Destra di Popolo.net

ILVA, SCONTRI AL CORTEO DI TARANTO, IRRUZIONE DI 150 COBAS NELLA PIAZZA

Agosto 2nd, 2012 Riccardo Fucile

INTERROTTI I DISCORSI DEI LEADER SINDACALI… CAMUSSO: “SI E’ RUBATA LA PIAZZA AI LAVORATORI”

L’irruzione di un gruppo di circa 150 persone ha bloccato la manifestazione sindacale prevista per oggi a Taranto con la partecipazione dei leader nazionali Angeletti, Bonanni e Camusso.
Il gruppo, formato principalmente da Cobas di Taranto e Brindisi, è giunto nel cuore della piazza a bordo di un furgoncino.
Hanno lanciato fumogeni colorati. Sono stati invitati dagli organizzatori della manifestazione sindacale a prendere la parola dal palco.
Si tratta di formazioni che sostengono la necessità  di chiusura immediata dell’Ilva per interrompere la diffusione di inquinanti e contestano la posizione dei sindacati che vogliono salvaguardare lavoro e ambiente.
Polizia e carabinieri in tenuta antisommossa hanno impedito che i contestatori raggiungessero il palco.
Ma la situazione era tale da impedire la prosecuzione della manifestazione. L’interruzione è avvenuta durante l’intervento del segretario Fiom Landini. Impossibile per i leader sindacali proseguire i discorsi.
Susanna Camusso ha sottolineato: “Così si è rubata una piazza ai lavoratori”. «Erano anni che non si vedeva una manifestazione di questo genere. È stato un errore interromperla».
È il commento del segretario nazionale della Fiom, Maurizio Landini, sulla contestazione di Cobas e centri sociali che ha interrotto e fatto concludere anticipatamente a Taranto la manifestazione organizzata da Cgil, Cisl e Uil.
«La nostra controparte è l’Ilva – ha aggiunto – noi siamo per unire la città . La Fiom non nasconde che c’è un problema di recuperare il rapporto con i lavoratori. Ma per il fatto che la magistratura debba supplire alla politica, non si può dimenticare quello che non ha fatto la politica in passato».
La manifestazione è ripresa, ma ci sono stati nuovi scontri.

(da “La Stampa“)

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LOMBARDO: “TUTTI MI CHIEDEVANO FAVORI E ORA SONO SATANA”

Agosto 2nd, 2012 Riccardo Fucile

L’EX GOVERNATORE DELLA SICILIA: “SMETTO CON LA POLITICA, MA L’MPA FARA’ IL 20%”

