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BERLUSCONI LANCIA “FORZA GNOCCO”: L’EX FIDANZATO DI ALFONSO SIGNORINI CANDIDATO CON IL PDL AL SENATO

Febbraio 7th, 2013 Riccardo Fucile

PAOLO GALIMBERTI, EX COMPAGNO DEL DIRETTORE DI “CHI” E’ OTTAVO AL SENATO IN LOMBARDIA… UN SEGGIO CERTO DOPO I BIG DEL PARTITO

Paolo Galimberti ci teneva tanto a quella foto con Silvio Berlusconi, scattata al compleanno del suo compagno Alfonso Signorini.
E così quando è scattata l’ora della fatidica e agognata candidatura l’ha presa da Dagospia e con un facile lavoro al computer si è fatto fare i manifesti per la campagna elettorale delle politiche.
Numero otto del Pdl al Senato in Lombardia. Un seggio certo, dietro il Capo e i big del partito: Berlusconi, Formigoni, Bondi, Bonaiuti, Mantovani, Romani, Caliendo e poi lui, finalmente.
Il posto in lista a Paolo Galimberti è l’ultima frontiera del berlusconismo che candida famigli, fedelissimi e “mignotte” (Vittorio Feltri dixit).
E’ l’evoluzione del sanfedismo nel senso di Emilio.
Nel 2008 toccò a Diana De Feo, sempre al Senato, moglie del fu direttore del Tg4 nonchè solerte commensale delle “cene eleganti” del Bunga Bunga di Arcore.
Oggi è la volta dell’amico del cuore di Signorini, il direttore di Chi che organizzò il pink-tank di Palazzo Grazioli per arginare la valanga di scandali a luci rosse del Cavaliere della Satiriasi.
Memorabile l’invenzione del tronista finto fidanzato di Noemi Letizia.
Galimberti infatti, come si racconta nella Milano bene, è stato a lungo il convivente di Signorini, omosessuale dichiarato.
I due avrebbero abitato nello stesso appartamento, in piazza Diaz.
E lui Galimberti avrebbe fatto il fidanzato sempre, anche andando a fare la spesa e chiedendo lo sconto come “quando viene Alfonso”.
Ma chi è l’ultima icona del berlusconismo edizione del 2013, per la serie Forza Gnocco, che di fatto è un riconoscimento sic et simpliciter alle coppie omo, alla faccia degli alleati omofobi tipo Giovanardi o Ignazio La Russa?
Paolo Galimberti è un ricco industriale di famiglia.
I suoi sono entrati in Euronics e lui è stato anche presidente dei giovani di Confcommercio.
Ma il suo pallino è sempre stata la politica, come disse in un’intervista di due anni fa.
Con il compagno Alfonso ha anche frequentato Marina Berlusconi, la primogenita di B. legatissima al direttore di Chi.
Tanti i pranzi e le cene insieme, ridendo, inciuciando e facendosi leggere il futuro da Maddalena, la maga- sensitiva che il giornalista principe del depistaggio da gossip porta sempre con sè.
I tre erano in vacanza insieme (Paolo, Alfonso e la maga), quando esplose lo scandalo di Noemi Letizia e Signorini fu portato con aereo privato a Roma dal Cavaliere.
Fu in quel momento che nacque il pink-tank della crisi a luci rosse, d’intesa con Carlo Rossella.
Sempre a Milano, raccontano che i due, Paolo e Alfonso, forse non stanno più insieme.
Ma questo è un dettaglio di poco conto per la generosità  di Berlusconi.
Nella prossima legislatura, al Senato, che diventerà  di nuovo centrale come nel 2006 dopo il ‘pareggio’ tra Prodi e B., siederà  anche Paolo Galimberti, in quota ‘fidanzati’ o ‘ex fidanzati’.
E’ il simbolo del berlusconismo anarchico che mescola tutto e tutti, rompe l’ennesimo tabù e non dimentica gli amici che gli sono stati al fianco nei momenti della tragedia, quando tutto era perduto e l’ingrata moglie sentenziò: “Mio marito è malato perchè va con le minorenni”.
Alle politiche del 2013 c’è il fidanzato di Signorini, ma non la fidanzata di B., Francesca Pascale.
Chissà  Chi se dedicherà  spazio a entrambi.
Lo scopriremo solo leggendo.

