Agosto 6th, 2012 Riccardo Fucile
NEL 1980 CANCELLO’ DIVERSI COMUNI… L’ULTIMO COMMISSARIO SCADRA’ NEL 2013 : “DECISIONE ILLOGICA, LA STRUTTURA FUNZIONAVA”
“Amareggiato? Questo no, ma certe decisioni il legislatore dovrebbe prenderle in maniera
coerente e logica. Probabilmente è mancato un approfondimento sulle cose che sono state fatte”.
Quando fu nominato commissario ad acta, l’ingegnere Filippo D’Ambrosio probabilmente non pensava di essere l’ultimo di una lunga serie di commissari straordinari, ministri e funzionari che hanno avuto a che a fare con la ricostruzione delle zone dell’Irpinia e della Basilicata, quelle devastate dal terremoto del 1980.
Con una piccola norma presente nel Decreto sviluppo, viene stabilito che la sua esperienza durerà fino al 31 dicembre 2013, ma solo per liquidare le ultime pendenze, consegnare «tutti» i beni, chiudere i rapporti con le diverse amministrazioni.
La sua nomina risale al 2003, con il mandato di realizzare ogni ulteriore intervento funzionalmente necessario al completamento degli interventi infrastrutturali di cui all’articolo 32 della legge n. 219/1981».
Una legge, quella, che viene continuamente presa a modello ogni volta che un terremoto miete vittime.
Quando la terra tremò in Irpinia e in Basilicata, erano da poco passate le 19,35 di una domenica di novembre.
La prima scossa (valutata pari a magnitudo 6,8 della scala Richter) fu seguita da un’altra (pari a 5) a distanza di una quarantina di secondi. Alla fine si contarono 2.735 morti, mentre i feriti furono 8.850.
I Comuni «terremotati» arrivarono a 687, 27.627 gli alloggi rasi al suolo, 292.018 gli edifici gravemente danneggiati e 280 mila i senzatetto.
Il deputato democristiano Giuseppe Zamberletti venne nominato commissario straordinario per la gestione dell’emergenza mentre la terra ancora tremava.
Lui fu il primo. L’anno seguente i poteri di coordinamento e di intervento vennero passati dal commissario al ministro per il Coordinamento della Protezione civile.
Che, manco a farlo apposta, era sempre Zamberletti.
I primi decreti emergenziali diventarono legge qualche mese dopo il sisma: il 22 dicembre 1980 (la legge n. 874) e il 14 maggio 1981, la «famigerata» legge 219.
Alla fine tra leggi, mini-norme, rifinanziamenti, proroghe saranno 33 gli interventi normativi.
La copertura finanziaria della 219 era pari a 8.000 miliardi di vecchie lire.
Ma da allora è stato un crescendo: difficile infatti trovare una «vecchia» Finanziaria senza un relativo capitolo introdotto con un emendamento o espressamente dedicato fin dall’inizio per finanziare la ricostruzione post-sisma.
A fare il «conto» complessivo dell’intervento è stato l’Ufficio studi della Camera dei Deputati con uno specifico dossier dedicato ai «Principali eventi sismici dal 1968 in poi» realizzato nel 2009.
I tecnici di Montecitorio quantificano in 47,5 miliardi di euro, a valori attualizzati al 2008, il flusso di risorse che lo Stato ha fatto confluire per la ricostruzione delle zone terremotate dell’Irpinia e della Basilicata.
Ma si tratta di un conto prudenziale.
Non vengono considerate le agevolazioni di tipo fiscale e contributivo previste per le popolazioni.
Non si contano nemmeno i mutui stipulati con la Cassa Depositi Prestiti.
A ben vedere, il conto potrebbe poi lievitare di ulteriori 17,8 miliardi (sempre in valori attualizzati al 2008) stanziati per la ricostruzione edilizia a Napoli di 20.000 alloggi, un’operazione collegata al terremoto dell’Irpinia anche senza un espresso riferimento alla legge 219 del 1981.
«I fondi? Con risorse che mi sono state date nel 2003 e nel 2005, ma che furono stanziate nel 1996, abbiamo realizzato tutto quanto era in cantiere» sottolinea, con malcelata soddisfazione, Filippo D’Ambrosio.
La struttura commissariale da lui presieduta aveva l’onere di realizzare 64 progetti, tra cui 20 aree industriali per le quali vennero stanziati 4.500 miliardi di euro.
«Sessanta di quelle opere — continua D’Ambrosio — sono completate e collaudate. Gli altri quattro progetti sono stati divisi dal mio ufficio in sette lotti. Stando alle mie valutazioni tutto sarà completo nel 2016».
Compresa la Lioni-Grottaminarda, l’asse stradale di collegamento tra l’A3 Salerno-Reggio Calabria e l’A16 Napoli-Bari.
«Nel 2003 — spiega D’Ambrosio – alcune opere erano state individuate solo urbanisticamente. La LioneGrottaminarda, ad esempio, è stata progettata e realizzata dal mio ufficio».
Con un costo, tutto compreso, di 430 milioni di euro.
E la struttura commissariale?
I conti sono subito fatti: «Duecentomila euro l’anno — assicura il commissario — visto che la struttura conta su 12 persone tra Roma e Salerno. Sono tutti dipendenti pubblici che lavorano per il commissario ad acta solo part-time».
