Novembre 22nd, 2011 Riccardo Fucile
LA CASTA TAGLIA LA CASTA: SI INVOCANO DA PIU’ PARTI MISURE PIU’ STRINGENTI SULLE IMPOSTE
“Cari signor presidente, onorevole Harry Reid, onorevole John Boehner, vi scriviamo per chiedervi con urgenza di mettere il nostro paese davanti alla politica, per la salute fiscale della nostra nazione e per il benessere dei nostri concittadini vi chiediamo di aumentare le tasse sui redditi oltre il milione di dollari”.
Comincia così la lettera firmata da 138 milionari statunitensi e inviata al presidente Barack Obama e agli speaker dei due rami del Congresso.
“Il nostro paese è di fronte a una scelta — prosegue la lettera — . Possiamo pagare i nostri debiti e costruire per il futuro, oppure possiamo schivare le nostre responsabilità finanziarie e azzoppare il potenziale della nostra nazione”.
“Il nostro paese è stato buono con noi. Ci ha dato le fondamenta grazie a cui abbiamo potuto avere successo. Adesso vogliamo fare la nostra parte per rendere quelle fondamenta più solide in modo che altri possano avere il successo che abbiamo avuto noi. Per favore, fate la cosa giusta per il nostro paese. Aumentate le nostre tasse”.
Il gruppo, nominatosi Milionari Patriottici, tra ispirazione dalla iniziativa del multimilionario Warren Buffett che in estate, attraverso il New York Times aveva iniziato una campagna proprio per sostenere l’aumento di tasse per i più ricchi.
E al suo nome rimanda la cosiddetta Buffett Rule, uno dei tasselli del piano finanziario di Obama per spingere l’economia statunitense oltre gli scogli della crisi.
La Buffett Rule (Regola Buffett) prevede di estendere la pressione fiscale sui redditi oltre un milione di dollari per portarla, in proporzione, in linea con quella dei redditi della middle class. Buffett, che è stato consigliere di Obama durante la campagna presidenziale del 2008, ha più volte denunciato l’egoismo dei suoi concittadini più ricchi che approfittano largamente dei vantaggi fiscali di cui godono i guadagni sugli investimenti rispetto a quelli sui redditi.
Vantaggi fiscali, peraltro, consolidati tanto durante l’era Reagan quanto nei tre mandati dei Bush, padre e figlio, e mai intaccati in modo sostanziale dalle due amministrazioni Clinton.
I Milionari Patriottici, però, non si fermano alla firma della lettera.
Il loro sito raccoglie in pillole informazioni utili a sostenere la campagna per aumentare le tasse sui ricchi.
Informazioni che sembrano uscite da Occupy Wall Street: solo 375 mila cittadini americani, si apprende, hanno un reddito superiore al milione di dollari.
Tra il 1979 e il 2007, i redditi dell’1 per cento più ricco d’America sono cresciuti del 281 per cento.
O ancora: nel 1963 il tasso di imposizione fiscale massima sui milionari era del 91 per cento, nel 1976 del 60 per cento, oggi del 35 per cento.
Se i tagli fiscali che, sottolinea il sito, non sono mai stati pensati come permanenti, venissero aboliti per il 2 per cento più ricco della popolazione statunitense, nel giro di dieci anni il deficit verrebbe ridotto di 700 miliardi di dollari.
Allora, perchè non viene fatto?
La risposta dei Milionari Patriottici è semplice: “Il 44 per cento dei membri del Congresso è costituito da milionari”.
Un pezzo della casta che difende la sua ricchezza, dunque.
Ma anche una sapiente campagna mediatica per evitare che la rabbia della main street statunitense diventi puro e semplice odio contro i pochi ricchi che anche nella crisi sono riusciti ad aumentare la propria fortuna.
Joseph Zarlingo
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Novembre 21st, 2011 Riccardo Fucile
PROBABILE AUMENTO DI UNO O DUE PUNTI DELL’ALIQUOTA IVA DEL 21%…MA ANCHE QUELLA DEL 10% POTREBBE ESSERE TOCCATA
Più tasse sulle cose. Meno tasse sulle persone.
Un primo, “equo”, scambio potrebbe essere proprio questo.
Ovvero, aumentare l’Iva, ma diminuire l’Irpef. Alzando di uno o due punti l’aliquota ordinaria dell’imposta sui consumi, oggi al 21 per cento (e forse di uno anche l’aliquota ridotta del 10 per cento). In contropartita, ridurre i primi due scaglioni di Irpef al 22 e 26 per cento: un punto in meno dei livelli attuali.
Non proprio uno scambio alla pari, almeno per le famiglie italiane: 6,3 miliardi in più dagli scontrini, 4,2 miliardi in meno nelle dichiarazioni dei redditi, almeno secondo le proiezioni della Cgia di Mestre.
Ma di certo un segnale del percorso che il governo Monti intende seguire in ambito fiscale: graduale riduzione delle tasse sulle persone e sul lavoro (Irpef e Irap) “finanziata da un aumento del prelievo sui consumi e sulla proprietà “, ha detto il professore nel suo discorso alle Camere per la fiducia. In pratica, Iva e Ici.