Presidente Lombardo, cosa farà  adesso che si è dimesso? Si ritira nella sua casa di campagna in contrada San’Antonino, in provincia di Catania? Farà  come Cincinnato in attesa di essere chiamato dalla politica?
«Macchè, basta con la politica. Cincinnato aveva 40 anni e io ne ho 62. Sono gli altri, i giovani autonomisti che devono andare avanti. Io sto fuori, mi voglio finalmente godere il mio “buen retiro” dove ho sette specie di galline e da lì osservare lo spettacolo esilarante di una campagna elettorale dove i candidati sono più dei partiti. Ma lei lo sa che nei 4 anni in cui sono stato presidente siciliano ci sono andato tre volte?».
Difficile credere che lei smetterà  di fare politica. Non si candida alle regionali e nemmeno alle prossime politiche?
«Esatto. Certo darò un contributo agli amici che me lo chiederanno, andrò un po’ in giro. Anche se mi e ci descrivono come brutti, sporchi e cattivi, il movimento politico che ho fondato non scomparirà , anzi sono sicuro che avrà  un ottimo risultato. Prevedo un 20% e non si chiamerà  più Mpa ma il partito dei siciliani».
Darà  un contributo, sia lei sia le persone che in questi anni ha assunto, soprattutto nelle Asl e nel settore della sanità ?
«Smettiamola con questo tormentone. Durante la mia presidenza non c’è stata una sola assunzione ingiustificata. Tutte le persone nominate negli enti ospedalieri e per le cariche dirigenziali delle Asl andavano nominate perchè bisognava riempire caselle lasciate vuote in seguito a dimissioni o a pensionamenti. Se non lo avessi fatto commettevo il reato di omissione d’atti d’ufficio».
Ma sono tutti targati “LombardoMpa”?
«Ancora con questa storia del clientelismo… Senta, non facciamo gli ingenui o gli ipocriti. Tutti facevano segnalazioni, e quando dico tutti dico proprio tutti, deputati, senatori di tutti i partiti, nessuno escluso. Le dico di più: le segnalazioni sono arrivate anche da fuori il mondo politico, dal mondo degli imprenditori, delle forze dell’ordine, della chiesa, ma non ci trovo nulla di scandaloso se viene segnalato un bravo professionista. Anche lei poteva segnalarmi una persona meritevole… Qui adesso mi vogliono far passare per il diavolo mentre gli altri sono tutti delle verginelle. Ma su, finiamola con i luoghi comuni! Si è urlato allo scandalo perchè, prima di dimettersi, ho nominato il nuovo assessore alle Autonomie e all’Energia. Era però necessario: il primo deve occuparsi delle elezioni regionali del 28 e 29 ottobre, il secondo dell’emergenza dei rifiuti, con tutto quello che sta succedendo nella discarica di Bellolampo a Palermo».
La Regione ha un buco nel bilancio di oltre 5 miliardi, la spesa sanitaria nel 2011 è aumentata del 7,36% rispetto all’anno precedente, i dipendenti sono 28 mila, i forestali un esercito...
«Intanto la Regione Siciliana non si trova in una situazione peggiore di molte altre Regioni. Per non parlare dei conti dello Stato, che ci deve un miliardo e ha utilizzato i nostri fondi Fas. Molte spese sono state tagliate, la spesa corrente è la stessa del 2011. Poi io mi sono trovato tutti questi dipendenti regionali, che dovevo fare? Ammazzarli, buttare per strada migliaia di padri di famiglia, gettando un cerino in una polveriera sociale? C’è tanta disinformazione, un’aggressione criminale nei miei confronti per uccidermi politicamente. Un morto che cammina, ma io mando tutti a quel paese. Allora è meglio separarci e vediamo se riusciamo a camminare con le nostre gambe».
Qual è stata la sua più grande amarezza?
«Intanto l’accusa di collusioni mafiose che dimostrerò essere falsa. Io non sono stato nemmeno ascoltato dai magistrati e prima ancora di ricevere un avviso di garanzia sono stato fucilato sulla pubblica piazza dai media. Poi c’è un’amarezza personale dovuta al tradimento di alcuni amici. Mi riferisco soprattutto a Nicola Leanza che era venuto da me piangendo quando nessuno voleva più candidarlo e invece con me è diventato segretario e capogruppo regionale dell’Mpa, deputato nazionale, presidente facente funzione della Regione. Ora è ritornato tra le braccia di Casini e di un partito che vuole mettere gli artigli sulla Sicilia. Ma Casini sappia che si è messo in casa un traditore, un trasformista, un quaquaraquà . Forse vanno cercando gente simile, degli ascari che predicano il rinnovamento e sono stati alla corte siciliana di Cuffaro fino a quando Cuffaro è caduto in disgrazia. Lui, Casini, è stato il beneficiario degli anni in cui l’Udc ha governato in prima linea la Regione Siciliana. Sono stati gli anni delle assunzioni facili e degli sprechi, che noi abbiamo cercato di correggere. Ora vediamo cosa metterà  in campo, s’avanza un certo D’Alia: è il frutto del patto tra Bersani e Casini, una merce di scambio per compensare Casini che aspirava a fare il premier, il presidente della Repubblica… Come quando ai bambini si danno 10 euro più cinque caramelle. Magari gli faranno fare pure il presidente di una due Camere, più la Sicilia».
Questo è veleno puro.
«No, è la pura verità . Casini non vede l’ora di mettere le mani sul malloppo cuffariano in tutti i sensi».
Che intende?
«Oltre che i voti, lui e i suoi alleati vogliono scambiare la Sicilia con i petrolieri e i grandi gruppi imprenditoriali. Conosco poche persone che disprezzano la Sicilia come Casini».
Lei chi metterà  in pista?
«Il mio assessore Russo, un ex magistrato antimafia. Secondo me, di fronte alla frammentazione di tutti i partiti e gli schieramenti, ha qualche chance di vincere se riuscirà  a far conoscere la rivoluzione che ha fatto nella sanità ».

Amedeo La Mattina
(da “La Stampa“)

