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GOVERNO IN CONFUSIONE: VOTA PER NON FINANZIARE PIU’ IL PONTE SULLO STRETTO DI MESSINA

Ottobre 27th, 2011 Riccardo Fucile

IL GOVERNO AVEVA PREVISTO UN FINANZIAMENTO DI 1,8 MILIONI DI EURO…APPPROVATA INVECE UNA MOZIONE DELL’IDV CHE BLOCCA DI FATTO I FONDI E SU CUI LA MAGGIORANZA SI E’ ASTENUTA… IL VICEMINISTRO MISITI DA’ PARERE FAVOREVOLE ALLA MOZIONE E POI VIENE CAZZIATO DA MATTEOLI: SIAMO ALLA FARSA

Stop ai finanziamenti, pari a quasi due miliardi di euro, che il governo aveva previsto per la realizzazione del ponte sullo stretto di Messina, una delle grandi opere più volte annunciate dall’esecutivo guidato da Silvio Berlusconi. Lo ha deciso oggi la Camera, in seguito ad una mozione che era stata presentata dall’Italia dei Valori.
Al momento della votazione la maggioranza si è astenuta, nonostante proprio il governo, attraverso il viceministro alle Infrastrutture Aurelio Misiti (nominato poco più di una settimana fa) avesse dato parere favorevole alla mozione.
Il viceministro di Matteoli aveva poi chiesto ulteriori modifiche alla mozione, che però non erano state accolte dal partito di Antonio Di Pietro.
La mozione approvata impegna l’esecutivo “alla soppressione dei finanziamenti che il Governo ha previsto per la realizzazione del ponte sullo Stretto di Messina, pari complessivamente a 1 miliardo e 770 milioni di euro, di cui 470 milioni per il solo anno 2012 quale contributo ad Anas s.p.a. per la sottoscrizione e l’esecuzione — a partire dal 2012 — di aumenti di capitale della società  Stretto di Messina s.p.a.”.
Eppure lo scorso 16 ottobre, il titolare delle Infrastrutture Altero Matteoli aveva assicurato che il ponte sullo Stretto di Messina sarebbe stato realizzato “a prescindere dall’eventuale finanziamento della Ue”.
A Bruxelles, infatti, nell’ultima lista delle priorità  strategiche per le grandi reti transeuropee, l’opera che collega l’isola siciliana allo stivale non era stata inserita.
Matteoli aveva comunque precisato che le risorse sarebbero state “reperite sul mercato, come previsto dal piano finanziario allegato al progetto definitivo”.
Il Ministro Matteoli aveva anche aggiunto che il ponte “per il governo resta una priorità  essenziale per lo sviluppo del sistema dei trasporti dell’Italia”.
E oggi, dopo il voto in Aula, il ministo ha fatto notare che le parole del suo vice costituivano “un parere a titolo personale, che non corrisponde a quanto pensa il Governo nè tantomeno il sottoscritto”.
I soldi che dovevano servire per il ponte saranno ora utilizzati per potenziare il trasporto pubblico locale:
Nella mozione si prevede infatti che il governo “incrementi, come richiesto dalla Conferenza delle regioni, la dotazione del fondo per il finanziamento del trasporto pubblico locale”.
Sulla decisione è intervenuto anche il Wwf che in un comunicato ha definito la decisione “il miglior modo per festeggiare il decennale della legge obiettivo varata nel 2001″.
Secondo l’associzione ambientalista, poi, quella di oggi “è la cronaca del fallimento in campo economico-finanziario e ambientale della politica faraonica delle cosiddette infrastrutture strategiche, di cui il ponte rappresenta ‘l’opera farsa’ per gli italiani onesti e ‘l’opera bandiera’ per il governo in carica”.

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RACCOLTA DI FIRME NEL PDL CONTRO BERLUSCONI: “FACCIA UN PASSO INDIETRO”

Ottobre 27th, 2011 Riccardo Fucile

L’AGENZIA AGI PARLA DI UN DOCUMENTO, PER ORA ANONIMO, CHE GIRA IN PARLAMENTO PER SFIDUCIARE IL PREMIER… IGNOTI I FIRMATARI, OCCHI PUNTATI SU PISANU E SCAJOLA, URBANI E DINI…OBIETTIVO ALLARGARE LA MAGGIORANZA ED EVITARE ELEZIONI ANTICIPATE

