SANITA’, TUTTI IN FILA PER GLI ESAMI
VISITE ED ESAMI NEGLI OSPEDALI: GLI ITALIANI RESTANO IN LISTA D’ATTESA…MENO DEL 20% DELLE ASL RISPETTA I TEMPI INDICATI DAL PIANO SANITARIO NAZIONALE
Sono passati due anni da quando l’allora Ministro della salute, Ferruccio Fazio, con il Piano nazionale sulle liste d’attesa intimava: le visite devono essere effettuate entro trenta giorni e gli accertamenti diagnostici non oltre i sessanta.
Nell’anno 2012 per una gastroscopia si può aspettare anche 300 giorni a Bari, sette mesi per una ecografia all’addome a Torino, 323 giorni al Niguarda di Milano per lo stesso accertamento, mentre per una Tac del capo alla Asl Roma D si chiede di pazientare per 243 gironi.
Alla Asl di Viterbo il sito della regione Lazio certifica che per una ecografia ostetrica si attendono 148 giorni e in ben sette Asl laziali si superano comunque i tre mesi. Come dire che il controllo si può fare quando il bimbo è già nella culla.
«Stiamo elaborando i dati del nuovo rapporto Pit salute ma sin da ora posso anticipare che meno del 20 per cento delle Asl rispetta i tempi d’attesa previsti dal Piano nazionale di Fazio e che, purtroppo, la situazione sta peggiorano, soprattutto nelle Regioni sottoposte a Piano di rientro dal deficit sanitario», rivela il Coordinatore nazionale del Tribunale dei diritti del malato (Tdm), Giuseppe Scaramuzza.
La situazione peggiora dunque soprattutto in Piemonte, Lazio, Campania, Abruzzo, Molise, Puglia, Calabria e Sicilia, dove la politica dei tagli alla sanità si è fatta sentire in modo più pesante.
«L’allungamento delle liste d’attesa — spiega ancora Scaramuzza – è dovuta anche al fatto che si stanno chiudendo piccoli ospedali che comunque garantivano prestazioni diagnostiche e specialistiche senza però aprire strutture alternative nel territorio».
Situazione che sta diventando da allarme rosso soprattutto per gli accertamenti diagnostici.
Il rapporto «Pit salute» del 2011 dava tempi di attesa medi di 12 mesi per una Moc, di un anno per una mammografia, 10 mesi per risonanze e tac, 6 mesi e mezzo per una colonscopia.
«Ma la situazione — dichiara allarmato Scaramuzza – è peggiorata, soprattutto per le ecografie, che prima richiedevano un’attesa media di 8 mesi e mezzo ora e che ora viaggiano su tempi di un anno e anche di più, tant’è che riceviamo moltissime segnalazioni di cittadini che rinunciano e vanno dal privato».
Sempre più gettonato dal «popolo degli assistiti», che per visite, ricoveri ed esami oramai spendono di tasca propria oltre 30 miliardi l’anno.
Del resto con i nuovi super ticket entrati in vigore la scorsa estate per una ecografia nel pubblico si va da un costo pari a 46 euro di Lazio e Campania ai 52,80 della Lombardia, mentre nel privato «low cost» si spende (relativamente) poco di più, 60-65 euro però con un vantaggio: non ci sono attese.
In realtà per attendere un po’ meno rimanendo nel pubblico un’alternativa c’è: rinunciare alla struttura più vicino a casa e rivolgersi al Cup, il centro di prenotazione unificata, che come dimostra una recente indagine di Altroconsumo fa accorciare i tempi, anche se non sempre di molto, visto che a Torino per una ecografia si attendono sempre 4 mesi, mentre a Bari per una gastroscopia si prenota a 126 giorni. Ma il problema, come denuncia il Tdm, è che nel Sud i Cup sono una sigla sconosciuta alla maggioranza delle asl e i centri unici di prenotazione regionale, che dovrebbero offrire più alternative con tempi d’attesa ragionevoli, non sono stati istituitiin ben sette regioni: Abruzzo, Calabria, Campania, Liguria, Piemonte, Sicilia e Veneto.
Per non parlare della malapratica di chiudere le liste d’attesa, ossia di rifiutare la prenotazione.
Un vizietto che sarebbe vietato per legge ma che , denuncia sempre il Tdm, a macchia di leopardo praticano molte asl. Tagli, scarsa organizzazione ma anche medici pubblici con il doppio lavoro.
«Non è un mistero —denuncia Scaramuzza- che per essere liberi di esercitare privatamente a studio o in clinica si finisce a volte per organizzare i turni garantendo la presenza quando magari non serve».
«Oggi la legge prescrive che l’attività privata dei medici ospedalieri non superi quella svolta in ospedale. Ecco, basterebbe dire che può essere autorizzata qualora si registri una diminuzione delle liste d’attesa», prova a buttare lì Scaramuzza.
Che tra le cause dei tempi biblici per visite ed esami cita anche il problema delle prescrizioni inappropriate.
In media gli italiani vanno dal loro medico di famiglia per farsi prescrivere qualcosa ben 10 volte all’anno, rivela uno studio della Federazione di asl e ospedali (Fiaso). Questo dato si può senz’altro definire un record, del quale non è il caso di vantarsi.
Ma secondo i manager della sanità le liste d’attesa a volte possono essere anche un indicatore di qualità .
«Da noi la situazione delle liste è abbastanza sotto controllo — spiega il direttore generale della Asl di Chiavari, Paolo Cavagnaro – ma non per oculistica, dove abbiamo un Primario e un team molto accreditati che attraggono pazienti anche da altre Asl».
Attese da libera scelta.
Ma altrove l’unica libertà che resta è quella che non tutti possono permettersi: aprire il portafoglio.
Paolo Russo
(da “La Repubblica“)
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