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LA «SINDROME SCHETTINO» CHE PESA SU EUROLANDIA

Agosto 2nd, 2012 Riccardo Fucile

L’EUROPA IN ATTESA DI QUALCUNO CHE RAPPRESENTI UNA VOCE DECISA E DIA UNA INDICAZIONE SICURA

La leadership si manifesta con la capacità  di prendere decisioni nei momenti di crisi. Quando vi è un diffuso stato di incertezza e di ansia cresce l’aspettativa di una voce decisa e di una indicazione sicura.
L’Europa vive frastornata dalla cacofonia assordante sui rimedi da adottare di fronte alla crisi, ed è alla ricerca di “qualcuno” che indichi una via d’uscita e se ne faccia pienamente carico.
Laddove “nessuno è in comando”, come amano dire gli americani, o, come diremmo noi mediterranei, “nessuno è al timone”, si rischia il panico.
È questa la sensazione prodotta dal balletto delle dichiarazioni di chi detiene funzioni direttive nei governi e nelle istituzioni europee e internazionali.
È come fossimo preda di una sorta di “sindrome Schettino”: la barca di Eurolandia va alla deriva e rischia di affondare perchè manca un comandante all’altezza della situazione.
All’inizio della crisi, nell’autunno del 2008, ci fu un momento in cui Gordon Brown, il Cancelliere dello Scacchiere britannico, forte della sua esperienza e dei suoi successi nella gestione dell’economia, sembrò in grado di indirizzare le scelte della comunità  politica ed economica internazionale.
Fu una illusione di breve periodo e quel momento di gloria servì più che altro a scopi interni, a rintuzzare l’offensiva di un “novizio” come David Cameron: “it is no time for a novice” sentenziò in quei giorni Gordon Brown. Da allora nessuno, nemmeno Barack Obama, è riuscito a indicare una strada.
Di meeting in meeting la politica ha mostrato la propria impotenza di fronte all’economia.
O, in termini più maliziosi, alcuni politici hanno lastricato la strada al dominio degli attori economici.
La destra americana si è schierata in prima fila a difesa della sacralità  del mercato utilizzando tutto il suo armamentario retorico pur di impedire che l’Eurozona si risollevi e riaffermi il suo modello socio-economico, intimamente “socialista” agli occhi dei neocons.
La ragione di tanto furore conduce, anche qui, al fronte interno: il vero obiettivo da colpire è il presidente Obama che, con le sue riforme, si ispira all’Europa welfarista e spendacciona. Per questo le teste d’uovo d’oltre Atlantico vanno all’attacco.
Con pessime figure, peraltro. In una recentissima intervista Arthur Brooks, direttore del think tank conservatore American Enterprise Institute e influente intellettuale del partito repubblicano, arriva a raccontare che i paesi con il welfare più sviluppato sono “i più insoddisfatti e i meno prolifici”; peccato che i Paesi scandinavi, culla della socialdemocrazia, siano in vetta al tasso di natalità  e di soddisfazione per il funzionamento del loro sistema. (Dati Eurostat ed Eurobarometro)
Ora, allo stato attuale, nè Franà§ois Hollande, per formazione e personalità , nè Angela Merkel, condizionata dal fronte interno, malgrado tutti i passi e gli sforzi compiuti, sembrano in grado di mettersi sulle spalle il continente e guidarlo fuori dalla crisi grazie al loro carisma. (Altra storia se fosse arrivato all’Eliseo l’ex presidente dell’Fmi Dominique Strauss—Kahn, l’unico capace di dettare una linea dall’alto delle sue virtù politiche ed intellettuali: ma i vizi privati, altrove, si pagano… ).
In questa situazione di paralisi e di veti incrociati si è finalmente distinta una voce chiara e netta, quella del presidente della Bce, Mario Draghi.
In poche, tacitiane, parole egli ha espresso il suo fermo convincimento a salvare l’Eurozona.
Quando, alla fine di un discorso imperniato sulla volontà  di mettere in campo tutti gli strumenti e tutte le risorse necessari per contrastare la recessione ha aggiunto “e, credetemi, sarà  sufficiente”, ha segnato un punto di non ritorno.
Con quelle parole, offrendosi come il prestatore di fiducia di ultima istanza degli europei, Draghi si è caricato sulle proprie spalle una responsabilità  enorme.
Mentre i politici nazionali latitavano, il presidente della Bce ha raccolto la domanda di governo che veniva dalle opinioni pubbliche.
Ha sopperito alla carenza di “decisione politica” degli attori politici nazionali, di coloro che sarebbero maggiormente intitolati ad intervenire.
Ed ha obbligato tutti gli altri a misurarsi con le sue intenzioni. In una parola, ha esercitato una funzione di leadership.
Ora il gioco tornerà  nelle mani dei governi ma “il movimento” è stato creato. L’impasse in cui l’Europa si era impantanata per anni sembra aver trovato un filo, e un tessitore, a cui affidarsi.
Ancora una volta, sono i tecnici ad essere, e a fare, i politici.
Del resto, la leadership non si misura con i voti.

Piero Ignazi
(da “La Repubblica”)

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EUROTOWER, “COLOMBE IN MAGGIORANZA”, MA DRAGHI VORREBBE EVITARE LA SPALLATA