Fabrizio d’Esposito

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SAIPEM, INDAGATO SCARONI PER LE TANGENTI IN ALGERIA

Febbraio 7th, 2013 Riccardo Fucile

SI ALLARGA LO SCANDALO DELLE PRESUNTE MAZZETTE PER AGGIUDICARSI 11 MILIARDI DI COMMESSE… COINVOLTI IL NUMERO UNO DI ENI E ALTRI MANAGER… PERQUISITI UFFICI: L’IPOTESI DI REATO E’ CORRUZIONE

Una commessa di 11 miliardi di dollari e una maxi tangente da 197 milioni di euro.
Un canovaccio già  visto che coinvolge la Saipem, la controllante Eni e il suo amministratore delegato, Paolo Scaroni.
Per aggiudicarsi i lavori del progetto Medgaz e del progetto Mle in joint venture con l’ente di stato algerino Sonatrach, le due società  italiane avrebbero versato alla società  di Hong Kong, Pearl Partners Limited dell’intermediario Farid Noureddine Bedjaoui quasi 200milioni di presunte mazzette da distribuire a faccendieri, esponenti del governo algerino e manager della stessa Sonatrach.
Per capire la vicenda, che ha investito i vertici di Saipem, portando alle dimissioni del vicepresidente e dell’amministratore delegato, Pietro Franco Tali, del direttore finanziario Alessandro Bernini e alla sospensione cautelare del direttore dell’area Engineering & Construction, Pietro Varone, il nucleo di Polizia tributaria della Guardia di Finanza è andato dritto al cuore dell’Eni, perquisendo gli uffici di Scaroni a Roma, a San Donato Milanese e la sua abitazione di Viale Majno a Milano.
Il numero uno dell’Eni, avrebbe partecipato almeno a un incontro con Bedjaoui, per far aggiudicare all’Eni e alle sue società  le commesse miliardarie.
Ora Scaroni risulterebbe indagato e le due società , Eni e Saipem sarebbero coinvolte per via della legge 231 sulla responsabilità  amministrativa nei confronti dei propri dipendenti.
Secondo le indagini dei sostituti procuratori Fabio De Pasquale, Giordano Baggio e Sergio Spadaro, i rapporti con la Pearl Partners per conto dell’Eni sarebbero stati tenuti dai manager Pietro Varone e Alessandro Bernini e dai documenti sequestrati sarebbero emersi dei legami economici tra Bedjaoui, rappresentante legale della società  di Hong Kong con la ex moglie di Varone: si indaga su alcuni versamenti all’azienda agricola di Varone di cui lo stesso Bedjaoui risulta socio.
Avere Bedjaoui come amico, del resto, era fondamentale per operare in Algeria.
Il faccendiere è il nipote dell’ex ministro degli Esteri algerino ed è stato indicato da una gola profonda dell’inchiesta sia come il tramite per poter influire sul potente ministro dell’Energia, Chekib Khelil, sia come il dispensatore delle tangenti per ottenere i contratti miliardari.
«Nel corso del 2007 – dice la fonte ai magistrati – ho saputo da Varone che si sarebbe incontrato a Parigi con Chekib Khelil e “il suo contatto” (Bedjaoui n.d.r).
Poi ha cominciato a chiamare quest’ultimo “il giovane” e quindi aveva preso l’abitudine di dirmi che incontrava “il vecchio” e “il giovane”».
Gli incontri non sarebbero stati meno di cinque e a uno di questi avrebbe partecipato, sempre in un albergo di Parigi, l’amministratore delegato di Eni, Paolo Scaroni, con il responsabile di Eni per il Nord Africa, Antonio Vella.
Il tema era una commessa per aumentare la redditività  del giacimento di Menzel Ledjemet Est.

