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UDC E FLI SI SCIOLGONO, NASCE LA COSA BIANCA: A NOVEMBRE IL CONGRESSO COSTITUENTE

Agosto 9th, 2012 Riccardo Fucile

IL 19 AGOSTO PROVE GENERALI   A TRENTO…NEL NUOVO PARTITO MINISTRI DEL GOVERNO MONTI, LUCA DI MONTEZEMOLO, MARCEGAGLIA, CISL E ACLI… UN CENTINAIO DI PARLAMENTARI DEL PDL BUSSANO GIA’ ALLA PORTA

La road map della Cosa Bianca è già  segnata.
Sarà  un partito, che ha già  cominciato a muovere i suoi passi. Abbraccerà  ministri del governo Monti, ma anche forze esterne, finora rimaste in «tribuna» ma mature ormai per il grande salto. Ex leader confindustriali come la Marcegaglia, Mr. Ferrari Luca Cordero di Montezemolo, i vertici di associazioni e sindacati di area cattolica, dal segretario Cisl Raffaele Bonanni al presidente delle Acli Andrea Olivero.
La rotta è stata messa a punto da Casini, Fini e Pisanu due giorni fa, nello studio del presidente della Camera.
Quando il Parlamento riaprirà  i battenti, i primi di settembre, il nuovo soggetto politico dovrà  presentarsi ai nastri di partenza, schierare la formazione, lanciare la campagna elettorale.
Farsi trovare pronto quando il Pdl, prevedono, esploderà  in una scissione.
Ma tutto inizierà  prima di settembre.
Le prove generali sono in programma subito dopo Ferragosto.
Il 19, data dall’alto valore simbolico: l’anniversario della morte di Alcide De Gasperi, nella sua Trento.
All’invito del presidente della Provincia ed ex fondatore della Margherita, Lorenzo Dellai, per ricordare lo statista democristiano hanno risposto in tanti.
Tra loro, il ministro alla Cooperazione e fondatore della Comunità  di Sant’Egidio, Andrea Riccardi, il segretario Cisl Bonanni, il presidente Acli Olivero.
Dellai è già  al lavoro per concorrere alla costruzione di una forza di centro che guardi a sinistra.
Nel suo disegno, da federare al “partitone” di Casini e Fini.
Comunque in quel progetto punta a essere coinvolto. Come al disegno non è estraneo chi parteciperà  al convegno trentino in pieno agosto.
Ma l’appuntamento clou è per il primo week-end di settembre, quando da venerdì 7 al 9, a Chianciano, il leader centrista Casini si prepara a sciogliere ufficialmente l’Udc e a lanciare assieme a Fini – che ha già  confermato la sua presenza – la nascita del partito.
Che, come racconta uno dei protagonisti, sarà  «liberale e democratico, ma soprattutto riferimento vero e credibile del mondo cattolico, anche se non esclusivo».
Ecco perchè è tutta quell’area ad essere entrata in queste settimane in pieno fermento.
Il 30 settembre toccherà  proprio a Fini e ai suoi, con l’annunciata «Assemblea dei mille», aprire «al contributo della società  civile».
Si viaggia verso «un soggetto unico e non una federazione» precisa comunque il capogruppo Fli Benedetto Della Vedova.
Saranno i passaggi preliminari, necessari per l’appuntamento vero: il congresso costituente che dovrà  tenersi da li a poche settimane. Forse già  tra ottobre e novembre.
A quel punto la campagna elettorale sarà  già  entrata nel vivo.
Ma i tre «fondatori» della Cosa Bianca, che ancora un nome non ha, due sere fa si sono detti d’accordo soprattutto sulla necessità  di non trasformarla in una sommatoria di partiti che hanno già  esaurito la loro spinta (i loro).
“ItaliaFutura” di Montezemolo dovrà  essere parte integrante del progetto, tanto per cominciare. Casini da giorni ha intensificato i suoi colloqui col ministro dello Sviluppo, Corrado Passera. Come del resto avviene da tempo con la ex leader degli industriali, Emma Marcegaglia.
È già  partito il pressing sui ministri Riccardi e Renato Balduzzi, responsabile della Sanità .
Del resto, l’agenda Monti e la continuità  con l’esecutivo dei tecnici saranno elementi portanti del programma elettorale.
Il segretario Udc, il presidente della Camera e quello dell’Antimafia hanno concordato sul fatto che un’eventuale “lista Monti”, della quale si è iniziato a parlare nelle scorse settimane, sarebbe «alleata ideale», se non coinvolta appieno. «Il nostro progetto ha una grande valenza in favore del premier – sostengono i tre – Lui non è uomo di parte e non si schiererà , ma non si vede perchè non debba avvalersene».
Soprattutto nella difficile navigazione di fine legislatura.
Nel Pdl in via di implosione, il nuovo partito diventa per molti un approdo di salvataggio.
Non solo per il drappello più vicino a Beppe Pisanu.
Un centinaio di parlamentari – almeno una sessantina di deputati e una trentina di senatori – avrebbe già  bussato alla porta dei centristi.
La gran parte dei berlusconiani sa, proiezioni alla mano, che a prescindere dalla legge elettorale i due terzi di loro non rivedranno lo scranno.
«Quando da qui a poco il Pdl esploderà  in una scissione – è l’unica regola che si sono data i tre big – stiamo attenti a non imbarcare nominati che portano in dote solo il loro voto».

Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica”)

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“DIGIUNO A STAFFETTA” CONTRO IL PORCELLUM: MA NON HANNO MOTIVO MIGLIORE PER UNO SCIOPERO DELLA FAME? MA SI MANGINO UNA PIZZA INVECE CHE SCIOPERARE CONTRO SE STESSI.

Agosto 9th, 2012 Riccardo Fucile

AVEVA INIZIATO IL PD ROBERTO GIACCHETTI 35 GIORNI FA, ORA ALTRI 25 PARLAMENTARI DIGIUNANO A TURNO… NON LO HANNO FATTO PER PROTESTARE QUANDO I PROFUGHI MORIVANO AFFOGATI IN MARE GRAZIE ALLA LEGGE SUI   RESPINGIMENTI O QUANDO GHEDDAFI LI FACEVA SPARIRE NELLE PRIGIONI LIBICHE, ORA SI SCOPRONO TUTTI LIBERALI PER UN PROBLEMA CHE ALLA GENTE NORMALE NON FREGA UNA MAZZA

Dopo lo sciopero della fame di 35 giorni portato avanti dal deputato Pd Roberto Giachetti contro il Porcellum e per una nuova legge elettorale, 25 parlamentari di quasi tutti i partiti (manca solo l’Udc) scendono in campo per continuare l’iniziativa attraverso una “staffetta” che si dovrebbe concludere il 1 settembre.
All’iniziativa, presentata in una conferenza stampa alla Camera, aderiscono tra gli altri il capogruppo di Fli Benedetto Della Vedova, Ermete Realacci e Pierluigi Castagnetti (Pd), Enrico Costa (Pdl).
I 25 parlamentari, che si propongono di digiunare a turno, ognuno per 24 ore, consentiranno così a Giachetti di rimettersi «in forze», come spiega lui stesso in conferenza stampa, per riprendere la battaglia a settembre qualora ce ne fosse bisogno. è vero che per settembre i componenti del Comitato ristretto per la legge elettorale hanno assicurato che ci sarà  l’adozione di un testo base, ma «non si sa mai…».
Bisogna essere pronti a «continuare la battaglia».
Per Giachetti, comunque, è già  un risultato che ci sia stato l’appello ripetuto di Napolitano alle forze politiche a fare una riforma e che si sia costituito un Comitato ristretto che ha consentito di spostare il dibattito sulla nuova legge elettorale dalle «stanze private dei partiti» alle aule parlamentari.
Così decide di passare il testimone a 25 parlamentari bipartisan che volontariamente si sono offerti (tre dei quali, oltre Giachetti di estrazione radicale).
Ma la `staffetta’ del digiuno, avverte il deputato del Pd, comincia anche su internet («per ora hanno aderito in 100 al digiuno di 24 ore»).
L’opinione pubblica e buona parte della politica, infatti, si sottolinea nella conferenza stampa, vogliono scrollarsi di dosso il Porcellum perchè, come sottolinea Ermete Realacci «una politica seria ha bisogno di regole serie».
E’ chiaro che molti dei “digiunatori” punterebbero ad un modello ben diverso da quello che si sta mettendo in cantiere, come ad esempio un «maggioritario a doppio turno alla francese», ma comunque quello di voltare pagina rispetto alla legge Calderoli sembra essere diventato ormai un imperativo «almeno per un senso di lealtà  nei confronti dell’opinione pubblica», come sottolinea Benedetto Della Vedova. Questa legge, osserva Beppe Giulietti (Misto-Art.21), «altera la percezione della democrazia».
«Bene cambiare il Porcellum – incalza Giorgio Stracquadanio (ex Pdl-Misto) – anche se non sara’ salvifico per le sorti del Paese». «
Aderisco con convinzione al digiuno – afferma Paola Concia (Pd) – e poi si vedrà  ab settembre come continuare con la mobilitazione».
a oggi comincia a digiunare Della Vedova, poi proseguiranno nell’ordine: Realacci (Pd), Giulietti (Misto), Margiotta (Pd), Mecacci (Pd), Di Biagio (Fli), Bernardini (Pd-Radicali), Perina (Fli), Bobba (Pd), Buonfiglio (Misto), Castagnetti (Pd), Della Seta (Pd), Ferranti (Pd), Miotto (Pd), Viola (Pd), Moroni (Fli), Paglia (Fli), Recchia (Pd), Stracquadanio (Misto), Mario Pepe (PT), Costa (Pdl), Crosetto (Pdl), Concia (Pd), Raisi (Fli), Mogherini (Pd).
Bene dunque la mobilitazione bipartisan, anche se nella maggioranza c’è chi ricorda che il 21 dicembre del 2005, a votare quello che poi venne chiamato dallo stesso proponente Roberto Calderoli il Porcellum, furono 323 deputati di FI, AN, Udc e Lega, contro 6 “no” e 6 astenuti.
Il centrosinistra (Ds, Prc, Pdci, Verdi) non partecipò al voto.