Il paracadute Iva di certo porta rapidamente denari in cassa.
Ma deprime i consumi, accelera l’inflazione, erode il potere d’acquisto.
Senza contare l’incentivo all’evasione, già fortissima in questo campo (nell’area Ocse l’Italia fa meglio solo di Turchia e Messico nel rapporto tra gettito Iva effettivo e teorico).
E con una pressione fiscale che il Documento di economia e finanza (nella Nota aggiornata lo scorso settembre) stima pari al 43,9% nel 2013 – record in Europa – si tratta di una leva da azionare con cautela.
Un punto di Iva in più vale 4,2 miliardi annui (lo riporta la Relazione tecnica alla manovra d’agosto).
Se dunque l’aliquota ordinaria, che colpisce la quasi totalità dei beni di consumo, passasse dal 21 (livello appena rivisto all’insù di un punto proprio dalla manovra estiva) al 23 per cento, lo Stato incasserebbe ben 8,4 miliardi.
Di questi 6,3 verrebbero dalle tasche di 25 milioni di famiglie italiane.
Su cui graverebbe di nuovo l’Ici sulla prima casa (si chiamerà Imu, Imposta municipale unica) e la Res (nuova tassa comunale su Rifiuti e servizi).
Alla fine, ipotizza la Cgia, un esborso annuo medio di 483 euro a famiglia (ipotesi Imu al 6,6 per mille e Res al 2 per mille).
E 16 miliardi totali per le casse pubbliche.
Alzare anche l’aliquota Iva ridotta del 10 per cento è ancora più insidioso.
Intanto l’aumento di un punto vale “solo” 854 milioni all’anno.
Ma si abbatte su alcuni beni alimentari di base (carne, pesce, uova, acqua, frutta e verdura, pasticceria), alberghi, bar, ristoranti, farmaci, trasporti, spettacoli, elettricità , gas, telefono.
Carne viva.
La Banca d’Italia, rielaborando i dati Istat sui consumi e la spesa delle famiglie italiane, avverte che gli effetti redistributivi di eventuali inasprimenti dell’Iva non sono omogenei: “L’aumento dell’aliquota ordinaria incide maggiormente sulle famiglie con redditi più elevati. Quello delle aliquote ridotte incide significativamente sulle famiglie in condizioni economiche meno favorevoli”.
Nel primo caso, il rialzo di un punto (ad esempio dal 21 al 22 per cento) pesa sul 21 per cento della spesa delle famiglie del primo decile (le più povere) e sul 36 per cento per il decile più alto (le più ricche).
Al contrario, nel secondo caso (Iva dal 10 all’11 per cento) la quota di spesa interessata è il 26 per cento dei meno abbienti e il 21 per cento dei benestanti.
Coniugare rigore, crescita ed equità – il leit motiv del governo Monti – è anche considerare questi rapporti.
E incidere su evasione, elusioni, frodi carosello.
Che rendono l’Iva (95 miliardi di entrate nel 2010, il 6 per cento del Pil) un’imposta soggetta a “degrado” del gettito.
Nel 2006, secondo uno studio della Commissione europea, il gettito effettivo dell’Iva italiana era del 22 per cento inferiore a quello teorico, contro il 12 del complesso dell’Ue.
Un triste primato.
Valentina Conte
(da “La Repubblica“)
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Novembre 21st, 2011 Riccardo Fucile
VETI E CONTROVETI NEGLI SCHIERAMENTI E CATRICALA’ RINVIA GLI INCONTRO PER LE NOMINE…PRIMA E’ OPPORTUNO UN CONTATTO TRA I SEGRETARI DI PARTITO
Fermate i motori. Trattative in stand-by e incontri di oggi congelati, per la formazione della squadra di viceministri e sottosegretari.
Troppi veti incrociati e dibattiti ritenuti “sterili” da Palazzo Chigi, in particolare su alcune delle deleghe più “calde”, dalla Giustizia alle Telecomunicazioni.
Tanto più in un momento così delicato: il presidente del Consiglio è alle prese col varo dei primi interventi economici ed è concentrato sulle missioni di domani e giovedì tra Bruxelles e Strasburgo.
Così, Mario Monti ha intimato uno stop al sottosegretario alla Presidenza Antonio Catricalà , incaricato di tenere i rapporti con le segreterie di Pd, Pdl e Terzo polo per la scelta dei 35 componenti mancanti del governo.
Non solo perchè il nodo si rivela più ingarbugliato del previsto e lo stesso premier intende occuparsene mercoledì (nella pausa romana tra i due vertici Ue) o più probabilmente venerdì.
Ma soprattutto perchè il Professore vuole che “i partiti raggiungano tra loro un’intesa preliminare” sulle deleghe e sulle rose di nomi.
Nei pochi contatti telefonici intercorsi nel fine settimana tra le segreterie, non è stato escluso che già tra stasera (al rientro dalla due giorni trascorsa all’estero da Angelino Alfano) e domani i big dei partiti che sostengono l’esecutivo possano avere un primo incontro informale, per confrontarsi e chiarirsi.