Walter Galbiati e Emilio Randacio
(da “La Repubblica”)

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BERSANI AVVERTE NICHI: “AL GOVERNO NON SI PUO’ FARE COSI'”

Febbraio 7th, 2013 Riccardo Fucile

D’ALEMA: “SEL SCELTA STRATEGICA PERO’ SERVE UN’INTESA CREDIBILE”

«Non sacrificherò mai Nichi. Mai. Ma anche lui deve capire che per andare al governo ci vogliono le spalle larghe, non può perdersi nelle questioni ideologiche». Pier Luigi Bersani vuole salvare il centrosinistra ma non a costo di avere una linea confusa o, peggio ancora, echi della defunta Unione, con la rissa continua tra massimalisti e riformisti, le minacce di rottura evocate un giorno sì e uno no.
«Anche se vinciamo in maniera netta, tutti dobbiamo sapere, Sel compresa, che il 26 febbraio i problemi non spariscono. La crisi sociale sarà  una montagna da scalare pure nel 2013».
Ecco perchè una forma di collaborazione con Mario Monti non può essere esclusa e sta scritta nella carta d’intenti del centrosinistra.
Questa è la posizione del candidato premier.
Dal Pd si affrettano a spedire messaggi rassicuranti al governatore pugliese.
Dario Franceschini è molto comprensivo con i tormenti di Sinistra ecologia e libertà : «Devono pur difendersi. Ingroia li marca stretti. E Monti li mette tutti i giorni sul banco degli imputati».
Dal momento in cui sono nate le liste, la guerra a sinistra si è fatta pesante.
Esclusioni e inclusioni nell’elenco dei candidati hanno spostato, giocoforza, alcuni equilibri in cui Rivoluzione civile si è infilata strappando pezzi di consenso e di classe dirigente ai vendoliani.
Massimo D’Alema, che in Puglia ha un’asse solidissimo con Vendola, trova, proprio da Bari, le parole per chiudere in fretta l’incidente.
«Nichi è strategico nel centrosinistra», dice.
Cioè, indispensabile, irrinunciabile. Motivando, nelle discussioni con gli amici pugliesi, questo assioma: «Dopo il voto potremmo essere obbligati a costruire un’alleanza credibile guidata dal Pd. Ma la sinistra sarà  dentro a questo schema perchè il prossimo governo dovrà  fare cose di sinistra».
Non si può quindi sbattere la porta in faccia al centro, ma va creata una totale discontinuità  con le politiche “moderate” degli ultimi anni.
È la formula adatta per tenere insieme Vendola e la collaborazione con il Professore che sembra segnata nel Dna di queste elezioni.
Ma Sel insiste: è incomprensibile la fretta di delineare gli scenari futuri. «Bersani non capisce che la chiarezza dell’alleanza è anche un valore elettorale? I calcoli, la tattica, la supercazzola sono dannosi per il centrosinistra» avverte Nicola Fratojanni, braccio destro e sinistro di Vendola.
«La campagna elettorale si fa per vincere. Oggi c’è la competizione, quello che succede dopo si vedrà ».
Il punto non è la preoccupazione di Vendola per il brutto calo della lista nei sondaggi: così dice Fratojanni. «Il punto è che Bersani commette un errore che toglie voti a lui e a tutto il centrosinistra».
Ma la verità  può essere diversa.
Sel crolla nei sondaggi.
In Emilia, dove ha svolto le “parlamentarie lo stesso giorno del Pd, i militanti democratici hanno visto con i loro occhi i seggi di Sinistra e libertà  desolatamente senza code.
C’è un oggettivo appannamento di Vendola che non consente, alla coalizione di centrosinistra, sbandamenti verso la lista Monti.
Ecco perchè, dopo la presentazione a Roma, diventa necessaria una “foto” dei leader pubblica e con la folla dei comizi importanti.
Domenica 17 febbraio Bersani, Vendola, Tabacci saranno insieme sul palco di Piazza del Duomo a Milano.
Un evento simbolico nella regione in bilico fondamentale per le sorti del Senato e quindi per una vittoria assoluta della coalizione. Poi, sarà  più semplice un accordo con altri partiti. «Un’intesa per le riforme», precisa Francesco Boccia.
Che sarebbe garantito dall’assegnazione dei ruoli istituzionali: le presidenze delle Camere e la presidenza della Repubblica.
Ma se il centrosinistra avrà  la maggioranza in Parlamento, allora il governo avrà  un colore preciso. «Governo di sinistra che fa cose di sinistra», come dice D’Alema. La formula più gradita a Vendola.