«In questi anni ho sostituito un ufficio intero del ministero e il bilancio dell’attività del mio mandato — conclude D’Ambrosio — è più che positivo, viste tutte le opere completate. Voglio ricordare, poi, che tra le incombenze del commissario ci sono anche le risoluzione di tutti gli espropri per la costruzione delle opere progettate (si parla di circa 2000 particelle, ndr) e la risoluzione di oltre 300 transazioni. Con un risparmio per le casse pubbliche di quasi 18 milioni di euro».
Se, dopo 32 anni, il capitolo della gestione commissariale della ricostruzione industriale dovrebbe essere chiuso, resta ancora aperto quello relativo al patrimonio abitativo, gestito dai Comuni.
E lì, la fine sembra lontana dal venire.
Antonio Salvati
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Agosto 6th, 2012 Riccardo Fucile
TRA UNO WORKSHOP E UN TORNEO DI CALCETTO SI DISCUTONO NUOVE FORME DI PROTESTA…I MILLE RADUNATI AD OSTUNI: “TROPPE TASSE PER LO STUDIO, LA NOSTRA PROTESTA VI TRAVOLGERA'”
“Il seminario sul diritto allo studio? È all’area Gramsci e portatevi le sedie…”. Quaranta gradi all’ombra e una folla di studenti che prende appunti, in una piazzola polverosa sotto un gazebo bianco arroventato dal sole. Alle spalle il mare, pulito, con le bandiere blu. E una piscina che ha i simboli “No Tav” piantati sul trampolino. “Riot Village”, Ostuni, il campeggio studentesco più grande d’Italia.
Prove di resistenza umana. Politica e vacanze.
Se cercate i giovani del Movimento li trovate qui. Sembra strano ma è così.
Tra un workshop sul futuro dell’Europa e un torneo di calcetto.
Tra una serata funky e un corso Lgbt. Qualche albero. Poca ombra.
Ogni anno arrivano in migliaia a parlare di scuola, di istruzione, qui nasce la protesta d’autunno.
Facce di chi ha fatto l’alba.
La crisi, le famiglie senza più reddito: costa dodici euro al giorno piazzare la tenda, ascoltare i concerti, ballare sulla spiaggia, innamorarsi, conoscersi, ma provare, anche, a scrivere il futuro.
Perchè “quando il nemico è molto forte non basta vincerlo, bisogna saper sognare un mondo nuovo”, portano scritto sulle magliette quelli del “Riot”.
Sara e Andrea della Statale di Milano camminano abbracciati sulla spiaggia. Sara: “Ci siamo messi insieme qui, lo scorso anno, una notte. Adesso anche a Milano dividiamo una stanza”. Chissà .
Hanno dai 15 ai 30 anni, hanno fatto occupazioni, assemblee, cortei, fermato le città contro la riforma Gelmini.
Ma ciò che li aspetta ora è forse ancora più cupo e nebuloso.
Parla Federica Laudisa, sociologa dell’Osservatorio sul diritto allo studio di Torino: borse di studio, alloggi, finanziamenti, la situazione in Italia e quella in Francia, la relazione è rigorosa e amara quanto mai, gli studenti prendono appunti in costume da bagno, ci sono i “medi”, fanno il liceo, ci sono i “grandi”, universitari, ventenni e oltre.
Eccoli. Shorts e magliette. Divertirsi pensando.
È sarcastico Antonio, fuoricorso di Caserta: “Noi non andiamo in vacanza dalla politica, a differenza dei parlamentari che farebbero bene a venire qui ad ascoltarci, perchè saremo noi la grande questione sociale di questo governo. Non è soltanto un problema di tasse universitarie, è questione di sopravvivenza. E se non hai da mangiare, allora ti incazzi di brutto. Speriamo di fermarli prima…”.
Tende canadesi e cucine da campo.
Dance-hall sulla spiaggia, il torneo di calcetto, 15 euro per una spesa collettiva che dura, miracolosamente, 10 giorni, workshop su lavoro e precarietà , cittadinanza e istruzione.
Poi la sera il Music Festival: Folkabbestia e Asian Dub Foundation.
“Difficilissimo alzarsi presto per seguire i seminari”, ammette Alessio Folchi, 19 anni, studente di Storia. Elena Monticelli fa parte di Link, sigla famosa del movimento, che insieme all’Uds, cioè l’unione degli studenti medi, compone la “Rete della conoscenza”.
“Nasciamo dall’Onda, abbiamo rapporti con partiti e sindacati ma siamo autonomi da tutti. Il Riot Village è cominciato alcuni anni fa, prima in Toscana, a Cecina, poi qui, in Puglia. E ogni estate siamo di più. Sentivamo il bisogno di un luogo collettivo, dove parlare di politica, di giustizia, ma anche d’amore, di sessualità , vivendo però le emozioni di una vacanza. E da qui stiamo preparando la nostra risposta contro queste nuove tasse, un attentato al diritto allo studio”.
E il documento finale del “Riot” annuncia: “Piazze, scuole, università , il nostro cambiamento travolgerà il Paese”.
Vacanze alternative, si sarebbero chiamate un tempo.
E non è soltanto il “Riot”: a Paestum in questi stessi giorni un altro spezzone del movimento si riunisce nel “Revolution Camp” dell’Unione degli universitari, a Chiomonte è in corso il campeggio No Tav, e a settembre Tilt (rete generazionale per la sinistra del futuro) organizzerà un raduno in Toscana, al mare.