Ancora non si sa chi sono i firmatari, ma il testo della lettera già  c’è.
E’ quella che gli scontenti del Pdl stanno per inviare al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi al fine di chiedergli un passo indietro, passando la mano a Gianni Letta, e di allargare la maggioranza.
Il motivo? Poter dar corso agli impegni assunti con l’Ue.
Indiscrezioni non verificate attribuiscono l’iniziativa ai seguaci del senatore Beppe Pisanu, che punterebbe a mettere insieme una sessantina di parlamentari non più disposti ad appoggiare il governo.
Pisanu però smentisce: “’Non ho ideato, nè dettato, nè tanto meno sottoscritto la lettere di di cui si parla”.
Altri “indiziati”, come sponsor dell’iniziativa, Lamberto Dini (anche lui smentisce: “Non sono al corrente”) e Giuliano Urbani.
Si pensa anche agli uomini di Claudio Scajola, ma anche in questo caso arriva a stretto giro la smentita, attraverso uno dei fedelissimi dell’ex ministro imperiese, il senatore Franco Orsi: ”Di questa iniziativa non so nulla e nessuno mi ha informato”.
La missiva inizierebbe con un “caro presidente Berlusconi”, seguito dal rinnovo della fedeltà  dei firmatari nei confronti del premier, di cui gli scontenti sottolineano i “grandi meriti politici” e a cui chiedono di poter continuare a sostenerlo.
Ci sentiamo in dovere — si legge nella bozza del documento — con la lealtà  e la sincerità  che ti abbiamo sempre dimostrato, di rappresentarti il nostro critico convincimento sulla situazione politica dell’attuale maggioranza parlamentare che sostiene il tuo Governo. Dobbiamo oggettivamente registrare che l’esiguità  dei numeri, in particolare alla Camera, non consente a questo Governo di poter affrontare neanche l’ordinario svolgimento dei lavori parlamentari, e tanto meno quindi, di dare quelle risposte, anche molto impegnative sul piano del consenso sociale, che la drammatica situazione economico finanziaria richiede”.
Subito dopo, però, arriva puntuale la stoccata.
I frondisti lanciano un appello chiaro: senza un cambio di passo non potranno più garantire il loro sostegno.
Tutto questo “per non finire su un binario morto” perchè “è tempo di rilanciare l’azione politica, allargare la maggioranza parlamentare alle forze che tradizionalmente hanno fatto parte della nostra coalizione e dare una svolta all’azione di Governo”.
Secondo gli estensori del documento, riporta ancora l’Agi, il premier dovrebbe passare la mano a Gianni Letta, un minuto dopo si troverebbe un accordo politico-programmatico con l’Udc, Fli e l’Api per affrontare subito le emergenze economiche in Parlamento.
Spiega all’agenzia un senatore che aderisce alla fronda, ma che vuole restare anonimo: “Nessuno vuole pugnalare Berlusconi alle spalle, sia lui ad indicare il nome. Si deciderà  tutto nei prossimi dieci giorni”.
Al momento, però, non c’è accordo tra i “malpancisti”: “Ci sono tanti — aggiunge la stessa fonte — che non hanno il coraggio di uscire pubblicamente. Si aspetta che succeda un incidente parlamentare, ma il malessere è diffuso”.
I ‘pisaniani’ sono in contatto con Pier Ferdinando Casini e Lorenzo Cesa, anche se l’Udc chiede che il presidente del Consiglio esca di scena senza precondizioni.
Gli scajoliani si sono affrettati a sottolineare la propria estraneità  dall’iniziativa.
Più che un appello, quindi, un ultimatum vero e proprio.
La lettera, del resto, potrebbe essere l’esito della lunga riunione di ieri a cui hanno preso parte una quindicina di senatori con Beppe Pisanu o anche degli incontri degli scajoliani e tra diversi altri esponenti del Pdl.
Chiunque siano i firmatari, il messaggio lanciato è inequivocabile, specie alla luce la lettera discussa ieri a Bruxelles dal premier.
“Le misure che ci chiede Bruxelles — spiega uno dei frondisti intervistato dall’agenzia Agi, che preferisce restare anonimo — sono molto impegnative, questo governo non è in grado di attuare i provvedimenti di cui ha parlato il presidente del Consiglio”.
Tra i “malpancisti” del Pdl che di recente erano usciti allo scoperto per mettere in discussione il presidente del consiglio, la stessa agenzia cita “Saro, Pisanu, Amato, Santini, Lauro, Del Pennino”.
Tra i favorevoli all’allargamento della maggioranza, uno dei punti sottolineati nella lettera, ci sono anche “Sardelli, Milo, Gava e Destro”.
E a ispirare l’inizativa, secondo fonti parlamentari del Pdl, sarebbero Lamberto Dini e Giuliano Urbani.
Anche tra gli scajoliani c’è chi avverte la necessità  di svoltare pagina.
“La crisi — dice Roberto Antonione — non ci permette più di perdere tempo. Occorre aprire ad una nuova fase e costruire poi una coalizione per giocarci la partita delle prossime elezioni”.
Antonione riferisce che molti parlamentari sono contrari all’ipotesi delle urne l’anno prossimo.
“Non ci possiamo mica suicidare con le elezioni anticipate, non possiamo — aggiunge — giocare una partita per perdere ma per vincere”.
Mentre monta il caso politico, il segretario del Pdl Angelino Alfano nega di essere a conoscenza della missiva: ”Non mi risultano lettere di Scajola nè di nessuno. Quando riceveremo una lettera in questo senso ce ne occuperemo. Non commento documenti fantomatici, senza firme”.
E ancora: “Se conoscete qualcuno che ha firmato quella lettera ditemelo. A me non risulta”.

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IL TIMES: “L’ITALIA FAREBBE BENE A DISFARSI DI BERLUSCONI: E’ UN PAGLIACCIO E UN CODARDO”

Ottobre 27th, 2011 Riccardo Fucile

UNA VIGNETTA DOVE IL PREMIER TOCCA IL FONDOSCHIENA ALLA MERKEL…”LA SUA INCAPACITA’ DI GOVERNARE LA TERZA MAGGIORE ECONOMIA D’EUROPA HA DISTRUTTO LA SUA CREDIBILITA’ POLITICA E ORA PONE UNA MINACCIA A TUTTI I PARTNER EUROPEI”

