Agosto 21st, 2012 Riccardo Fucile
IL CAPO DELLA POLIZIA GUADAGNA 650.000 EURO L’ANNO, E’ IL MANAGER PUBBLICO PIU’ PAGATO IN ASSOLUTO… LA NUOVA LEGGE FISSA UN TETTO PER TUTTI DI 295.000 EURO MA L’ABBRONZATO FUNZIONARIO NON CI STA: IMBARAZZO NEL GOVERNO
In questa fase di crisi economica, tutti stanno facendo fatica a tirare fino a fine mese
con il proprio stipendio.
Anche perchè spesso la stessa spettanza è stata decurtata, massacrata, ridotta dai datori di lavoro.
Una condizione che i lavoratori vivono come una frustazione.
Sicuramente deve aver provato qualcosa di simile il capo della polizia Antonio Manganelli.
Il suo appannaggio annuale lordo è di circa 650mila euro.
E’ il manager pubblico che in assoluto guadagna di più.
Forse anche per questo deve aver vissuto come un sopruso il fatto che il governo, prima con il Salva Italia e poi con un decreto del presidente del Consiglio, lo ha di fatto più che dimezzato.
L’esecutivo infatti ha fissato per legge che chi lavora per l’amministrazione pubblica non possa guadagnare di più del primo presidente della Corte di Cassazione, che è fissato il 294.000 euro lordi all’anno.
Il resto, ciò che si guadagna di più, resta allo Stato.
Manganelli non deve aver digerito tanto la decurtazione e così ha deciso di promuovere ricorso contro il dpr.
Una scelta che sicuramente ha indispettito i vertici di palazzo Chigi che forse si aspettavano proprio dai vertici delle forze dell’ordine una sorta di atteggiamento modello.
Così non è stato.
E a questo punto è chiaro che altri seguiranno la via del Capo della Polizia visto che in tanti attendevano solo che qualcuno facesse il primo passo.
Chissà cosa ne penseranno le migliaia di agenti che ogni giorno garantiscono l’ordine pubblico nel nostro Paese, nonostante i tagli al bilancio subiti negli ultimi anni.
(da “Il Portaborse”)
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Agosto 21st, 2012 Riccardo Fucile
RITRATTO DEL VICE DI FINI CHE TEME DI BOB ESSERE RIELETTO
Nel mostrarsi iperzelante verso Gianfranco Fini, sua sola speranza di sopravvivenza politica, Italo Bocchino ha dovuto però costatare che per lui, anche da quelle parti, non c’è trippa per gatti.
Bocchino quando ha letto che il ministro dell’Interno, Anna Maria Cancellieri, giudicava uno spreco la scorta di Fini – nove uomini e nove stanze per due mesi in un tre stelle di Orbetello – è sbottato.
CANCELLIERI, FUNZIONARIO DI PROVINCIA
Bocchino, lo vedremo, è piuttosto insolente di suo ma, se c’è di mezzo Fini, triplica per mostrare devozione.
«Cancellieri», ha detto, «sa che le principali cariche vanno tutelate al massimo livello. Per seguire la scia dell’antipolitica ha violato i suoi doveri dimostrando che un funzionario di provincia in pensione non può guidare il Viminale».
Nella bordata c’è molto della tempra malignetta di Italo, lesto a rinfacciare quelli che reputa punti deboli del malcapitato di turno.
Nello specifico, la carriera prefettizia tutta «provinciale», si fa per dire – Milano, Genova, Catania, eccetera – di Cancellieri e l’età , 68 anni, che ne fa, per l’appunto, una pensionata.
Per capire: una volta prese di mira due funzionari del Popolo della libertà che aveva in antipatia definendoli – per il fatto che, non sposati, abitavano da anni insieme con figli – «coppia di conviventi».
L’intenzione era di ferirli, fece invece la figura del poveraccio.
MONTI VALUTI UN CAMBIO AL VIMINALE
Torniamo a Cancellieri. Dopo averla bersagliata, Bocchino ha tirato le conclusioni: «Monti farebbe bene a valutare per il Viminale profili di veri e leali servitori dello Stato come De Gennaro e Manganelli, lasciando al suo destino chi ha dato pessima prova di sè»
Insomma, un appello alla rottamazione della gioviale ministra per avere ammesso che 40 mila euro dei contribuenti al mese per vigilare su Fini sono un’esagerazione.
Convinto di avere fatto un capolavoro in favore del capo, Bocchino si apprestava a riceverne le lodi.
Fini invece, a stretto giro ha replicato: «Ribadisco la mia piena fiducia nel ministro Cancellieri. Pertanto non condivido quanto dichiarato da Bocchino». Tiè.
Se il 45enne napoletano vorrà tornare nel 2013 in parlamento – dov’è dal 1996 – dovrà fare da sè e non contare su Fini.
Non sparire, per Italo, sarà un’impresa. Infatti, è odioso ai più per la spocchia.
Con la scissione dal Pdl, nel 2010, Bocchino che era un deputato di seconda fila, divenne il braccio destro – l’anima nera, secondo altri – di Fini.
Ne fu il mazziere con tanto stile che provocò una scissione, nel già piccolissimo Fli, di colleghi stufi di dipendere da un botolo ringhioso, in lite con tutti.
