Ottobre 4th, 2011 Riccardo Fucile
SIAMO ALLA FARSA: IL MINISTRO DEGLI INTERNI PANAMENSE DICE DI AVER VISTO LAVITOLA, MA NESSUNA AUTORITA’ ITALIANA SI E’ MAI FATTA VIVA PER NOTIFICARGLI CHE IL SOGGETTO E’ UN LATITANTE
Per Lavitola non esiste alcun mandato di cattura dell’Interpol.
“L’ho visto e ci siamo salutati”. Parola di Josè Mulino, ministro dell’Interno panamense, il Maroni dei Caraibi che — se il mandato di cattura esistesse, al contrario di quanto sostiene — Lavitola avrebbe dovuto farlo arrestare.
Accade anche questo, nel “caso” Lavitola, e che “Valterino” fosse a Panama nei giorni scorsi — almeno intorno a metà settembre — lo dice chiaramente il ministro dell’Interno panamense. Mulino lo dice persino nell’assemblea del suo Parlamento, sancendo così la massima ufficialità alle proprie parole.
Lo scrive il quotidiano La Prensa, il 15 settembre, sottolineando che Mulino, in precedenza, aveva negato che Lavitola fosse un consulente di Finmeccanica — ma il contratto del colosso industriale italiano non lascia dubbi — e che “Valterino”, in realtà , fosse il “segretario personale di Silvio Berlusconi”.
Non si tratta di sfumature se si aggiunge un ulteriore dettaglio: Mulino ha accusato l’ex ministro degli esteri panamensi, Juan Carlos Varela, di aver pagato troppo Finmeccanica (333,3 milioni di dollari) per la commessa di elicotteri, radar e cartografia destinata al paese sudamericano. Mulino quindi accusa Varela di non aver trattato con un consulente di Finmeccanica, ma con il “segretario privato” di Berlusconi, e lancia sospetti su una presunta corruzione nella trattativa.
E così, nel consumare il suo scontro con Varela, il 15 settembre Mulino consegna al Parlamento e ai cronisti panamensi due notizie importanti.
E non soltanto a loro: queste notizie dovrebbero interessare chiunque stia cercando di riconsegnare allo Stato italiano il latitante che chiudeva affari per Finmeccanica ed è intimo amico del premier.
La prima notizia: Mulino ha incontrato Lavitola a Panama, esattamente come Valera, e l’ha salutato dicendogli: “Ciao, come va?”.
La seconda: “Per Lavitola non esiste alcun ordine di cattura da parte dell’Interpol”.
E il nostro governo, nel frattempo, che fa?
Davvero il mandato di cattura internazionale non esiste?
In caso di latitanza all’estero, il passaggio alle forze di polizia internazionali è una prassi.
E quindi: se il mandato di cattura internazionale esiste, come si comporterà il nostro Paese con Panama e il ministro Mulino, che ha salutato Lavitola con una pacca sulla spalla, lasciandolo andar via, come se nulla fosse?
Di certo c’è solo che il ministro degli esteri Franco Frattini aveva annunciato l’avvio di procedure formali per raggiungere il “latitante amico di Berlusconi”.
La Farnesina ha spiegato qual è l’ufficiale controffensiva italiana: il 27 settembre Frattini ha scritto al nostro ambasciatore a Panama , chiedendogli di verificare se Lavitola è lì.
Insomma: lo Stato italiano si rivolge a se stesso, cioè a un proprio ambasciatore, e non al governo panamense dove, peraltro, siede un ministro — Mulino, appunto — che Lavitola l’ha incontrato e salutato affettuosamente.
Non solo: l’ha anche dichiarato ufficialmente, in Parlamento, ben due settimane fa.
Oltre Mulino, l’unico ad aver “incontrato” Lavitola è Enrico Mentana, direttore di Bersaglio Mobile, che l’ha intervistato in tv con un collegamento via satellite la scorsa settimana: nessuna procura però, almeno fino a ieri, gli ha chiesto notizie o acquisizione di video.
Eppure i magistrati che indagano su Lavitola sono parecchi: in particolare le procure di Roma e Bari, dove sono approdati, con diverse ipotesi di reato, i fascicoli che hanno spinto il gip di Napoli a chiederne l’arresto.
Nè Roma, nè Bari, hanno avanzato richieste ufficiali a Mentana.
L’unica novità , per il momento, è l’iscrizione di Lavitola nel registro degli indagati, a Bari, per il reato di “induzione a rendere false dichiarazioni all’autorità giudiziaria barese”.
Insomma uno strano modo di procedere del governo italiano nei confronti del loro compagno di merende.
Vittorio Malagutti e Antonio Massari
(da “Il Fatto Quotidiano”)
argomento: Berlusconi, Costume, denuncia, Esteri, Giustizia, governo, radici e valori | Commenta »
Ottobre 4th, 2011 Riccardo Fucile
INFURIA LA BATTAGLIA CONGRESSUALE NEL CARROCCIO, DOMENICA SCONTRO A VARESE…IN VENETO GLI UOMINI DI TOSI HANNO GIA’ PRESO BELLUNO, VENEZIA, VICENZA E VERONA
Coi pugnali tra i denti. 
All’indomani del congresso di Brescia, che ha segnato un’altra sconfitta del Cerchio magico, la Lega corre verso la balcanizzazione.
Non c’è solo il pesantissimo ukase di Roberto Calderoli contro il maroniano Flavio Tosi, colpevole di aver violato lo Statuto del movimento con le sue dichiarazioni men che tiepide nei confronti dei proclami secessionisti di Bossi, (ma anche di aver definito una «schifezza» la legge elettorale firmata dal ministro alla Semplificazione), e per questo in odore di espulsione.
C’è soprattutto l’endorsement notturno del Senatùr, che domenica ha di fatto incoronato come nuovo segretario provinciale di Varese Maurilio Canton, sindaco di Cadrezzate molto vicino al capogruppo Marco Reguzzoni, a sua volta nemico dichiarato di Roberto Maroni ed esponente di punta dei cerchisti.
Lo ha fatto, il Senatùr, prefigurando l’esito del congresso di Varese, che si terrà tra cinque giorni.
E lo ha fatto nonostante le candidature alla segreteria fossero già state presentate.
