Destra di Popolo.net

CON UN EURO DI CAPITALE APRI UNA SRL MA LA TASSA DI REGISTRO SI PAGA

Agosto 25th, 2012 Riccardo Fucile

I PROVVEDIMENTI DEL GOVERNO: NOTAIO GRATIS, MA RIMANE L’IMPOSTA DI 168 EURO

«Sì, vabbè, a un euro, figurati!». Il popolo dei blog si scatenò contro il governo quando aveva annunciato, all’interno del decreto Crescitalia (siamo all’inizio dell’anno), che per agevolare l’imprenditoria giovanile, sarebbe stato possibile creare delle Srl con un solo euro di capitale (contro i 10 mila necessari fino ad allora) e senza neppure le spese notarili.
Ci fu, dunque, un affollamento sulle chat e sui siti degli studenti, con tanto di conteggi che dicevano che comunque «tra timbri e bolli» bisogna tirare fuori almeno 100 euro.
Ora, la notizia è vera: la società  «semplificata» si può costituire con un solo euro. Ma quella storia di «timbri e bolli» lamentata dai ragazzi ha un fondamento.
Più avanti vi sveleremo perchè.
Il decreto, si diceva, è del gennaio scorso, convertito in legge a marzo.
Ma la norma applicativa si attendeva in queste settimane.
Ora sappiamo che c’è, perchè ne ha dato notizia il sottosegretario alla presidenza, Antonio Catricalà , con una twittata, il cui testo recita così: «E’ finalmente possibile per i giovani fino a 35 anni costituire una srl con un solo euro di capitale. Non ci sono spese notarili. Un’opportunità ».
Per fortuna c’è twitter che permette solo 140 caratteri, e così abbiamo capito tutto anche noi.
Perchè il testo del decreto, che pure abbiamo letto, è in burocratese tosto, ha un’ampia premessa e poi un solo articolo, corredato da «avvertenza», in cui sono contenute le specificazioni.
La legge si rivolge – dunque – ai giovani con meno di 35 anni che si vogliano associare con altri coetanei per costituire una società  intorno ad una idea imprenditoriale.
La «società  a responsabilità  limitata semplificata» ha alcune caratteristiche proprie: è aperta esclusivamente a persone fisiche (e quindi non a società ) che abbiano meno di 35 anni.
Quando un socio compie 35 anni deve uscire dalla società , oppure bisogna trasformare la società  in una forma differente.
Le quote societarie non possono essere cedute a chi ha più di 35 anni.
Il capitale deve essere di «almeno» un euro, e comunque non superiore ai 10 mila.
Quell’euro non va versato in banca ma nelle mani degli amministratori (che possono essere uno o più soci stessi).
La costituzione della società  deve avvenire presso un notaio che per questo non deve essere pagato.
Sia l’atto costitutivo sia l’iscrizione al registro delle imprese sono esenti da diritto di bollo e di segreteria.
E per chi ha più di 35 anni? È prevista comunque la possibilità  di avviare una srl (non semplificata) a capitale ridotto (meno di 10 mila euro).
E la storia dei cento euro e passa come nasce?
Dal fatto che è tutto vero quanto fin qui esposto, e che al notaio va mostrato un unico euro senza neppure darglielo, ma poi c’è la tassa di registro, e quella vai a capire perchè – non si può evitare: 168 euro. Svelato il mistero.
La nuova norma che dovrebbe ringalluzzire l’imprenditoria giovanile ha suscitato entusiasmi corali.
Plaudono i giovani di Confindustria Sud, tramite il leader Lorenzo Pagliuca, plaudono i deputati del Pd Francesco Boccia e Mario Adinolfi, e perfino l’ipercritico Codacons si arrende alla forza della novità .
Tutti questi soggetti, tuttavia, sottolineano un problema comune: una volta fatta la società  che se ne fanno i giovani se l’accesso al credito è quello che è?
Giorgio Satini della Cisl pone, infine, un’ultima questione: vanno bene le srl a un euro, ma da sole dove vanno?
Senza lavoro lo start up può approdare solo al fallimento.