Giovanni Schena ha 17 anni, sta per finire il liceo e viene da Monopoli: “Cosa mangiamo? Pasta, pasta e ancora pasta, tonno, pesto, pomodori, e un po’ di frutta. Ma va bene così, i pranzi e le cene sono i momenti più divertenti”.
Giulia Petruzziello è al secondo anno di Scienze Politiche all’Orientale di Napoli, fa parte dello staff, e gestisce il banchetto delle magliette.
Per le t-shirt le frasi sono state scelte con una votazione aperta su Facebook: Janis Joplin, Giorgio Gaber, Fabrizio De Andrè, Virginia Woolf.
E poi Antonio Gramsci.
A sorpresa riscoperto e amato da questa generazione figlia della crisi. Non cercate altri politici o maestri del pensiero. Non ce ne sono.
Scrive Gramsci: “Chi vive veramente non può non essere cittadino e parteggiare. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti”.
Racconta Giulia: “Venire qui per me è un’esperienza pazzesca. Faccio quello in cui credo però mi diverto e incontro gente. E oltretutto mia madre che non mi manderebbe da nessuna parte, per il campeggio del Riot fa un’eccezione”.
Pubblico e privato. Partecipazione e politica. I ragazzi del “Riot” sono migliaia. Droga, polizia? No dicono gli organizzatori, mai nessun problema.
Ragiona Luca Spadon, portavoce di Link: “Quello che ci preoccupa è la stangata sui fuoricorso. Che sono la metà degli universitari italiani. E questo vorrà dire, nei fatti, escluderli dagli studi. Da qui riparte la nostra mobilitazione.
Francesca studia Ingegneria alla Sapienza: “Ho la media del 28, ma lavoro ogni sera in un pub e dal prossimo anno rischio di non essere più in regola con gli esami. Come farò?”.
La domanda resta sospesa, tra mare, cielo e i sacchi a pelo distesi sulla sabbia.
“Di certo saremo in piazza – rilancia Sara – non può finire così”.
Maria Novella De Luca
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Agosto 6th, 2012 Riccardo Fucile
“STANNO AUMENTANTO DI MOLTO I PENSIONATI IN CERCA DI ASSISTENZA SANITARIA… AUMENTATE DEL 5% LE RICHIESTE DA PARTE DI QUESTA CATEGORIA
Gli anziani sono tra le fasce più indigenti e toccate dalla crisi. 
Non è una novità , ma ora c’è un ennesimo fenomeno a testimoniare le difficoltà che stanno vivendo i pensionati italiani: farsi curare negli ambulatori dei poveri.
Per molti che ricevono la pensione minima (circa 8 milioni quelli che nel 2010 hanno riscosso pensioni inferiori ai 500 euro al mese), le cure sanitarie seppur necessarie, diventano un lusso insostenibile e l’unica soluzione è rivolgersi appunto agli ‘ambulatori dei poveri’, dove possono ricevere cure gratuite subito, senza liste di attesa e necessità di prenotazione.
E’ quello che sta accadendo ad esempio all’Istituto nazionale per la promozione della salute delle popolazioni migranti e per il contrasto alle malattie della povertà (Inmp) di Roma, struttura di eccellenza che da anni offre assistenza mirata alle categorie più fragili, a partire dagli immigrati e i senza fissa dimora.
Da alcuni mesi ad affollare le sale d’attesa di questo settecentesco edificio nel cuore della Capitale, sono proprio gli anziani, sempre più numerosi.
”Stanno aumentando notevolmente i pensionati italiani che si rivolgono a noi chiedendo assistenza sanitaria – spiega il direttore generale dell’Istituto, Concetta Mirisola — Complice l’attuale crisi economica, negli ultimi mesi abbiamo registrato un aumento del 4 — 5% delle richieste da parte di questa categoria”.
All’Inmp, anziani, immigrati, homeless e non solo, possono essere visitati nel poliambulatorio senza appuntamento, sette giorni su sette.
Tra i servizi offerti, analisi cliniche e visite specialistiche, ma anche assistenza legale e psicologica.
Dal 2007 ad oggi l’Istituto ha assistito 43.311 pazienti (di questi 78% stranieri e 22% italiani), ed è impegnato anche in progetti mirati per l’assistenza in occasione di sbarchi di migranti nell’isola di Lampedusa.
L’Inmp, inoltre, ha avviato un progetto con il ministero della Salute che permetterà di fornire a pazienti indigenti dentiere, occhiali e protesi acustiche: ”Prevediamo infatti — continua Mirisola — una forte domanda di tali dispositivi proprio da parte di pensionati in difficoltà ”.
Le emergenze attuali, rileva Mirisola, riguardano però sempre di più anche le ”nuove povertà metropolitane, con gli anziani spesso in prima linea”.
Anche le ultime stime indicano chiaramente l’aggravarsi dell’indigenza nel Paese: gli italiani in situazione di povertà , secondo i dati della Caritas italiana, sono 8,2 milioni, pari al 13,8% della popolazione, mentre il 24,7% degli italiani è a rischio di povertà contro il 23,1% dell’Unione Europea.
Adele Lapertosa
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Agosto 6th, 2012 Riccardo Fucile
CON LA RIFORMA DELLE PROFESSIONI VI SARA’ CONCORRENZA SULLE TARIFFE
La pubblicità sarà anche l’anima del commercio ma con le professioni ordinistiche non ha mai avuto un buon rapporto.