A dare l’idea del clima, ecco quel che dicono i maroniani su questo improvviso comizio notturno di Bossi: «La moglie, furibonda per la sconfitta di Brescia, lo ha tirato giù dal letto convincendolo a dire quel che il Capo ha poi detto».
Già la moglie, Manuela Marrone.
Vestale della Lega di famiglia e mamma di quel Renzo che alla vigilia del congresso di Brescia, ancora ammaccato dalla sconfitta subita in Valle Camonica, inviava ai delegati, via sms, un consiglio perentorio: «Votate Capitanio, il candidato di papà ». Oplà , ha vinto l’altro, Fabio Rolfi, e per questo, nelle menti degli anti-maroniani, bisognava correre subito ai ripari.
I varesini legati a Maroni adesso sono furibondi, qualcuno pure con il loro capocorrente.
Protetto dall’anonimato, un big di Varese disegna scenari apocalittici: «Non si può sempre subire, a questo punto è meglio che ognuno vada per la propria strada, che ci si conti per stabilire chi ha vinto e chi ha perso».
E un altro dirigente: «È intollerabile che siccome “loro” (i cerchisti, ndr) stanno perdendo i congressi facciano schierare il Capo all’ultimo momento, quando le truppe sono già in campo».
Dall’altra parte si risponde pan per focaccia: «I “geni”, come li chiama Bossi, fanno il bello e il cattivo tempo nei congressi, ma queste sono solo beghe di condominio, e quando arriva il padrone di casa non ci pensa un minuto a dare loro il foglio di via». Un modo un po’ cinico per ribadire che l’ascesa per via democratica dei maroniani deve essere bloccata.
A cominciare dalla Lombardia, dove è segretario l’ancora potente Giancarlo Giorgetti, uomo sommamente inviso ai cerchisti, che ha come vice proprio Reguzzoni. Convivenza difficile, anche per la presenza di un secondo vice: il battitore liberissimo Matteo Salvini, pure lui nel mirino dei cerchisti.
La speranza dei maroniani è celebrare il congresso regionale, ma con questi chiari di luna sembra parecchio difficile.
Quella di Varese, anche per la sua valenza simbolica, è una vicenda dilaniante.
Perchè questa è la culla del leghismo, la città di Bossi di cui tra l’altro è sindaco quell’Attilio Fontana che ha capeggiato la rivolta bipartisan degli amministratori contro la manovra del governo, poi costretto a dimettersi dalla presidenza dell’Anci lombarda da un diktat di Calderoli e ora sempre più scoraggiato dalla piega che hanno preso gli eventi.
L’uomo del Viminale, varesino pure lui, ovviamente non gradisce affatto la mossa del Senatùr.
Ma fa buon viso a cattivo gioco. Scontentando ancora di più i suoi, tra cui starebbe facendo capolino addirittura l’idea – e sarebbe davvero clamoroso – di far mancare il numero legale al congresso in programma domenica.
Del caso Varese i due hanno parlato ieri in via Bellerio, durante la solita segreteria del lunedì. Maroni ha rassicurato Bossi: al congresso, «da militante», seguirà le indicazioni del segretario votando per Canton, «anche se non lo conosco».
Tanto l’altro candidato, Leonardo Tarantino, non è neppure un maroniano doc, e non sarebbe bene che passasse come tale se i supporter del ministro lo sostenessero solo per odio nei confronti di Reguzzoni e compagnia.
Altrimenti, è il ragionamento del ministro dell’Interno, si farebbe solo il gioco dei cerchisti, che puntano a contrapporlo direttamente al segretario federale, a rappresentare lo scontro interno non come lotta fra colonnelli, ma tra Maroni e Bossi.
È qualcosa che Bobo il temporeggiatore vuole assolutamente evitare, e in questa chiave si può leggere il suo disappunto anche nei confronti di un fedelissimo come Tosi.
Insomma, Maroni esclude che il sindaco di Verona venga espulso, però ha vissuto come una fuga in avanti quelle sue ultime esternazioni così platealmente antibossiane. Eterogenesi dei fini, nella prudente strategia di Maroni.
Che però non tiene contro della rivolta in corso fra i leghisti veneti, ben più decisi dei lombardi a invocare un nuovo corso.
Senza Berlusconi e in nome di un «ritorno alle origini» che ha il vago sapore di una rifondazione.
Tosi ha già vinto i congressi di Belluno, Vicenza, Venezia e Verona, che è anche la città del suo grande antagonista, il capogruppo al Senato Federico Bricolo, altra star del cerchismo (non a caso è stato lui a invocare più volte, e non da oggi, provvedimenti disciplinari contro il sindaco ribelle).
Ma Tosi si prepara, sempre che le altre assemblee provinciali vengano convocate, a sfidare Gian Paolo Gobbo (che invece controlla in modo saldo la sua Treviso, città di cui è sindaco) per strappargli la segreteria della Liga veneta in un altrettanto ipotetico congresso regionale.
Il tutto nel silenzio di Luca Zaia, che da governatore è il leghista più rappresentativo. E proprio Gobbo è alle prese con un’altra grana, quella rappresentata dal suo vice in Comune Giancarlo Gentilini, anche lui stufo di sentir parlare di secessione, oltre che di Berlusconi.
Pure lo «sceriffo», come lo chiamano, rischia l’espulsione per aver dato ragione a Napolitano.
Grande disordine sotto il cielo, ma – sempre parafrasando Mao – la situazione per una Lega dilaniata non è affatto eccellente.
Rodolfo Sala
(da “La Repubblica“)
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Ottobre 4th, 2011 Riccardo Fucile
MARONI DIVENTA PRUDENTE: “MAI CHIESTO ELEZIONI”….SCONTRO CALDEROLI-TOSI…PER BOSSI “SE SI VA SOLI ALLE ELEZIONI VINCE LA SINISTRA”
Tira aria di tempesta nella Lega.
Umberto Bossi giura fedeltà al governo Berlusconi, poi irrompe nella delicata stagione dei congressi padani. E lo scontento tra le camicie verdi è sempre più esplosivo.
Domenica notte il Senatùr si è presentato a sorpresa alla festa di partito di Buguggiate, nel varesotto.