LITE IN TIVÙ CON LUPI AI TEMPI DEL PDL
Una sera in tivù – era ancora vicecapogruppo dei deputati Pdl, ma già frondista – ebbe uno scontro con Maurizio Lupi, compagno di partito e vicepresidente della Camera. Non riuscendo ad averne ragione, lanciò a freddo: «Voi di Comunione e liberazione siete maestri nel prendere poltrone e vieni a fare la morale a me».
Lupi, basito e offeso come cattolico, replicò: «Dimettiti. Non ti riconosco più come mio vicepresidente».
E Italo, inviperito: «Sei un fascista e squadrista». In studio scoppiò una risata.
Era infatti il bue che dava del cornuto all’asino, poichè dei due, l’ex missino, poi Alleanza nazionale, era Bocchino.
SCONTRO CON L’EX MINISTRO ROTONDI
Un’altra volta – la diaspora dal Pdl era già consumata – se la prese con Gianfranco Rotondi, ministro del governo Berlusconi e uomo mite.
Oggetto del contendere era Nicola Cosentino, deputato del Pdl, detestato da Bocchino e suo rivale elettorale nei collegi malandrini tra Napoli e Casal di Principe.
Rotondi gli ricordò che, se Cosentino ha i suoi guai, lui stesso, Bocchino, era stato accusato (prima di essere assolto) di illeciti favoritismi verso l’imprenditore napoletano Romeo.
La replica di Italo lasciò allibiti.
Dalla strozza stridula uscì un urlo: «Tu non sai vivere. Me ne ricorderò. Finiscila o te la faccio pagare». Fece l’impressione di un guappo.
Acqua passata.
FAMOSA LA LIAISON CON SABINA BEGAN
Se escludiamo l’episodio Cancellieri, da circa un anno le cronache si occupano di Italo solo nella sua veste di Casanova.
Dopo la separazione dalla moglie e produttrice tivù, Gabriella Buontempo, a causa del flirt con Mara Carfagna, si è trasformato in cicisbeo a tutto tondo e vola di fiore in fiore, assetato d’amore.
Ha avuto una prima storia sbagliata con tale Sabina Began, nota come l’Ape regina dell’harem di Berlusconi.
La gentildonna ne rivelò i particolari ai giornali, mostrando gli sms di Italo. Uno di questi suona: «Sono sensibile e quando mi tratti male soffro». Un altro: «Mi vuoi perchè te lo chiedo o perchè mi desideri?».
Finita la liaison, Began dichiarò: «Mi sono lasciata sedurre, ma ho subito capito che non era alla mia altezza spirituale», aggiungendo che Italo l’aveva scorrazzata con auto blu e scorta. Bocchino l’ha querelata.
LA STORIA CON LA PIANISTA DI 24 ANNI
Oggi, pare che lo statista abbia trovato serenità con una pianista 24enne, Vanessa Benelli Mosell. La giovane ha fatto sapere che sulle prime fu restìa. «Mi sembrava che avessimo stili di vita troppo diversi», ha raccontato, «ma lui si è fatto in quattro. Veniva a trovarmi a Londra, mi portava a cena, ai concerti, al cinema».
Speriamo che un giorno non ci riveli che i voli per Heathrow erano quelli gratuiti dei deputati.
Giancarlo Perna
(da “Lettera 43”)
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Agosto 21st, 2012 Riccardo Fucile
IL COMUNE DI ROMA OSCURA I MANIFESTI ABUSIVI DI “ATREJU” E LA FESTA 2012 PARTE CON IL PIEDE SBAGLIATO… ALEMANNO MULTA LA MELONI
Il sito web ufficiale sarà online più o meno fra 2 giorni.
Il countdown è cominciato e la città di Roma è già tappezzata di manifesti che annunciano l’edizione 2012 di Atreju, la festa dei giovani del Pdl (tendenza ex An) che si svolge ogni anno vicino al Colosseo nel parco di via di San Gregorio sul Palatino (quest’anno dal 12 al 16 settembre).
Si tratta di un appuntamento importante per l’area giovanile del Pdl, egemonizzata da sempre dagli ex An e che trova come referente e principale animatrice l’ex ministro Giorgia Meloni.
Dai tempi di Azione Giovani è infatti la regina della Garbatella a trarre un grande ritorno di immagine (e di voti) dall’organizzazione dell’evento nazionale e da quello locale.
Feste che vedono solitamente la partecipazione dei massimi vertici del Pdl.
Evento rilevante anche quest’anno, alla luce delle non nascoste ambizioni della Meloni in vista di una sua eventuale candidatura alle primarie del Pdl (qualora il cavaliere rinunciasse ai suoi propositi di ripresentarsi candidato premier).
Sul nome della Meloni paiono convergere le varie anime degli ex An.
Quello che non ti aspetti da un partito di governo e della legalità è che compia un illecito proprio per propagandare la propria festa, anche se Roma è abituata alle affissioni abusive.
Il comune di Roma non ha potuto non rilevare che una buona parte dei manifesti affissi negli spazi del Lungotevere sono abusivi
A quel punto il sindaco Gianni Alemanno non ha potuto risparmiare i giovani del suo partito e la loro “madrina” Giorgia Meloni.