Agosto 2nd, 2012 Riccardo Fucile

NEL BUNKER DI FRANCOFORTE VA IN ONDA LA DIVISIONE SUD-NORD: DIECI CON DRAGHI, SETTE CONTRARI, QUATTRO INDECISI

Mezzogiorno di fuoco stamane a Francoforte. Il Consiglio direttivo della Banca centrale europea (Bce) si riunisce sotto gli occhi dei mercati e del mondo intero.
Dopo le promesse del presidente Mario Draghi di fare tutto il possibile per salvare l’eurozona, e il duro monito di risposta del numero uno della Bundesbank Jens Weidmann, contro ogni deragliamento dai compiti della Bce, un confronto aperto tra i due appare inevitabile. E soprattutto, mercati e politici temono che le aspettative suscitate da Draghi vengano deluse.
I due no giunti ieri da Berlino – prima quello di Weidmann a ogni scelta che spinga la Bce “oltre i suoi compiti di difesa della stabilità  monetaria”, poi quello del governo, schieratosi unanime in serata col falco vicecancelliere Philipp Roesler contro una licenza bancaria al futuro fondo salvastati Esm – rafforzano l’allarme.
La partita è difficile: teoricamente le “colombe” pro-Draghi sono dieci oltre a lui, i falchi vicini a Weidmann sette, ma sommandoli eventualmente ai 4 indecisi si rischia una spaccatura, uno stallo che dividerebbe l’eurozona tra Nord e Sud.
Per evitarla, Draghi potrebbe ripiegare su annunci di misure meno traumatiche e quindi anche meno forti.
Questo timore è espresso con molta forza dagli operatori sui mercati.
La Bce deve fare di più, c’è perdita di fiducia, ha esortato da oltre Atlantico la direttrice del Fondo monetario internazionale, Christine Lagarde.
Ma il vicecancelliere tedesco Roesler, e insieme a lui vari esponenti della Csu bavarese, sparano a zero contro ogni provvedimento di grande portata. E l’ex capo economista Bce Juergen Strack denuncia come “illegali” gli acquisti di titoli sovrani. Liberali e Csu alzano il tono sperando di convincere anche la cancelliera a ritirare le sue aperture a Monti e Hollande.
Il clima è pesante.
Spiegel online accusa Monti di essere entrato in rotta di collisione contro Angela Merkel con la richiesta di licenza bancaria al fondo salva-Stati.
La paura di elettori e risparmiatori tedeschi di finire nel baratro, con mille miliardi già  impegnati tra aiuti, crediti e garanzie, cresce di ora in ora.
Se Draghi tira troppo la corda, dicono gli osservatori a Francoforte, può arrivare a una rottura pericolosa con la Bundesbank e con Berlino.
Ma se invece dopo aver creato tante aspettative, annuncerà  solo misure che ai mercati appariranno insufficienti o troppo timide, la tempesta continuerà .
E molti analisti ieri si dicevano “scettici sulle possibilità  di un’intesa su misure drastiche e per questo “disappointed”, irritati e scontenti”.
I mercati temono che non venga annunciato il previsto maxi-acquisto di titoli sovrani dei paesi sotto tiro, perchè la Bundesbank e i suoi uomini frenano e parlano di inaccettabile violazione di tabù e statuti dell’Eurotower.
“Draghi sta tentando con metodi estremamente avventurosi di aggirare il divieto posto alla Bce di finanziare direttamente gli Stati, per finanziarie i debiti dell’Europa meridionale”, accusa Hans Michelbach della Csu bavarese.
Dopo il contrattacco di Weidmann, e soprattutto dopo l’appello di Roesler a considerare lo spread alto come “indispensabile incentivo alle riforme nei paesi del Sud”, l’atmosfera è pessima.
Draghi, come è tradizione dei presidenti Bce, preferisce decisioni all’unanimità  del consiglio direttivo rispetto a scelte a maggioranza.
Ma è difficile mettere insieme una maggioranza forte per le sue proposte di interventi radicali.
Ci starebbero Portogallo – il presidente della Banca centrale, meno sicuro il vicepresidente Vitor Constancio – Slovenia, Italia, Irlanda, Grecia, Cipro, Malta Spagna e i due francesi.
Dieci più Draghi.
I “falchi”, compresi i tedeschi Weidmann e Asmussen, sono sette: austriaco, olandese, lussemburghese, finlandese, èstone.
La battaglia è per conquistare il consenso dei quattro indecisi: il portoghese Constancio, lo slovacco Makuch, i due belgi Coene e Praet.
Se, come si teme, fossero prese   misure troppo timide rispetto a quelle forti auspicate dall’Fmi, Draghi rischierebbe una sconfitta di fatto, o una vittoria di Pirro.
E la tempesta perfetta tornerebbe a scatenarsi.

Andrea Tarquini
(da “La Repubblica“)

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“CARO NICHI, CON CASINI NON CI ANDIAMO”: SCATTA SUL WEB LA REAZIONE DEI MILITANTI DI SEL

Agosto 2nd, 2012 Riccardo Fucile

LA POSSIBILE APERTURA ALL’UDC GELA I SOSTENITORI DI   VENDOLA : “ESSERE DI SINISTRA IN ITALIA E’ SEMPRE UNA SOFFERENZA”