Gli uomini legati al Cerchio Magico – il cordone sanitario che dalla malattia circonda fisicamente Bossi e famiglia – hanno appena perso il congresso di Brescia e della Val Camonica in favore dei maroniani.
Così il “Capo” interviene: domenica si gioca la partita più importante, la provincia di Varese. E Bossi si schiera, sostiene Maurilio Canton, il candidato della Lega di famiglia
Si tratta del sindaco di Cadrezzate che – stando a quanto raccontano i leghisti della zona – al momento ha solo un terzo dei voti.
Troppo rischioso mandarlo a perdere nella provincia che è il cuore della Lega, il territorio da dove vengono tanto Bossi quanto Maroni, così come il cerchista Reguzzoni e il segretario lombardo Giorgetti, già nel mirino dei pretoriani di Gemonio.
Con il suo intervento Bossi fa saltare anche l’ultima mediazione alla ricerca di un candidato di sintesi.
Nel pomeriggio Maroni va in via Bellerio dove incontra il Capo circondato da Reguzzoni e Bricolo.
Cerca un chiarimento ma all’uscita deve precisare che il suo appoggio al referendum non guardava al voto anticipato (l’ipotesi aveva allarmato tutto il centrodestra): «Sono retroscena infondati, frutto di libera fantasia».
Il secondo scontro che fa tremare la Lega arriva dal Veneto.
Il sindaco di Verona Flavio Tosi, maroniano di ferro, liquida così una domanda su Napolitano per il quale la Padania non esiste: «È un dibattito che non serve, possiamo discutere se la Padania esista o meno, dove inizia o finisce. È filosofia, ma i problemi del Paese restano».
Così Tosi – già nel mirino per le ripetute dichiarazioni contro Berlusconi e il suo governo – viene stroncato da Calderoli: «Dissento profondamente, le sue dichiarazioni contrastano con le finalità del nostro statuto che il sindaco dovrebbe conoscere e rispettare».
Inevitabile la marcia indietro di Tosi, che si giustifica sottolineando di aver voluto evitare tensioni con il Colle.
Ma si combatte anche a Treviso, dove i vertici locali si riuniscono per decidere l’eventuale espulsione di un altro leghista scontento, l’ex sindaco-sceriffo Gentilini che si era detto d’accordo con Napolitano.
Anche se in serata il segretario provinciale, Antonio Da Re, placa gli animi dicendo che «non ci sarà nessuna espulsione», il clima resta incandescente con Castelli che ribadisce che chi non è d’accordo sull’indipendenza «vada in un altro partito» e Gentilini che ribadisce «l’Italia è una sola, quando avremo il 50% dei voti ne riparleremo».
Così la giornata della Lega finisce com’era iniziata, all’insegna delle minacce e della tensione.
Già , perchè Bossi nel comizio notturno aveva attaccato chi non si uniforma al pensiero unico dicendo che «nella Lega ultimamente vedo troppa gente che parla a vanvera, troppi geni» che chiedono di mollare Berlusconi.
Il Senatùr dice di avercela con chi «all’inizio della Lega non c’era» (quindi forse non con Maroni, ma con i suoi sì), torna a difendere la moglie (per molti ispiratrice del Cerchio Magico) dicendo che «i soldi per fare la Lega li ha messi la Manuela».
Poi parla di governo, dice che la Lega «è leale» e zittisce chi (la maggioranza del partito) non vuole più l’alleanza con il Cavaliere: «Alle elezioni si può andare da soli, però sapendo già che vince la sinistra».
Rilancia sulla Padania e a Napolitano dice che «è facile negare che esista per rassicurare, ma tutti hanno capito che l’Italia non tiene più».
Chiude con un attacco a Confindustria e a Della Valle: «Se gli imprenditori stanno gridando è perchè anche loro qualche difetto ce l’hanno, non c’è più nessuno che è capace di inventare un lavoro».
Alberto D’Argenio
(da “La Repubblica“)
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Ottobre 4th, 2011 Riccardo Fucile
FEDE. MORA, MINETTI: TUTTI E TRE A GIUDIZIO… LA MINETTI: “LE RAGAZZE LE PORTAVA TARANTINI”
Niente fan, niente contestatori: il B-Day si è consumato tutto all’interno del Palazzo di
Giustizia milanese.
Al primo piano, udienza del processo a Silvio Berlusconi, accusato di concussione e di prostituzione minorile, per aver pagato Karima El Mahroug in arte Ruby: il tribunale ha respinto le richieste degli avvocati Niccolò Ghedini e Piero Longo di bloccare il processo, in attesa che si pronunci la Corte costituzionale.
Dunque il dibattimento andrà avanti e presto comincerà , davanti ai giornalisti di tutto il mondo, la sfilata delle ragazze che partecipavano alle “cene eleganti” di Arcore.
Al settimo piano, udienza preliminare a carico dei tre accusati di essere i “fornitori” di carne fresca per le “cene eleganti”: Nicole Minetti, Lele Mora ed Emilio Fede sono stati rinviati a giudizio; per loro il dibattimento per induzione e favoreggiamento della prostituzione, anche minorile, comincerà il 21 novembre, davanti alla quinta sezione penale del tribunale di Milano.
Due a zero per la Procura di Milano.
Berlusconi sarà processato per due gravi reati, senza la prescrizione alle porte. E i suoi tre amici Fede, Mora e Minetti saranno sottoposti a un dibattimento destinato a confermare udienza dopo udienza i contorni del bunga-bunga: travestimenti da Bagaglino, spogliarelli da night di Podgorica, danze erotiche, statue di Priapo, scene saffiche recitate per uno, due vecchi, ricchi e soli; alla fine, distribuzione delle buste, zeppe di banconote da 500 euro.
Altro che “cene eleganti”.
Il B-Day, in questo memorabile 3 ottobre 2011, si consuma in assenza dei protagonisti principali: non è presente Silvio Berlusconi, non c’è Emilio Fede, è ricoverato in ospedale Lele Mora, nel frattempo incarcerato per bancarotta.
Non ci sono neppure i supporter, la pasionaria Daniela Santanchè, il senatore Mario Mantovani, il medico Angelo Zangrillo, che segue Silvio come un’ombra. C’è invece Nicole Minetti, accompagnata dal padre incravattato dentro un completo blu.