Ora la domanda è: chi pagherà la multa?
(da “Il Portaborse”)
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Agosto 21st, 2012 Riccardo Fucile
LA DENUNCIA DEL COISP: “SOLO LE TUTELE OCCUPANO 1.500 AGENTI
Non è tanto il numero delle scorte ma è tutto il sottobosco delle cosiddette tutele che impegnano più di 1.500 uomini.
Lo ha affermato a 24Mattino su Radio 24 Franco Maccari, segretario nazionale del Coordinamento per l’indipendenza sindacale delle forze di polizia (Coisp).
Parlando dello spreco di soldi pubblici per le cosiddette scorte che stanno suscitando tante discussioni in questi giorni sui media, Maccari ha fatto alcune precisazioni.
“Noi abbiamo 4 tipi di scorta. Una più importante, più imponente, che prevede due o tre macchine e una decina di uomini per turno , mentre al lato opposto c’è la cosiddetta tutela”. “Ecco, la tutela è qualcosa che per noi è davvero ridicolo. — continua Maccari a Radio 24 — La tutela è composta da un solo uomo con una macchina non blindata. Allora il ragionamento di fondo che dobbiamo fare è questo, si tratta di una persona da scortare oppure no? Perchè se la tutela è una scorta, le posso dire che quella persona che noi impegniamo è qualcuno che in realtà fa solo l’autista. E lo deve fare con una macchina che non è blindata e dunque è addirittura pericolosa”.
Il segretario del Coisp è così tornato sulla sua tesi: “La verità è che la tutela è uno status symbol”.
In pratica per poter essere maggiormente considerati e ammirati in politica è preferibile avere la scorta: così l’elettore si rende meglio conto della effettiva “potenza” dell’eletto.
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Agosto 21st, 2012 Riccardo Fucile
NIENTE RADUNO A PONTIDA PER I LEGHISTI, MA ARRIVANO I FARI ANTISABOTAGGIO
E fu così che la Lega decise di videosorvegliare il suo pratone. 
«Questa volta lo facciamo davvero e non se ne parla più».
I lumbard rompono gli indugi dopo che (per l’ennesima volta) non meglio precisati sabotatori sono entrati in azione nottetempo mandando a gambe all’aria i pannelli che compongono la scritta Bossi-Pontida 2012.
È accaduto a Ferragosto, poche ore prima del comizio del Senatùr.
La scritta nel prato, loro col cerino in mano: chi è stato?
Gente di sinistra, di destra, leghisti col maldipancia? Chissà .
Non un inedito, vista l’infinita storia della P che diventa L e della L che ritorna P, nel «Padroni a casa nostra» piazzato a caratteri cubitali sul muro proprio in faccia alla trafficatissima Briantea e che quando i vandali hanno la meglio diventa «Ladroni». Ora scatta il contrattacco.
La decisione pare sia stata presa collegialmente, proprio sotto i tendoni della festa organizzata a due passi dal pratone (che è proprietà del partito).
C’era anche il sindaco e deputato Pierguido Vanalli, colui che ogni due per tre arma i militanti di vernice e martelletti per dipingere e ridipingere, inchiodare e rappezzare. Lui che ormai riconosce se non la mano, almeno la natura dell’artefice: «Se usano lo spray, non è certo gente della Lega. Noi siamo per la pittura».
La guardia che ripristina l’ordine agisce rapida: «Abitiamo in paese e il primo che si accorge va a sistemare».
Ma i tempi sono agitati e anche su quella che qualcuno chiama «la radura» si è registrato un certo movimento.
Dopo l’ultimo blitz, la scelta: «Sarà installata la videosorveglianza, puntata proprio sulle scritte», annuncia il segretario provinciale Cristian Invernizzi.
Chi paga? «La segreteria provinciale».
Una spesa «di poche migliaia di euro», illuminazione anti-sabotaggio inclusa: «Come quella che si usa per le case, con le fotocellule che fanno accendere i fari quando qualcuno si avvicina».
E ci si immagina già la scena. «Le fotocellule staranno dove ci sono le scritte, non è una cosa complicata. Ne avevamo già parlato in passato, questa volta ci siamo proprio stancati».
I tempi? «Quelli di fare i preventivi». Su come funzionerà (circuito chiuso, collegamento a una centrale, altro) non si sbilanciano: «Ma faremo tutto osservando le regole della privacy».
Insomma, non c’è pace.
Adesso parte l’offensiva ai vandali, prima il tormentone era l’effetto Woodstock.
Nel 2009 il pratone era stato rivoltato come un calzino («Lavori in proprietà privata a carico nostro», precisano) visto il vezzo di trasformarsi in una palude alla prima pioggia.
Anna Gandolfi
(da “il Corriere della Sera“)
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Agosto 21st, 2012 Riccardo Fucile
GUADAGNANO PIU’ DI MERKEL E HOLLANDE… I PRIVILEGI DI AMBASCIATORI, CONSOLI E FUNZIONARI RESTANO TALI GRAZIE A UN EMENDAMENTO AD HOC… IL GOVERNO SCARICA LE RIDUZIONI DI SPESA SUL PERSONALE A CONTRATTO
Guadagnano più di Merkel e Hollande, ma per loro il taglio non c’è.