Il commento del ns. direttore

Riepiloghiamo con la consueta sincerità  di chi non ha rinunciato a dire sempre quello che pensa:
1) Lo sciopero della fame si fa per motivi seri e che coinvolgono la vita stessa delle persone. Personalmente ho aderito in passato solo a quello per la sopravvivenza fisica di Paolo Signorelli, vittima della arroganza e della ingiustizia   dello Stato italiano.
2) In questo caso specifico un gruppo di deputati vuole abrogare giustamente il “porcellum”, dimenticando però due elementi chiave:
a) sono gli stessi parlamentari che a suo tempo l’hanno votato
b) sono deputati della Repubblica che hanno il potere di cambiarlo votandone uno diverso in 1 minuto, senza bisogno di sceneggiate.
Lo facessero dei cittadini che non hanno altro strumento di pressione passi, ma che lo facciano dei parlamentari contro se stessi è perlomeno anomalo.
Si dirà : ma loro lo fanno perchè forse nei loro stessi partiti non riescono a ottenere nulla.
Bene, lascino il loro partito se non li rappresenta, non sono obbligati a restarci.
Oppure costringano i vertici a cambiare atteggiamento con una votazione interna al loro gruppo parlamentare.
3) fa specie poi che si indica uno sciopero della fame per una banale legge elettorale da parte di deputati che si richiamano in questo caso a “principi liberali”.
Possiamo anche concordare nel merito, ma ci spieghino come mai non hanno sentito l’esigenza di iniziare uno sciopero della fame quando, nonostante le condanne internazionali piovute sull’Italia grazie alla famigerata legge sui respingimenti, centinaia di profughi sono morti affogati in mare o respinti in Libia dove li attendeva il carcere e la tortura.
Come mai non hanno mai iniziato uno sciopero della fame per solidarietà  ai licenziati sul traliccio alla stazione Centrale di Milano o alle migliaia di precari e lavoratori cancellati dal tessuto produttivo del Paese?
O contro i tagli alla cultura?
O contro la devastazione dell’ambiente?
O per i diritti delle donne e dei disabili?
O per la chiusura del lager di Green Hill?
O perchè una coppia di fatto di conviventi possa godere degli stessi diritti di una sposata?
E potremmo continuare a lungo.
La distanza tra ceto politico e popolo italiano si misura anche in queste piccole cose: andate in un mercato rionale e vi accorgerete quanto possa interessare agli italiani il dilemma “porcellum”.
Che si tratti di arrosti o di politici “bolliti”.
Meglio mangiarsi una pizza.

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LE DISMISSIONI DEL PATRIMONIO DELLO STATO: PRIVATIZZAZIONI, SI PARTE CON GLI IMMOBILI