“Sono qui perchè volevo vedere e farmi vedere dal mio giudice”, ha spiegato. “Sono a pezzi, non ho dormito stanotte, tanto ero agitata”.
Il volto è però sereno e sorridente, giacca avvitata scura, jeans scuri, maglietta scura, un piccolo crocifisso che brilla al collo, borsa Prada, scarpe col tacco e la suola rossa, tipo Louboutin.
Ma ci sono soprattutto le ragazze che potranno diventare le vere protagoniste di questo processo.
Sono quelle che hanno rotto il fronte, che sono state ad Arcore, hanno visto il bunga-bunga con i loro occhi e hanno deciso di venirlo a raccontare in aula. Ambra Battilana e Chiara Danese arrivano presto da Torino, accompagnate dai loro avvocati Patrizia Bugnano e Stefano Castrale.
Imane Fadil, 26 anni, sale la scalinata del palazzo di giustizia poco dopo le 9, con a fianco l’avvocato Danila De Domenico, la sorella e il fratello, come lei arrivati a Milano da Fez, in Marocco.
Jeans stretti, camicetta bianca, sciarpetta allacciata al collo, stivaletti stringati con tacco alto.
“Fede è un bugiardo”, sussurra Imane. “I soldi non mi interessano, mi interessa la mia dignità . Mi sono ribellata perchè non ne potevo più”.
Quando il suo sguardo incrocia quello di Minetti, si fa di fuoco.
La prima parte dell’udienza al settimo piano, a porte chiuse davanti al giudice Maria Grazia Domanico, affronta il tema delle intercettazioni telefoniche.
Devono essere tutte trascritte, chiedono gli avvocati della difesa, Nadia Alecci e Gaetano Pecorella per Fede, Luca Giuliante e Nicola Avanzi per Mora, Pier Maria Corso per Minetti.
Manovra dilatoria, per tirare in lungo il processo, si oppongono il procuratore aggiunto Pietro Forno e il sostituto Antonio Sangermano.
I legali si oppongono anche all’utilizzo nel processo di documenti sui conti bancari di Berlusconi, da cui sono partiti i soldi per le ragazze del bunga-bunga. Il giudice decide: le carte bancarie potranno essere utilizzate; le telefonate da trascrivere saranno solo quelle indicate come pertinenti dalla procura.
Anche per un motivo tecnico: le difese non hanno indicato i numeri di riferimento delle intercettazioni che avrebbero voluto far trascrivere.
Poi l’udienza preliminare vera e propria, che decide il processo per i tre che, secondo l’accusa, portavano le ragazze al Drago e per questo sono accusati di induzione e favoreggiamento della prostituzione di 32 maggiorenni e della minorenne Ruby.
Il giudice sposta una data: il reato di induzione e favoreggiamento non sarebbe stato commesso (come segnalato dalla procura) dal settembre 2009, quando Fede incontra Ruby a un concorso di bellezza in Sicilia; ma dal dicembre successivo, quando la incrocia di nuovo a Milano.
Il direttore del Tg4 recita davanti alla telecamere la parte dell’imputato che non si stupisce: “Non avrei mai messo in dubbio che il giudice dell’udienza preliminare si mettesse contro quella parte della procura di Milano che ha tra i suoi rappresentanti l’erede di Di Pietro, Ilda Boccassini. Mi presenterò in tribunale sempre, anche nei giorni in cui non c’è udienza”.
La difesa Minetti aveva provato a dire che Berlusconi non aveva bisogno dell’igienista dentale diventata consigliera regionale per portare le ragazze alle feste, perchè il “fornitore” della Real Casa di Arcore era un altro, quel Gianpaolo Tarantini già sotto indagine a Bari.
Non ha convinto il giudice. Il processo si farà .
E le ragazze che hanno rotto il fronte, Ambra e Chiara e Imane, saranno testimoni-chiave per l’accusa.
Non solo: parti civili, pronte a chiedere i danni per essere finite additate come prostitute del bunga-bunga.
Gianni Barbacetto
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Ottobre 4th, 2011 Riccardo Fucile
NUOVE REGOLE AL VIA, LO STATO VUOLE INCASSARE 13 MILIARDI…SI DOVRA’ PAGARE ANCORA PRIMA DI UN PROCESSO CHE DEFINISCA CHI HA RAGIONE…MA NON SI DOVEVA AIUTARE CHI ERA RIMASTO INDIETRO?
L’Agenzia delle Entrate cala l’arma “fine del mondo” sui contribuenti: in modo silenzioso, dopo un rinvio estivo e tre rivisitazioni in altrettanti decreti, ventiquattro ore fa l’Agenzia ha offerto al mastino Equitalia uno strumento di rara efficacia.
Dopo 60 giorni dall’avviso al contribuente (“Devi pagare”, e si parla di debiti con lo Stato contratti a partire dal 2007, imposte sui redditi, Iva, Irap), l’Equitalia guidata da Attilio Befera, l’istituzione più temuta del paese, potrà attivare i suoi mezzi per recuperare il debito.
Senza muovere un passo, potrà iscrivere ipoteca sull’artigiano considerato infedele (facendo scattare una comunicazione alla centrale rischi delle banche con conseguente chiusura dei fidi), potrà pignorare il suo conto corrente (rendendo impossibile il pagamento di dipendenti e fornitori), avviare i pignoramenti presso terzi (sono i crediti dei clienti, Equitalia ha il potere di arrivare anche lì) e far partire le ganasce fiscali su auto e van posseduti.
Da ieri, il “titolo di debito” è immediatamente esecutivo: basta un avviso per considerarti in mora.
Non c’è più bisogno di istruire una cartella esattoriale che, ricorsi compresi, portava al saldo dell’eventuale debito entro 15-18 mesi.
Il problema è che in quattro casi su dieci i ricorsi davano ragione al contribuente.
Già .
Il ministro dell’Economia Giulio Tremonti ha chiesto al suo braccio destro Befera certezza di entrate, gli ha assegnato l’obiettivo 13 miliardi per la prossima raccolta fiscale e, quindi, gli ha offerto una legge che dà al Fisco poteri mai visti nella storia della Repubblica.
