PERCHÉ NESSUNO CERCA LAVITOLA? NON SI E’ MAI VISTO UNO STATO CHE NON FA NULLA PER RINTRACCIARE UN LATITANTE
SIAMO ALLA FARSA: IL MINISTRO DEGLI INTERNI PANAMENSE DICE DI AVER VISTO LAVITOLA, MA NESSUNA AUTORITA’ ITALIANA SI E’ MAI FATTA VIVA PER NOTIFICARGLI CHE IL SOGGETTO E’ UN LATITANTE
Per Lavitola non esiste alcun mandato di cattura dell’Interpol.
“L’ho visto e ci siamo salutati”. Parola di Josè Mulino, ministro dell’Interno panamense, il Maroni dei Caraibi che — se il mandato di cattura esistesse, al contrario di quanto sostiene — Lavitola avrebbe dovuto farlo arrestare.
Accade anche questo, nel “caso” Lavitola, e che “Valterino” fosse a Panama nei giorni scorsi — almeno intorno a metà settembre — lo dice chiaramente il ministro dell’Interno panamense. Mulino lo dice persino nell’assemblea del suo Parlamento, sancendo così la massima ufficialità alle proprie parole.
Lo scrive il quotidiano La Prensa, il 15 settembre, sottolineando che Mulino, in precedenza, aveva negato che Lavitola fosse un consulente di Finmeccanica — ma il contratto del colosso industriale italiano non lascia dubbi — e che “Valterino”, in realtà , fosse il “segretario personale di Silvio Berlusconi”.
Non si tratta di sfumature se si aggiunge un ulteriore dettaglio: Mulino ha accusato l’ex ministro degli esteri panamensi, Juan Carlos Varela, di aver pagato troppo Finmeccanica (333,3 milioni di dollari) per la commessa di elicotteri, radar e cartografia destinata al paese sudamericano. Mulino quindi accusa Varela di non aver trattato con un consulente di Finmeccanica, ma con il “segretario privato” di Berlusconi, e lancia sospetti su una presunta corruzione nella trattativa.
E così, nel consumare il suo scontro con Varela, il 15 settembre Mulino consegna al Parlamento e ai cronisti panamensi due notizie importanti.
E non soltanto a loro: queste notizie dovrebbero interessare chiunque stia cercando di riconsegnare allo Stato italiano il latitante che chiudeva affari per Finmeccanica ed è intimo amico del premier.
La prima notizia: Mulino ha incontrato Lavitola a Panama, esattamente come Valera, e l’ha salutato dicendogli: “Ciao, come va?”.
La seconda: “Per Lavitola non esiste alcun ordine di cattura da parte dell’Interpol”.
E il nostro governo, nel frattempo, che fa?
Davvero il mandato di cattura internazionale non esiste?
In caso di latitanza all’estero, il passaggio alle forze di polizia internazionali è una prassi.
E quindi: se il mandato di cattura internazionale esiste, come si comporterà il nostro Paese con Panama e il ministro Mulino, che ha salutato Lavitola con una pacca sulla spalla, lasciandolo andar via, come se nulla fosse?
Di certo c’è solo che il ministro degli esteri Franco Frattini aveva annunciato l’avvio di procedure formali per raggiungere il “latitante amico di Berlusconi”.
La Farnesina ha spiegato qual è l’ufficiale controffensiva italiana: il 27 settembre Frattini ha scritto al nostro ambasciatore a Panama , chiedendogli di verificare se Lavitola è lì.
Insomma: lo Stato italiano si rivolge a se stesso, cioè a un proprio ambasciatore, e non al governo panamense dove, peraltro, siede un ministro — Mulino, appunto — che Lavitola l’ha incontrato e salutato affettuosamente.
Non solo: l’ha anche dichiarato ufficialmente, in Parlamento, ben due settimane fa.
Oltre Mulino, l’unico ad aver “incontrato” Lavitola è Enrico Mentana, direttore di Bersaglio Mobile, che l’ha intervistato in tv con un collegamento via satellite la scorsa settimana: nessuna procura però, almeno fino a ieri, gli ha chiesto notizie o acquisizione di video.
Eppure i magistrati che indagano su Lavitola sono parecchi: in particolare le procure di Roma e Bari, dove sono approdati, con diverse ipotesi di reato, i fascicoli che hanno spinto il gip di Napoli a chiederne l’arresto.
Nè Roma, nè Bari, hanno avanzato richieste ufficiali a Mentana.
L’unica novità , per il momento, è l’iscrizione di Lavitola nel registro degli indagati, a Bari, per il reato di “induzione a rendere false dichiarazioni all’autorità giudiziaria barese”.
Insomma uno strano modo di procedere del governo italiano nei confronti del loro compagno di merende.
Vittorio Malagutti e Antonio Massari
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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