D’altronde, sembra essere questa la prassi prediletta d’ora innanzi dal premier, già collaudata sulla scelta dei ministri, coi vertici Alfano-Bersani-Casini durante le consultazioni.
La giostra di nomi per i posti nei dicasteri continua a girare vorticosa, a quelli circolati nel fine settimana si aggiunge adesso quello di Teresa Petrangolini, fondatrice del Tribunale per i diritti del malato, in corsa per una delega al Welfare, con la doppia sponda centrista e pd.
I problemi sono altrove.
Coi berlusconiani che insistono sulla sponsorizzazione di Michele Saponara alla Giustizia (e i democratici su quella di Massimo Brutti) e con la contesa aperta sulla delega strategica alle telecomunicazioni.
Monti ha fatto sapere che la scelta finale sulle rose dei nomi proposte dai partiti sarà sua e dei ministri.
Nel Pdl non sono pochi quelli che, come Guido Crosetto, vorrebbero puntare i piedi.
Il Parlamento ritrovi “il proprio ruolo”, dice l’ex sottosegretario alla Difesa, e se i ministri scelgono i sottosegretari “come fossero loro assistenti, allora serve un corso veloce sulle regole della democrazia”.
L’Idv col capogruppo Felice Belisario mette in guardia, al contrario, dalle “manovre sottobanco per lottizzare le nomine e trasformarle nel solito indegno mercato: siano tutti indipendenti”.
Una linea sulla quale si attesta anche qualcuno (ma non la maggioranza) nel Pd, come Mario Barbi: “Tutti tecnici, o cambia la natura del governo”.
Lo scontro nel frattempo si sposta anche sulle commissioni parlamentari.
La Lega, unica opposizione, rivendica quelle di garanzia: Copasir (D’Alema) e Vigilanza Rai (Zavoli).
Il fatto è che gli uomini di Bossi vorrebbero tenersi anche quelle che già deteneva in maggioranza.
Quattro: Bilancio, Esteri, Attività produttive e Ambiente alla Camera, e Politiche Ue al Senato.
D’Alema ha già messo a disposizione la sua presidenza.
Ma il Pd con Rosy Bindi detta le condizioni. “La Lega decida se essere di lotta o di governo: se vuole il Comitato di controllo sui servizi, rinunci alla presidenza delle altre”.
Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica”)
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Novembre 21st, 2011 Riccardo Fucile
OGGI PRIMO CONSIGLIO DEI MINISTRI E PRIMI INTERVENTI SU ICI E IVA, A FRONTE DI SGRAVI FISCALI SUI PRIVATI E IMPRESE…DOMANI VIAGGIO IN EUROPA PER L’OPERAZIONE CREDIBILITA’… CONTATTI AVVIATI CON OBAMA
Il primo no al suo governo Mario Monti lo incassa con aplomb. 
A Susanna Camusso che carica a testa bassa su Ici e pensioni il nuovo esecutivo non replica. Non per scarsa attenzione verso la leader della Cgil o le parti sociali, il cui accordo anzi viene considerato essenziale, ma perchè “parlare di queste cose è prematuro”.
Il professore della Bocconi a tutti chiede pazienza, il governo lo guida solo da tre giorni.
Ma un ministro che gli ha parlato al telefono riassume così la reazione del premier ai primi no di partiti e sindacati: “Finchè prendono i provvedimenti uno alla volta non troveremo mai un accordo con tutti. Quando invece avremo messo insieme le varie misure, quando saranno accorpate in pacchetti dove le riforme si compensano e i sacrifici sono accompagnati da benefici, allora potranno valutarne e discuterne l’impatto, cercando una convergenza complessiva”.
Questa la linea di Monti, buona anche per il rapporto con i partiti che lo sostengono in Parlamento.
Se il nuovo inquilino di Palazzo Chigi al momento ha rinviato la partita su viceministri e sottosegretari, ha invece in tasca il piano per garantire un collegamento tra il suo “governo di professori” e le Camere.
L’idea è quella di tenere dei vertici – una sorta di pre-consiglio dei ministri – alla vigilia dell’approvazione dei pacchetti di riforme più delicati.
Oltre a Monti vi parteciperanno i ministri interessati e i leader dei partiti di maggioranza (ovvero tutti tranne la Lega)
D’altra parte proprio ieri Repubblica ha svelato che il gabinetto Monti è nato dopo una serie di summit segreti tra lo stesso professore, Bersani, Casini e Alfano.
Un format da ripetere per permettere al consiglio dei ministri di adottare misure già preventivamente accettate da Pd, Pdl, Terzo Polo (e forse Idv).
Sistema che sarà adottato anche con le parti sociali. Salvo quando la particolare urgenza di un provvedimento costringerà Monti ad agire per decreto e dopo cercare il consenso degli altri attori.
Essenziale sarà anche il rapporto che ogni ministro saprà instaurare con i capigruppo delle commissioni parlamentari di sua competenza, un tasto sul quale il presidente consiglio ha battuto.
Intanto Monti prepara quella che i suoi collaboratori chiamano “Operazione credibilità “.
È il viaggio in Europa che lo impegnerà da domani.