Agosto 9th, 2012 Riccardo Fucile

I TRE FONDI DELLA CASSA DEPOSITI AL VIA… ECCO I BENI DI PRESTIGIO SUL MERCATO

Il «piano Grilli» sarà  solo la base di partenza.
Il governo guidato da Mario Monti è pronto a integrare il pacchetto di proposte per la dismissione e la valorizzazione del patrimonio pubblico per abbattere il debito, e le prime proposte concrete arriveranno all’inizio di settembre.
Insieme al nuovo ciclo di misure legate al processo della spending review, e con lo stesso obiettivo di favorire la crescita dell’economia garantendo la sostenibilità  della finanza pubblica, il piano anti-debito sarà  l’asse portante dell’ultimo spezzone di legislatura.
Nelle ultime settimane la pressione sul governo per avviare iniziative più incisive sulla riduzione del debito, giunto a maggio a 1.966 miliardi di euro e destinato a superare quota duemila miliardi entro l’autunno, è cresciuta considerevolmente.
Il Pdl ha depositato anche in Senato, dopo averlo fatto alla Camera, il progetto di legge con il piano per l’abbattimento del debito pubblico di 400 miliardi di euro in cinque anni.
E sul tavolo del presidente del Consiglio, Mario Monti, è arrivata anche la proposta degli economisti dell’Astrid, che con strumenti differenti punta, nell’arco dei prossimi otto anni, ad un taglio di 180 miliardi di euro.
Piani che si aggiungono a quelli già  portati all’attenzione del governo da altre forze politiche, centri studi, singoli economisti, tutti con il medesimo obiettivo: dare una spallata forte all’enorme massa del debito per alleggerire le emissioni di nuovi titoli e la spesa per interessi (80 miliardi di euro l’anno), dare un segnale forte di serietà  ai mercati, sempre nervosi, rimettere in moto gli investimenti e, di conseguenza, l’attività  economica.
Tre fondi pronti
«Il piano del governo è già  stato tradotto in legge, con la creazione di tre distinti fondi per le dismissioni, che saranno attuati entro l’anno. Ma ogni altra proposta sarà  valutata», fanno sapere i collaboratori del presidente del Consiglio, che ha discusso con il segretario del Pdl, Angelino Alfano, la proposta del suo partito, che punta alla creazione di un maxi fondo cui conferire beni ed attività  per un valore di circa 80 miliardi l’anno, che verrebbero acquistati con l’emissione di obbligazioni ad alto «rating» (ovvero con un qualità  superiore, e dunque un costo inferiore, a quello dei titoli di Stato, penalizzati dalle agenzie di valutazione internazionale).
Sui contenuti specifici delle singole proposte, così come sulle cifre messe in ballo, nessuno, nel governo, vuole ancora sbilanciarsi.
Ma la sottolineatura che il piano Grilli sarà  la base di partenza di tutto suona come la conferma di una linea di estrema prudenza, condivisa dal Tesoro e dalla Banca d’Italia.
I tre fondi messi in campo dal governo, uno per la privatizzazione delle società  municipalizzate, uno per la dismissione dei beni assegnati agli enti locali con il federalismo demaniale ed un altro per la cessione di circa 350 immobili di pregio già  valorizzati e del quale ha parlato ieri diffusamente anche il «Wall Street Journal», potrebbero realizzare nel 2013 dismissioni per circa 4-5 miliardi.
Vendite immobiliari ferme
Anche se il mercato immobiliare non appare molto ricettivo.
Come sottolinea il quotidiano economico statunitense, immobili prestigiosi come il Castello Orsini di Soriano al Cimino, Palazzo Diedo a Venezia, Palazzo Bolis Gualdo di via Bagutta a Milano, hanno un fascino indiscusso ed un interesse potenziale enorme (come del resto le grandi caserme dismesse a Roma, tra le quali Forte Boccea e quella di via Guido Reni) per i grandi investitori internazionali.
Ma anche prezzi apparentemente incompatibili con la davvero scarsa liquidità  che c’è in giro.
A Bologna l’Agenzia del Demanio ha messo in vendita l’enorme complesso immobiliare dell’ex Convento delle Carmelitane Scalze, 4 mila metri quadri coperti. Alla scadenza dell’asta non era arrivata neanche un’offerta: deserta, come le altre due svolte l’anno scorso.
Dai 13 milioni di euro di partenza l’Agenzia è scesa di parecchio, ma neanche l’ultimo sconto a 9.980.000 euro (stile supermarket) ha allettato gli acquirenti.
Come per l’ex Caserma Sani, che occupa quasi un intero quartiere di Bologna, invenduta a 40 milioni di euro e che ora sarà  inserita nel fondo degli immobili valorizzati.
Così succede un po’ ovunque con i grandi complessi immobiliari messi in asta dall’Agenzia del Demanio, che negli ultimi mesi riesce a vendere solo appartamenti, o comunque immobili di basso e medio valore.
Con i quali sarà  difficile abbattere il debito «monstre» dello Stato.
Goldman e Socgen per la Cdp
Molti meno ostacoli, invece, incontra il secondo pilastro del piano Grilli per le dismissioni e la riduzione del debito pubblico.
Il progetto di conferire alla Cassa depositi e prestiti le partecipazioni detenute dal Tesoro in Fintecna, Sace e Simest sta procedendo molto speditamente.
Il 3 agosto scorso il Tesoro ha affidato a Goldman Sachs International il ruolo di advisor per l’acquisto di Fintecna e alla Sociètè Gènèrale quello per la valutazione di Sace e Simest.
La Cassa depositi non ha ancora formalmente esercitato l’opzione per l’acquisto di queste partecipazioni, ma lo farà  senz’altro, anche perchè tutte e tre le società  secondo i vertici della Cdp, Franco Bassanini e Giovanni Gorno Tempini, rientrano nel «core business» della Cassa.
L’istituto, controllato dal Tesoro, ma partecipato dalle fondazioni di orgine bancaria e pertanto fuori dal perimetro della pubblica amministrazione (e dunque dal bilancio pubblico), dovrebbe sborsare circa 10 miliardi di euro per l’acquisto delle tre partecipazioni, anticipando al Tesoro 6 miliardi subito dopo l’esercizio dell’opzione, atteso alla fine dell’estate.
Tra le risorse che arriveranno da Cdp e quelle che scaturiranno dalle dismissioni dei tre fondi messi in piedi dall’esecutivo si stima un incasso straordinario di circa 15 miliardi di euro nei prossimi dodici mesi, poco meno di un punto di Pil.
In attesa di approfondire, ed eventualmente sposare le nuove proposte sul tappeto, l’attacco del governo Monti al debito pubblico partirà  da qui.