Adesso, con l’approvazione della riforma delle professioni, la questione si ripropone: il testo chiede che la pubblicità informativa venga «consentita con ogni mezzo e abbia ad oggetto, oltre all’attività professionale esercitata, i titoli e le specializzazioni del professionista, l’organizzazione dello studio e i compensi praticati».
Questa chiara presa di posizione ha definitivamente sdoganato la pubblicità presso il mondo professionale. In realtà già altri testi normativi avevano aperto le porte al messaggio commerciale ma in molti casi gli Ordini guardavano con diffidenza queste iniziative.
Non sono stati pochi, in questi anni, i casi di provvedimenti disciplinari verso professionisti che si erano lasciati andare a spot un po’ più arditi o «creativi». – Insomma finora in Italia non abbiamo assistito di frequente a inserzioni pubblicitarie, spot o passaggi radiofonici che decantassero le abilità o i costi stracciati di un notaio, un commercialista o un ingegnere. In realtà esistono già studi professionali che appartengono all’Associazione low cost che fa dei prezzi competitivi il suo cavallo di battaglia; ce ne sono altri che hanno tentato qualche timido approccio alla cartellonistica ma si tratta di casi sparuti, nulla a che vedere con le grandi campagne promozionali a cui si assiste nei paesi anglosassoni. Inutile nascondere però che nelle intenzioni del nuovo testo c’è la volontà di vivacizzare la concorrenza tra i professionisti che si confrontano sul mercato evitando accordi di cartello.
Per questo la riforma potrebbe cambiare radicalmente lo scenario e anche categorie tradizionalmente contrarie alla pratica commerciale (notai su tutti) adesso sembrano ben disposte anche perchè il testo raccomanda che la pubblicità informativa deve essere funzionale all’oggetto (niente prendi due e paghi uno), non deve violare l’obbligo del segreto professionale, non deve essere equivoca, ingannevole o denigratoria.
Proprio questo è uno dei passaggi più delicati, perchè la pubblicità comparativa è quanto di più irritante esista nel mondo professionale.
Esiste già un precedente eclatante in tal senso: nel 2008 divenne possibile effettuare cessioni di quote di società a responsabilità anche presso i commercialisti e non più soltanto presso gli studi dei notai.
Questi ultimi pensarono a una reazione mediatica e il mezzo fu una pubblicità con questo slogan «Con il notaio più sicurezza meno costi; senza il notaio più costi meno sicurezza».
La reazione non si fece attendere: i commercialisti si sentirono chiamati in causa e fecero ricorso all’Antitrust che, in un primo momento, chiuse il procedimento senza sanzioni. I commercialisti fecero poi ricorso al Tar, il tribunale amministrativo regionale, che multò di 5 mila euro i notai.
Uno scontro all’arma bianca che poi sfociò in una pace diplomatica sancita da Claudio Siciliotti (presidente dei commercialisti) e Giancarlo Laurini (presidente dei notai). Un caso emblematico di quanto la pubblicità possa trasformarsi in un terreno esplosivo quando viene utilizzata dal mondo professionale.
Però adesso che il via libera è definitivo, vedremo se si scatenerà la corsa alle proposte competitive stravolgendo un approccio culturale fatto di diffidenza e litigiosità .
Non a caso sono in tanti a prevedere che l’aumento delle pubblicità sarà proporzionale a quello delle controversie.
E chissà che magari anche gli utenti non traggano beneficio da un mercato, magari più litigioso ma più fluido e conveniente.
Isidoro Trovato
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Agosto 6th, 2012 Riccardo Fucile
BASTA USARE NICKNAME, I SOCIAL NETWORK VOGLIONO I VOSTRI VERI NOMI… MA GLI UTENTI SI APPELLANO AL DIRITTO ALL’ANONIMATO
Non con il mio nome. L’utilizzo del vero nome nei social network – ormai preteso da servizi
come Facebook e Google+ – scatena la guerra nella Rete.
Esiste infatti una ristretta (ma molto combattiva) cerchia di navigatori che si batte per il diritto all’anonimato.
In difesa di tutti coloro che non possono usare la loro vera identità : dalle persone che vivono in Paesi che limitano la libertà di parola fino agli individui che sono vittime, nella vita reale, di stalking, bullismo o pregiudizi sul loro orientamento sessuale.
I conflitti – sempre più accesi botta e risposta online – nascono dalle linee guida che stanno dettando il social network di Zuckerberg e quello di Page e Brin, lanciato poco più di un anno fa da Google.
Entrambi promuovono la real name policy.
Chi vuole iscriversi ai loro servizi, insomma, deve fornire il suo vero nome.
Per chi utilizza pseudonimi e soprannomi – a meno che non siano “certificati” da una discreta popolarità online – c’è la sospensione dell’account.
La logica aziendale è comprensibile: la maggior parte degli utenti usa i social network per stringere legami come farebbe nella vita reale.
Cercando e aggiungendo amici/contatti attraverso il loro nome reale. È uno dei principali motivi per cui i navigatori hanno abbandonato MySpace e i suoi nickname in favore del sito creato da Mark Zuckerberg.
Non deve stupire, quindi, se c’è addirittura chi crede che in futuro i profili virtuali possano trasformarsi in valide carte d’identità da esibire nel mondo reale.