Raffaello Masci

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LA CULTURA FA OCCUPAZIONE: NEL 2012 ASSUNTI 32.000 ADDETTI

Agosto 25th, 2012 Riccardo Fucile

IN CINQUE ANNI CREATI 55.000 POSTI DI LAVORO, CON UNA CRESCITA ANNUA DELLO 0,8%… IL PROFILO RICERCATO E’ ALTAMENTE SPECIALIZZATO CON TITOLI DI STUDIO TECNICO-SCIENTIFICO E TANTA ESPERIENZA

Buone notizie per chi lavora nella cultura.
Nel 2012 sono previste 32250 assunzioni, dopo un quinquennio che ha visto il settore in espansione, con una media dello 0,8% annuo, nonostante la crisi e una crescita economica nazionale media dello 0,4%.
Tra il 2007 e il 2011 infatti, i posti di lavoro creati nell’industria culturale sono stati 55mila. Questo il quadro disegnato dall’indagine Excelsior – curata da Unioncamere e ministero del Lavoro – e presentata da Ferruccio Dardanello, presidente dell’ente che rappresenta le camere di commercio, al meeting di Rimini.
Di questi nuovi posti, 22.880 sono stabili e 9.370 stagionali, pari al 5,6% del totale delle assunzioni che verranno realizzate dalle imprese di industria e servizi.
Nonostante la contrazione dello 0,7% dei dipendenti rispetto al 2011, 4.900 in meno, il dato è positivo se confrontato con le altre imprese, che nello stesso periodo hanno perso l’1,2%, 125600 posti di lavoro in meno.
Le industrie culturali cercano personale altamente specializzato: quasi la metà  delle assunzioni non stagionali programmate quest’anno riguardano professioni high-skill, mentre nel caso delle altre imprese dell’industria e dei servizi non si va oltre un quinto del totale.
Questo perchè si presta particolare attenzione al titolo di studio, con una grande richiesta di laureati , il 30% nel 2012.
A dispetto di ciò che si potrebbe pensare, non sono però i titoli umanistici quelli più richiesti. La ricerca è per profili scientifici, tecnologici o strettamente tecnici.
Tra i primi cinque indirizzi di laurea richiesti, ben tre sono legati all’ingegneria, insieme a quello scientifico-matematico ed economico.
Fondamentale però resta l’esperienza: per lavorare nel mondo della cultura ne serve decisamente di più rispetto agli altri tipi di imprese: la ritiene importante al momento dell’assunzione il 63,6 contro 53,4% della media delle imprese, con un picco del 71% per le professioni strettamente culturali.
“Sembra un paradosso – ha detto Dardanello – ma in Italia manca un quadro organico di politiche economiche basate sul potenziale produttivo del settore culturale. Gli italiani devono recuperare non soltanto il senso economico della cultura, ma anche in una certa misura il suo senso sociale, di elemento alla base delle sue produzioni di eccellenza e occasione per dare opportunità  di lavoro a tanti giovani che hanno capacità  e qualità  da vendere. Purtroppo è ancora diffusa l’idea che con la cultura non si mangi, ma i successi del Made in Italy, di cui tanta parte discende proprio dalla nostra cultura del fare e del vivere, vengono da questo patrimonio inesauribile. Che va messo a frutto con politiche che devono partire fin dai banchi di scuola, per mettere in condizione i nostri giovani e le loro famiglie di cogliere le tante opportunità  che vengono dall’industria culturale, e maturare presto quell’esperienza indispensabile per conseguire un lavoro di qualità “.

(da “La Repubblica“)

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NEGLI STATI UNITI AUMENTA LA DISOCCUPAZIONE

Agosto 25th, 2012 Riccardo Fucile

CRESCONO LE RICHIESTE DI SUSSIDIO

Le difficoltà  dell’economia americana e il raffreddamento della crescita interna non frenano la voglia cinese di `Made in Usa’.
Gli acquisti della Cina di asset e attività  americane sono saliti a livelli record nei primi otto mesi del 2012: 8 miliardi di dollari.
Un trend che, se continuerà , consentirà  di superare il record 8,9 miliardi di dollari dell’intero 2007.
Una fame che non teme l’elevata disoccupazione e i problemi del mercato immobiliare che, nonostante la ripresa, continua a essere sotto pressione: le vendite di case nuove in luglio sono aumentate del 3,6%, ai massimi degli ultimi due anni, ma – in base ai dati del Dipartimento del Commercio – i prezzi sono in calo del 2,5% rispetto al 2011. Secondo le rilevazioni della Federal Housing Finance Agency, i prezzi delle case nel secondo trimestre sono saliti dell’1,8% rispetto ai primi tre mesi dell’anno, un aumento che, se aggiustato per il ciclo, è il maggiore dal quarto trimestre 2005.
Ma se il mercato immobiliare, grazie sopratutto ai tassi ai minimi, mostra segnali di stabilizzazione, è quello del lavoro a destare timori.
Le richieste di sussidi alla disoccupazione sono salite la scorsa settimana di 4.000 unità  a 372.000, al di sotto comunque della soglia delle 400.000 unità  ritenuta un campanello d’allarme.
Nonostante questo la `voglia’ cinese di America non si arresta.
Il balzo delle fusioni e acquisizioni cinesi negli Stati Uniti è il risultato naturale dello sviluppo della Cina e della fame del paese per energia e risorse naturali, afferma Joe Gallagher, numero uno della divisione merger and acquisition in Asia di Credit Suisse.
«La Cina sta crescendo, sta diventando più ricca e sofisticata. Alcune delle maggiori società  cinesi, soprattutto nel settore del petrolio e del gas, stanno diventando più sofisticate nel loro approccio alle acquisizioni» mette in evidenza Gallagher. L’aumento degli accordi fra Cina e Stati Uniti arriva in un contesto di rallentamento delle fusioni e acquisizioni, sia in Cina sia a livello globale.
Secondo alcune stime, l’attività  di merger and acquisition nel 2012 rallenterà  ai minimi dal 2003.
Gli Stati Uniti vantano un forte deficit commerciale nei confronti della Cina: un rosso da 295 miliardi di dollari nel 2011 e che è costato agli Usa 2,7 milioni di posti di lavoro fra il 2001 e il 2011, secondo l’Economic Policy Institute.
La maggior parte delle perdite, il 77% o 2,1 milioni di posti, è stata nel settore della manifattura.