Goffredo De Marchis
(da “La Repubblica“)

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“RITIRATI O MI FAI PERDERE”: IN LOMBARDIA L’INCUBO DI BERLUSCONI E’ IL 4% DI GIANNINO

Febbraio 7th, 2013 Riccardo Fucile

MA IL GIORNALISTA DICE NO AL CAVALIERE: “SIAMO IL SUO INCUBO”… L’ASSE CON MARCEGAGLIA, BOLDRIN E ZINGALES

L’ultima carta Silvio Berlusconi l’ha giocata poche ore prima che Oscar Giannino varcasse gli studi televisivi di Ballarò.
«La Ghisleri mi ha detto che sei al 4% in Lombardia. Così mi fai perdere. Devi disimpegnarti, cosa posso fare per convincerti?».
Da un po’ di tempo, infatti, è proprio l’eclettico giornalista e fondatore di “Fermare il declino” a rappresentare l’incubo del Cavaliere.
«Vuoi fare vincere Bersani? Complimenti, direttore», si è via via irritato Berlusconi.
Ma la reazione di Giannino è stata gelida: «Presidente, non posso. Non c’è niente che possa convincermi, fermandomi perderei la faccia».
Una linea dura contro il Pdl concordata anche con Emma Marcegaglia, amica del giornalista e attivissima dietro le quinte nel sostenere “Fare”, (l’acronimo della lista).
Non a caso sarà  proprio l’ex leader di Confindustria — sabato a Milano — a vestire i panni dell’ospite d’onore della convention di Fermare il declino.
La Lombardia è snodo decisivo delle elezioni, è lì che Berlusconi si gioca tutto nella sfida per il Senato.
Ed è proprio in Lombardia che Giannino raccoglie consensi crescenti. Sondaggi alla mano, “Fermare il declino” va forte anche in Veneto, ma non abbastanza da danneggiare il centrodestra.
A Milano e dintorni la storia è diversa e il giovane movimento può fare male al Pdl.
L’ex premier, consigliato dalla sondaggista di fiducia, ha deciso di non lasciare nulla d’intentato. Senza esclusione di colpi.
Non a caso da giorni ha intensificato gli appelli al voto utile e non a caso l’esempio negativo è diventato quello di Giannino.
Che infatti replica: «Siamo l’ossessione di Silvio».
Marcegaglia e Giannino — bloccati mesi fa sulla porta d’ingresso del movimento di Mario Monti — condividono il medesimo destino.
Su entrambi pesò il veto di Italia Futura di Luca Cordero di Montezemolo, oltre all’ostilità  di Fli verso altri potenziali “miglior perdenti” della coalizione.
Per questo il giornalista ha deciso di impegnarsi al massimo dove sa di poter fare male, a partire dalla Lombardia.
Pronto, il giorno dopo il voto, a far rientrare “Fermare il declino” nel laboratorio del grande centro che verrà .
Con Mario Monti, tra l’altro, i rapporti sono meno tesi di quanto gli attacchi del giornalista possano lasciare intendere.
Quella di Giannino — vera incognita della decisiva sfida lombarda — è una squadra agile e capace di destreggiarsi al meglio sui social network.
A consigliare il giornalista sono innanzitutto gli economisti Michele Boldrin e Luigi Zingales.
Molto ascoltato è anche il giornalista Carlo Stagnaro.
Con Marcegaglia costituiscono la cabina di regia di “Fare”.
Il resto è affidato a Giannino, molto presente sul piccolo schermo e iperattivo anche su Twitter.