Entro 61 giorni dall’avviso – a prescindere dal fatto che l’avviso sia stato ricevuto o dorma in un ufficio delle Poste, in una Casa comunale – il contribuente o paga l’intera somma o contesta pagandone un terzo (più gli interessi maturati).
Si deve saldare prima ancora dell’istruzione di un processo amministrativo che definisca chi ha ragione.
Di fronte al ricorso del cittadino, per sei mesi gli agenti della riscossione non potranno avviare pignoramenti, ma potranno ipotecare una casa e bloccare un’auto.
Se Equitalia, poi, si convince che c’è “fondato pericolo” di perdere il credito, ha il mandato per fare quello che crede: sequestrare una pensione, mandare un bene all’asta immobiliare.
Se il colpito dimostrerà di avere problemi di liquidità – novità della terza e ultima rivisitazione – chiederà a un giudice tributario una sospensiva per fermare l’azione (per 150-180 giorni) oppure aderirà a un concordato (sconto con trattativa).
«Non esiste più diritto alla difesa, devi versare che tu abbia torto o ragione», attacca l’avvocato Alberto Goffi, consigliere regionale Udc del Piemonte, riferimento della rivolta anti-Equitalia.
«Si sta colpendo chi ha fatto dichiarazioni fedeli e oggi, a causa della crisi, non è in grado di pagare le tasse. Non puoi impugnare quello che hai dichiarato, è la condanna a morte delle imprese oneste».
Pietro Giordano, segretario Adiconsum: «Con questi tassi prossimi all’usura crescerà il debito dei contribuenti, le misure introdotte a luglio vengono vanificate».
Già , sull’onda delle sconfitte alle amministrative e le conseguenti urla della Lega («tutta colpa di Equitalia»), a inizio estate il governo innalzò a 20 mila euro il tetto per l’ipoteca sulla prima casa, pretese due avvisi prima di apporre le ganasce fiscali e allungò a 72 mesi le rate per i debiti.
Quindi, per cercare di diminuire il gigantesco contenzioso fermo nelle commissioni di ricorso, l’Agenzia ha avviato un mini-condono per chi aveva contestato.
Ieri, però, è stata sguainata l’arma letale: “60 giorni per pagare”.
A fine mese arriverà il redditometro, quindi il carcere per gli evasori.
I dirigenti dell’Agenzia: «Ora possiamo andare avanti spediti, gli esattori punteranno al sodo. Usciamo dall’Ottocento, entriamo nel Duemila».
Corrado Zunino
(da “La Repubblica“)
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Ottobre 4th, 2011 Riccardo Fucile
DALLA CONSULENZA DI 240.000 EURO ALL’AMICO DI TOSI ALLA PROJECT MANAGER DEL CENTRO OSPEDALIERO DA 400.000 EURO NEL SALERNITANO… NON CAMBIA MAI NULLA: PIU’ CLIENTELE, PIU’ VOTI
Se avessero vergogna si fermerebbero. Ma non hanno vergogna. 
Se avessero timore di concludere anticipatamente e ingloriosamente la carriera politica, si fermerebbero. Ma dov’è la paura, qual è il timore?
Più clientele e più voti, più sprechi e più voti.
Immersi in una crisi economica senza precedenti una moltiutudine di facce di bronzo, di volti bugiardi e irresponsabili, comunica che è tempo di tirare la cinghia.
Iniziando dal buco nero del bilancio: la salute pubblica.
Come sempre terreno fertile di un sistema immarcescibile è la sanità .
Bisogna tirare la cinghia e prima cosa, allora: accorpare gli ospedali. Sono troppi e costano troppo. Togliere corsie e letti, rianimatori e chirurghi. Accorpare.
Al sud chiudono gli ospedali dei territori più derelitti, poveri e lontani dai centri abitati.
E’ un costo che non possiamo permetterci, l’avete capito o no?
Per farcelo capire meglio il governo regionale della Campania ha delegato la nefrologa Sara Caropreso a project manager per la realizzazione del presidio ospedaliero della Valle del Sele, nel salernitano.
Via l’ospedale di Battipaglia, via quello di Eboli, via quello di Roccadaspide, via quello di Oliveto Citra, tutti in provincia di Salerno.
Uno solo, bello, a pianta larga e finalmente moderno, per tutti e quattro.
Uno di quelli dall’architettura innovativa, dal design di Renzo Piano.
Come dice la legge, come vuole la legge.
Realizzato in prossimità dello svincolo autostradale, in questo caso di Eboli.
Come dice la legge, come vuole la legge.
E quanto costerà questo nuovo ospedale? Solo 400 milioni di euro.
La signora Caropreso, project manager, alla angosciata collega del Corriere del Mezzogiorno che al suono di tanti milioni di euro quasi sviene e chiede se per caso non abbia sbagliato a contare i milioni, quattrocento o quaranta?, e se non sia uno spreco questa montagna di soldi, risponde: “No, a conti fatti risparmiamo 50 milioni di euro all’anno”.
Magnifico, e come si risparmiano tanti soldi?
“Gli ospedali vanno costruiti nei pressi degli svincoli autostradali”.
E qui alla brava intervistatrice viene il capogiro.
Un ospedale a pianta larga, e proprio allo svincolo autostradale di Battipaglia, sette chilometri più a nord, esiste già .
Potrebbe essere ampliato, ristrutturato. Basterebbero pochi spiccioli rispetto alle centinaia di milioni che la manager della sanità si accinge a spendere.
La manager offre una risposta da conservare in bacheca: “Faccia domande più coerenti”.
In Italia non c’è resa del conto.
E bisognerebbe invece chiedere conto a chi l’ha nominata.
Chi ha nominato la signora Caropreso?
Il presidente della giunta regionale, Stefano Caldoro, sa qualcosa?
E’ forse stata nominata perchè amica dell’onorevole Edomondo Cirielli? E chi è costui? Ex carabiniere poi attratto dalla politica.
Prima con Fini, ora contro Fini e con Berlusconi.
Deputato, presidente della commissione Difesa e presidente della provincia di Salerno. Tre poltrone in un solo corpo.
Così lo Stato risparmia le indennità .