La casta diplomatica si salva dalla spending review del governo che nel frattempo scarica le riduzioni di spesa sul personale a contratto, fino a causare incidenti diplomatici dall’altra parte del mondo.
Un emendamento ad hoc in Senato, frutto anche di un’insistente opera di lobby su governo e Quirinale, ha consentito ad ambasciatori e alti funzionari di mantenere privilegi e stipendi d’oro.
Remunerazioni che di questi tempi suonano come uno schiaffo ai contribuenti.
Può stare tranquillo l’ambasciatore italiano all’estero: continuerà a guadagnare 380mila euro lordi l’anno tra indennità di servizio (esentasse) e stipendio metropolitano (tassato) cui vanno aggiunti il 20% di maggiorazione per il coniuge, il 5% per i figli, indennità di rappresentanza e sistemazione, contributo spese per residenza e personale domestico.
Più premio di risultato variabile da 50 a 80mila euro.
Quello che sta a Parigi, ad esempio, prende 320mila euro netti, 125mila euro di oneri di rappresentanza, 64mila per la moglie e 16mila per il figlio.
Anche i consoli non avranno di che preoccuparsi.
Ad Amburgo, ad esempio, il console continuerà a percepire i suoi 5mila euro al mese di stipendio versati in Italia e 14mila d’indennità netti ed esentasse perchè non fiscalizzati nè in Italia e nè in Germania.
Di ambasciatori, consoli e segretari extra lusso il nostro Paese continuerà a dare sfoggio nel mondo, la spending review infatti non taglierà uno dei 919 diplomatici oggi in servizio.
Alla fine dei conti son cifre da capogiro: la sola voce “indennità di servizio” nel 2012 impegna 311 milioni di euro e salirà a 344 l’anno prossimo, con una spesa ulteriore di 44 milioni che va nella direzione contraria ai tagli riservati ad altre categorie di dipendenti dello Stato.
Riduzioni che invece colpiscono il personale già “povero” assunto nelle nostre ambasciate con contratti e tariffe locali.
A loro la spending review riserva l’ennesimo blocco degli aumenti, come da dieci anni a questa parte.
Una notizia che scava ulteriormente il solco della disparità che caratterizza le nostre sedi di rappresentanza nel mondo, dove fianco a fianco lavorano funzionari e autisti mandati da Roma a seimila euro netti al mese e altrettanti colleghi di nazionalità straniera che prendono dieci volte meno.
Una disparità che da pochi giorni è diventata un vero e proprio caso diplomatico in India, dove il personale assunto in loco ha trascinato in tribunale l’ambasciatore italiano con l’accusa di discriminazione etnica.
Una contesa attentamente seguita dai quotidiani indiani ma taciuta a Roma e che rischia ora di acuire i rapporti già tesi per la questione dei marò. Intanto per gli insegnanti di lingua italiana all’estero è un bagno di sangue: la spending review taglia il 40% dei professori che insegnano la lingua italiana nel mondo.
Così il Paese rischia di diventare più “piccolo” nel mondo, tutto per non intaccare i privilegi di pochi che a Roma dettano legge.
L’emendamento è di quelli insidiosi che arrivano un po’ a sorpresa e passano senza troppo clamore, pur avendo conseguenze importanti sul bilancio dello Stato e su migliaia di persone.
Così è stato per la revisione di spesa del ministero degli Affari Esteri.
Come tutte la amministrazioni dello Stato la Farnesina era chiamata a fare la sua parte nel dettato della spending review con la regola generale del taglio del 20% degli organici dirigenziali e del 10% della spesa complessiva per il personale non dirigenziale.
La spending review è legge ma non è andata proprio così.
Un emendamento al Senato ha offerto infatti un salvacondotto temporaneo ed esclusivo al ministero, non concesso ad altri settori della pubblica amministrazione ad eccezione del personale delle Prefetture in corso di accorpamento.
L’emendamento è stato scritto su indicazione e proposta del governo dagli stessi relatori per la conversione in legge del Dl 95/2012), Paolo Giarretta del Pd e Gilberto Picchetto Frattini del Pdl. Giarretta spiega che è stato il ministro Terzi ad avanzare ufficialmente la richiesta.
Secondo fonti interne alla Farnesina invece la reale genesi del provvedimento sarebbe invece frutto delle pressioni esercitate sul governo dalle alte sfere della diplomazia. Non si spiega altrimenti cosa abbia indotto il governo ad emendare se stesso, facendosi promotore di un provvedimento che neutralizza totalmente gli effetti della sua stessa legge per salvaguardare una specifica categoria di dipendenti pubblici. Comunque sia il relatore Giarretta parla apertamente di “resistenza delle strutture” mentre il senatore Claudio Micheloni del Pd, che ha proposto emendamenti che riducono le indennità diplomatiche sistematicamente bocciati in aula, accusa frontalmente la lobby diplomatica di aver manovrato dietro le quinte e vinto: “Purtroppo anche questa volta gli interessi delle corporazioni hanno sopraffatto il buon senso della politica, ma è in arrivo un prossimo decreto e in quell’occasione riprenderò il lavoro su questi temi che sono vitali per i servizi rivolti agli italiani all’estero”.