Tommaso Ciriaco
(da “La Repubblica“)

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DAVANTI AI COSTRUTTORI IL CAVALIERE COSTRETTO A CHIEDERE L’APPLAUSO

Febbraio 7th, 2013 Riccardo Fucile

“COSTRUIREMO LE NEW TOWN, SARO’ RICORDATO COME FANFANI PER IL PIANO CASA”… POI IL SOLITO APPELLO A NON VOTARE I PICCOLI PARTITI

«A questo punto mi aspettavo almeno un applauso». Sono trascorsi quaranta minuti dall’inizio del profluvio di Silvio Berlusconi davanti alla platea degli imprenditori del mattone, nella sede Ance di Roma.
Neanche un applauso, finchè a quel punto le prime due file occupate dallo staff del Cavaliere, da deputati e senatori come Lorenzin e Malan e da qualche imprenditore amico, si scioglie di un plauso riparatorio.
La platea resterà  molto tiepida per l’intera ora del solito intervento fiume, in una sala che nel 2008 – raccontano i dirigenti di via Guattani – era gremita perfino fuori e per riempire la quale ieri hanno dovuto chiamare dipendenti e funzionari dell’Associazione ai piani superiori. Almeno per coprire i posti a sedere.
Tant’è, l’ex premier, alla fine, si rifiuta di sottoscrivere il «patto» che il presidente dei costruttori Paolo Buzzetti gli sottopone, come farà  nei prossimi giorni con Monti e gli altri leader.
«Faremo un nuovo incontro dopo, firmerò da ministro dell’Economia, non credo sia serio farlo ora» taglia corto lui alquanto indispettito.
Un nervosismo che nasce anche dalla consapevolezza che lo «shock» Imu non sembra aver sfondato nei sondaggi come si aspettava.
Anche se a Palazzo Grazioli restano in attesa soprattutto del sondaggio Euromedia, tra qualche ora.
E dire che il Cavaliere ce la mette tutta per imbonire i suoi «colleghi », come li definisce più volte nel suo intervento.
Per altro con i cavalli di battaglia di questa campagna. «In quattro anni arriveremo alla riduzione dell’Irap», «Costruiremo le new town, sogno di essere ricordato per il piano casa come Fanfani», «Non faremo pagare l’Imu sugli immobili invenduti e i magazzini», «Restituiremo l’Imu e rilanceremo l’economia».
I vertici dell’Ance confesseranno all’uscita la loro delusione, non solo perchè lo staff del leader Pdl alla fine ha preferito evitare le domande e per la mancata firma del patto, ma anche per quella tirata sulle new town alle quali l’associazione costruttori ha dichiarato guerra da tempo, invocando piuttosto «riqualificazione delle città  e rinascita dei centri storici».
Nessuno però aveva informato l’ospite.
Che intanto vola via per prepararsi al faccia a faccia di cinque minuti in serata con Mentana.
Ma già  in mattinata, a Radio 24, aveva attaccato i competitor Monti e Bersani, rei di aver «confessato apertamente l’inciucio», si era detto contrario alle nozze gay «per religione e per tradizione, i tempi non sono maturi», ma favorevole alla «regolarizzazione delle coppie di fatto». Ma l’appuntamento clou è appunto alle 20 al Tg La7. Botta e risposta acceso.
Il Cavaliere: «Non mi chiamerò più Berlusconi se nel primo consiglio dei ministri non aboliremo e restituiremo l’Imu». Mentana: «E come si chiamerà ?» Lui: «Giulio Cesare».
Con che soldi la restituirete? «C’è una canea di cialtroni che dice stupidaggini, possibilissimo trovare quattro miliardi una tantum».
Farà  un blind trust per le sue aziende? «Mai pensato, una legge sul conflitto di interessi c’è già  e funziona».
Se vince sarà  premier? «No, farò il ministro dell’Economia».
Lei attacca Monti ma ha approvato tutti i suoi provvedimenti, Imu compresa.
«Noi siamo stati formalmente in maggioranza, ma sostanzialmente all’opposizione».
A scatenare tuttavia la rivolta degli alleati di Fratelli d’Italia è l’ennesimo appello di Berlusconi a «non votare i piccoli partiti», scandito fin dal mattino.
Meloni, La Russa, Crosetto chiedono un chiarimento al capo.
In privato tempestano di telefonate di protesta Angelino Alfano, accusano il Pdl di «fuoco amico».
Nera la Meloni: «Le dichiarazioni di Berlusconi cominciano a essere di cattivo gusto».

Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica“)

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DA BERTINOTTI A VENDOLA, LE ANALOGIE PERICOLOSE: A SINISTRA TORNA L’AUTOLESIONISMO

Febbraio 7th, 2013 Riccardo Fucile

LA VITTORIA PUO’ ESSERE INSUFFICIENTE… EMERGE L’EQUIVOCO E L’AMBIGUITA’ DELLE ALLEANZE

Analogie minatorie, memorie pericolose. La «gioiosa macchina da guerra» del 1994, in qualche modo, può far rima con il belluino proposito, «li sbraniamo», dell’altro giorno.
E infatti, nelle più temibili affinità  ricorrono anche gli istituti di credito, altra faccenda non esattamente propizia per il centrosinistra.
Prima delle elezioni del 2006, per la gioia del centrodestra e anche dell’elettorato di sinistra, si scoperchiò l’impiccio della Bnl («Allora, abbiamo una banca?»).
E oggi chissà  cosa può venire fuori dal Monte dei Paschi di Siena, il cui presidente, il provvido Mussari, ogni anno fin troppo generosamente si privava di una sostanziosa quota di privatissimi emolumenti (dal 10 al 20 per cento) per versarli al Pd — e sul come poi quest’ultimo li abbia spesi è quantomeno legittimo nutrire qualche dubbio.
Alla campagna elettorale del 2006 è legato anche il malricordo della rimonta di Berlusconi, anche allora come dodici anni prima e sette anni dopo, cioè ora, orgogliosamente sottovalutato.
Chi sbaglia, di solito, sbaglia di nuovo, specie se non si mette seriamente in discussione e se non cambia davvero; e francamente questo non è accaduto, nè forse è saggio considerare la pur nutrita partecipazione alle primarie (che ci furono anche allora, sia pure senza concorrenti per Prodi) come un evento bastevole, per non dire palingenetico. Ma pazienza.
Con minore mansuetudine si segnala tuttavia un altro vizietto assai ricorrente, anzi sciaguratamente inesorabile tra i Progressisti, poi nell’Ulivo, quindi nell’Unione e infine nel centrosinistra.
La fastidiosa tendenza non tanto di «gonfiare il petto», come dice Arturo Parisi, e dare per scontata la vittoria elettorale, che potrebbe essere addirittura una strategia, ma di spartirsi le poltrone anzitempo tra i maggiorenti, per cui già  a due o tre mesi dal voto si fa scrivere che quello si becca gli Esteri, e «quindi» quell’altro il Viminale, quell’altro ancora la presidenza della Camera e di conseguenza un quarto comincia ad agitarsi per l’Economia, che però sarà  spacchettata, e via dicendo, verso la delusione, il pareggio o la sconfitta.
E insomma, l’elettorato di sinistra si infligge tutti i talk show possibili e immaginabili, fa il tifo come alla partita, apprezza le primarie oltre ogni dire, e versa pure il soldino, ma certo non brucia dalla voglia di assecondare le smanie di questo o quel dirigente a caccia di sistemazione, specie quando si accorge — e non è difficile — che questi ardenti desideri occupano tempo ed energia a scapito di tutto il resto.
Resta infatti da ricordare che prima delle elezioni, non di rado qualcuno del centrosinistra promette qualche tassa; mentre Berlusconi s’impegna solennemente di toglierle o di rimborsarle. Così come, in vista del voto, può sempre accadere che il dibattito in senso alla coalizione scivoli su due temi fertili e appassionanti quali le riforme istituzionali o la collocazione europea e internazionale del Pds, Ds, Margherita e ora Pd.
Ma soprattutto, dulcis in fundo, resta la questione che la vittoria può risultare insufficiente, in termini sia numerici che politici, e perciò emerge l’incognita, l’equivoco e l’ambiguità  delle alleanze.
Da questo punto di vista partire con il piede sbagliato è per la coalizione di centrosinistra un’altra infelice e puntuale ricorrenza.
Così, ieri e l’altroieri c’era Bertinotti, davvero molto preso anche lui da se stesso, oltre che dalle varie scissioni che movimentavano la vita del suo partito e che culminarono nell’apoteosi di Turigliatto.
Ebbene, dopo aver invano saggiato la contrastatissima eventualità  di caricare o scaricare Casini, ci sono oggi Monti e Vendola che non perdono giorno per proclamare la loro incompatibilità .
In mezzo, come si sperimentò nella breve e disgraziata legislatura 2006-2008, la tenuta anche psicologica del centrosinistra fu rasserenata dalle quotidiane liti che andavano in scena tra il ministro Guardasigilli Mastella, l’uomo giusto al posto giusto, e il ministro delle Infrastrutture Di Pietro, trattato con i guanti ma subito ribellatosi a Veltroni.
E sarebbe bello capire se la formula che ora prevede un accordo tra moderati e progressisti, ancorchè non proprio trascinante, sia un impegno, una speranza, un miraggio, una finta, uno scherzo, un modo di dire, o di perdere tempo.
Tutto sembra rinviato al dopo, ma nel frattempo Monti tira da una parte, Vendola dall’altra, e gli errori del passato tornano a svolazzare attorno al Pd con l’aggravante della più diabolica perseveranza.