Amicizie non sempre all’altezza ma sguardo meridionale e federalista: chiede, e forse otterrà , oltre che le sue amicizie vengano premiate in ruoli pubblici di primo piano, anche, pensate un po’, che la sua provincia, Salerno, si stacchi da Napoli e dalla Campania e divenga regione autonoma, e prenda il nome di Principato di Citra.
Non è una barzelletta, è la verità .
Sono quelli del nord però a indicare la retta via.
Tra di essi il sindaco di Verona vanta un’ottima esperienza amministrativa. E’ stato assessore regionale alla sanità del Veneto.
E qui si vede che la corsia d’ospedale è l’ultimo luogo dove resistono, anche oltre il Po, le sezioni di partito. Anche a Verona.
La sanità veneta soffre di gravi disturbi e una acuta crisi economica.
Alti costi, alti indebitamenti, offerta ridondante.
I padani sanno far di conto al pari dei loro colleghi del sud.
E per agevolare un immediato, risolutivo rientro nei limiti della spesa, hanno voluto che il segretario generale della Sanità veneta, il super burocrate Domenico Mantoan, godesse del contributo di un vero super consulente.
E visto, così reca il decreto di nomina, che non era possibile “avvalersi, con risultati ottimali, del personale regionale e di quello dello Stato”, retribuiti a norma di legge ma chiaramente incapaci. E visto anche che il super consulente doveva essere davvero super, caratteristica irrintracciabile tra gli otto dirigenti, i 23 direttori generali e i 24 direttori amministrativi delle locali Asl, è stato chiamato alla funzione il settantenne Michele Romano.
Per due anni e alla modica cifra di 240 mila euro il Romano, nonnetto della salute veneta, veterano dei conti Asl molto amico del dottor Tosi, sindaco leghista di Verona, e quindi — per proprietà transitiva — del governatore del Veneto (leghista) Luca Zaia, procederà ad elargire consigli, piani e programmi di rientro.
Oltre a un ottimo stipendio avrà tutta la comprensione e l’aiuto necessari.
Recita il decreto di nomina: “uffici, attrezzature e una segreteria dotata del numero idoneo di unità funzionali”.
Evviva la terza età !
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Ottobre 4th, 2011 Riccardo Fucile
DA RICUCCI A TARANTINI I PM COSTRETTI A CHIEDERE PROROGHE OGNI 15 GIORNI AL COLLEGIO DEI GIUDICI DEL CAPOLUOGO
Ha sempre avuto due obiettivi la legge Alfano sulle intercettazioni.
Sin da quando è stata presentata in Consiglio dei ministri, era il giugno del 2008, governo Berlusconi fresco di un mese.
Complicare, fino ad ostacolarla, la vita dei pm nel permettersi la registrazione di una telefonata per avere la prova di un reato, ridurre di fatto il numero delle conversazioni sotto controllo con la scusa che “costano troppo”.
Vietare del tutto la possibilità di pubblicare le intercettazioni comunque sopravvissute sui giornali.
Berlusconi avrebbe voluto una legge monstre, intercettazioni “solo per reati di mafia e di terrorismo”, niente corruzione, nessun reato punito fino a dieci anni, il doppio del limite attuale.
Il progetto iniziale non è passato, gli indizi sono rimasti “gravi” (li si volevano “evidenti”), ma resta una legge che costringerà i pm a chiedere proroghe ogni 15 giorni, dimostrando ogni volta che c’è un’effettiva necessità di tenere le microspie aperte.
Egli dovrà rivolgersi a un collegio di tre giudici, che ha sede solo nel capoluogo del distretto, per ottenere gli ascolti.
Sarà un’odissea.
Quanto ai giornali il bavaglio è assicurato. Pieno e totale. Ascolti blindati.
Nessuna intercettazione potrà mai essere pubblicata, nè integrale, nè tantomeno per riassunto o nel contenuto. Un buco nero fino al processo.
Tutte le clamorose telefonate uscite in questi anni, dai “furbetti del quartierino” (lo diceva Stefano Ricucci nel 2005 nel pieno della scalata ad Antonveneta), per finire “alla patonza deve girare” detto da Berlusconi a Tarantini nell’estate 2008, tutto dovrà restare chiuso nel fascicolo del pm.
Anche se queste telefonate saranno contenute nelle ordinanze di custodia cautelare, quindi conosciute dagli avvocati, non potranno in nessuna forma essere raccontate sui giornali. Sarà censura.
Non c’è altro nome possibile per definire le conseguenze della futura legge.
I DIVIETI
Si potrà ancora pubblicare l’intercettazione di Berlusconi che definisce “l’Italia un paese di m…”
Quella telefonata, registrata il 24 agosto tra il Cavaliere e il giornalista-faccendiere Valter Lavitola, contenuta negli atti dell’inchiesta di Napoli ora passata a Bari, se fosse stata in vigore la nuova legge sugli ascolti, non sarebbe mai potuta uscire sui giornali.
Nè quella, nè tutte le altre conversazioni tra Tarantini e Lavitola.
E neppure le telefonate tra Tarantini e Berlusconi depositate a Bari con la chiusura delle indagini. Tutto segreto, nè pubblicabile neppure “nel contenuto o per riassunto”.
– Quando si potrà conoscere la telefonata tra Tarantini e Lavitola in cui il primo definisce “terrificanti” le sue conversazioni con Berlusconi del 2008?
Potrebbero passare degli anni, tanti quanti ne servono a fare il processo, prima di poter leggere quella conversazioni.
Essa, come tutte le altre, sarà completamente segretata. Bisognerà aspettare il pubblico dibattimento per poterla conoscere e quindi riferire sui giornali.
Resterà invece segreta per sempre, chiusa in un armadio blindato in procura, se alla fine l’inchiesta dovesse essere archiviata.
– Si potranno pubblicare le ordinanze d’arresto e gli atti depositati dai pm per gli avvocati di fronte al gip o al Tribunale del riesame?
Nessuna ordinanza, nè atto del fascicolo del pm, verbali, relazioni della polizia, perizie tecniche, potrà essere pubblicato integralmente sui giornali.
Tutto dovrà restare segreto e riservato.
È ammesso un resoconto “nel contenuto”, ma soltanto quando i difensori degli imputati avranno avuto conoscenza delle carte. Il fascicolo del pm, nella sua interezza, potrà diventare noto solo dopo la sentenza d’appello.