“La caduta dell’Italia”.
Si intitola così, senza mezzi termini, l’editoriale che apre la pagina dei commenti di oggi del Times di Londra.
E così come il Financial Times qualche giorno or sono, ora anche un altro tra i più autorevoli quotidiani britannici e d’Europa descrive una situazione sempre più allarmante per il nostro paese, con conseguenze pericolose per tutta l’eurozona, suggerendo una soluzione urgente: le dimissioni immediate di Silvio Berlusconi.
“L’Italia farebbe bene a disfarsi di Berlusconi”, comincia l’editoriale non firmato, dunque espressione della direzione del giornale.
“Non sono semplicemente delle sue avventure sessuali, dell’ombra della corruzione e della volgarità  dei suoi commenti machisti, ad avere fatto perdere la pazienza ai suoi compatrioti. E’ la sua totale incapacità , dopo un totale di otto anni al potere, di riformare il corpo politico e mantenere le promesse. La sua incapacità  di governare la terza maggiore economia d’Europa ha distrutto la sua credibilità  politica e ora pone una minaccia esistenziale a tutti i partner dell’Italia nell’eurozona”.
Il Times ricorda i sorrisini di scherno scambiati tra la Merkel e Sarkozy al summit della Ue a proposito dell’impegno di Berlusconi per rimettere in ordine il suo paese: “Quegli sguardi dicono tutto. L’Europa non ne può più di questo pagliaccesco primo ministro, la cui irresponsabilità  e codardia politica hanno aggravato l’attuale crisi”. l’Italia, prosegue l’articolo, è oggi di conseguenza “sull’orlo del disastro finanziario, e se l’Italia non può essere salvata, non ci sarà  salvezza nemmeno per l’euro”.
L’editoriale afferma che, senza l’accordo dell’ultimo minuto con Bossi, Berlusconi si sarebbe dovuto dimettere, il presidente Napolitano avrebbe potuto assegnare un incarico a un governo tecnico ad interim in grado di apparovare le urgenti misure necessarie all’Italia e all’Europa.
Ma il compromesso tra Berlusconi e Bossi è la “soluzione peggiore”, continua il Times, perchè la Banca Centrale Europea, senza un calendario di riforme di austerità , non potrà  acquistare i titoli di stato italiani nella quantità  necessaria a evitare una bancarotta a causa del debito.
E gli italiani perderanno tempo con una elezione anticipata senza avere prima risolto i problemi più gravi.
“Tutto viene rinviato da un primo ministro spaventato dalla reazione degli elettori”, conclude il Times.
“Due mesi fa questo giornale avvertì che l’irresponsabilità  di Berlusconi stava trasformando un problema locale in un disastro d’emergenza. Quel disastro ha ora avvolto l’Italia e i suoi vicini. Il miglior servizio che il primo ministro italiano potrebbe rendere adesso al proprio paese è dimettersi immediatamente”.

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FIGURACCIA DI BERLUSCONI IN TV: “LA MERKEL SI E’ SCUSATA PER I RISOLINI”, MA POCO DOPO ARRIVA LA SMENTITA DELLA CANCELLIERA TEDESCA

Ottobre 27th, 2011 Riccardo Fucile

POI IL PREMIER CHIEDE UN PASSO INDIETRO DI BINI SMAGHI DA VESPA E ARRIVA LA RISPOSTA DA PARIGI: “NON SERVONO GLI APPELLI IN TV, BISOGNA SAPER MANTENERE GLI IMPEGNI” …E SARKOZY HA EVITATO DI DARGLI LA MANO DAVANTI AI MEDIA

Silvio Berlusconi incassa il sì dell’Unione Europea al piano per la crescita e la riduzione del debito e, in collegamento telefonico con Porta a Porta, lancia un appello a Bini Smaghi perchè si dimetta dal board della Bce: “Deve lasciare, ci crea problemi con la Francia.
“E’ stato nominato dal governo – continua il premier – oggi il governo gli chiede di dimettersi per non creare un casus belli”.
Il premier ha ovviamente parlato anche delle misure contenute nella lettera inviata all’Ue: “Tutti hanno apprezzato i tempi e i provvedimenti, giudicandoli efficaci per contrastare la situazione di crisi”.
I provvedimenti previsti, ha continuato il premier, saranno approvati “nei prossimi mesi” e “mi auguro un comportamento responsabile dell’opposizione che dovrebbe impegnarsi a votare con noi perchè non sono misure che riguardano l’interesse della maggioranza ma di tutti gli italiani e che rappresentano per l’Italia un impegno nei confronti dell’Europa”.
Berlusconi affronta anche il tema dell’ironia con cui Angela Merkel e Nicolas Sarkozy hanno risposto domenica a una domanda sulle rassicurazioni italiane: “La signora Merkel è venuta a scusarsi e mi ha detto che non c’era nessuna intenzione di denigrare l’Italia. Con lei i rapporti sono cordialissimi”.
Rapporti cordiali confermati dal portavoce della Merkel, che però smentisce seccamente le scuse. In un tweet, Steffen Siebert ha risposto così a chi gli chiedeva un commento sull’affermazione di Berlusconi: “Nessuna scusa perchè non c’era nulla di cui scusarsi”.
“Con Sarkozy – ha continuato il Cavaliere – non ho avuto modo di parlare. Non ci siamo incontrati. Purtroppo con la Francia c’è il caso di Bini Smaghi che non aiuta”.
Che la situazione con la Francia sia un po’ tesa lo confermano anche le parole del presidente francese nella notte, dopo l’accordo sul debito della Grecia.
“L’Italia ha due membri nel board della Bce. Sono felice per lei, ma non è una situazione che può continuare finchè non c’è alcun francese”.
E continua: “Ho la massima stima per Bini Smaghi, ma mi ero impegnato a sostenere la candidatura di Mario Draghi in cambio di impegni precisi”.
Poi la stoccata contro l’appello fatto dal premier Silvio Berlusconi: “È sempre meglio mantenere gli impegni. Non so se la televisione sia il modo migliore per farlo”.
A Porta a Porta, Berlusconi smentisce anche il patto con Umberto Bossi per andare al voto a marzo 8: “Inesistente, arriveremo al 2013”.
Infine, su una delle misure 9 contenute nella lettera di 15 pagine inviata alla Ue, quella sui licenziamenti più facili, spiega: “Le aziende in crisi potranno licenziare”, ma lo Stato aiuterà  queste persone “con la cassa integrazione a trovare un nuovo lavoro”.