Prima Bruxelles per vedere Barroso e Van Rompuy ai quali esporrà il suo programma di riforme per ridare all’Italia quella fiducia dissipata da Berlusconi.
Quindi, giovedì, a Strasburgo incontrerà in una trilaterale la Merkel e Sarkozy.
Un vertice essenziale per riportare Roma al centro del dibattito europeo dal quale con il Cavaliere è stata emarginata.
A tutti Monti ribadirà che con la sua cura l’Italia “riuscirà ad uscire dal tunnel della crisi”.
Poi il professore ripeterà l’operazione al di fuori della zona euro: il premier britannico David Cameron ha già chiesto un bilaterale, mentre in queste ore sono in corso contatti con Obama.
Gli incontri europei a Monti serviranno anche per ascoltare le indicazioni di Bruxelles, che lo aiuteranno a tarare la sua agenda di riforme.
In questo senso centrale sarà anche l’Eurogruppo del 29 novembre, dopo il quale si capirà se sarà necessario fare una manovra aggiuntiva e il piano Monti prenderà davvero forma.
Oggi al consiglio dei ministri ci sarà una prima ricognizione sul da farsi, con Monti che indicherà ai titolari dei singoli dicasteri le priorità su cui lavorare.
Dopo le trasferte in Europa, ai primi di dicembre, il premier potrà stabilire un’agenda definitiva del governo.
E se si considera che gli stessi ministri proprio in queste ore stanno prendendo possesso dei propri uffici e dossier, si capisce perchè le prime riforme dovrebbero arrivare nel migliore dei casi a ridosso del summit europeo del nove dicembre.
Si parla di (più) Iva e Ici, di (meno) Irpef e Irap e di denaro elettronico.
Quelle più impegnative (pensioni e mercato del lavoro), stando a quello che dicono più ministri di prima fascia, dovranno attendere “almeno fino a gennaio”.
Alberto D’Argenio
(da “La Repubblica“)
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Novembre 21st, 2011 Riccardo Fucile
IN QUESTA FASE ERA UN ESECUTIVO NECESSARIO PER LA GRAVE SITUAZIONE ECONOMICA DETERMINATASI NEL NOSTRO PAESE? O ERA PREFERIBILE ANDARE SUBITO AL VOTO? SI STA MUOVENDO IN MODO POSITIVO O NEGATIVO?
Vi segnaliamo che nella colonna sinistra del sito abbiamo lanciato un nuovo sondaggio in merito al giudizio che ritenete di dare sul governo Monti.
Abbiamo pensato di porre quattro possibili risposte, anche sulla base degli orientamenti che stanno facendosi largo nell’opinione pubblica.
Necessario, in quanto siamo di fronte ad una situazione economica molto grave che necessita sia di uno dei massimi esperti mondiali di economia che di un governo di larghe intese, se pur transitorio.
Un esecutivo di tecnici che sappia far decantare l’aspro confronto politico e al tempo stesso abbia il coraggio di imporre misure impopolari ma necessarie per far rientrare l’Italia negli equilibri economici europei.
Non dimenticando che la figura di Monti pone fine al processo di emarginazione e di scarsa credibilità della leadership italiana in Europa.
Meglio le elezioni, in quanto avrebbero portato a una miglior chiarimento dei rapporti di forza parlamentari, pur correndo l’Italia il rischio che i mercati non avrebbero apprezzato e avremmo quindi corso il serio pericolo di default.
E pur tenendo presente che si sarebbe andati a votare con l’attuale sistema elettorale che non garantisce una maggioranza ampia e/o certa al Senato, soprattutto alla luce di tre raggruppamenti elettorali.
Negativo, in quanto la presenza di soli tecnici appoggiati da un vasto arco parlamentare e il programma che presumete andranno ad adottare non sono idonei a traghettarci verso l’uscita dalla crisi.
Positivo, in quanto per le ragioni opposte pensate invece che sia stata la scelta migliore, con competenze tecniche tali da saper coniugare equità , rigore e risanamento dei conti, proprio per la mancata presenza di politici incapaci di operare, per interessi di partito, scelte impopolari.
Non vi resta che indicare quale risposta sia quella più vicina al vostro pensiero.
Il sistema permette di votare una sola volta, al fine di rendere più attendibile il sondaggio.
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Novembre 20th, 2011 Riccardo Fucile
IL CONFRONTO DEI DATI RIVELA L’ASSURDA NORMATIVA DELLA CASTA ITALIANA CHE PERCEPISCE UNA CIFRA FINO A QUATTRO VOLTE SUPERIORE A QUELLA DI ALTRI PAESI EUROPEI
Italia
Il vitalizio in Italia scatta al 65° anno di età , dopo cinque anni di mandato effettivo. Il limite di età però diminuisce fino ai sessanta anni in relazione agli anni di mandato parlamentare svolti. L’importo del vitalizio comunque va dal 20 al 60 per cento dell’indennità parlamentare a seconda degli anni passati in Parlamento. È anche previsto un contributo dell’8,60% che equivale a 1006,51 euro.