Mario Sensini
(da “Il Corriere della Sera”)

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PARTITI, PIU’ CONTROLLI E MENO SOLDI PUBBLICI

Agosto 9th, 2012 Riccardo Fucile

L’OBIETTIVO DI UNA LEGGE PER DISCIPLINARE LA POLITICA… IL RAPPORTO AMATO: VIGILANZA ALLA CORTE DEI CONTI… PER I SINDACATI “DISTACCHI DA DIMINUIRE”

Meno finanziamenti pubblici ai partiti e rapportati ai contributi ricevuti dai privati, con ogni singola donazione e donatore registrato su un sito internet accessibile a tutti i cittadini.
Stretta sui distacchi sindacali nel pubblico impiego.
Sono le principali proposte dei dossier Amato allo studio del presidente del Consiglio, Mario Monti.
Dopo la brevissima pausa estiva il governo ripartirà  dalle nuove misure di revisione della spesa pubblica (spending review), ma metterà  mano anche ai finanziamenti della politica e del sindacato.
Lo farà  sulla base delle relazioni consegnate dall’ex presidente del Consiglio, Giuliano Amato, al quale il premier ha appunto dato il compito di suggerire i tagli.
A completare il quadro ci sono poi le misure per ridurre gli incentivi alle imprese, anche qui seguendo le indicazioni di un altro consulente di Monti, l’economista Francesco Giavazzi.
Infine, con la legge di Stabilità  di ottobre, il governo dovrebbe varare il riordino delle agevolazioni fiscali già  censite dal sottosegretario all’Economia, Vieri Ceriani.
Tutti questi interventi puntano a realizzare consistenti risparmi di spesa, innanzitutto per evitare l’aumento dell’Iva che altrimenti scatterà  a luglio 2013.
Servono circa 6 miliardi di euro.
Sì ai finanziamenti alla politica
«Una qualche forma di finanziamento pubblico della politica esiste in ogni democrazia», dice Amato nel rapporto consegnato a Monti.
È così per evitare che solo i ricchi partecipino e far sì «che ogni cittadino possa accedere al processo politico, in condizioni di parità ».
Di certo, prosegue l’ex premier, «non esiste ordinamento realmente democratico che non preveda un accettabile finanziamento pubblico del momento elettorale».
Perfino negli Stati Uniti, «dove il privato la fa da padrone», si assiste alla «ripresa di un dibattito intorno alla necessità  di un finanziamento pubblico».
I Paesi europei hanno tutti un sistema misto di finanziamenti, pubblico e privato.
Le risorse che arrivano dallo Stato sono di tre tipi: i rimborsi elettorali; il finanziamento diretto, «in genere destinato a partiti e a gruppi parlamentari»; quello indiretto (agevolazioni, contributi all’editoria di partito, tariffe di favore sui servizi postali, di trasporto, eccetera).
Riformare i partiti
Dopo aver passato in rassegna le principali caratteristiche dei sistemi in vigore nei Paesi europei, Amato trae le sue conclusioni, che possono essere sintetizzate in dieci punti.
1) È necessaria «una legge che disciplini e regoli i partiti politici», anche al fine di assicurare che tutte le contribuzioni siano «ancorate a garanzie minime di democrazia interna dei partiti». Bisogna insomma attuare l’articolo 49 della Costituzione, perchè solo in Italia i partiti sono semplici associazioni di fatto sottratte a vincoli e controlli. 2) Vanno «ridotti i rimborsi elettorali, in ragione di tetti di spesa da determinare con rigore per le campagne elettorali, anche ove i rimborsi siano poi parametrati ai voti». 3) Il finanziamento diretto «è ammissibile solo in ragione percentuale a quanto ottenuto dai partiti con erogazioni liberali», anche per evitare che si formino piccoli gruppi politici al solo scopo di prendere soldi pubblici.
4) Consentire i finanziamenti privati «non solo da persone fisiche, ma anche da persone giuridiche, entro limiti quantitativi e in regime di massima trasparenza».
5) Aumentare lo spazio di «accesso ai servizi». Per esempio, le «sale per riunioni ed incontri» in sedi pubbliche al fine di «ridurre il finanziamento diretto».
Un sito per la trasparenza –
6) Ogni forma di contribuzione «deve cessare con lo scioglimento» del partito.
7) Il controllo sui rendiconti e sulla gestione finanziaria va affidato alla Corte dei Conti.
8) Le modalità  di erogazione devono «evitare il formarsi a beneficio dei partiti di significative liquidità ».
9) Regolamentare le lobby.
10) Come negli Stati Uniti va aperto un sito internet «che renda obbligatoriamente trasparenti e conoscibili i donatori e i finanziatori per ciascun partito e per i candidati ad ogni livello».
Meno distacchi sindacali
Nella «Nota sul finanziamento diretto e indiretto del sindacato» Amato esamina i tre canali attraverso i quali arrivano risorse alle organizzazioni dei lavoratori: i distacchi, i patronati e i Caf (centri di assistenza fiscale).
La conclusione è che ci sono margini solo sui distacchi nel pubblico impiego, che causano assenze retribuite dal lavoro corrispondenti a 3.655 dipendenti l’anno (uno su 550) per un costo di 113,3 milioni di euro.
Questa spesa si può ridurre o tagliando ancora di più i distacchi, già  ridimensionati nel 2009, o mettendo le retribuzioni dei lavoratori distaccati a carico del sindacato oppure incentivando gli stessi sindacati a «utilizzare i propri iscritti in pensione per gli incarichi direttivi».
Sui patronati e i Caf, Amato suggerisce invece di non intervenire, sia perchè svolgono funzioni essenziali (riconosciute da sentenze della Corte costituzionale quelle dei patronati) sia perchè entrambi hanno già  subito pesanti tagli dei contributi.