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I TORMENTONI DELL’ESTATE, DA GINO PAOLI A GIORGIA

Agosto 25th, 2012 Riccardo Fucile

IN 50 ANNI SI E’ PERSO IL SAPORE DI SALE

La nostra percezione del tempo e della storia e il nostro irresistibile romanticismo (che fa capolino anche nei più cinici) ci inducono sia alla memoria dei grandi fatti che a quella delle piccole passioni; sia al piacere della letteratura alta che alla cura affettuosa del nostro sentimentalismo adolescenziale.
E, allora, come dimenticare che sono passati esattamente cinquant’anni da quando l’estate italiana venne attraversata da due irresistibili motivi musicali.
Pinne fucile ed occhiali, cantata da Edoardo Vianello, e Quando calienta el sol interpretata da Los Marcellos Ferial.
Oggi, a distanza di cinque decenni, l’aria delle spiagge del nostro paese è lacerata da Balando di Gusttavo Lima e da È l’amore che conta di Giorgia.
Belle o brutte che siano, le canzoni attuali rispondono minuziosamente alle esigenze di un mercato discografico drammaticamente in crisi da anni e a criteri commerciali e di «cantabilità », sempre assai rigidi, ma mai come in questo periodo tanto esigenti.
Le canzoni e i tormentoni dell’estate, non è certo una novità , sono in genere costruiti a tavolino, ma la crisi economica generale e il collasso delle vendite impongono una cura maniacale nella progettazione del prodotto tale da azzerare, o quasi, qualunque palpito di creatività .
Non è stato sempre così.
In quel primo scorcio di decennio, con una strepitosa sequenza artistica, vengono incise Legata a un granello di sabbia di Nico Fidenco (1961), E la chiamano estate di Franco Califano e Bruno Martino (1962), Sapore di sale di Gino Paoli (1963).
Si tratta di tre canzoni per molti aspetti profondamente innovative (la struttura musicale, l’interpretazione e il testo) che corrispondono — e non è un caso — a un radicale mutamento che attraversa il corpo, ma anche il cuore e la mente, della società  nazionale.
Siamo nel pieno del boom economico: e questo determina grandi trasformazioni nei comportamenti collettivi e negli stili di vita degli italiani.
Le vacanze al mare, fino ad allora, privilegio di ridotte èlites, tendono a diventare consumo di massa.
«Tutti ar mare – a mostrà  le chiappe chiare» (Gabriella Ferri, 1973), prima di diventare un ritornello appena un po’ licenzioso, è una sorta di imperativo sociale.
Per chi non c’era perchè troppo giovane, vale la pena ricordare cosa fossero, appunto, quelle spiagge dei primi anni sessanta.
Non quelle alto borghesi inventate dai film con Isabella Ferrari, bensì quelle dei comuni mortali che la domenica oppressi dalla calura già  alle sette del mattino scappavano verso Ladispoli, Torvajanica, Fregene o verso Milano Marittima.
Il paesaggio era unico e uniforme, e valeva anche per i giovani e i giovanissimi di allora.
Non si creda che la celeberrima definizione di Paolo Villaggio («costumi ascellari») fosse un’esagerazione grottesca: l’abbigliamento da mare, per maschi e femmine, non era solo castigatissimo; era soprattutto una soffocante bardatura, ancora in gran parte di lana e, quando di cotone, comunque di spessore e peso notevolissimi.
Le creme solari, poi: nulla ancora di quel progresso chimico e tecnologico che ha portato all’attuale ed eterea vaporizzazione.
Quelle di allora erano simili, piuttosto, ad applicazioni di una pece untuosa o, nel migliore dei casi, di una pasta simile, per colore e struttura, alla creme caramel (ma per abbronzarsi, gli uomini veri, e quelli che aspiravano ad esserlo, ricorrevano a quel metodo di incerto valore scientifico che consisteva nel buttarsi litri di birra addosso).
Eppure in quello scenario ruvido e goffo, si manifestarono i primi segni della rivoluzione sessuale che covava all’interno delle relazioni sociali del nostro paese. L’estate al mare fu la scoperta dell’anatomia come fatto emotivo e morale.
La rivelazione della nudità  dei corpi e del desiderio per l’altro sesso.
Come è fin troppo ovvio, tutto ciò preesisteva, pur se sopito e censurato: la vita di spiaggia lo fece emergere tumultuosamente.
E la musica leggera e le canzoni dell’estate ne furono il racconto e la celebrazione, sia nella forma più spensierata e sfrontata sia in quella più pensosa e romantica.
Per questo, sapore di sale ne fu, e continua a esserne, la sintesi più emozionante e intelligente.
Con l’arrangiamento di Ennio Morricone, Gino Paoli cantò qualcosa di travolgente, che narrava la luce abbacinante del mare e del sole, e, insieme, suggeriva l’idea che — dietro ciò — si celasse «un gusto un po’ amaro di cose perdute».
E le «canzoni dell’estate» di oggi riescono a dirci qualcosa di simile?
Penso di no, anche se ci raccontano comunque un frammento del nostro tempo. I motivi e i tormentoni attuali sono pensati e composti per un circuito di intrattenimento tutto affidato ai villaggi vacanza e agli animatori di spiaggia: dunque per un ascolto collettivo e per una riproducibilità  di gruppo.
Questo esalta il loro connotato sostanzialmente ripetitivo e seriale.
Nel frattempo, un altro mutamento profondo è in corso. Le vacanze al mare da consumo massificato, tornano a essere un bene scarso.
Quali canzoni canteranno questa nuova penuria?
Può valere come promemoria un verso di Giorgio e Paolo Conte del 1974 (tempi di crisi petrolifera): «Una giornata al mare, solo e con mille lire».