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ORA SI SCOPRE CHE I 67 ANNI NEL 2026 ERANO GIA’ PREVISTI: SILVIO HA BLEFFATO

Ottobre 27th, 2011 Riccardo Fucile

NELLA LETTERA INVIATA ALL’EUROPA IN REALTA’ VI SONO VINCOLI MENO SEVERI DI QUELLI GIA’ PREVISTI QUESTA ESTATE DALLA LEGGE 111 DEL 2011 CHE PARLAVA GIA’ DI 67 ANNI E 7 MESI… IL VERO TERRENO DI RIFORMA ERA L’ANZIANITA’ DOVE NON CAMBIA NULLA

Un bluff. Un’incomprensione. Nella migliore delle ipotesi un giallo.
Oppure come in Alice una “non-riforma”.
La linea dell’Italia, come espressa dalla lettera di Berlusconi alla Ue, è quella che le pensioni di anzianità  e vecchiaia vanno bene così, come sono state modificate dalla manovra d’estate, niente di più.
Nulla si tocca sull’anzianità , in base al “nyet” di Bossi: si andrà  a “quota 97” nel 2013 (ovvero 62 anni anagrafici e 35 di versamenti), come regolarmente previsto dalla riforma Prodi-Damiano.
Ma l’equivoco più grosso – avvalorato dall’intervento del ministro Gelmini a Ballarò di martedì sera che ha spacciato la cosa per una novità  – è sulla vecchiaia.
Non ci sarà  infatti alcun innalzamento dell’età  per la pensione di vecchiaia perchè nel 2026 è già  previsto dalla manovra d’estate (legge 111 del 2011) che si vada in pensione a 66 anni e 7 mesi.
A questa età , per calcolare il momento effettivo del pensionamento, bisogna aggiungere tuttavia un anno, come previsto dalla recente introduzione della cosiddetta “finestra mobile” che impone a tutti di aspettare dodici mesi prima del ritiro dell’assegno.
A conti fatti dunque nel 2026 si andrà  in pensione, come previsto dalla vigente normativa, a 67 anni.
Anzi, per la precisione la normativa attuale è già  più severa di quella che sembra garantire Berlusconi all’Europa, perchè il traguardo della vecchiaia in base alla manovra d’estate, che peraltro ha accelerato la partenza del processo di due anni (al 2013), potrà  essere tagliato solo a 67 anni e 7 mesi.
Infatti, come è evidente da una tabella di fonte Inps che tiene conto delle proiezioni demografiche Istat, dal 2013 l’età  di vecchiaia salirà  in base alle cosiddette “aspettative medie di vita” di tre mesi ogni tre anni.
Grazie a queste riforme in Italia il traguardo dei 65 anni è rimasto in vita solo dal punto di vista “legale”, perchè “aspettative di vita” e “finestra mobile” fanno sì che già  dal prossimo anno si andrà  in vecchiaia a 66 anni, nel 2013 a 66 anni e tre mesi, nel 2019 a 66 anni e 11 mesi fino a raggiungere – come accennato – i fatidici 67 anni e 7 mesi nel 2026.
Tutto scritto e votato dal Parlamento, perchè la prima versione della riforma sulle “aspettative di vita” risale alla legge 122 del 2010.
“Si ripercorre il cammino realizzato con le norme vigenti e resta aperto il nodo dell’anzianità “, conferma Giuliano Cazzola (Pdl).
Anche per le donne la lettera del governo italiano a Bruxelles promette l’immobilità . Infatti la manovra d’estate ha messo in moto un meccanismo di accelerazione che parte blandamente dal 2014 (con l’aumento di un mese) e via via sale fino al 2026. Anche in questo caso al meccanismo bisogna sommare le “aspettative di vita” e la “finestra mobile”: così facendo, come dimostra la tabella Inps-Istat, nel 2026 l’età  effettiva di pensionamento delle lavoratrici del settore privato sarà  di 67 anni e 7 mesi. La novità  dei due calcoli comparati sta nel fatto che donne e uomini nel 2026, quanto a pensione di vecchiaia, raggiungeranno una parità  sostanziale: sommate le varie riforme andranno entrambi in pensione effettiva a 67 anni e 7 mesi.
Detto ciò, il nostro sistema, che mantiene l’atipicità  europea delle pensioni di anzianità  oggetto del pressing della Bce, darà  le seguenti opzioni.
Chi potrà , perchè come molti lavoratori garantiti del Nord ha una storia contributiva forte, sfrutterà  l’occasione di andare in pensione dal prossimo anno a “quota 96” (ovvero con 61 anni di età  anagrafica e 35 di contributi) o nel 2013, quando il meccanismo di innalzamento si fermerà  con 62 anni e 35 di versamenti.
Meglio ancora si troverà  chi, avendo lavorato per 40 anni, potrà  sfruttare il “semaforo verde” permanente che prescinde dall’età  anagrafica.
Chi invece ha una storia contributiva frammentata, dovrà  tirare la carretta: fino a 67,7 anni nell’anno di grazia 2026.

Roberto Petrini
(da “La Repubblica”)