Enrico Marro
(da “Il Corriere   della Sera“)

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LE VACANZE MISURATE DELL’ONOREVOLE SOTTO TIRO

Agosto 9th, 2012 Riccardo Fucile

TRA CRISI E PRIVILEGIO: CASINI E D’ALEMA IN PUGLIA, ALFANO IN SICILIA, BERSANI INDECISO

«E dove vuole che vada? Non ho una lira!», sospira Maurizio Grassano, già  Responsabile, oggi nel gruppo misto, su una poltrona del Transatlantico.
Ma come onorevole, non ci vorrà  far credere che voi politici guadagnate così poco da non potervi permettere la villeggiatura?
«Tra affitto a Roma, spese per vivere, e poi lo stipendio a un assistente parlamentare…».
Sarà , ma viene difficile preoccuparsi per il diritto al riposo dei nostri rappresentanti. Eccoli, all’ultimo giorno di lavoro.
E’ vero che dovranno essere reperibili entro 24 ore anche in vacanza: ma insomma, si godono pur sempre un mese di ferie, visto che l’Aula ricomincia il 5 settembre.
Dove andranno in questi più o meno trenta giorni di (meritato?) riposo?
Sarà  che anche loro avvertono lo spirito dei tempi, sarà  per evitare le polemiche degli alfieri dell’antipolitica, fatto sta che quest’anno c’è molta Italia nei loro itinerari: tanti che stanno a casa (o nelle case di villeggiatura), e pochi, pochissimi grandi viaggi all’estero.
Per esempio, si concede il Madagascar il relatore delle intercettazioni, il Pdl Enrico Costa, ma è un’occasione speciale: «È il mio viaggio di nozze».
Una settimana in Grecia per l’ex segretario del Pd Walter Veltroni; ha in programma una puntata a New York la Pdl Melania Rizzoli, per accompagnare il figlio studente alla Columbia University.
Va all’estero anche il Pd Roberto Giachetti: più visita d’istruzione che divertimento, però, in Polonia per portare i figli a conoscere Auschwitz.
Per il resto, mare e montagna di casa nostra.
Quando non lavoro, come ha previsto di fare l’ex premier Berlusconi, ad Arcore a studiare il rilancio del Pdl.
O come rischia di fare il leader del Pd, Pierluigi Bersani, che ancora non ha deciso se e dove partire.
Stessa spiaggia stesso mare per molti big: «Sono un conservatore», ride il Pdl Gaetano Quagliariello, come ogni anno nel suo trullo in Puglia.
Torna nella sua casa di Marettimo, nelle Egadi, Maurizio Gasparri; resta nell’amata Montenero di Bisaccia il leader dell’Idv, Antonio Di Pietro.
Meta già  sperimentata anche per il presidente della Camera Fini e il Pdl Cicchitto, entrambi ad Ansedonia, così come per la democratica Rosy Bindi, sulle Dolomiti. Tornano in Sicilia sia Alfano che il presidente del Senato Schifani.
Cambia invece Massimo D’Alema: messa in vendita la famosa barca, quest’anno si ritira in campagna in Umbria, prima di raggiungere amici in Salento qualche giorno. Si riposa in un villaggio sul Gargano il leader Udc Pier Ferdinando Casini, buen retiro in Sardegna per il segretario della Lega, Maroni.
Tra gli ex ministri, deve ancora decidere la meta Mara Carfagna, mentre Mariastella Gelmini andrà  a Positano e Annamaria Bernini sulla Riviera Adriatica, vicino a casa. Il Pd Castagnetti si concede una «settimana biblica» al monastero di Bose prima di andare in Alto Adige, mentre la leghista Manuela Dal Lago farà  forse una settimana alle Eolie, dove ha casa da tanti anni.
Strano, una del Carroccio con casa in Sicilia… «Non è mica vietato ai leghisti andare all’estero…».
Per la coppia mascotte del Parlamento, la berlusconiana Nunzia De Girolamo e il democratico Francesco Boccia, riposo a Sperlonga con la piccola «bipartisan» Gea, di due mesi.