Non basta la marcia indietro. Non servono le precisazioni, anche se istantanee.
I militanti di Sinistra Ecologia e Libertà  chiedono chiarezza.
Al di là  dei veti, al di là  degli ultimatum. Il caso Vendola arriva sul web.
Alimentato dallo scoramento di chi non condivide le parole del governatore della Puglia.
La possibilità  di costruire un’alleanza, sia essa programmatica o di legislatura con l’Udc di Pierferdinando Casini trova porte sbarrate, accuse di scarsa lungimiranza e assenza di prospettiva politica.
E in tanti criticano la chiusura all’Idv di Antonio Di Pietro. “Siamo alle solite”, “Servono parole più chiare”, “Nichi da te non me lo aspettavo”.
I commenti sulle pagine di Vendola sono centinaia.
E sul sito polodellasperanza.it , le critiche di chi, da sinistra, dice no all’alleanza con l’Udc.
La versione di Nichi arriva subito, lapidaria: “Nessuna apertura all’Udc”.
Poi: “Non vogliamo subire veti, non poniamo veti nè ultimatum a nessuno. Ma occorre essere chiari: se si è d’accordo nel superare le politiche liberiste delle destre, se si vogliono difendere i diritti sociali e l’equità  sociale a partire dall’art.18, se si vogliono difendere i diritti civili a partire dai diritti delle coppie di fatto e gay, tutti sono benevenuti”.
Ma le domande si diffondono, la preoccupazione è tanta: “Vendola, ma lei vuole superare il liberismo e difendere i diritti civili con Casini?”.
E la polemica continua, coinvolge identità  politiche e aspirazioni civili.
C’è chi scrive: “Evidentemente ad essere di sinistra in questo Paese, si è condannati alla sofferenza in eterno”.
Ancora: “Non è possibile che anche in un momento tendenzialmente favorevole si facciano questi errori”.
Poi i suggerimenti: “Vogliamo gente che abbia idee e faccia cose di sinistra. Ma come può passare anche solo per la testa di un’alleanza tra Vendola e l’unione dei condannati, conservatori e democristiani della peggior specie?”.
E c’è chi arriva a criticare il tono stesso del linguaggio vendoliano. “Nichi, ti nascondi, usando paroloni e sproloqui inutili, esagerati e spesso incomprensibili”.
Le accuse sono dure: “C’è un’incapacità  di formulare proposte concrete portate avanti da una solida coalizione che possa essere coerente e unita”.
In tanti chiedono al leader di Sel di affermare con chiarezza che “non andremo mai con Casini, che non stringeremo accordi con l’Udc”.
E, soprattutto, di non fare il gioco di Bersani. “Nichi, la nostra strada è a sinistra. Se il Pd vuole bene, altrimenti andiamo da soli”.
C’è chi annuncia “nemesi elettorali”: “Concordo con le critiche. Con il Pd e l’Udc non si va da nessuna parte. A questo punto non mi rimangono che due opzioni di voto: Grillo o Di Pietro”. Ancora: “Stai realizzando il sogno del Pd: l’ammucchiata con Casini”.
Al centro del dibattito anche l’art. 18 e i temi del lavoro: “Nichi attenzione. Il Pd e l’Udc fanno parte della maggioranza parlamentare che ha smantellato i diritti dei lavoratori. Non scherziamo, dobbiamo stare attenti”.
Ancora: “Se Vendola apre all’Udc io chiudo a Vendola. Ho 55 anni e non voglio morire democristiano”.
Ancora: “Con il passo di oggi hai fatto l’ennesimo errore, ed io che pensavo che tu avessi la percezione dei reali bisogni dei cittadini”.
Non manca chi chiede calma. “Nichi parlerà  nel pomeriggio. Aspettiamo. E speriamo dica parole chiare e definitive”.

(da “La Repubblica”)

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VENDOLA SCARICA DI PIETRO, APRE ALL’UDC E RAFFORZA L’ASSE CON BERSANI

Agosto 2nd, 2012 Riccardo Fucile

IL LEADER DI SEL PRONTO   A PARTECIPARE A COALIZIONI CHE COMPRENDANO “TUTTI QUELLI CHE VOGLIONO MODERNIZZARE IL PAESE E CHE ABBIANO AL CENTRO I DIRITTI SOCIALI E CIVILI” …”DI PETRO RISCHIA LA DERIVA”