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TAGLI ALLA CASTA, LA CAMERA CI RIPENSA: SCHERZAVAMO

Ottobre 27th, 2011 Riccardo Fucile

PER IL 2011 MONTECITORIO CHIEDE GLI STESSI FONDI DEL 2011

«Cavallo magro corre più forte». Parola di Roberto Calderoli, che a settembre annunciava trionfante un «disegno di legge di riforma costituzionale per dimezzare il numero dei parlamentari».
Ma come può dimagrire, quel cavallo, se hanno già  deciso di dargli da mangiare come prima?
Così è: la Camera vuole – fino al 2014 – gli stessi soldi di oggi.
Una delle due: o i tagli sono una frottola o pensano che i parlamentari dimezzati costeranno il doppio.
In ogni caso pensano che i cittadini siano così grulli da non vedere la truffa.
Eppure, a sentire la grancassa di promesse di questi mesi, pareva tutto già  deciso.
Lo stesso Cavaliere («dobbiamo abolire il numero enorme di parlamentari dalle prossime elezioni») aveva insistito: l’iter doveva essere «urgente».
Che vogliano tagliare davvero, però, è un’altra faccenda.
E prendere sul serio le promesse fatte per placare l’ira dei cittadini chiamati a fare sacrifici e andare in pensione sempre più tardi, stavolta, è ancora più difficile del solito.
La prova? A dispetto della crisi, degli ultimatum europei, delle fatiche di Sisifo sulle pensioni, dei sorrisetti di Nicolas Sarkozy e di Angela Merkel proprio sulla nostra affidabilità , la Camera ha avvertito il Tesoro che avrà  bisogno della stessa dose di biada del 2012 e 2013 anche per il 2014.
Quando, a dar retta a Calderoli, il cavallo troppo grasso dovrebbe aver perso già  metà  del suo peso.
La lettera è arrivata sul tavolo di Giulio Tremonti qualche giorno fa, mentre si diffondevano le voci che la doppia manovra economica non basterà  e alla vigilia di un nuovo pressing di Bruxelles.
«Signor ministro Le comunico che l’Ufficio di presidenza ha deliberato di mantenere l’importo della dotazione per l’anno finanziario 2014 nella medesima misura già  prevista per gli anni 2012 e 2013. L’importo della dotazione richiesta per ciascun anno del triennio 2012-2014 è quindi pari a euro 992.000.000».
Firmato: il segretario generale Ugo Zampetti.
Una richiesta sfacciata. Tanto più dopo tutte le chiacchiere della maggioranza sui «tagli epocali» e dopo quanto è accaduto in questo primo tratto del secolo, definito dalla Banca d’Italia «decennio orribile».
Durante il quale il prodotto interno lordo pro capite è crollato del 5% mentre le spese di Montecitorio crescevano fino a sfondare il 41%.
Lo sanno che cosa si prepara, gli autori di quella lettera che batte cassa, per il 2014?
La pressione fiscale schizzerà  al record storico del 44,8%.
Il debito pubblico salito ormai al 120,6% del Pil non riuscirà  a calare, nonostante la manovra da 145 miliardi, sotto il 112,6%.
E secondo il Fondo monetario internazionale si consoliderà  il sorpasso dell’India, che nel 1993 aveva meno di un terzo del nostro Pil ma ha già  messo la freccia per superarci, come già  hanno fatto il Brasile e ormai dieci anni fa la Cina.
E la nostra Camera ci farà  il regalo di chiedere ai contribuenti gli stessi soldi che chiede oggi? Quale eroismo! Grazie…
Semplicemente avvilente il raffronto con una istituzione paragonabile, come la britannica House of Commons, che di deputati ne ha 650, venti più dei nostri, ma nonostante questo ha un livello di spese correnti (meno di 500 milioni di euro) pari a neanche metà  di quelle di Montecitorio.
Differenziale assolutamente in linea con l’abisso che separa i livelli retributivi delle due istituzioni. Basti dire che Jack Malcolm, il capo dell’amministrazione del parlamento del Regno Unito, ha una retribuzione di 235 mila euro: metà  di quanto guadagna il nostro «pari grado».
Ma non basta.
Entro l’anno fiscale 31 marzo 2014-31 marzo 2015 la Camera bassa britannica vuole ridurre i propri costi di un altro 17%. Un taglio netto.
Raddoppiato rispetto alla sforbiciata del 9% per il 2013 già  decisa l’anno scorso.
Una scelta seria, «in linea con il resto del settore pubblico». I tempi sono così bui da obbligare a tagliare la scuola o la sanità ? I tagli alla «Casta» britannica devono essere uguali. Così che nessuno possa parlare di privilegi e privilegiati.
Domanda: perchè lassù, dove morde la stessa crisi, il trattamento delle Camere è allineato a quello di tutta l’amministrazione e da noi no?
Cosa c’entrano i «costi della democrazia»?
I numeri dell’ultima legge di stabilità  parlano chiarissimo. Depurata dal costo del debito pubblico, la spesa statale italiana nel 2014 sarà  inferiore del 4,5% a quella prevista per il 2012. Circa 20,3 miliardi in meno.
Lo stanziamento per gli «organi costituzionali, a rilevanza costituzionale e presidenza del consiglio», cioè Camera, Senato, Quirinale, Consulta, Csm, Consiglio di Stato, Corte dei conti, Cnel e palazzo Chigi resterà  invece intatto: 2 miliardi e 981 milioni di euro.
Lo stesso di oggi.
Ma non avevano detto di aver tagliato? Avevamo capito male?
Riprendiamo quanto dichiarò a verbale il 2 agosto il questore della Camera Francesco Colucci: «Nel triennio 2011-2013 il bilancio dello Stato potrà  beneficiare di una minor richiesta di dotazione da parte della Camera pari a 75 milioni di euro».
Commenti degli osservatori «ingenui»: però!
E via coi calcoli: se quest’anno per mantenere Montecitorio paghiamo 992,8 milioni fra due anni vorrà  dire che si ridurranno a 917,8.
No: resteranno sempre 992,8.
E quei 75 milioni? Semplice: sono gli aumenti cui la Camera ha deciso di rinunciare. Quindici milioni per il 2012, più 30 per il 2013 e ancora 30 ai quali l’amministrazione aveva già  rinunciato più di due anni prima, nell’aprile del 2009.
Per capirci: come le baionette di Mussolini. Contate e ricontate, scusate il bisticcio, per mascherare i conti.
La verità  è che mentre le borse crollavano e il governo si apprestava a raddoppiare la già  dolorosa manovra di luglio, la Camera tagliava le spese correnti del 2011 di un misero 0,71% e il Senato di un ancor più impalpabile 0,34%.
Ed è inutile ricordare, come già  i lettori sanno, che Montecitorio potrebbe alleggerire assai la richiesta di denaro alle casse dello Stato: le basterebbe rompere il «salvadanaio» e usare i 369 milioni di avanzi di cassa accumulati nel corso degli anni e custoditi nei conti correnti bancari.
O anche, perchè no, mettere a disposizione almeno parte del ricco «Fondo di solidarietà » dei deputati: un tesoretto creato negli anni grazie pure ai generosi contributi della Camera e che ha una liquidità  di ben 180 milioni eccedente le necessità  per cui è stato costituito, pagare le liquidazioni dei deputati.
Non bastasse, ieri pomeriggio è arrivata la ciliegina sulla torta.
Un’agenzia LaPresse : «Per gli assenteisti in commissione decurtazione della diaria, mentre per i “sempre presenti” un incentivo. Saranno queste le misure in discussione domani durante la riunione dell’ufficio di presidenza della Camera».
Traduzione: i parlamentari pagati per stare in Parlamento se staranno sul serio in Parlamento verranno pagati di più.
Un capolavoro.
Possiamo sommessamente ricordare che un ritocco così piacerebbe anche ai maestri (più soldi se vanno a scuola), agli autisti d’autobus (più soldi se si mettono al volante), ai centralinisti (più soldi se rispondono al centralino) e così via?
Diranno: ma non ci sono soldi!
Appunto…

Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella
(da “il Corriere della Sera”)

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LE MANI DELLE MULTINAZIONALI SUI PRODOTTI AGRICOLI: BREVETTI, POMODORI E BROCCOLI COME AUTO DI LUSSO

Ottobre 27th, 2011 Riccardo Fucile

LE GRANDI AZIENDE INTERNAZIONALI SI STANNO GARANTENDO L’ESCLUSIVA SU MOLTI ALIMENTI… CHI VORRA’ COLTIVARLI SARA’ COSTRETTO A PAGARE UNA ROYALTY CON UN INEVITABILE AUMENTO DEI COSTI PER PRODUTTORI E CONSUMATORI

Pomodori, patate, broccoli, ogni altro alimento. Oggi li comprate al negozio, al mercatino sotto casa, al supermarket.
Dovrete sempre continuare a farlo per nutrirvi, ovviamente, ma in un futuro prossimo potrà  costare più caro a voi consumatori e ancor più caro ai produttori, perchè le grandi multinazionali dell’agroalimentare brevettano all’Epo (European patents office, ufficio europeo dei brevetti, sede Monaco di Baviera) queste produzioni, e quindi in sostanza se ne assicurano l’esclusiva.
Contro questa pratica, incompatibile con normative e leggi della stessa Ue, si terrà  a Monaco una manifestazione internazionale.
Il brevetto per strappare al resto del mondo l’esclusiva della patata, del pomodoro, del broccolo, della bistecca, secondo le associazioni di difesa della natura e della materia vivente come Equivita in Italia, è ormai una strategia portata avanti a carte scoperte da multinazionali come Monsanto, Dupont, Syngenta, Bayer, Basf solo per citare alcune tra le più potenti.
L’Ufficio europeo dei brevetti annullerà  il ricorso contro il brevetto sul broccolo (EP10698199), ed è convocata la manifestazione davanti alla sua sede nella capitale bavarese.
Poi seguirà  il brevetto sul pomodoro (EP1211926). In altre parole, per spiegare tutto ai profani: chi vorrà  coltivare pomodori dovrà  pagare ogni anno al detentore del brevetto, cioè a una multinazionale, una royalty, un diritto di brevetto.
Cioè coltivare broccoli o pomodori, materia vivente e patrimonio alimentare comune dell’umanità , verrà  equiparato a produrre una bella Bmw o Mercedes, ovviamente diritto esclusivo del produttore d’auto, e dei suoi team di ingegneri, ricercatori e operai che hanno sviluppato l’auto messa poi in vendita.
Un pomodoro o un broccolo come un’auto di lusso, ti saluto consumatore e cittadino. La produzione indipendente di verdure di cui l’umanità  si nutre da millenni verrà  quasi equiparata all’attività  di chi, come le industrie cinesi controllate dal sistema totalitario al potere a Pechino, produce e vende copie spudorate di auto, treni ad alta velocità  o aerei i cui originali sono stati costosamente studiati, elaborati, sperimentati e prodotti nel mondo libero, dall’Europa al Nord America, dal Giappone alla Corea del Sud.
Conseguenza: agricoltori e allevatori, soprattutto nel terzo mondo ma anche da noi in Europa, rischieranno di andare in rovina, e molti di loro ci andranno davvero, mentre non andranno in rovina le industrie di proprietà  del partito-Stato cinese che copiano i prodotti originali dell’industria europea, giapponese, nordamericana, sudcoreana. Paradossale ma rischiamo proprio questo.
E i consumatori pagheranno il conto col carovita, quindi peggio che comprare una copia cinese a buon mercato di un prodotto europeo.
Le decisioni dell’Epo, notano le organizzazioni di difesa della natura e della materia vivente, contraddicono l’articolo 53b della convenzione europea dei brevetti e l’articolo 4 della direttiva europea sulla brevettabilità  del vivente.
Sembra linguaggio ostico da addetti ai lavori, ma tradotto in pratica significa che le multinazionali non avranno più solo in mano i brevetti esclusivi del cibo transgenico, bensì anche del cibo tout court.
E’ una strada strisciante verso la cancellazione della sovranità  alimentare degli Stati e delle economie e la privatizzazione della materia vivente.
Se brevetti il broccolo o il pomodoro, detto in soldoni, l’agricoltore ovunque nel mondo dovrà  pagarti ogni anno i diritti, con pesanti conseguenze per la sua sopravvivenza economica e per il prezzo al consumo.
Come ha detto Kerstin Lanje di Misereor, “in tempi in cui quasi due miliardi di persone soffrono la fame è semplicemente immorale far crescere i prezzi degli alimenti creando monopoli dei brevetti”.