E veniamo al testo.
L’emendamento introduce al comma 5 la deroga ai due articoli principali della spending review con queste parole: “Per il personale della carriera diplomatica e per le dotazioni organiche del personale dirigenziale e non del Ministero degli affari esteri, limitatamente ad una quota corrispondente alle unità in servizio all’estero alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, si provvede alle riduzioni di cui al comma 1, nelle percentuali ivi previste, all’esito del processo di riorganizzazione delle sedi estere e, comunque, entro e non oltre il 31 dicembre 2012; sino a tale data trova applicazione il comma 6 del presente articolo”.
In altre parole non ci saranno riduzioni prima che il ministero stesso abbia riorganizzato le rappresentanze.
Un differimento che potrebbe significare anni.
La rivisitazione delle sedi estere (319 tra ambasciate, consolati, istituti di cultura) sarà infatti il prodotto finale di lunghe ed estenuanti trattative sulle quali insistono gruppi di interesse locali, sponde parlamentari tra i deputati eletti all’estero, lobby di funzionari ministeriali.
I tagli futuri, poi, ricadranno solo sul personale impegnato all’estero (511 diplomatici, 12 dirigenti, 1.907) mentre lasciano intatto quello del ministero che conta circa 2.500 dipendenti.
Tradotto in cifre il taglio della revisione di spesa, quando sarà , non ricadrà sul 100% del personale ma sul 50%. Una spuntatina, quindi, niente più. Fino ad allora, per contro, il ministero non potrà assumere.
Peggio, c’è chi aspettava aumenti tra il personale del ministero e non li vedrà neanche stavolta. In India, dove le differenze salariali tra personale assunto in loco dalle ambasciate e quello mandato da Roma sono enormi, il blocco degli stipendi è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso fino a provocare un incidente diplomatico.
Basta con la bella vita degli impiegati italiani nei paesi poveri.
La notizia è apparsa in un trafiletto del 3 agosto scorso sul Times of India: il personale dell’Ambasciata italiana a Nuova Delhi ha deciso di trascinare in tribunale l’ambasciatore per discriminazione etnica e razziale.
Il motivo? Il personale di categoria esecutiva ha saputo dell’ennesimo congelamento degli aumenti che fa seguito alla spending review e ha deciso che la misura è colma: a Nuova Delhi, Mumbai e Calcutta sono stufi di guadagnare dieci volte meno dei loro colleghi italiani mandati da Roma che, pur svolgendo identiche mansioni e con la stessa funzione, percepiscono stipendi che da quelle parti sono il risparmio di una vita, fino a 54mila euro l’anno.
Dalla loro l’avvocato indiano, Gopal Shankaranarayanan, che ha preso carta e penna e ha scritto al Ministero degli Affari Esteri indiano.
Nella sua lettera segnala che l’Ambasciatore e il Governo Italiano non hanno preso le appropriate misure, nonostante ripetute richieste di sanatoria delle anomalie salariali, non lasciando altre alternative che risolvere la disputa in un tribunale.
Non sono bastate diffide, appelli e richieste ufficiali. “L’unica opzione rimasta agli impiegati — spiega l’avvocato indiano — è di presentare ricorso alla Suprema corte di Delhi, per richiedere l’equiparazione dello stipendio e il rimborso degli arretrati a partire dalle rispettive date di assunzione”.
I giornali locali hanno dato risalto alla vicenda anche perchè nella stessa Alta Corte si sta discutendo la vicenda dei due marò italiani a Kerbala e i due processi potrebbero incendiare ulteriormente i rapporti diplomatici da tempo tesi.
La polemica potrebbe dilagare anche in altri Paesi in cui maggiormente stride il trattamento che l’Italia riserva ai propri connazionali inviati in missione e al personale assunto all’estero a costi locali.
Un tema che spesso ha agitato le commissioni esteri di Camera e Senato dove sempre si discute di come ricomporre l’anomali italiana.
Il nostro Paese, infatti, presenta percentuali decisamente superiori di personale in missione rispetto a quello contrattato in loco.
La Farnesina ha 7.912 dipendenti di cui 4.222 di ruolo, 2.671 non di ruolo e 818 provenienti da altre amministrazioni.
Il personale di ruolo all’estero è superiore a quello che sta a Roma (2.400 e 1933), solo il 45% è assunto in loco e questo comporta che un flusso di denaro enorme vada nelle voce delle indennità .
Ma la discriminazione avviene anche tra italiani all’estero.
Mentre tutto il personale diplomatico passa indenne grazie all’emendamento ad hoc, la spending review colpisce quello inviato per l’insegnamento della lingua e cultura italiana, un driver dell’italianità che tutti difendono a parole ma che riceve una sforbiciata importante.
Il taglio i docenti assunti presso il ministero nell’anno 2012/2013 sarà di 139 unità accompagnato dal blocco delle nomine.
Che si aggiunge al taglio del 40% di quelli assunti presso il Miur che invece i tagli li applica eccome.