Il duo Bersani (Pd)-Vendola (Sel) aprono all’Udc di Casini.
Dalla riunione arriva l’apertura al partito dell’ex presidente della Camera che solo ieri avevano aperto uno spiraglio all’alleanza invocando i partiti ad “ammainare le bandiere di parte”.
E in questa nuova alleanza, a legge elettorale ancora in alto mare, il leader di Sel mette fuori dai giochi l’Idv: “Il propagandismo esasperato di Di Pietro lo sta portando alla deriva”.
Il presidente della Puglia spiega di essere pronto a partecipare a coalizioni che comprendano “tutti quelli che vogliono modernizzare l’Italia” e che abbiano al centro “i diritti sociali e civili delle persone, come i diritti delle coppie gay”.
Argomenti che solo ieri il segretario dei Democratici ha elencato nella carta di intenti.
Allo stato le porte chiuse per l’Idv perchè “non sta mostrando interesse” per la costruzione di un’alleanza di centrosinistra.
Solo un mese fa Vendola e Di Pietro avevano inaugurato il “cantiere del centrosinistra” e lanciato un aut aut ai democratici.
In caso di alleanza con Casini sarebbero venuto meno il patto di Vasto.
I due partiti dicevano di aver fatto fronte comune (“Niente coalizione se non ci siamo entrambi”), con il governatore pugliese che proteggeva l’ex magistrato gettando sul tavolo il suo clamoroso successo nelle ultime amministrative.
Invece oggi Vendola apre ai moderati dicendo: “Il centrosinistra è il soggetto fondante dell’alternativa e non deve aver paura di portare con sè chi intende arricchire il suo orizzonte se l’agenda ha al centro i diritti socialie civili. Io non pongo veti a nessuno”.
Sel “è disponibile ad essere un soggetto fondatore al pari del Pd di un polo della speranza per costruire l’alternativa a 30 anni di liberismo che hanno portato l’Italia in grande crisi”.
Il governatore della Puglia però smentisce, bollando come “Fantapolitica”, l’ipotesi di una lista unica Pd-Sel.
”Con Bersani abbiamo discusso a lungo dei contenuti della carta di intenti — spiega Vendola — e tra qualche ora ci sarà  un documento di Sel che vuole interloquire nel merito dei temi. A Bersani ho sottolineato la necessità  di una rottura molto più limpida con politiche di liberismo che hanno segnato 30 anni e portato l’Italia in una condizione di grande crisi”.
Per il leader di Sel “è necessario costruire un polo della speranza, una coalizione del futuro per offrire una prospettiva alle giovani generazioni a partire da un piano straordinario del lavoro”.
Per Vendola è necessaria “una coalizione larga e plurale per essere un credibile punto di svolta”.
Vendola non crede però nella aggregazione di Pd e Sel in una lista unica: “ho fondato un partito e sono molto orgoglioso di rappresentare un punto di vista molto critico verso il liberismo. La reductio ad unum non è un vantaggio”.
Vendola ha parole anche per quelli che non sarebbero stati mai presi in considerazione come alleati: “Fini vuole ricostruire il centrodestra, il mio progetto è il centrosinistra. E’ difficile che le strade possano coincidere”

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SANITA’, TUTTI IN FILA PER GLI ESAMI

Agosto 2nd, 2012 Riccardo Fucile

VISITE ED ESAMI NEGLI OSPEDALI: GLI ITALIANI RESTANO IN LISTA D’ATTESA…MENO DEL 20% DELLE ASL RISPETTA I TEMPI INDICATI DAL PIANO SANITARIO NAZIONALE

Sono passati due anni da quando l’allora Ministro della salute, Ferruccio Fazio, con il Piano nazionale sulle liste d’attesa intimava: le visite devono essere effettuate entro trenta giorni e gli accertamenti diagnostici non oltre i sessanta.
Nell’anno 2012 per una gastroscopia si può aspettare anche 300 giorni a Bari, sette mesi per una ecografia all’addome a Torino, 323 giorni al Niguarda di Milano per lo stesso accertamento, mentre per una Tac del capo alla Asl Roma D si chiede di pazientare per 243 gironi.
Alla Asl di Viterbo il sito della regione Lazio certifica che per una ecografia ostetrica si attendono 148 giorni e in ben sette Asl laziali si superano comunque i tre mesi. Come dire che il controllo si può fare quando il bimbo è già  nella culla.
«Stiamo elaborando i dati del nuovo rapporto Pit salute ma sin da ora posso anticipare che meno del 20 per cento delle Asl rispetta i tempi d’attesa previsti dal Piano nazionale di Fazio e che, purtroppo, la situazione sta peggiorano, soprattutto nelle Regioni sottoposte a Piano di rientro dal deficit sanitario», rivela il Coordinatore nazionale del Tribunale dei diritti del malato (Tdm), Giuseppe Scaramuzza.
La situazione peggiora dunque soprattutto in Piemonte, Lazio, Campania, Abruzzo, Molise, Puglia, Calabria e Sicilia, dove la politica dei tagli alla sanità  si è fatta sentire in modo più pesante.
«L’allungamento delle liste d’attesa — spiega ancora Scaramuzza – è dovuta anche al fatto che si stanno chiudendo piccoli ospedali che comunque garantivano prestazioni diagnostiche e specialistiche senza però aprire strutture alternative nel territorio».
Situazione che sta diventando da allarme rosso soprattutto per gli accertamenti diagnostici.
Il rapporto «Pit salute» del 2011 dava tempi di attesa medi di 12 mesi per una Moc, di un anno per una mammografia, 10 mesi per risonanze e tac, 6 mesi e mezzo per una colonscopia.
«Ma la situazione — dichiara allarmato Scaramuzza – è peggiorata, soprattutto per le ecografie, che prima richiedevano un’attesa media di 8 mesi e mezzo ora e che ora viaggiano su tempi di un anno e anche di più, tant’è che riceviamo moltissime segnalazioni di cittadini che rinunciano e vanno dal privato».
Sempre più gettonato dal «popolo degli assistiti», che per visite, ricoveri ed esami oramai spendono di tasca propria oltre 30 miliardi l’anno.
Del resto con i nuovi super ticket entrati in vigore la scorsa estate per una ecografia nel pubblico si va da un costo pari a 46 euro di Lazio e Campania ai 52,80 della Lombardia, mentre nel privato «low cost» si spende (relativamente) poco di più, 60-65 euro però con un vantaggio: non ci sono attese.
In realtà  per attendere un po’ meno rimanendo nel pubblico un’alternativa c’è: rinunciare alla struttura più vicino a casa e rivolgersi al Cup, il centro di prenotazione unificata, che come dimostra una recente indagine di Altroconsumo fa accorciare i tempi, anche se non sempre di molto, visto che a Torino per una ecografia si attendono sempre 4 mesi, mentre a Bari per una gastroscopia si prenota a 126 giorni. Ma il problema, come denuncia il Tdm, è che nel Sud i Cup sono una sigla sconosciuta alla maggioranza delle asl e i centri unici di prenotazione regionale, che dovrebbero offrire più alternative con tempi d’attesa ragionevoli, non sono stati istituitiin ben sette regioni: Abruzzo, Calabria, Campania, Liguria, Piemonte, Sicilia e Veneto.
Per non parlare della malapratica di chiudere le liste d’attesa, ossia di rifiutare la prenotazione.
Un vizietto che sarebbe vietato per legge ma che , denuncia sempre il Tdm, a macchia di leopardo praticano molte asl. Tagli, scarsa organizzazione ma anche medici pubblici con il doppio lavoro.
«Non è un mistero —denuncia Scaramuzza- che per essere liberi di esercitare privatamente a studio o in clinica si finisce a volte per organizzare i turni garantendo la presenza quando magari non serve».
«Oggi la legge prescrive che l’attività  privata dei medici ospedalieri non superi quella svolta in ospedale. Ecco, basterebbe dire che può essere autorizzata qualora si registri una diminuzione delle liste d’attesa», prova a buttare lì Scaramuzza.
Che tra le cause dei tempi biblici per visite ed esami cita anche il problema delle prescrizioni inappropriate.
In media gli italiani vanno dal loro medico di famiglia per farsi prescrivere qualcosa ben 10 volte all’anno, rivela uno studio della Federazione di asl e ospedali (Fiaso). Questo dato si può senz’altro definire un record, del quale non è il caso di vantarsi.
Ma secondo i manager della sanità  le liste d’attesa a volte possono essere anche un indicatore di qualità .
«Da noi la situazione delle liste è abbastanza sotto controllo — spiega il direttore generale della Asl di Chiavari, Paolo Cavagnaro – ma non per oculistica, dove abbiamo un Primario e un team molto accreditati che attraggono pazienti anche da altre Asl».
Attese da libera scelta.
Ma altrove l’unica libertà  che resta è quella che non tutti possono permettersi: aprire il portafoglio.