Tessere plastificate con il logo del social network, foto profilo, nome e cognome, nazionalità e Qr Code per accedere immediatamente alla propria pagina per tutti gli ulteriori controlli.
Così le ha pensate l’artista tedesco Tobias Leingruber, che ha creato un Social ID Bureau che gli utenti di Facebook possono utilizzare per generare il proprio “documento”.
La sua era una provocazione, un modo per “denunciare” quanto sia in pericolo l’anonimato sul web, ma in molti l’hanno trasformata in uno status symbol da mostrare agli amici.
E l’idea è stata subito ripresa dall’ingegnere Moritz Tolxdorff, anche lui tedesco, per dare vita alle Google+ ID Card
Accanto all’entusiasmo per l’identità reale sbandierata online scorre però la rabbia di chi non intende legare al proprio nome ogni singola azione effettuata sul web.
Come chiede di fare, per esempio, YouTube in America. Da qualche settimana, infatti, i titolari di un profilo Google+ sono invitati a commentare i video usando il proprio nome e non più il nickname con cui sono registrati al popolare sito di video sharing.
L’utente può ancora scegliere, il cortese invito si può rifiutare. Ma il “no” necessita addirittura di una giustificazione.
Sei le opzioni che compaiono sul monitor: dalla più radicale, “non posso usare il mio vero nome”, alla più semplice, “non sono sicuro, deciderò più avanti”.
La gentile richiesta arriverà anche nel nostro Paese – fanno sapere da Google Italia – ma non c’è ancora una data certa.
Il tutto, secondo alcuni, si iscrive nella volontà di Google di responsabilizzare gli utenti, nel tentativo di prevenire i commenti volgari e offensivi che, con la copertura dell’anonimato, abbondano su YouTube.
L’ipotesi regge. Anche se viene da pensare che i dati sui gusti musicali e sui video preferiti da utenti reali devono valere una fortuna.
L’aspetto economico legato alla real name policy non va sottovalutato: se la società di Mark Zuckerberg naviga nell’oro, lo deve ai profili sempre più accurati creati dai suoi utenti. Le abitudini sul web di persone reali e identificabili si possono monetizzare.
Gli pseudonimi, invece, non dicono nulla e non sono appetibili. Nella pagina ufficiale dedicata agli inserzionisti, Facebook è chiarissimo: “Scegli il tuo pubblico in base a posizione geografica, età e interessi”.Per i crociati delle nymwars (c’è anche un’hashtag specifico da seguire su Twitter: #nymwars) le iniziative di colossi come Facebook e Google rappresentano tendenze pericolose. Chi vuole usare pseudonimi può sempre rifiutare di iscriversi e rifugiarsi in comunità online numerose e anonime. Come 4chan o Twitter.
Ma fino a quando?
Esattamente un anno fa, in seguito ai London Riots, la polizia britannica ha chiesto proprio a Twitter di prendere in considerazione l’idea di forzare i propri utenti inglesi a utilizzare i loro veri nomi.
Da marzo scorso, invece, i navigatori cinesi che si iscrivono a social network simili a Twitter – tra questi Weibo è uno dei più popolari – devono farlo fornendo il proprio vero nome.
Una norma simile è stata introdotta (e poi ritirata quasi immediatamente) anche in Corea del Sud nel 2007.
Anche i governi, dunque, non perdono occasione per dichiarare guerra agli pseudonimi sul web.
E così chi vuole passare inosservato sul web – continuando ad accontentare i “padroni” dei
social network – ricorre a un sito molto popolare: Fake name generator.
Si sceglie la nazionalità del nome, il paese di residenza, il sesso e la fascia d’età (o l’età precisa) desiderata.
E il sistema genera un nome e cognome seguito da informazioni dettagliatissime: dall’indirizzo al numero telefonico fino al gruppo sanguigno e al numero di carta di credito.
Dati falsi che si possono spendere online per essere – paradossalmente – più credibili. C’è una celebre vignetta del 1993, realizzata da Peter Stainer per il New Yorker, che riassume alla perfezione il concetto di identità sulla Rete.
Nel disegno ci sono due cani. Uno guarda scettico l’altro, seduto davanti a un computer. E sotto di loro la fulminante sentenza: “On the Internet, nobody knows you’re a dog / Su Internet nessuno sa che sei un cane”.
Erano i primi anni Novanta, poco prima dell’esplosione del web.
Un tempo in cui davvero ci si poteva aspettare (e immaginare) di tutto all’altro capo della connessione.
Oggi molti cani hanno una pagina su Facebook.
Ma spesso usano il loro vero nome.
Pier luigi Pisa
(fa “La Repubblica”)
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Agosto 6th, 2012 Riccardo Fucile
LA DIREZIONE DI TARANTO VOLEVA CONDIZIONARE LE VALUTAZIONI DEI TECNICI ARPA, QUELLE DEL GOVERNO E DEI GIORNALISTI
Al quartier generale dell’Ilva avevano un’ ossessione: controllare tutto.
I tecnici dell’Arpa, l’agenzia regionale per l’ambiente, quelli del ministero, e i giornali.
Regista dell’operazione era il dottor Girolamo Archinà , l’uomo delle pubbliche relazioni della famiglia Riva.