Francesca Schianchi

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ELEZIONI, LA LINEA DEL PD SULLE ALLEANZE E’ CHIARA: “SI FANNO DOPO IL VOTO”, “NO, SI FANNO PRIMA”

Agosto 9th, 2012 Riccardo Fucile

D’ALEMA VUOLE GLI ACCORDI DOPO I RISULTATI E DICE NO ALLA GRANDE COALIZIONE, FOLLINI CHIEDE CHE LE INTESE SI FACCIANO PRIMA ED E’ FAVOREVOLE ALL’ACCORDO

Il Pd vuole fare le alleanze dopo il voto.
No, il Pd vuole fare gli accordi prima e non dopo le elezioni.
E poi il Partito Democratico dice no a una riedizione della “grande coalizione”. Ma sì, facciamo pure la “coalizione larga”.
Il Pd sarà  pure “il pilastro del nuovo governo”, come dice Massimo D’Alema, e avrà  pure “un progetto strategico”, come dice Marco Follini.
Ma le idee chiare su come presentarsi alle prossime elezioni politiche del 2013 evidentemente mancano.
E non c’entra solo la legge elettorale sulla quale ancora latita l’accordo tra le forze in Parlamento per cassare l’odiato Porcellum.
Soprattutto sulle alleanze, ma non solo.
L’ex presidente del Consiglio, intervistato dal Corriere della Sera, chiede che “si torni a votare per i partiti” e che “le alleanze si fanno dopo il voto”.
Diversa, però, l’opinione dell’ex segretario dell’Udc Marco Follini (e ora nel Pd) che si rivolge all’ex compagno di partito Pierferdinando Casini: “Vorrei mettere in guardia Pier dal rischio di fare il pesce in barile. Le alleanze in due tempi e a geometrie variabili sono al di sotto dell’emergenza che dobbiamo affrontare e peccano di un eccesso di furbizia. Per questo gli accordi vanno fatti prima e non dopo le elezioni”.
Resta che “di fronte al popolo sovrano dobbiamo presentarci con un progetto strategico”.
D’Alema: “Vogliamo governare con Sel e Udc, ma le alleanze dopo”.
Il Pd “sarà  il pilastro del nuovo governo” e “noi dichiareremo da subito che vogliamo governare con Sel e Udc”, ma “si torni a votare per i partiti” e “le alleanze si fanno dopo il voto” dice D’Alema al Messaggero, rispondendo così di no a una riedizione della grande coalizione, rilanciata da Casini, che sarebbe una “prospettiva di ingessamento che indebolirebbe le istituzioni”.
Anche perchè “per noi una collaborazione con Berlusconi è esclusa e non è auspicabile. Il Paese deve essere governato”.
Per questo D’Alema invita “i nostri interlocutori a smettere la via dei veti reciproci”.
Per l’ex capo del governo, poi, la politica deve evitare il rischio “di restare stretti nella morsa tra tecnocrazia e populismo.
Le decisioni reali sono demandate a livello europeo e lì vengono prese senza effettivo controllo democratico, con una deriva tecnocratica sempre più accentuata.
La politica invece si svolge a livello nazionale ma quando la facoltà  di prendere decisioni reali è inibita si scivola verso il populismo”.
Per D’Alema “Monti doveva essere più cauto sul ruolo del Parlamento in Germania” anche se “in questo momento non riconoscerei ai tedeschi il ruolo di campioni nella difesa della democrazia anche perchè il rischio è che si difenda solo nei paesi più forti mentre agli altri resta solo il dovere di fare i cosiddetti compiti a casa”
D’Alema ricorda che il Pd sta lavorando “per costruire un asse di governo che garantisca la continuità  giusta con questo governo sul piano della credibilità  internazionale e del rigore finanziario” sottolineando però che “la svolta a sinistra la dobbiamo imprimere noi”.
Infine il presidente del Copasir si dice “dispiaciuto e preoccupato per la deriva di Di Pietro che mette profondamente in discussione il nostro rapporto con lui e crea malessere nella stessa Idv. Di Pietro che cita Craxi poi l’ho trovato davvero di cattivo gusto”.
“Niente alleanze in due tempi”. Dal Corriere, invece, l’avvertimento di Follini a Casini che però — a differenza di D’Alema riapre a una “coalizione larga” anche se è chiaro che Berlusconi “al netto di ripensamenti continui e contraddittori, si è messo fuori da questa prospettiva”.
Quanto a Vendola, “dovrebbe tenere a mente due cose”: che “il Pd sostiene lealmente il governo Monti” e che “non abbiamo esitato a mettere alla porta Di Pietro”.
Infine sull’ipotesi di lista dei sindaci “il Pd — dice Follini — deve provvedere a se stesso. Per il resto, chi ha più filo da tessere…”.