Andrea Tarquini
(da “La Repubblica”)

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SEGRETI, BUGIE E DEPISTAGGI: I MISTERI DI VIA D’AMELIO

Ottobre 27th, 2011 Riccardo Fucile

NELL’ATTENTATO DEL 12 LUGLIO 1992 MORIRONO IL GIUDICE PAOLO BORSELLINO E 5 UOMINI DELLA SUA SCORTA…DEPOSITATE A CATANIA LE OLTRE 1000 PAGINE   PER LA REVISIONE DEL PROCESSO: AFFIORANO SOSPETTI SUI SERVIZI SEGRETI

‘U tignusu, Gaspare Spatuzza, aveva deciso di saltare il fosso, di raccontare «la verità », quel 26 giugno del 2008, quando fu sentito per la prima volta dalle procure di Palermo, Caltanissetta e Firenze, che indagavano sulle stragi.
E quando il procuratore nisseno, Sergio Lari, gli rivolse la prima domanda – «Ma lei cosa sa di via D’Amelio?» – apparve subito chiaro, dalle prime risposte, che Spatuzza avrebbe «riscritto» 16 anni di indagini, inchieste, processi e sentenze.
«Sono stato incaricato di un furto di una 126… quando mi venne di fare questo furto di 126 il mio pensiero andò a Chinnici (Rocco, giudice istruttore di Palermo, ucciso da Cosa nostra, ndr) all’epoca perchè saltò su una 126 e a questo punto io non sapevo a che cosa mi stavo prestando… quindi assieme a Vittorio Tutino abbiamo fatto il furto di una 126 che poi l’ho messa… l’ho tenuta io in consegna… e l’ho tenuta in due diversi magazzini questa 126…».
Quel verbale fa parte della memoria (1140 pagine) della Procura di Caltanissetta depositata insieme alla richiesta di revisione dei processi Borsellino, dal procuratore generale nisseno, Roberto Scarpinato, alla Corte d’appello di Catania che dovrà  decidere se scarcerare per la strage Borsellino undici mafiosi estranei alla vicenda.
Ma insieme a quelle di Spatuzza, ci sono le rivelazioni dell’autista del boss del mandamento di Brancaccio, Giuseppe Graviano, Fabio Tranchina, che racconta: «Probabilmente Giuseppe Graviano ha premuto il telecomando appostato all’interno di un agrumeto nei pressi del luogo dell’attentato, in via D’Amelio».
La revisione del processo Borsellino comporta anche l’individuazione dei veri responsabili materiali della strage del 19 luglio del 1992, 56 giorni dopo la strage Falcone.
E la procura ha già  inoltrato all’ufficio del gip una corposa richiesta di misure cautelari.
Ma il malessere della Procura, che affiora dalla lettura delle carte, è quel dubbio che il procuratore generale Scarpinato riassume in una sua considerazione: «Se Spatuzza dice la verità , siamo di fronte a un clamoroso errore investigativo prima e giudiziario poi, magari determinato dall’ansia di dare una pronta risposta all’opinione pubblica allarmata e disorientata dall’escalation stragista, ovvero il risultato di un vero e proprio depistaggio».
Insomma, errore investigativo o depistaggio?
Scarpinato non ha una sua tesi, aspetta che la Procura decida il da farsi, avendo indagato tre funzionari di polizia del pool investigativo Falcone-Borsellino diretto da Arnaldo La Barbera (deceduto alcuni anni fa), e non avendo ancora stilato le conclusioni perchè, spiega Scarpinato, non sono stati trovati ancora «sufficienti elementi di riscontro alle accuse formulate nei loro confronti».
Ma il procuratore generale aggiunge, a proposito del depistaggio, che «in questa seconda inquietante ipotesi, occorre cercare di capire se si fosse voluta coprire la responsabilità  di soggetti esterni a Cosa nostra, astrattamente riconducibili ad (…) apparati deviati dei servizi segreti, o a organizzazioni terroristiche-eversive».
Certo è che i pilastri dei processi Borsellino uno e due si sono rivelati inesistenti.
Stiamo parlando delle dichiarazioni rese dai pentiti Vincenzo Scarantino, Salvatore Candura e Francesco Andriotta.
I tre che si autoaccusarono e accusarono altri mafiosi della strage Borsellino pur sapendoli innocenti. E sono loro che adesso puntano il dito sul gruppo di investigatori di Arnaldo La Barbera dipingendoli come quelli che suggerirono e pilotarono le loro dichiarazioni.
Annota il pool della Procura di Caltanissetta, dopo aver riletto tutti gli atti dell’inchiesta Borsellino e riscontrato le nuove rivelazioni di pentiti messe a confronto con testimoni: «Non si tratta solo di trovare le tessere mancanti del mosaico, ma le tessere false che qualcuno aveva inserito quasi certamente».
In attesa che si compia questa ricostruzione processuale del contesto della strage Borsellino, Gaspare Spatuzza ha recuperato diverse tessere del mosaico noto, sostituendole e riempiendo dei vuoti.
Per esempio, ha saputo indicare la via dove fu rubata la Fiat 126 della signora Pietrina Valenti, dove fu parcheggiata, come fu rubata. Secondo Scandura, con uno «spadino». Secondo Spatuzza, «con una forzatura del bloccasterzo».
E poi, ‘U tignusu precisa che la Fiat 126 «aveva problemi alla frizione e all’impianto frenante», rivelando anche l’identità  del meccanico a cui si rivolse per aggiustare l’auto.
Ma è Fabio Tranchina, l’autista del boss Giuseppe Graviano, che chiarisce il ruolo chiave del padrino del mandamento di Brancaccio, il mafioso indicato come in rapporti con Marcello Dell’Utri, forte della consuetudine di rappresentante di un mandamento tradizionalmente «dialogante», nel tempo, con la politica, le istituzioni e la massoneria.
«Inoltre, sempre come ho già  riferito, accompagnai Giuseppe Graviano a fare almeno due sopralluoghi in via D’Amelio, dopo averlo accompagnato nel magazzino di via Tranchina.
Il secondo sopralluogo è avvenuto nella settimana che ha preceduto l’attentato, a distanza di circa due settimane dal primo, che è dunque avvenuto ai primi del mese di luglio. Rammento che nel corso del secondo sopralluogo Giuseppe Graviano mi chiese di rallentare ma di non fermarmi perchè mi disse “questa è una zona che scotta”.
Non potevo ignorare che in occasione del primo sopralluogo avvenuto, come ho detto, nei primi del mese di luglio, Giuseppe Graviano mi aveva chiesto di reperire un appartamento proprio in via D’Amelio e che, dopo il secondo sopralluogo, preso atto che non ero riuscito a procurarlo, mi disse che si sarebbe “accomodato nel giardino”».
E fu lui probabilmente a premere il pulsante, da dietro la rete.
Così disse Fabio Tranchina.