E’ lui che parlando con un consulente nel 2010, vanta amicizie eccellenti negli uffici della Regione a Bari, e più in alto, al ministero dell’Ambiente. “Corrado Clini (all’epoca direttore generale del ministero) è un uomo nostro”.
Ma al lavoro per l’Ilva c’era anche un esercito di legali, consulenti ed esperti.
E’ il 9 giugno del 2010 quando a scendere in campo è l’avvocato Perli, di Milano, in buoni rapporti, a quanto risulta dalle intercettazioni della Guardia di Finanza, con i vertici del ministero dell’Ambiente.
In ballo c’è il rilascio dell’autorizzazione Aia, essenziale per il funzionamento dello stabilimento.
L’avvocato Perli chiama Fabio Riva, il padre Emilio è agli arresti domiciliari per il disastro ambientale di Taranto, e gli preannuncia un incontro con Luigi Pelaggi, capodipartimento del ministero dell’Ambiente.
L’avvocato informa Riva junior che l’alto funzionario “ha dato disposizione a Ticali di parlare con Assennato”.
Il primo è un ingegnere esperto in pavimentazioni stradali nominato dall’allora ministro Stefania Prestigiacomo presidente della Ipcc, la commissione che concede l’Aia.
Il secondo è il presidente dell’Arpa Puglia. L’avvocato Perli è raggiante e tranquillizza Fabio Riva: “Non avremo sorprese e comunque la visita della Commissione allo stabilimento va un po’ pilotata”.
Un ostacolo al lavoro dell’apparato Ilva, può essere costituito dal direttore dell’Arpa. “Quello si comporta così perchè ha ambizioni politiche”.
Poveri tarantini che affidavano la loro salute agli organi di controllo.
“Il fatto che la commissione Ipcc debba essere pilotata — scrive la Guardia di Finanza di Taranto — e che, comunque, sia stata in un certo qual modo in parte avvicinata”, si rileva anche da altre intercettazioni telefoniche.
Quale sia stata la scelta della famiglia Riva di fronte a controlli, articoli di giornali, minacce di referendum degli ambientalisti, lo si capisce da questa intercettazione del luglio 2010.
Girolamo Archinà , l’uomo delle pubbliche relazioni, parla con Ivo Allegrini, ex membro del Cnr e consulente Ilva. Allegrini: “Le amministrazioni pubbliche fanno il loro dovere, pure gli ambientalisti, ma quando si esagera si esagera”.
Archinà detta la linea: “Ivo, il discorso è questo, se noi siamo convinti di avere di fronte i tribunali, il Tar, io sono il primo a dire facciamo la guerra a tutto spiano”.
E quando i giornali danno fastidio, scrivono, danno voce alla gente di Tamburi stanca di respirare veleni (“fanno da cassa di risonanza” alle inchieste, per il manager Ilva), lui sa come fare. “Bisogna pagare la stampa per tagliargli la lingua. Cioè pagare la stampa per non parlare”.
È questa la democrazia a Taranto dell’impero Riva intollerante ai controlli.
Quando l’Arpa calca la mano su una relazione che descrive le quantità di benzoapirene emesso dall’Ilva, Archinà alza il telefono e chiama il professor Giorgio Assennato. Lo rimprovera.
Le emissioni sono sopra il limite, “potrà rilevarsi necessaria imporre altre misure di riduzione”, dice Assennato. “Lo so, lo so, ma questo ci crea grossi problemi. Così chiudiamo” .
Uomo dalla stazza massiccia, Archinà , quando non poteva comprarseli giornali e giornalisti (ieri l’Ordine della Puglia ha chiesto di acquisire tutti gli atti della procura), gli strappava il microfono.
È successo nel 2009, Luigi Abate, cronista di una tv locale, sta tentando di parlare di morti e tumori con il vecchio Riva.
“Ve li inventate voi, i morti”, risponde infastidito il patron, a quel punto interviene Archinà , strappa il microfono al giornalista, lo butta via e si piazza come un armadio davanti alle telecamere.
L’uomo delle pubbliche relazioni, indagato per corruzione in atti giudiziari, non sarà più la voce dell’Ilva. Licenziato.
“Clini è nostro” è la frase che ha scatenato polemiche feroci.
In una durissima nota Clini giudica il deposito dell’intercettazione “una grave violazione della deontologia processuale”.
Il ministro “non si è mai occupato della procedura Aia dello stabilimento Ilva, come risulta anche dall’istruttoria pluriennale condotta dal Ministero, nè ha mai avuto a tal proposito rapporti con la dirigenza Ilva”.
Perchè si pubblica una intercettazione “irrilevante ai fini del procedimento, nel momento in cui il Ministro Clini è impegnato a nome del Governo a ricercare soluzioni positive per il risanamento ambientale di Ilva, la continuazione produttiva dello stabilimento e la salvaguardia dell’occupazione?”.
Il ministro, “ha segnalato la situazione al Presidente della Repubblica ed al Ministro della Giustizia”.
Durezza che non ha impressionato più di tanto la procura.
Il procuratore Franco Sebastio, in una nota si è limitato a dire che “in nessuna di tali intercettazioni risulta, direttamente o indirettamente, il nome del ministro Clini”. Polemica chiusa?
Forse, perchè stando a rumors e indiscrezioni, ci sarebbero altri fascicoli aperti sul “sistema Ilva”.
La città aspetta.
Mercoledì il Tribunale del Riesame deciderà se confermare gli arresti di Riva padre e figlio e il sequestro degli impianti.