Paolo Russo
(da “La Repubblica“)

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LA CRISI IDENTIKIT DI UN PAESE: SIAMO PIU’ POVERI O SOLO PIU’ ATTENTI?

Agosto 2nd, 2012 Riccardo Fucile

CRESCONO LE RICHIESTE DI AIUTO AL BANCO ALIMENTARE…SCUOLE, AFFITTO, VIAGGI, BOLLETTE, ECCO COME VARIANO LE NOSTRE ABITUDINI AL CONSUMO

“Quando ho cominciato io 20 anni fa sembrava un problema africano – spiega Marco Lucchini, direttore generale Fondazione Banco alimentare -, oggi la sensibilità  a recuperare prodotti alimentari da tutta la filiera è cresciuta».
Così come le richieste di aiuto. «Abbiamo avuto sicuramente un aumento da parte delle 8500 strutture caritative che serviamo – continua Lucchini -. Il 70% di queste hanno a che fare con le famiglie, non con i barboni. Sono persone che hanno una casa, ma sono in grande difficoltà . Aiutarli con i prodotti alimentari permette loro di continuare a pagare l’affitto o le bollette, nella speranza di ritornare alla vita normale».
L’aiuto storico al Banco alimentare proveniva dall’agricoltura, «mentre ora andiamo più sui supermercati e la ristorazione e quindi la logistica è diversa. Ci servono 20 furgoncini, più che un camion grande. Ma con l’aumento della benzina è sempre più difficile trovare chi ci fa un trasporto gratis. Siamo al paradosso: la sensibilità  è aumentata, ma è diventato difficile tradurla in pratica».
Oltre alla buona volontà , servono celle frigorifere, magazzini, camion.
Anche la realtà  dei poveri si è modificata. Quelli di una volta erano fuori dal circuito della vita sociale. «Ora invece ci sono famiglie con situazioni traballanti, provano a farcela con le loro forze perchè si vergognano a chiedere aiuto».
Scuole private
Le iscrizioni scendono. Si risparmia sulla mensa
Stanno chiudendo in tanti anche se è ancora presto per dare delle cifre. Le ultime due sono uno storico liceo cattolico del Padovano e una materna in Lombardia.
Si trovano in zone un tempo ricche e in regioni molto cattoliche da sempre generose di aiuti nei confronti dell’istruzione religiosa: nulla da fare, la crisi sta mietendo vittime anche lì.
«In Lombardia il buono scuola è stato dimezzato – ricorda Ernesto Mainardi dell’AgeSc, l’associazione dei genitori delle scuole cattoliche -. I genitori hanno sempre più difficoltà  a iscrivere i figli alle paritarie».
Non ci sono soldi, e non ce ne sono per ogni tipo di scuola, dai nidi in poi.
Luigi Morgano, segretario nazionale della Fism, che rappresenta circa 8mila scuole materne paritarie, racconta di come i genitori tentino di risparmiare su tutto.
«Ci chiedono di rinunciare alla mensa o limitano nel tempo la frequenza al contrario di quel che accadeva prima. I nostri insegnanti e i dirigenti provano a intervenire con forme di sostegno ma c’è poco da fare: la crisi si sente».
Disagio tra gli immigrati Pronti a tornare in patria
Ormai facciamo assistenza anche in regioni dove prima nessuno ci chiedeva aiuto racconta Francesco Marsico, vicedirettore della Caritas -, quelle dove un tempo c’era piena occupazione come Lombardia, Veneto o Marche».
Il mito della piena occupazione non esiste più nemmeno nel triangolo industriale e zone limitrofe, insomma.
E se il ministro Passera parla di 28 milioni di italiani colpiti dalla crisi, la Caritas è ancora più netta: gli italiani in povertà  relativa sono 8 milioni e 272 mila, il 13,8%. Sono i dati contenuti nell’ultimo rapporto presentato a ottobre ma se riferiti a oggi sarebbero ulteriormente rafforzati, affermano alla Caritas.
«Si stanno creando situazioni difficili prosegue Marsico -. Per esempio aumentano le famiglie di italiani che tagliano sull’unica spesa ormai rimasta, la formazione dei figli. E ci sono immigrati che fino a qualche tempo fa avevano un’occupazione stabile, che ora hanno perso il lavoro e sono costretti a scegliere tra rientrare in patria oppure restare in Italia ma da clandestini. Il futuro è più cupo per tutti».