Importi
Con 5 anni, 2486,86 euro
Con 10 anni, 4973,73 euro
Con 15 anni, 7.460,59 euro
Francia
In Francia il vitalizio scatta dal 62°anno di età . In più dal primo gennaio 2018 non sarà richiesto un limite minimo di mandato. L’importo è predeterminato in base al numero di anni di contribuzione, con un limite massimo di 41,5 anni di contributi. Anche in Francia è previsto un contributo che è del 10,55% (787 euro). Se si versa anche un contributo facoltativo i singoli importi salgono, ma il tetto resta a 6300 euro.
Importi
Con 5 anni, 780 euro
Con 10 anni, 1500 euro
Con 41,5 anni, 6300 euro
Germania
In Germania il vitalizio scatta al 67° anno di età se si è fatto un anno di mandato. L’importo è pari al 2,5% dell’indennità parlamentare per ogni anno di mandato fino ad un massimo di 27 anni che corrisponde al 67,5% dell’indennità . I deputati non versano alcun contributo.
Importi
Con 5 anni, 961 euro
Con 10 anni, 1917 euro
Con 15 anni, 2883 euro
Con 27 anni, 5175 euro
Gran Bretagna
In Gran Bretagna il vitalizio è legato ai contributi versati e scatta al 65°anno di età . Il contributo varia dal 5,9% all’11,9%. Con il contributo minimo il vitalizio è 1/60 della retribuzione moltiplicata per gli anni di mandato, con il contributo dell11,9 sale a 1/40 dell’ultima retribuzione moltiplicata per gli anni passati in Parlamento. Qui sono riportati solo gli importi massimi in base agli anni di mandato.
Importi
Con 5 anni, 794 euro
Con 10 anni, 1588 euro
Con 15 anni, 2381 euro
Parlamento europeo
Anche per i parlamentari europei è previsto un vitalizio che scatta al 63° anno di età . L’importo è pari al 3,5 per cento dell’indennità parlamentare per ogni anno di mandato, fino ad un massimo complessivo del 70 per cento dell’indennità . I deputati non versano alcun contributo. Oltre i 20 anni il vitalizio non aumenta. Questo regime è in vigore dal 2009. Prima il vitalizio era deciso da ogni singolo paese.
Importi
Con 5 anni, 1392 euro
Con 10 anni, 2784 euro
Con 20 anni, 5569 euro
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Novembre 20th, 2011 Riccardo Fucile
COSA SI ASPETTA A RESTITUIRE I LOCALI AL COMPLESSO MONUMENTALE?… SE CALDEROLI VUOLE OPPORSI, INVECE DI INCENDIARE FALDONI PATACCA A ROMA, SI DIA FUOCO PER PROTESTA NEI GIARDINI ANTISTANTI LA VILLA, COSI’ ENTRERA’ NELLLA STORIA DELLA PADAGNA DEL MAGNA MAGNA E LE SUE CENERI SARANNO SPARSE NEL PO
L’ultimo segnale di vita risale a più di un mese fa, ma il sindaco leghista di Monza, Marco Mariani, non ci sta a dare per morti i ministeri aperti la scorsa estate in Villa Reale.
Da giorni i vertici del Carroccio sono scesi in trincea per difendere l’operazione e il borgomastro non è stato da meno lanciando un invito a Mario Monti, neo presidente del Consiglio: «Rispetti i principi del decentramento e non li chiuda».
Il futuro di quei cento metri quadrati attorno ai quali fra luglio e settembre si è scatenata una polemica culminata in uno scontro istituzionale fra il Presidente della Repubblica Napolitano e l’ex premier Berlusconi è nelle mani di Palazzo Chigi.
Dalla scossa estate a oggi la disponibilità di quelle tre stanze, prive fra l’altro di toilette, è passata dal Consorzio per la gestione della Villa al ministero dei Beni Culturali e da questo alla presidenza del Consiglio, che poi la «girò» ai ministeri senza portafoglio per le Riforme e per la Semplificazione normativa, di cui erano titolari Bossi e Calderoli (poi si sono aggiunti l’Economia e il Turismo).
Dunque, chi dovrà decidere cosa farne è Monti.
E a lui il borgomastro si è rivolto, convinto fino in fondo della necessità di mantenere vivo il progetto per favorire la ripresa dell’economia del territorio. «La Lombardia è una delle regioni più sviluppate dell’Europa – aggiunge – e la Brianza ha una concentrazione tale di imprese che chiudere i ministeri non avrebbe senso».
L’obiettivo della Lega era di avvicinare le istituzioni ai cittadini e alle imprese.
I numeri, tuttavia, dicono che in due mesi e mezzo di vita gli uffici decentrati sono finiti sotto i riflettori una mezza dozzina di volte, principalmente per accogliere manifestazioni di protesta o per ospitare riunioni della Lega.
Di imprenditori e cittadini, fuori dalla porta in attesa di parlare con Calderoli o Bossi, non se ne sono mai visti.
Sia Confindustria che Camera di commercio si sono sempre dimostrate molto tiepide e il centro-sinistra non ha mai perso l’occasione per sottolineare come alla fine venissero trattati alla stregua di sedi di partito.