Gli effetti sono così modesti che nessun giornale ne parla (2,6 milioni quest’anno e 16 milioni a regime) ma va ben al di sopra di quella regola del 20% che la spending review riserva a (quasi) tutti i comparti della pubblica amministrazione.
Thomas Mackinson
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Agosto 21st, 2012 Riccardo Fucile
UNA RICERCA HA ANALIZZATO I DECESSI NELLE ZONE DEI POLI INDUSTRIALI: SONO MIGLIAIA PIU’ DELLA MEDIA
Migliaia di morti, causati dall’inquinamento industriale diretto o indiretto, tra il 1995
e il 2002.
Parliamo di tumori polmonari e malattie respiratorie a Gela e Porto Torres.
Tumori della Pleura a Casal Monferrato e nelle zone dove si lavorava l’amianto.
Insufficienze renali dovute all’esposizione a metalli pesanti, a Massa Carrara, Piombino, Orbetello, nel basso bacino del fiume Chienti e nel Sulcis-Iglesiente-Guspinese, in Sardegna. Malattie neurologiche a Trento nord, causate da piombo, mercurio e solventi organo-alogenati.
Linfomi dovuti all’esposizione a Pcb (policlorobifenili) a Brescia, nell’area Caffaro. Malformazioni congenite a Massa Carrara, Falconara, Milazzo e Porto Torres.
E naturalmente, Taranto: tumori al polmone, malattie respiratorie acute, dell’apparato digerente, ischemie.
A seconda delle tecniche statistiche adoperate, si può parlare di una forchetta tra i 3508 e i 9969 decessi «aggiuntivi», plausibilmente correlati proprio all’inquinamento diretto (emissioni industriali) o indiretto (discariche, aree durevolmente contaminate, depositi di materiale nocivo).
Un bollettino di guerra.
Che arriva da fonti autorevoli e ufficialissime: il rapporto «SENTIERI» (Studio Epidemiologico Nazionale dei Territori e degli Insediamenti Esposti a Rischio da Inquinamento) coordinato dall’Istituto Superiore di Sanità sotto l’egida del ministero della Salute
Lo studio epidemiologico, diffuso nel novembre del 2011, è frutto di una ricerca durata quattro anni.
L’idea è calcolare con sofisticate tecniche statistiche i casi di «mortalità in eccesso» nell’arco considerato, ovvero i decessi aggiuntivi a quelli che si sarebbe verificata in assenza di inquinamento.
I territori esaminati, 44 (quelli più importanti) dei 57 «siti di interesse nazionale».
È questo il termine eufemistico con cui vengono definite le aree ad alto rischio ambientale, quelle dove sono concentrate le industrie più inquinanti del Paese, 298 comuni in cui vivono quasi 6 milioni di persone, il 2% del territorio nazionale.
Aree in cui l’inquinamento di aria, suolo, sottosuolo, acque superficiali e sotterranee è talmente grave da costituire un pericolo per la salute pubblica.
Zone industriali, dismesse e non, porti, lagune, cave, discariche abusive e miniere, che sulla base della legge dovrebbero essere bonificate con un contributo pubblico. E soldi, anche, di chi ha inquinato.
Si tratta di 21 siti al Nord (di cui cinque in Piemonte, tra cui Casale Monferrato e Cengio), 8 al Centro, 15 al Sud.
Per ogni sito sono stati stimati gli effetti separati e «congiunti» dei vari agenti inquinanti sulla popolazione.
Complessivamente in queste 44 aree sono stati individuati, nel periodo 1995-2002, 3508 decessi dovuti con evidenza a priori all’esposizione ad agenti ambientali nocivi. Considerando le morti anche senza evidenza a priori, si arriva a 9969 morti. Correttamente, i ricercatori spiegano anche che in molti casi (aree urbane, presenza di diverse tipologie industrie) i dati vanno interpretati con qualche cautela.
È un’istantanea impietosa di una guerra silenziosa condotta contro gli italiani da chi produce inquinando, o chi lo ha fatto in passato creando vaste aree pericolose.
Una fotografia che però raffigura solo la punta di un iceberg ben più vasto: a parte i circa 1250 decessi l’anno ragionevolmente collegati all’inquinamento industriale diretto e indiretto, bisogna considerare anche le persone che sono colpite da queste patologie in forma non letale.
E quelle che, purtroppo, moriranno tra diversi anni.
La mappa è impressionante.
Nei poli petrolchimici si contano 643 morti in eccesso per tumore polmonare, 135 per malattie non tumorali dell’apparato respiratorio.
Nelle aree con impianti chimici, 184 casi di morte per tumore del fegato. L’amianto, con il letale mesotelioma pleurico, il killer della Eternit, nei dodici siti contaminati (il Nordovest e il Piemonte sono ovviamente particolarmente colpito, con Balangero, Casale Monferrato, Broni, Emarese in Val d’Aosta) ha prodotto 416 decessi aggiuntivi.
Gli incrementi della mortalità per tumore polmonare e malattie respiratorie a Gela e Porto Torres si legano alle emissioni di raffinerie e poli petrolchimici.
A Taranto e nel Sulcis-Iglesiente-Guspinese pesano le emissioni degli stabilimenti siderurgici e metallurgici.
