranza in aula, “non hanno valore politico, sono solo incidenti parlamentari”.
Eppure Napolitano insiste nel chiedere certezze sulla tenuta della coalizione. “Siete sicuri sui vostri numeri?”. E Berlusconi: “Lo vedremo su Milanese”.
La giustizia è sempre il tormentone che accompagna ogni incontro di Berlusconi al Quirinale.
“Sono un perseguitato, per fortuna ho trovato un Gip a Napoli che ha acclarato quello che vado dicendo da tempo. La competenza sull’inchiesta Tarantini è di Roma”.
Ma Napolitano, infastidito, cambia discorso e lo riporta sulle questioni concrete. L’economia, la tenuta del centrodestra.
Alla fine si lasciano dopo aver parlato per tutto il tempo due lingue diverse.
Ma Berlusconi, per un altro giorno, è convinto di averla sfangata.
Tanto che ai suoi, tornato a palazzo Grazioli per un vertice sulla giustizia, consegna una battuta un po’ irriverente sul capo dello Stato: “Tranquilli, Napolitano non si dimette. E andiamo avanti”.
Francesco Bei e Umberto Rosso
(da “La Repubblica“)
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