(da “La Stampa”)

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TERREMOTO EMILIA: 40 DETENUTI IN SEMILIBERTA’ AIUTANO NELLA RICOSTRUZIONE

Agosto 2nd, 2012 Riccardo Fucile

CRITICHE DI CALDEROLI CHE NON CAPISCE UNA MAZZA COME SEMPRE E VORREBBE FAR LAVORARE NELLA RICOSTRUZIONE I SOLDATI DELLE NOSTRE MISSIONI DI PACE: FORSE PENSA SIANO IMBIANCHINI

Arriva il primo via libera all’impiego di detenuti per la ricostruzione post-sisma.
È stato siglato oggi un protocollo d’intesa tra Regione Emilia Romagna, il dipartimento di amministrazione penitenziaria del ministero della Giustizia e il Tribunale di sorveglianza. Accordo che prevede il l’impegno di una quarantina di persone, provenienti dai diversi istituti penitenziari della regione, in attività  di volontariato nei comuni distrutti dal terremoto.
Diventa così operativo, a circa 2 mesi dal secondo terremoto, il progetto lanciato dal ministro della Giustizia, Paola Severino.
Nonostante le polemiche, arrivate in particolare dai leghisti. “Invece dei carcerati è meglio far rientrare i nostri soldati italiani dalle missioni all’estero” aveva detto qualche settimana fa Roberto Calderoli.
L’idea era stata proposta direttamente dal Guardasigilli, pochi giorni dopo la seconda, devastante scossa del 29 maggio.
“Mi è venuta in mente mentre visitavo la Dozza — disse all’inizio di giugno — Uno dei detenuti si è avvicinato e mi ha chiesto come potesse rendersi utile, mi ha chiesto di poter andare a lavorare tra le macerie. Io ho lanciato un’idea, ma la mia idea lì nasce e si ferma, in questo il ministro non ha competenze, servono i giudici, i direttori delle carceri, le coop sociali, gli accordi con gli enti locali”.
L’intesa firmata oggi prevede l’inserimento di cittadini detenuti in attività  di volontariato nelle zone colpite dal terremoto, valorizzando il ruolo delle associazioni che già  operano nell’ambito della ricostruzione.
Gli interventi saranno definiti in una serie di protocolli che saranno firmati con i comuni sede delle carceri (Bologna, Modena, Ferrara Reggio Emilia e Castelfranco dell’Emilia).
Circa una quarantina di detenuti, tutti di sesso maschile e già  in semilibertà , sarebbero già  pronti per cominciare le attività .
La maggior parte di loro arriverà  dalla Dozza di Bologna, dal carcere di Castelfranco Emilia e da quello di Ferrara.
Mentre più ristretto è il gruppo detenuto a Modena.
“Si tratta di un intervento importante che ci permette di consolidare una capacità  di relazione e collaborazione tra le istituzioni — ha detto l’assessore alle Politiche sociali Teresa Marzocchi -.Portiamo a termine un percorso avviato all’indomani del sisma e lavoreremo ancora insieme perchè sempre più persone possano fare della propria esperienza in carcere anche un’esperienza di ricostruzione di sè e del proprio rapporto con la società ”.

Giulia Zaccariello
(da “Il Fatto Quotidiano”)

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