Luigi Manconi
(da “Il Messaggero“)

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QUELLE CARD CHE FANNO SALTARE LE CODE E L’ERESIA DELL’ATTESA

Agosto 25th, 2012 Riccardo Fucile

A VENEZIA SI PUO’ EVITARE LA FILA PER ENTRARE IN SAN MARCO PAGANDO… L’ENNESIMA DIMOSTRAZIONE DI FASTIDIO DELLE REGOLE

Il numeretto, quel triangolino di carta con su scritta una cifra preceduta da una lettera, ormai siamo costretti a staccarlo ovunque, anche al banco più sperduto del mercato o nel panificio di periferia.
Ha un nome che la dice lunga: il tagliacode.
Chi va in giro per l’Europa, sa che quegli aggeggi esistono solo da noi.
Difficile vederne, soprattutto nel Nord Europa.
Insomma, noi italiani abbiamo sempre bisogno di qualcosa o qualcuno che ci metta in riga. Da soli non ne siamo capaci.
Siamo geneticamente incompatibili alle code.
Non solo non le sopportiamo, ma non le concepiamo proprio.
È frustrante anche il solo provarci, a mettersi in fila, a suggerirla con i gesti, i movimenti.
Appena qualcuno ci prova, c’è sempre il furbo in agguato, che ti scarta e passa via.
E nessuno dice nulla.
Ecco perchè abbiamo bisogno del nostro numeretto e dell’alimentarista che finalmente, dopo borbottii e sbuffi d’impazienza, lo chiama e tocca a noi.
Per l’italiano la coda è una perdita di tempo. Peggio: una penitenza.
Pensate a quanto ci costa la nostra impazienza.
Tutti quei display negli uffici pubblici, tutta quella carta.
Pazienza e buona educazione, che roba è?
E allora c’è voluto anche troppo affinchè qualcuno avesse la pensata: di sicuro, pur di non mettersi in fila, c’è chi è disposto a pagare, si son detti.
E così, ora, se vuoi evitare la coda per entrare nella Basilica di San Marco, paghi.
Poi, vuoi mettere, anche solo il gesto di poter esibire la tua card e fare marameo a chi sta in coda?
C’è da scommettere una cosa però: che non ci sarà  nemmeno un tedesco, o un nordeuropeo, disposto a buttare dei soldi per risparmiare mezz’ora di attesa. Chiedetevi allora perchè sono loro ad avere in mano le chiavi dell’Europa.
La pazienza è un bene dal valore inestimabile.
Non per noi, però.

Roberto Ferrucci
(da “Il Corriere della Sera“)

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