I TORMENTONI DELL’ESTATE, DA GINO PAOLI A GIORGIA
IN 50 ANNI SI E’ PERSO IL SAPORE DI SALE
La nostra percezione del tempo e della storia e il nostro irresistibile romanticismo (che fa capolino anche nei più cinici) ci inducono sia alla memoria dei grandi fatti che a quella delle piccole passioni; sia al piacere della letteratura alta che alla cura affettuosa del nostro sentimentalismo adolescenziale.
E, allora, come dimenticare che sono passati esattamente cinquant’anni da quando l’estate italiana venne attraversata da due irresistibili motivi musicali.
Pinne fucile ed occhiali, cantata da Edoardo Vianello, e Quando calienta el sol interpretata da Los Marcellos Ferial.
Oggi, a distanza di cinque decenni, l’aria delle spiagge del nostro paese è lacerata da Balando di Gusttavo Lima e da È l’amore che conta di Giorgia.
Belle o brutte che siano, le canzoni attuali rispondono minuziosamente alle esigenze di un mercato discografico drammaticamente in crisi da anni e a criteri commerciali e di «cantabilità », sempre assai rigidi, ma mai come in questo periodo tanto esigenti.
Le canzoni e i tormentoni dell’estate, non è certo una novità , sono in genere costruiti a tavolino, ma la crisi economica generale e il collasso delle vendite impongono una cura maniacale nella progettazione del prodotto tale da azzerare, o quasi, qualunque palpito di creatività .
Non è stato sempre così.
In quel primo scorcio di decennio, con una strepitosa sequenza artistica, vengono incise Legata a un granello di sabbia di Nico Fidenco (1961), E la chiamano estate di Franco Califano e Bruno Martino (1962), Sapore di sale di Gino Paoli (1963).
Si tratta di tre canzoni per molti aspetti profondamente innovative (la struttura musicale, l’interpretazione e il testo) che corrispondono — e non è un caso — a un radicale mutamento che attraversa il corpo, ma anche il cuore e la mente, della società nazionale.
Siamo nel pieno del boom economico: e questo determina grandi trasformazioni nei comportamenti collettivi e negli stili di vita degli italiani.
Le vacanze al mare, fino ad allora, privilegio di ridotte èlites, tendono a diventare consumo di massa.
«Tutti ar mare – a mostrà le chiappe chiare» (Gabriella Ferri, 1973), prima di diventare un ritornello appena un po’ licenzioso, è una sorta di imperativo sociale.
Per chi non c’era perchè troppo giovane, vale la pena ricordare cosa fossero, appunto, quelle spiagge dei primi anni sessanta.
Non quelle alto borghesi inventate dai film con Isabella Ferrari, bensì quelle dei comuni mortali che la domenica oppressi dalla calura già alle sette del mattino scappavano verso Ladispoli, Torvajanica, Fregene o verso Milano Marittima.
Il paesaggio era unico e uniforme, e valeva anche per i giovani e i giovanissimi di allora.
Non si creda che la celeberrima definizione di Paolo Villaggio («costumi ascellari») fosse un’esagerazione grottesca: l’abbigliamento da mare, per maschi e femmine, non era solo castigatissimo; era soprattutto una soffocante bardatura, ancora in gran parte di lana e, quando di cotone, comunque di spessore e peso notevolissimi.
Le creme solari, poi: nulla ancora di quel progresso chimico e tecnologico che ha portato all’attuale ed eterea vaporizzazione.
Quelle di allora erano simili, piuttosto, ad applicazioni di una pece untuosa o, nel migliore dei casi, di una pasta simile, per colore e struttura, alla creme caramel (ma per abbronzarsi, gli uomini veri, e quelli che aspiravano ad esserlo, ricorrevano a quel metodo di incerto valore scientifico che consisteva nel buttarsi litri di birra addosso).
Eppure in quello scenario ruvido e goffo, si manifestarono i primi segni della rivoluzione sessuale che covava all’interno delle relazioni sociali del nostro paese. L’estate al mare fu la scoperta dell’anatomia come fatto emotivo e morale.
La rivelazione della nudità dei corpi e del desiderio per l’altro sesso.
Come è fin troppo ovvio, tutto ciò preesisteva, pur se sopito e censurato: la vita di spiaggia lo fece emergere tumultuosamente.
E la musica leggera e le canzoni dell’estate ne furono il racconto e la celebrazione, sia nella forma più spensierata e sfrontata sia in quella più pensosa e romantica.
Per questo, sapore di sale ne fu, e continua a esserne, la sintesi più emozionante e intelligente.
Con l’arrangiamento di Ennio Morricone, Gino Paoli cantò qualcosa di travolgente, che narrava la luce abbacinante del mare e del sole, e, insieme, suggeriva l’idea che — dietro ciò — si celasse «un gusto un po’ amaro di cose perdute».
E le «canzoni dell’estate» di oggi riescono a dirci qualcosa di simile?
Penso di no, anche se ci raccontano comunque un frammento del nostro tempo. I motivi e i tormentoni attuali sono pensati e composti per un circuito di intrattenimento tutto affidato ai villaggi vacanza e agli animatori di spiaggia: dunque per un ascolto collettivo e per una riproducibilità di gruppo.
Questo esalta il loro connotato sostanzialmente ripetitivo e seriale.
Nel frattempo, un altro mutamento profondo è in corso. Le vacanze al mare da consumo massificato, tornano a essere un bene scarso.
Quali canzoni canteranno questa nuova penuria?
Può valere come promemoria un verso di Giorgio e Paolo Conte del 1974 (tempi di crisi petrolifera): «Una giornata al mare, solo e con mille lire».
Luigi Manconi
(da “Il Messaggero“)
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