Le morti in età neo e perinatale per malformazioni congenite e condizioni morbose si legano all’inquinamento registrato a Massa Carrara, Falconara, Milazzo e Porto Torres.
Insufficienze renali causate da metalli pesanti, IPA e composti alogenati si registrano a Massa Carrara, Piombino, Orbetello, nel Basso Bacino del fiume Chienti e nel Sulcis-Iglesiente-Guspinese.
Incrementi di malattie neurologiche per i quali i sospettati sono piombo, mercurio e solventi organoalogenati si osservano a Trento Nord, Grado e Marano e nel Basso Chienti., nelle Marche.
Nella lista c’è tutto il (cosiddetto) Belpaese.
C’è il Sud con le discariche di rifiuti pericolosi – del tutto incontrollate, e spesso gestite dalla camorra o altre mafie – della campagna vicino Aversa, in Campania, o sulla costa domizio-flegrea a nord di Napoli.
Ma c’è anche quella di Pitelli, in provincia di La Spezia, la discarica di rifiuti industriali più grande d’Italia sequestrata nel 1996.
C’è la valle del Sacco nel Lazio del Sud, con Colleferro, per anni centro di fabbriche di armi ed esplosivi.
Ci sono i petrolchimici di Gela e Porto Marghera, a Venezia.
E c’è Taranto.
Roberto Giovannini
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Agosto 21st, 2012 Riccardo Fucile
L’ATTIVITA’ DI LOBBY DELL’AZIENDA SIDERURGICA E IL RUOLO DI ARCHINA’
Due pagine, ottanta righe.
Ogni riga una data, un nome e una cifra.
C’è la parrocchia dei Santissimi Angeli Custodi (2.500 euro il 19 ottobre 2010), c’è l’Unione italiana per il trasporto degli ammalati a Lourdes (5.000 euro il 23 luglio 2010), compare la Banda municipale del Comune di Crispiano (2.750 euro, il 31 dicembre del 2010), il Lions Club locale (2.500 euro il 15 giugno del 2011), piccole società sportive come la Okinawa karate (4.000 euro il 31 maggio 2011) o la Triton Taranto che si occupa di football (2.000 euro il 30 giugno 2011) o un’associazione tarantina di pattinatori (2.000 euro il 31 luglio del 2011).
E poi società per azioni, aziende informatiche, il Politecnico di Bari, centri culturali, un comitato per un non meglio precisato festeggiamento, anche un omaggio floreale da 50 euro, il 5 aprile del 2011.
GLI OMAGGI
Eccola qui la lista Ilva degli «omaggi e regalie» 2010-2011.
Soldi regalati a questo o quello oppure spesi per comprare pacchi dono. Gesti che non comportano alcun reato, ma che secondo la Guardia di finanza indicano quanto elevato fosse il budget a disposizione di Girolamo Archinà , il capo delle relazioni pubbliche dell’azienda accusato di fare pressioni sulle istituzioni per favorire in ogni modo l’acciaieria.
E la lista indica anche quanto estesa fosse la rete di contatti «sociali» dell’Ilva nel territorio.
LA RETE
L’elenco è stato consegnato agli inquirenti da Francesco Cinieri, dal 1986 responsabile della contabilità dello stabilimento siderurgico.
Secondo i magistrati in quella lista di donazioni e acquisti di regali per amici e giornalisti, è stata contabilizzata come «spese di direzione» anche la mazzetta da diecimila euro che Archinà avrebbe pagato al consulente tecnico della procura, Lorenzo Liberti, perchè «addolcisse» le sue considerazioni sull’inquinamento. Circostanza che Liberti (filmato mentre ritira una busta da Archinà ) nega («conteneva il testo di un accordo-quadro»).
Nelle carte contabili dell’Ilva c’è un documento di due righe (anche quello consegnato ai finanzieri da Cinieri) allegato ad una delle informative del caso giudiziario.
È un foglio con il quale Archinà chiede a Cinieri di «predisporre 10 mila euro da utilizzare per offerta alla Chiesa di Taranto in occasione della Pasqua».
La data è del 25 marzo 2010, lo scambio della presunta mazzetta avviene il giorno dopo e anche se lo stesso arcivescovo conferma la donazione, secondo i finanzieri quelle due righe sono il sotterfugio usato da Archinà per giustificare il prelievo dei soldi e nasconderne il vero motivo.
LE EROGAZIONI
Sentito come testimone, Cinieri dice: «posso pensare che la somma che mi fu richiesta, essendo periodo pasquale, potesse essere consegnata all’Arcivescovato».
Per aggiungere poi che «almeno una volta all’anno, o a Natale o a Pasqua, viene fatta una erogazione, anche se per cifre che normalmente non superano i 5.000 euro.
Se non erro non è mai avvenuto che ne sia stata fatta una da 10.000 euro».
I magistrati lo convocano il 25 novembre scorso.
Lui spiega come recuperò frettolosamente i 10.000 euro che Archinà voleva subito (prima di partire per l’incontro con Liberti) e poi dice che in ufficio ha quel che serve per dimostrare come finiscono in bilancio le spese del capitolo «omaggi e regalie».
Il verbale viene interrotto e i finanzieri vanno assieme a lui negli uffici della direzione Ilva. Cinieri passa in rassegna i file del computer e stampa le due pagine dell’argomento. «Ecco» spiega.