Enrico Fierro
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Agosto 6th, 2012 Riccardo Fucile
PROPORZIONALE E ALLEANZE DI GOVERNO
Con l’annunciato ritorno alla proporzionale, ridiventerà lecito ciò che non lo era dopo il 1994:
correre da soli alle elezioni e fare le alleanze di governo in Parlamento dopo il voto.
Era il sistema della Prima Repubblica.
Grazie a esso l’Italia riuscì a collezionare ben 45 governi in 44 anni (dal 1948 al 1992): un record negativo eccezionale.
Allora però ce lo potevamo permettere: la democrazia italiana viveva di puntelli esterni. C’erano la guerra fredda, la Nato, la minaccia comunista, la conventio ad excludendum.
C’è da dubitare che una democrazia così mal funzionante possa reggere a lungo nel burrascoso mondo in cui viviamo.
Ma la politica è interessata solo al breve termine. E nel breve termine una legge elettorale proporzionale serve a tanti.
Serve ai probabili sconfitti (il centrodestra) perchè, a differenza delle leggi maggioritarie, consente di limitare le perdite, di rimanere in gioco.
E serve a chi si è posizionato «al centro» (Pier Ferdinando Casini).
Perchè gli assicura una rendita di posizione, lo rende indispensabile in qualunque combinazione parlamentare.
Può svolgere il ruolo del king maker quale che sia lo schieramento, di sinistra o di destra, con cui, dopo le elezioni, si troverà a trattare la formazione del governo.
Facciamo un esercizio di fantasia, immaginiamo lo scenario del dopo elezioni (la storia poi, si sa, va per suo conto, ma disegnare scenari è un modo per dotarsi di una bussola artigianale).
È probabile che l’alleanza Bersani-Vendola prevalga sul centrodestra nelle prossime elezioni.
Non avrà però, verosimilmente, i numeri per governare.
Dovrà fare i conti con Casini. Quanto potrà reggere il governo che si formerà ?
Nello «schema di gioco» di Bersani, a Casini spetterà la difesa della continuità con il governo Monti, a Vendola (ma anche a una parte del Partito democratico) spetterà rivendicarne la discontinuità .
Con Bersani al centro che media fra le due componenti.
Ma potrà mai reggere quello schema di gioco?
Sicuramente no, se dovremo fare ricorso allo scudo anti- spread e accettare le rigide condizioni che ciò comporta: l’ala sinistra, vincolata a un programma di rigore e di tagli alla spesa che non è il suo, non potrebbe reggere a lungo il gioco.
Ma anche senza scudo, e connesso commissariamento, lo schema di Bersani incontrerebbe grossi problemi.
Non sarebbe facile per il governo, data la sua composizione, guadagnarsi la fiducia dei mercati.
Le probabilità di fallimento nel giro di un anno sarebbero piuttosto alte. Figurarsi poi se all’assedio dei mercati dovesse sommarsi, poniamo, una improvvisa pressione politico-diplomatica dovuta al precipitare di una crisi militare (fra Israele e Iran) in Medio Oriente.
Esaurito l’esperimento, Casini cercherebbe di smarcarsi, di cambiare cavallo, di aprire una trattativa con la destra (grazie anche al ridimensionamento politico di Berlusconi dovuto alla sconfitta elettorale).
Potrebbe farlo, però, solo se esistessero in Parlamento i numeri necessari per rovesciare le alleanze.
Ma se quei numeri non ci fossero? La benedizione rappresentata dal posizionamento al centro si trasformerebbe in una maledizione. Perchè i centristi non potrebbero allora schivare le macerie del fallito esperimento di governo.
La verità è che a Casini conviene solo una grande coalizione.
La distribuzione delle forze in Parlamento che risulterà quando, a urne chiuse, si saranno contati i voti e proclamati i risultati, ci dirà se i centristi avranno ragioni per brindare o per essere spaventati.
Angelo Panebianco
(da “il Corriere della Sera“)
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Agosto 6th, 2012 Riccardo Fucile
IL SENATUR ESPERTO IN SCUOLE BOSINE FINANZIATE DALLO STATO ITALIANO E IN UNIVERSITA’ TAROCCO ALBANESI STRONCA PURE I PROMESSI SPOSI
Umberto Bossi è un disco rotto.
Alla festa della Lega Nord di Corgeno, in provincia di Varese, torna nuovamente sugli stessi temi di sempre.
Espone la teoria del complotto nei suoi confronti: “E miei figli non c’entrano niente” e che “sono stati tirati in mezzo per colpire me”.
Nel lungo discorso di Bossi (ha parlato per 40 minuti) c’è stato ancora spazio per le parabole di Armin (il generale germanico che ha sconfitto tre legioni romane) e di Bobby Sands (l’eroe dell’indipendentismo irlandese, che si è immolato in carcere lasciandosi morire di stenti), ripetute allo sfinimento in ogni occasione pubblica.
Tra le tante frasi ripetute, Umberto Bossi ha avuto un guizzo, introducendo un nome nuovo nell’elenco dei nemici giurati della Lega: Alessandro Manzoni.
Lo scrittore, reo di essersi piegato alla volontà del Re di trovare una lingua che unisse l’Italia, si è meritato l’appellativo di “traditore” e “canaglia”.