Adesso, sul loro destino pesa la dichiarazione di incostituzionalità fatta dal capo dello Stato la scorsa estate (violazione dell’articolo 114, quello che sancisce Roma capitale) e una sentenza del Tribunale di Roma che li ha chiusi a doppia mandata per comportamento antisindacale della presidenza del consiglio: nessun dipendente di Palazzo Chigi può essere trasferito a Monza per il semplice motivo che il personale non è stato avvisato dell’istituzione dell’ufficio decentrato.
Inoltre, il neo premier Monti non solo ha cancellato il ministero alle Riforme di Bossi, che avrebbe dovuto rappresentare lo snodo centrale verso il federalismo, ma ha dato vita al nuovo dicastero alla Coesione territoriale, considerato come un vero e proprio affronto alla Lega.
I «lumbard», però, non hanno intenzione di arretrare e l’ex ministro Calderoli è arrivato a minacciare l’autodeterminazione se da Roma non dovessero arrivare segnali favorevoli al mantenimento in vita dei ministeri del Nord.
La presa di posizione ha subito provocato la reazione del Pd. «Al nostro territorio e al nostro paese non servono provocazioni ma responsabilità – replica Gigi Ponti, segretario provinciale del Pd -. Ai cittadini non interessano l’autodeterminazione, i parlamenti del Nord, la difesa di fantomatici uffici ministeriali che hanno suscitato l’interesse solo di chi li ha aperti».
Sulla stessa lunghezza d’onda anche Damiano Di Simine, presidente di Legambiente Lombardia. «La Villa è un bene troppo importante per svilirlo con funzioni senza senso – conclude Di Simine. Mi auguro che quei cento metri quadrati vengano reintegrati al più presto nel complesso monumentale che deve essere valorizzato con iniziative culturali di prestigio».
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Novembre 20th, 2011 Riccardo Fucile
NON INASPRIRE IL “CLIMA DI TENSIONE DOVUTO AL SOVRAFFOLLAMENTO DELLE CARCERI”: CON QUESTA MOTIVAZIONE VENNE REVOCATO IL CARCERE DURO PER I PADRINI DOPO LE STRAGI DI MAFIA…LO RIVELA IL GIORNALISTA NUZZI NE “GLI INTOCCABILI”: LA TRATTATIVA CI FU
La trattativa c’è stata. C’è stata eccome. 
E si risolse proprio con la revoca del 41 bis, il carcere duro per i boss.
Ecco i primi documenti che attestano in modo inequivocabile come lo Stato italiano, a seguito delle stragi del 1992-1993, sia sceso a patti con la mafia.
Il primo è la lettera del febbraio del 1993 pubblicata da Repubblica e depositata dai pm di Palermo Di Matteo e Ingroia al processo contro il prefetto Mario Mori.
E’ la richiesta, dai toni minacciosi, dei familiari dei boss reclusi di alleggerire il carcere duro.
Il secondo documento può essere archiviato come la risposta dello Stato. Cioè la decisione di venire incontro alla richiesta con la sorprendente motivazione del “sovraffollamento”.
Si tratta di un ciclostile del Ministero di Grazia e Giustizia del 23 giugno 1993, quattro mesi dopo il primo, originariamente classificato come “riservato” e pubblicato sul sito della trasmissione “Gli Intoccabili” che Gianluigi Nuzzi condurrà il martedì sera su La7 a partire dal 29 novembre.
Entrambe le carte, messe una accanto all’altra, attestano per la prima volta in maniera chiara i termini della trattativa e l’esito.
Finora ampi settori della politica avevano potuto definire la trattativa un’ipotesi di pura fantasia.
E l’unico brandello cui attaccarsi erano le ricostruzioni di Massimo Ciancimino e di altri testimoni, subito tacciati come poco attendibili.
Ora parlano le carte.
Dopo la morte di Falcone e quella di Borsellino, lo Stato decide la linea dura contro la mafia e dispone circa novecento 41 bis per altrettanti mafiosi.
Cosa nostra alza il tiro: nel febbraio del 1993, un gruppo di familiari dei mafiosi in carcere invia una lettera ai vertici dello Stato italiano, al Papa, ad alcuni giornalisti.
Una lettera in cui, con tono intimidatorio, i familiari denunciano la durezza del 41 bis e chiedono un alleggerimento del regime carcerario.
Una richiesta che, come verrà alla luce in seguito, è una delle principali condizioni poste dalla mafia nella trattativa con lo Stato.
Dopo pochi mesi, alle minacce seguono i fatti, con gli attentati mafiosi di via Palestro a Milano, di via dei Georgofili a Firenze, di san Giovanni e San Giorgio al Velabro a Roma.
Una strategia terroristica che cessa all’improvviso.
Perchè? Forse i mafiosi ottengono quello che volevano?
Il documento esclusivo e inedito reso pubblico da “Gli Intoccabili” potrebbe essere la risposta a questa domanda.
E’ firmato dal direttore del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria Adalberto Capriotti e indirizzato al Capo di Gabinetto del Ministro di Grazia e Giustizia Giovanni Conso e riguarda il rinnovo del 41 bis per “400 detenuti di particolare pericolosità , con posizione di particolare preminenza nell’ambito dell’organizzazione criminale di appartenenza”.