«Se la descrizione del beneficiario è ben specificata è perchè da loro stessi è arrivata una richiesta formale. E in quel caso l’erogazione avviene tramite bonifico o assegno circolare non trasferibile».
Ma c’è una seconda opzione. «Se la descrizione del beneficiario non è specificata – racconta il contabile – allora si tratta di uscite di cassa per contanti e significa che non c’è una richiesta preventiva ma che la richiesta avviene direttamente dalla direzione, per questo la causale è “spese di direzione”».
Proprio come quella spesa di 10 mila euro registrata lo stesso giorno della presunta bustarella. O come un’altra dazione, per la stessa cifra, contabilizzata il 14 aprile 2011 come «erogazione della direzione».
Sospetta come la prima, secondo gli inquirenti.
IL CASO
Fra i nomi delle società del capitolo «omaggi e regalie» dell’Ilva ce n’è una, la Semat Spa, che vanta le cifre più alte: da un minimo di 1.286 euro a un massimo di 64.341. Ovviamente le cifre accanto ai nomi non significano sempre che si sia trattato di una donazione.
In alcuni casi, per esempio con la «D’Erchie Srl» (un’azienda che produce olio d’oliva) e la «Longo, un mondo di specialità » (vini e prodotti alimentari) le migliaia di euro accanto al nome indicano le spese sostenute per i pacchi-regalo di fine anno, moltissimi ai giornalisti.
La cifra più piccola 72.69 euro, la più alta 8.400.
Giusi Fasano
argomento: Ambiente, Costume, Giustizia | Commenta »
Agosto 21st, 2012 Riccardo Fucile
“E’ UN DISASTRO PER TUTTI, I BAMBINI LE PRIME VITTIME”
«In questi giorni in tanti parlano di Taranto. Vorrei sentir dire con la giusta
chiarezza, però, che in questa parte d’Italia c’è un vero disastro. Per la salute della gente e per l’ambiente».
Il professor Annibale Biggeri, docente dell’università di Firenze e direttore del centro per lo studio e la prevenzione oncologica, è uno dei tre saggi ai quali il gip Patrizia Todisco ha affidato il compito di radiografare il dramma di Taranto.
Quel pool ha firmato la perizia epidemiologica che è una pietra angolare nei provvedimenti di sequestro degli impianti dell’Ilva che inquinano la città pugliese. Professore, nelle conclusioni siete perentori. Scrivete che le emissioni di Ilva provocano malattie e morti.
«Conoscevo già la realtà di Taranto. Ma del nostro lavoro che è andato avanti per un anno, mi ha colpito la chiarezza con la quale sono emersi gli effetti dannosi per la salute e la possibilità di evidenziare i rioni in cui gli inquinanti incidono in maniera più drammatica».
La vostra ricerca su quali dati si è basata?
«Abbiamo analizzato la storia clinica degli abitanti di Taranto negli ultimi tredici anni. Si è evidenziato che all’incremento di pm10 industriale corrisponde un aumento della frequenza di ricoveri e di decessi. E abbiamo notato che il picco di ricoveri e l’eccesso di mortalità per patologie riconducibili alle emissioni di polveri industriali si acuisce nel rione Tamburi e nel Borgo, ovviamente i più vicini agli impianti, con un morto ogni tre mesi. Stesso discorso al Paolo VI nel quale risiedono molti operai dello stabilimento siderurgico».
L’aspetto che colpisce di più è l’incidenza dei tumori sui bambini di Taranto.
«In età pediatrica si è accertato un eccesso di tumori maligni del 25%. E questo è uno degli aspetti che consente di affermare che gli effetti sulla salute sono prodotti dall’inquinamento attuale e non solo da quanto avvenuto in passato».
Ma quali sono i killer silenziosi che arrivano dalla grande fabbrica?
«Parlerei di un cocktail di sostanze. Certamente il benzoapirene, ma dagli impianti industriali di Taranto fuoriescono anche tanti altri inquinanti come i metalli».
L’Ilva si difende sostenendo che oggi la fabbrica inquina meno rispetto al passato… «Le rilevazioni delle centraline di Taranto confermano ancora oggi, a sequestro notificato, che le emissioni sforano la soglia di legge. Basta consultare il sito dell’Arpa. Dal 2004 gli sforamenti sono stati sempre oltre i limiti di legge tranne che nel 2009 quando sono stati leggermente al di sotto. Ma in quell’anno c’è stato un calo della produzione per motivi di mercato».
Uno degli avvocati dell’Ilva ha argomentato che i livelli di pm10 di Taranto sono inferiori a quelli delle grandi città del nord.
«Argomentazione che si sgonfia se si valutano le rilevazioni nel quartiere Tamburi. Ci si può girare intorno se si vuole, ma l’attuale situazione di quegli impianti non è compatibile con la salute della gente”.
Cosa farebbe se vivesse a Taranto?
«Pretenderei i rimedi, anche se sono complicati e costosi. I tarantini meritano un’opportunità e non una condanna irreversibile ».
Mario Diliberto
(da “la Repubblica”)
argomento: Ambiente, Lavoro, sanità | Commenta »