“Siccome per fare una nazione serviva una lingua — ha affermato — il re trovò un grande traditore, una canaglia, cioè Alessandro Manzoni e gli fece scrivere “Fermo e Lucia”.
Poi aggiunge: “Per questo motivo si studia a scuola- continua — non perchè è una grande opera, visto che è un mattone, ma perchè era scritto nella lingua italiana” di Alessandro Madron.
C’è da credergli, lui di scuole se ne intende: quella della moglie, finanziata con soldi pubblici e gli atenei albanesi tarocco del figlio.
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Agosto 6th, 2012 Riccardo Fucile
PER I PARTITI LA RESA DEI CONTI SARA’ AL RITORNO DALLE VACANZE… “RIDICOLO RIPROPORRE BERLUSCONI PREMIER”….ATTACCO DELL’UDC AL CAVALIERE… CHI TACE E CHI PARLA TROPPO
Il Pdl che continua ad attaccare l’Udc, per l’ipotesi di accordo con il centrosinistra. 
Gli scomparsi di Fli che promettono riorganizzazione e grandi manovre.
I centristi che definiscono «ridicolo» il partito di Silvio Berlusconi.
Poi Di Pietro, che continua la sua marcia solitaria e anti-Pd. E Sel che recalcitra, davanti alle frasi montiane di Casini.
Si rivedranno tutti al voto di fiducia sulla spending review, alla Camera. Poi, forse, mercoledì per il voto finale.
Dopo saranno vacanze, fino a inizio settembre. Ma vacanze infuocate, a giudicare dalle dichiarazioni dei primi giorni di agosto.
Ieri i capigruppo del Pdl, Fabrizio Cicchitto e Maurizio Gasparri, sono tornati ad accusare l’Udc di «confusione», «imbroglio», «mistificazione».
Raffaele Lauro accusa esplicitamente Casini di mirare al Colle: «Dietro queste manovre, ai più indecifrabili, si celano inconfessabili aspirazioni al Quirinale di vecchi gattopardi».
«Un ballo del pinguino», lo definisce il senatore, provocando la reazione stizzita degli ex alleati: «Ringraziamo gli amici del Pdl, ma non abbiamo bisogno nè dei loro consigli nè dei loro avvertimenti – dice Lorenzo Cesa – . Piuttosto ci chiediamo come mai non capiscano che dopo venti anni e dopo le sue performance presidenziali, riproporre Berlusconi a Palazzo Chigi è qualcosa che sta tra il ridicolo e il drammatico».
Un contrattacco, ritardato di un giorno ma comunque efficace.
Tanto che nessuno risponde, a difesa del leader ritrovato.
E invece, torna a farsi sentire Fli. «Non siamo in ferie. Lavoriamo per costruire la coalizione di responsabilità nazionale con Udc, Fli, Lista Civica, membri del governo, lista Montezemolo e lista ex Pdl».
Il deputato finiano Deodato Scanderebech però ne è certo: «La vera novità nei prossimi mesi sarà la costituente della coalizione in cui Monti, Casini e Fini lanceranno il progetto programmatico, nel percorso iniziato del risanamento e del rilancio dell’economia italiana».
Più che altro, sembra un desiderata.
Tanto che lo stesso giornale d’area, il Futurista, davanti a un’apertura di Fabio Granata addirittura all’Idv, lancia l’allarme: «Rischiamo di sparire. Basta colonnelli. Scenda in campo Fini».
Che tace, invece. Almeno per ora.
Mentre Di Pietro continua a parlare. «Tutto siamo tranne che isolati – scrive sul suo blog il leader Idv – Senza vanterie, siamo la maggioranza». Poi respinge ogni accusa di divisione del suo partito, giura che sono uniti più che mai, segnala l’armonia vissuta alla festa agostana nella sua Montenero di Bisaccia.
«Le cose che non stanno bene a noi non stanno bene nemmeno ai cittadi-ni – continua l’ex pm – non ci sta bene dire che bisogna fare una politica diversa da quella di Monti e poi votare le leggi di cui quella politica è lastricata».
Proprio questo, sta diventando un problema per Sel.
Ad allontanare Vendola e Casini, più che i ventilati temi etici, è l’economia. «Il governo devono sceglierlo i cittadini – dice Gennaro Migliore – le chiacchiere di Casini e Buttiglione sulla continuità con Monti vogliono dire che il voto è inutile, anzi commissariato». Non sarà facile. Con il fiscal compact, con nuove condizioni imposte dall’Europa che potrebbero arrivarci nei prossimi mesi, Bersani dovrà intraprendere la strada della responsabilità , come ha fatto finora.
Per Sinistra e Libertà è diverso. Appoggiando l’“agenda Monti” rischia di perdere gran parte del suo elettorato.
Ma tanto, si litiga già nel Pd.
Giorgio Merlo chiede al suo partito di scegliere: «O decide di costruire una coalizione con chi ha una cultura di governo, oppure opta per rifare l’Unione di prodiana memoria, uno dei periodi più incolori e squallidi della storia».
Risponde furibonda Sandra Zampa, deputata ed ex portavoce del Professore.
Ricorda i successi del governo Prodi, i conti in ordine, lo spread a 35.
Merlo parla solo «per garantirsi un’alleanza con Casini – conclude – spero di non dover leggere più cose così, ma dubito che il mio desiderio sarà esaudito».
Annalisa Cuzzocrea
(da “La Repubblica”)
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