GLI OSTACOLI
Il pm potrà intercettare le persone sotto inchiesta, se permane un indizio di reato, per tutto il tempo che serve o avrà dei limiti temporali?
Per i reati con una pena fino a cinque anni, il pm potrà all’inizio intercettare per 30 giorni, e poi per altri 45, ma con tre distinte proroghe.
In seguito, solo se egli è in grado di provare che sussistono “elementi fondamentali per l’accertamento del reato”, il pm potrà chiedere altre autorizzazioni, che però saranno sempre di 15 giorni ciascuna.
Il pm potrà , come oggi, chiedere al gip che sta nello stesso Palazzo di Giustizia di autorizzare l’intercettazione e chiedergli altresì le proroghe
Non sarà più il gip il referente del pm per chiedere e ottenere un’intercettazione.
Il pm dovrà rivolgersi al tribunale collegiale, cioè a tre giudici che dovranno decidere insieme se un telefono può essere messo sotto controllo oppure se si può richiedere un tabulato telefonico. Questa procedura andrà seguita per ogni intercettazione e, al suo interno, per ogni proroga ogni 15 giorni.
Chi vuole registrare la conversazione di qualcuno per poi fornirne una prova di quanto gli è stato chiesto potrà continuare a farlo come avviene oggi?
Con la nuova legge rischia di essere punito con una pena fino a tre anni.
La norma prende spunto dal caso D’Addario, la escort barese che registrò le telefonate con il premier e poi produsse i nastri davanti al pm di Bari Pino Scelsi.
Il cosiddetto comma D’Addario, introdotto al Senato, considera fraudolente le registrazioni e le eventuali riprese e ne punisce l’uso “senza il consenso degli interessati”.
Liana Milella
(da “La Repubblica“)
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Ottobre 4th, 2011 Riccardo Fucile
ECCO L’IMPATTO DEI TAGLI ALLE DETRAZIONI, CON IL RITORNO DELL’IRPEF SULLA PRIMA CASA….CONFESERCENTI: FRANCIA E GERMANIA IN DIECI ANNI LE HANNO TAGLIATE, NOI ALZATE
La caccia disperata alle risorse per far fronte alla frana dei conti pubblici e al
contenimento del debito, rischia di far passare in secondo piano la questione fiscale.
Ed in invece l’Italia sta per salire in testa alla classifica degli Stati che spremono più soldi dalle tasche dei contribuenti.
Soprattutto dopo la manovra d’agosto.
Un fenomeno più grave di quanto rivelino i documenti ufficiali.
Andiamo per ordine.
La pressione fiscale, secondo i dati della «nota di aggiornamento» al Def (Documento di economia e finanza) pubblicato il 22 settembre scorso, salirà in modo rilevante.
Lo ammette anche il governo tant’è che le stime ufficiali parlano di un incremento di circa 1 punto percentuale dal 2010, quando la pressione si collocava al 42,6 del Pil al 2014 quando arriverà al 43,7 per cento.
Un balzo notevole, soprattutto se si pensa alle parole d’ordine del centrodestra berlusconiano che ha affrontato campagne elettorali vincenti brandendo lo slogan liberista «meno tasse per tutti» e ha speso 2 miliardi per eliminare l’Ici dalla prima casa.
Ma i dati ufficiali, come dimostra uno studio della Confesercenti, non dicono tutta la verità : in realtà la pressione fiscale già nel 2013 raggiungerà , con un salto di 2,2 punti, il record storico del 44,8 per cento, stracciando ampiamente il «primato» segnato durante la rincorsa all’euro di Prodi nel 1997 (quando si toccò quota 43,3 per cento).
E collocandosi in vetta all’Europa, consolidando con tutta probabilità il sorpasso della Francia già effettuato tre anni fa.
Nella «nota di aggiornamento» non viene infatti considerata l’applicazione della «clausola di salvaguardia» cui è affidato il compito di portare a casa, a regime nel 2014, un totale di 20 miliardi grazie al taglio e al riordino della giungla delle agevolazioni fiscali.
Meno detrazioni e deduzioni e dunque più tasse: a partire, ad esempio, dal ritorno dell’Irpef sulla prima casa. Il paradosso sta nel fatto – come argomenta lo studio – che i 20 miliardi sono stati calcolati ai fini del raggiungimento dei saldi di finanza pubblica e del cosiddetto «pareggio di bilancio», ma non per l’effetto che avranno sull’aumento della pressione fiscale.
Lo tsunami delle tasse – il cui vento già si è fatto sentire con una serie di imposte «federali», dalle imposte di soggiorno, all’aumento delle addizionali comunali, a quello dei balzelli provinciali sulla Rc auto e sui passaggi di proprietà – soffierà ancora più forte dopo le manovre d’agosto.
Il 60 per cento dell’intervento, da circa 60 miliardi, è infatti costituito da entrate.
Nell’elenco: l’aumento dell’Iva, dell’Irap per banche e assicurazioni, dell’Ires per l’energia, rendite finanziarie, contributo di solidarietà e tassa sui depositi dei titoli di Stato.
A conti fatti l’Italia rischia la maglia nera in Europa: nei primi dieci anni del nuovo millennio il nostro paese è stato uno dei pochi che ha visto crescere la tassazione (quasi due punti di Pil) in un contesto in cui gli altri hanno ridotto le imposte (4 punti in meno in Svezia, oltre 2 in Francia e Spagna e 2 in Germania).
Oggi rischiamo di peggiorare la situazione.
«I dati testimoniano – spiega Marco Venturi, presidente della Confesercenti – che la pressione fiscale diventerà sempre più insopportabile se non ci saranno correzioni di rotta rapide. Agire ancora sulla spesa fiscale sarebbe un vero boomerang, bisogna tagliare le spese, soprattutto quelle improduttive».
Roberto Petrini
(da “la Repubblica“)
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Ottobre 4th, 2011 Riccardo Fucile
IN ATTESA DELLA PRONUNCIA DELLA CONSULTA, DIETRO IL QUESITO ELETTORALE SI GIOCA LA PARTITA DELLE ALLEANZE… IL PREMIER, PER EVITARE IL REFERENDUM, POTREBBE PUNTARE A ELEZIONI ANTICIPATE
“Pungolo” o “grimaldello” che sia, il possibile via libera al referendum elettorale che punta ad abolire l’ormai famigerato Porcellum per tornare al Mattarellum, apre scenari e interrogativi su quello che potrà essere il nuovo sistema elettorale italiano.