(da “Il Fatto Quotidiano”)

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CHI HA CAMBIATO PELLE RIESCE A BATTERE I CINESI

Agosto 9th, 2012 Riccardo Fucile

AD ARZIGNANO, NEL VICENTINO, CI SI SPECIALIZZA IN LAVORAZIONE DEI PELLAMI… IL DISTRETTO DELLA CONCIA DI ARZIGNANO VALE UN TERZO DELLA PRODUZIONE EUROPEA

«Chiampo Valley», dove prima c’era il classico distretto.
Ricerca applicata per dare continuità  all’intuizione dell’imprenditore, filiera «green» dietro alla battistrada Fiamm che ha sviluppato le innovative batterie al sale, un progetto di banda ultralarga per tutta la vallata, piani di finanziamento d’impresa con fondi di private equity e riqualificazione geo-ambientale.
Nell’estate calda dello spread e del profondo rosso industriale, bisogna attaccarsi ai segnali deboli per vedere un po’ di luce in fondo al tunnel.
Arzignano da quarant’anni è il polo mondiale della concia per calzature e arredamento.
Un territorio stretto nei 20 chilometri che separano Montebello da Chiampo punteggiato di concerie grandi e piccole, botteghe artigiane e indotto diffuso, che vale ancora il 35% della produzione europea di pellame ma che il crollo della domanda di arredamento imbottito di fascia media sta costringendo a reinventarsi.
«Per decenni — spiegano dalla Cgil locale – questa è stata una specie di valle dell’oro: stipendi generosi per tutti e profitti per gli imprenditori. La ricchezza era palpabile. La potevi vedere nelle case, nelle ville, nel territorio».
Un eldorado piegato dalla concorrenza asiatica, dalla crisi mondiale e da frodi fiscali e scandali scoperchiati negli ultimi anni.
Un «vizietto» incubato fin dagli anni Sessanta, quando Arzignano era ancora zona depressa: prima dell’esplosione di concerie (primi anni Ottanta) e della corsa degli operai ad uscire dalle aziende più grandi per farsi a loro volta padroncini, con lo zelo tipico della cultura contadina.
Sabati e domeniche in fabbrica: niente turni, esistono solo straordinari.
Il «nero» nasce così, dal fuori busta che diventa la «droga» per stare dietro alla produzione.
Il Bengodi continua fino all’introduzione dell’euro.
Senza più svalutazioni competitive, le aziende sono costrette ad abbassare i costi: alcune usano il trucco di «inventarsi» risorse, fino alla deriva ultima delle «cartiere», costruite da professionisti delle false fatturazioni. Un danno d’immagine tremendo.
Per tutti i primi anni duemila, la produzione ad Arzignano continua a crescere insieme ai fatturati.
Quel che cala sono gli utili.
«Il 2003-2004 è stato l’anno di maggior produzione — ammette un grosso industriale della zona – ma dal punto di vista dei risultati è stato uno dei peggiori. Sottopelle le aziende continuavano ad indebitarsi per gli effetti di una scarsa capitalizzazione». Il tallone d’Achille del nostro capitalismo.
La crisi insomma è già  incorporata in un distretto che vive una concorrenza interna fortissima sul prezzo.
Si cerca di offrire la merce ad un centesimo menodel tuo vicino, scatenando cannibalismi.
A quel punto arriva la recessione mondiale: crollano fatturati (-35%), chiudono imprese (-200), duemila appartamenti vengono messi in vendita o passano a banche e finanziarie per mutui protestati e molti immigrati (il 20% della popolazione di Arzignano è extracomunitaria) sono costretti a rimandare a casa le proprie famiglie e tornare a vivere sotto uno stesso tetto in 4-5, come all’inizio.
Eppure dietro allo sboom e agli scandali il distretto piano piano si diversifica: la chimica e la metalmeccanica si affiancano alla concia, preponderante ma oggi “solo” il 35% del comparto Arzignano-Montecchio; la platea industriale dimagrisce ma si densifica attorno ai grandi gruppi del territorio; Dani, Rino Mastrotto Group e Conceria Montebello avviano le certificazioni ambientali Epd per la produzione di pelle «green»; e si investe in tecnologia, depurazione delle acque e degli scarichi aeriformi, formazione tecnico-professionale e nuovi mercati come quello indiano. In questo modo Arzignano riesce a tenere le stesse quote di mercato del 2005 nonostante 3.500 addetti e 200 imprese in meno, segno che è in corso una razionalizzazione virtuosa. Nel 2011 torna a soffiare anche l’export (1,7 miliardi di euro, +14,4% rispetto al 2010).
Nel primo trimestre 2012 la crescita rallenta, causa frenata della domanda di beni intermedi nei paesi Brics, ma il riposizionamento sta gradualmente avvenendo. Arzignano indica così la rotta per la nostra manifattura al tempo dello spread, se si vuol competere sui mercati globali. E, soprattutto, tornare a crescere.

Marco Alfieri

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