Francesco La Licata e Guido Ruotolo
(da “La Repubblica“)

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L’ECONOMISTA ALAIN MINC: “IL VERO PROBLEMA E’ BERLUSCONI: SE USCISSE DI SCENA LA CRISI SAREBBE RISOLTA”

Ottobre 27th, 2011 Riccardo Fucile

PARLA IL FAMOSO ECONOMISTA FRANCESE, CONSIGLIERE DI SARKOZY: “NON ABBIAMO PIU’ VOGLIA DI RIDERE, SOFFRITE DI UN DEFICIT DI CREDIBILITA'”…”BASTEREBBE UN CAMBIO DI LEADERSHIP PER RASSICURARE I MERCATI”

«Il problema dell’Europa oggi è Berlusconi. Se miracolosamente il vostro primo ministro uscisse di scena, allora gran parte dell’attuale crisi sarebbe risolta». All’Eliseo non è più tempo di risate nè di battute.
Per Alain Minc, uno dei più fidati consiglieri di Sarkozy, «le sorti dell’Eurozona sono legate all’esito delle trattative a Roma».
Nel suo studio di avenue Georges V, l’economista francese chiede di essere aggiornato sui negoziati a Palazzo Chigi. «Aspettiamo con ansia che l’Italia non sia più umiliata e torni ad essere quel grande Paese che è»
Intanto lo scherno del presidente francese e della Cancelliera tedesca in conferenza stampa è sembrato fuori luogo.
«Berlusconi cerca di trasformare il discredito che pesa su di lui in un attacco all’Italia. Non è così. Le assicuro che nessuno ha più voglia di ridere, i francesi meno degli altri. Per Sarkozy sarebbe tutto più semplice se potesse contare su un leader italiano credibile e al suo fianco al tavolo dei negoziati con la Germania».
Cosa si aspettano Sarkozy e Merkel dal governo italiano?
«E’ stato spiegato al vostro primo ministro che l’Europa non si accontenterà  più di generici impegni. Berlusconi deve portare riforme precise e vincolate se vuole che si attivi il meccanismo europeo di solidarietà ».
Ci sono anche molte divisioni nell’asse franco-tedesco.
«L’accordo si troverà  e sarà  sufficientemente ambizioso da garantirci una tregua di qualche mese. Il nuovo meccanismo finanziario serve a mettere delle stampelle al vostro debito finchè c’è Berlusconi. Senza di lui, l’attuale impianto europeo avrebbe già  mezzi e strumenti sufficienti per affrontare la crisi. L’esempio della Spagna ce lo dimostra».
Il giudizio dei mercati sull’Italia non le pare ingiusto?
«E’ un problema psicologico. Manca la freddezza necessaria per valutare i vostri fondamentali, che in parte sono buoni. Soffrite di un deficit di credibilità . Non rimane che sperare che la Provvidenza cambi la leadership italiana, sostituendo Berlusconi con Mario Monti, ad esempio».
Convocare elezioni anticipate, come ha fatto Zapatero?
«Diversamente dalla Spagna, da voi non sembra esserci uno spirito europeo bipartisan. In questa fase, un governo tecnico permetterebbe di superare l’emergenza. Ho citato Monti perchè sarebbe una garanzia di rigore».
Per il Cavaliere, la crisi è dovuta alla fragilità  delle banche franco-tedesche.
«Forse Berlusconi non legge l’inglese e non ha visto gli articoli dell’Economist. In ogni caso, anche la Francia attraversa una congiuntura difficile, bisognerà  rivedere al ribasso le stime di crescita e fare nuovi tagli».
Il risanamento proseguirà  nonostante l’avvicinarsi del voto?
«Il nostro sistema non si blocca in campagna elettorale. Siamo una monarchia elettiva. Fino all’ultimo giorno, il Presidente può decidere. Sarkozy si è impegnato su tre cose: mantenere la Tripla A, portare il deficit al 4,5% nel 2012 e a 3% nel 2013. Se non seguirà  questi tre obiettivi sarà  condannato dagli elettori».
I sondaggi dicono che è già  condannato a perdere.
«Se si votasse oggi, forse. Ma visto che mancano 6 mesi, la partita è aperta. Il risultato si gioca su un piccolo margine, scommetto su meno di 4 punti di distacco tra i due candidati».

Anais Ginori
(da “la Repubblica”)

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