Nonostante la riconosciuta pericolosità dei boss detenuti, Capriotti propone a Conso di “acquisire da parte del Ministero dell’Interno una indicazione sulla perdurante sussistenza delle condizioni di ordine pubblico che a suo tempo contribuirono a determinare l’indirizzo politico” che portò all’applicazione del 41 bis.
Non solo: la durata dei nuovi decreti va dimezzata da un anno a sei mesi. Con questa, incredibile motivazione: “La linea complessivamente indicata, se attuata, consentirebbe di soddisfare contemporaneamente sia le esigenze di sicurezza, ordine pubblico e contrasto alla criminalità organizzata, sia l’esigenza di non inasprire inutilmente il “clima” all’interno degli istituti di pena ove la tensione è già evidente per il notevole sovraffollamento generale ed i problemi del personale di polizia penitenziaria.
Infatti le proposte di ridurre di circa il 10 per cento il numero di soggetti sottoposti al regime speciale aggravato, di non rinnovare alla scadenza i provvedimenti ex 41 bis emessi e di prorogare il predetto regime speciale di soli sei mesi, costituiscono sicuramente un segnale positivo di distensione”.
Pochi mesi dopo il Guardasigilli non firma il decreto di proroga del 41bis per 334 detenuti, fra cui diversi esponenti di vertice di Cosa nostra.
In un documento le richieste della mafia, nell’altro la risposta dello Stato. Manca il dialogo intermedio, certamente cifrato.
“E’ quello che stiamo cercando tutti”, spiega Gianluigi Nuzzi che annuncia nuovi documenti esclusivi sulla questione.
“Nella prima puntata degli Intoccabili avremo una testimonianza choc che sorprende perchè rivelare come la trattativa ai massimi livelli avesse addentellati nei corridoi dello Stato che la riproducevano a livelli inferiori. Siamo abituati a pensare questi rapporti come buoni contro cattivi, di livello alto e basso. Non è così. E non è neppure vero che le trattative si siano limitate al periodo delle grandi stragi. Tra mafie e Stato — questa la mia convinzione — il dialogo è stato continuo e su più livelli. Che poi emerga solo una parte e dopo difficili inchieste della magistratura, processi e ricerche giornalistiche non toglie nulla al fatto che rapporti ci siano e siano funzionali ad ambo i contraenti. Anzi, il fatto che questi documenti e certe verità processuali emergano dopo vent’anni da il segno di quanto forte e resistente sia la saldatura”.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Novembre 20th, 2011 Riccardo Fucile
SONDAGGIO DEMOS: PDL CROLLA AL 24,2%%, LEGA AL 7,7%, PD SALE AL 29,4%, SFONDA L’UDC AL 10,4%….SALE ANCHE FLI, FLESSIONE DI IDV E SEL… PER L’80% DEGLI ITALIANI IL GOVERNO MONTI DEVE DURARE FINO A FINE LEGISLATURA
Una fiducia da record per il premier Otto su dieci promuovono Monti.
È bastata una settimana perchè il clima d’opinione svoltasse dalla depressione all’euforia.
Lo dimostra, in modo eloquente, il sondaggio realizzato da Demos mentre le Camere votavano la fiducia al governo “tecnico”, guidato da Mario Monti.
Con una maggioranza senza precedenti nella storia repubblicana.
Ma non molto più larga di quella espressa dalla popolazione.
Quasi 8 italiani su 10 (nel campione intervistato di Demos) manifestano un giudizio positivo nei confronti del governo.
Ma il consenso “personale” del nuovo presidente del Consiglio è ancora più ampio: 84%.
Paragonabile solo al sostegno popolare di cui dispone il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ispiratore e protagonista della formazione del governo Monti.
Naturalmente, c’è una relazione stretta fra la “misura” della fiducia parlamentare e popolare.
Una maggioranza politica tanto larga e trasversale ha, infatti, favorito il consenso dei cittadini verso il governo, in modo trasversale.
Si va, infatti, dal 90% circa fra gli elettori del PD a un po’ meno del 60% tra quelli della Lega e del Movimento 5 Stelle.
Tuttavia, un’ondata di fiducia politica di queste proporzioni non si spiega solo con il sostegno dei partiti.
Anzi, semmai è vero il contrario: la nascita del governo ha, in parte, riconciliato i cittadini con la classe politica.
Come dimostra la crescita generalizzata dei giudizi positivi nei confronti dei
leader.
Tutti, compresi Berlusconi (che risale di alcuni punti: dal 22% al 29%) e Bossi (dal 20% al 24%).
Anche se in testa, ovviamente ben al di sotto di Monti, incontriamo Corrado Passera, fino a ieri AD di Intesa Sanpaolo, oggi ministro dello Sviluppo Economico e delle Infrastrutture.
Questa inversione del clima d’opinione ha, dunque, altre cause.
In primo luogo, l’angoscia generata dalla crisi globale dei mercati, che ha investito, con particolare violenza, il nostro Paese.