E su chi ne beneficerà maggiormente.
Infatti, se l’attuale Porcellum sarà abolito e si ritornerà al ‘Mattarellum’, gli ingranaggi della politica potrebbero rimettersi in movimento.
Anche perchè la legge elettorale è materia delicatissima.
Al punto che la caduta del governo Prodi arrivò proprio in occasione dei negoziati sulle nuove regole elettorali (con la conseguente rivolta dei partitini).
I promotori del referendum hanno consegnato le firme in Cassazione, primo vaglio di validità , in attesa della pronuncia della Corte costituzionale.
Perchè è quella la spada di Damocle che incombe sull’iter referendario.
La possibilità che la Consulta bocci il referendum dichiarandolo incostituzionale perchè porterebbe una vacatio legis del parlamento.
Nell’attesa, però, le grandi manovre sono già in atto.
Partendo da due punti.
Il primo: il Mattarellum non piace al Pdl, alla Lega, all’Udc e anche a una parte del Pd.
Il secondo: la riforma elettorale è strettamente connessa alla precaria situazione politica.
E’ chiaro infatti che gli scenari che si aprono divergono a seconda della permanenza dell’attuale governo fino alla scadenza naturale della legislatura, della nascita di un nuovo esecutivo di larghe intese o dI elezioni anticipate.
Schierati a spada tratta per il ritorno al Mattarellum sono l’Idv di Di Pietro, Sel di Vendola, la Rete dei referendari di Segni, il Pli, Popolari (ex asinello).
La logica che si porta dietro il Mattarellum è quella delle grandi coalizioni (solo il 25% è proporzionale).
Ipotesi che a Di Pietro e Vendola piace.
Senza contare che i due hanno da tempo sposato l’onda lunga referendaria come nel caso dell’acqua pubblica.
Più complessa la posizione del Pd che, nelle settimane scorse, ha messo sul tavolo una disciplina che ricalcherebbe il sistema ungherese: in pratica un misto di maggioritario a doppio turno, proporzionale con diritto di tribuna.
Bersani, viste le divisioni interne, ha evitato di schierarsi apertamente a favore del referendum. Da una parte spiegando che “non tocca ai dirigenti di partito promuovere referendum” e ribadendo che la via maestra è quella parlamentare, dall’altra mettendo a disposizione le feste del Pd per raccogliere le firme.
Non è un mistero, però, che la freddezza del segretario sia anche legata alla nettà contrarietà dell’Udc nei confronti del referendum.
Del Mattarellum Casini non vuol sentire parlare anche perchè un sistema che privilegi le grandi coalizioni rischierebbe di mettere l’Udc (e in neonato Terzo Polo) in una situazione di marginalità .
Per questo i centristi chiedono da sempre un sistema proporzionale con ritorno alle preferenze anche se Casini, convinto che l’unica via di riforma possibile debba essere quella parlamentare, ha offerto una sponda a Bersani: “Noi siamo per il proporzionale alla tedesca ma possiamo, l’ho detto anche a Bersani, a discutere del loro disegno di legge”.
Apparentemente più netta la posizione di Fli: “Se il Pdl fosse tentato da una nuova legge elettorale contro il Terzo Polo si renderebbe inevitabile un’alleanza tecnica e costituzionale con il centrosinistra e con il Pd in tutti i collegi”.
Come dire: a mali estremi, estremi rimedi.
Eppoi c’è la Lega che, nei mesi scorsi, non ha chiuso le porte al ritorno al proporzionale anche perchè il Mattarellum obbligherebbe il Carroccio ad allearsi, in una fase in cui il dopo Pdl senza Berlusconi è tutto da disegnare.
Meglio avere le mani libere, dunque.
Chi invece non ha ancora scoperto le carte è il Pdl.
L’attuale legge ha permesso al centrodestra di poter godere su di una solida maggioranza parlamentare e, in passato il Cavaliere ha sempre detto che non aveva intenzione di cambiarla, ritenendolo un sistema in grado di garantire la governabilità e il bipolarismo.
Adesso, però, qualcosa sembra muoversi.
Non a caso il neosegretario Alfano ha tratteggiato un abbozzo di proposta articolata su due punti: stop ai parlamentari nominati, ma il bipolarismo non si discute.
In pratica si tratterebbe di un’ipotesi che, pur mantenendo in vita l’attuale sistema nei suoi aspetti fondamentali, andrebbe incontro alle richieste di correzioni che sono state avanzate da più parti, a cominciare dall’esigenza di superare il sistema delle liste bloccate o comunque di consentire agli elettori di scegliere i propri rappresentanti.
Un altro punto sul quale intervenire potrebbe essere il premio di maggioranza e anche su questo aspetto la proposta studiata dal Pdl prevede un intervento che pur non accogliendo la richiesta di abolizione del meccanismo tuttavia lo corregge.
Ma anche in questo caso, come per il Pd, la nuova legge elettorale diventa uno strumento di dialogo con l’Udc. In particolare per chi, nel Pdl, punta ad un processo di “riunificazione del centrodestra”.
I centristi, per adesso, frenano: “Il Terzo polo andrà da solo alle elezioni, perchè serve un’alternativa di serietà “.
Ed è a questo punto che occorre fare un passo indietro e interrogarsi su quelli che potrebbero essere gli scenari politici.
A partire dal fatto che Berlusconi potrebbe far saltare il banco.
Lo dice, senza mezzi termini, il presidente lombardo Roberto Formigoni: “Siccome la legge elettorale che uscirebbe dal referendum è assolutamente contraria agli interessi nostri potremmo essere portati ad andare ad elezioni nel 2012”.
Con il Porcellum, che tante gioie ha regalato al Cavaliere.
E pazienza se, a dispetto di tante promesse, gli elettori si troveranno nuovamente a “scegliere” candidati imposti dall’alto.
Matteo Tonelli
(da “La Repubblica“)
argomento: Berlusconi, Bersani, Bossi, Costume, governo, Parlamento, Politica | Commenta »