Ritenuto politicamente “debole”, incapace di garantire le misure richieste dalla UE e dalle altre autorità economiche e monetarie internazionali. Il governo guidato da Monti appare ai cittadini una scialuppa di salvataggio nel mare in tempesta.
Questa svolta del clima d’opinione, in secondo luogo, riflette la fine dell’epoca di Berlusconi.
Ormai consumata da tempo. Il governo Monti ne ha sancito e sanzionato la fine. L’ha resa possibile e visibile.
Solo il 22% degli elettori (poco più di metà rispetto a un anno fa) pensa, infatti, che l’esperienza politica di Berlusconi potrebbe durare ancora a lungo.
È, peraltro, indubbio che il grande consenso per il governo Monti – composto da “tecnici” – sia prodotto, in parte, dal sentimento “antipolitico” alimentato dal declino di Berlusconi e dalle difficoltà dell’opposizione.
La fiducia nei partiti, infatti, resta ancorata al 5%.
E quasi 8 elettori su 10 ritengono giusta “l’esclusione dei politici dalla squadra di Monti”.
Il governo, d’altronde, secondo i due terzi degli intervistati (o quasi), non è nè di destra nè di sinistra. E neppure di centro. Non ha colore politico.
Un aspetto evidentemente molto apprezzato dai cittadini.
Anche per questo i calcoli “elettorali” di parte passano in secondo piano. D’altronde, se la scadenza delle elezioni si allontana, le questioni di leadership e coalizione diventano meno urgenti.
E la polarizzazione risulta meno lacerante.
Non è un caso che le stime di voto premino, in misura ridotta il PD (29,4%), ma soprattutto, l’UdC, che supera il 10% (3 punti di crescita in un mese).
Nel momento in cui i partiti maggiori si coalizzano, a sostegno del governo, il “Terzo Polo” diviene, infatti, ancor più “centrale”. E strategico.
Ne risente, in particolare, il PdL (che scende dal 26% al 24%). Penalizzato dal declino del suo leader ma anche dall’attrazione dell’UdC.
Anche la Lega (sotto l’8%) e SEL (scesa al 5,2%) sembrano penalizzate dalla posizione distinta o distante rispetto al governo.
L’unica “opposizione” che sembra beneficiare di questo clima è il Movimento 5 Stelle (4,6%), vicino a Grillo.
Proprio perchè – a differenza della Lega e di SeL – appare estraneo al sistema partitico.
In poche settimane si è, dunque, verificata una svolta negli atteggiamenti e nelle opinioni degli italiani. Impressa dalla formazione del governo Monti. Accolto dagli elettori di centrosinistra come una liberazione, da quelli di centrodestra come una pausa di sospensione (di fronte alla crisi di Berlusconi).
Percepita da tutti (o quasi) i cittadini come una risposta alla crisi economica globale e alla crisi politica nazionale.
Tuttavia, gran parte degli italiani (due su tre) considera questo governo tecnico una “eccezione democratica” necessaria per aiutare – se non proprio “salvare” – la democrazia, in una fase critica.
Non prorogabile all’infinito, ma comunque a lungo.
L’80% degli intervistati, infatti, ritiene necessario che il governo Monti resti in carica fino alla fine della legislatura.
E tre italiani su quattro pensano che i suoi compiti non possano limitarsi all’emergenza economica e dei mercati.
Ma debbano estendersi anche alle riforme istituzionali e alla nuova legge elettorale.
D’altronde, questo governo, tanto atteso, appare caricato di tante attese. L’85% degli italiani lo ritiene in grado di “portare l’Italia oltre la crisi”.
Di guidarci fino alla Terra Promessa (la Crescita, il Pareggio di Bilancio). Come Mosè al di là del Mar Rosso.
Da ciò derivano i rischi, per questo governo e per Monti.
Accolti dal più elevato livello di fiducia misurato nell’era dei sondaggi.
1) Perchè attese tanto elevate espongono alla delusione e alla frustrazione. Suscitano impazienza. Mentre problemi tanto seri – che hanno radici lontane e aggravati nel corso dei decenni – non si risolvono in tempi brevi. Nè possono produrre effetti visibili immediati.
2) Perchè problemi tanto seri richiederanno costi sociali elevati. Ed è difficile giustificare costi sociali elevati senza effetti sociali ed economici visibili, nel breve periodo.
3) Perchè, quando si parte dall’80%, anche il 70% di fiducia rischia di apparire un “calo” di consensi.
4) Perchè questo governo “tecnico” ha compiti profondamente “politici” e dipende dal consenso “politico” di un Parlamento dove operano partiti deboli (anche se in diversa misura).
5) Perchè, infine, ci siamo lasciati alle spalle la Seconda Repubblica, ma (per citare Berselli) di fronte c’è una “Repubblica indistinta”.
Il governo tecnico, guidato da Monti, non può disegnarne il modello istituzionale. Non è suo compito.
D’altronde, un’eccezione democratica non può diventare normale.
Può, tuttavia, proporre almeno un diverso stile di governo e di comportamento “personale”.
Traghettarci oltre la “politica pop”.
In una Terra dove la competenza e la decenza abbiano cittadinanza.
(da “La Repubblica“)
argomento: Costume, governo, Monti | Commenta »