Filippi Ceccarelli
(da “La Repubblica“)

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CHIUDE IL VOLONTARIATO DI STRADA: “NON CI SONO PIU’ SOLDI”

Febbraio 7th, 2013 Riccardo Fucile

A RISCHIO UNITA’ DI STRADA E DORMITORI… A TORINO UN DOCUMENTARIO RACCONTA LA VITA DI CHI E’ ANCORA PIU’ SOLO

Un annuncio affisso all’ingresso di un ufficio: ”Dal 1 febbraio, il Drop-in di via Pacini sarà  definitivamente chiuso”.
Inizia così ”Non ci sono più soldi”, documentario presentato   al cinema Massimo di Torino,che racconta la crisi del volontariato “di strada” nel capoluogo sabaudo.   Diretto da Sergio Fergnachino, Susanna Ronconi e Angelo Artuffo, il film denuncia i tagli e le grosse difficoltà    che gravano sui cosiddetti servizi “a bassa soglia”, come i drop-in, le   unità  di strada o i dormitori.
Strutture pensate inizialmente per i tossicodipendenti, che negli ultimi anni hanno finito invece per assistere una fetta di popolazione molto più ampia, composta da disoccupati, senzatetto e da tutti quei cittadini che la crisi economica ha forzatamente incasellato sotto la dicitura di “nuovi poveri”.
E che a Torino, uno dei comuni più indebitati d’Italia, si trovano sempre più spesso costrette a chiudere per mancanza di fondi.
“Su questa realtà  abbiamo avuto uno sguardo privilegiato”spiega Sergio Fergnachino, fondatore, con Angelo Artuffo e Susanna Ronconi, del collettivo Videocommunity.   “Da anni Susanna lavora   nel coordinamento operatori a bassa soglia (Cobs) e proprio per questo ha sentito la necessità  di raccontare quanto stava succedendo, in termini di tagli e riduzioni”.
In cinquanta minuti, attraverso le voci di utenti e operatori, i registi ricompongono l’articolata mappa dei servizi di strada in uno dei comuni più indebitati d’Italia: i drop- in di Collegno, via Pacini e Corso Svizzera; il dormitorio “Endurance” di Rivoli, un vecchio autobus trasformato in dormitorio; e l’Unità  di strada di Torino, un altro autobus che trasporta per le vie della città  operatori che che lavorano nell’ ascolto e nella riduzione del danno per i tossicodipendenti .
Un mondo, questo, che ha dovuto adeguarsi a forme di disagio sempre più complesse e stratificate,proprio mentre la crisi erodeva   risorse e personale.
“La bassa soglia   —spiega ai registi Manuela Dorella, psicologia nel drop-in di corso Svizzera — è una realtà  dove possono transitare persone che hanno tanti tipi di sofferenza.Una volta noi eravamo la porta d’accesso ad altri servizi: ora sembra siamo rimasti soli. E sempre più spesso ci troviamo a fronteggiare situazioni ‘di ritorno’: persone alle quali abbiamo trovato lavoro o alloggi nelle case popolari, che tornano a rivolgersi a noi perchè si ritrovano di colpo disoccupate”
Situazioni raccontate in prima persona anche da utenti ed ex utenti: come Alessandro,     ospite dell’”Endurance”, che si è ammalato di diabete proprio mentre viveva in strada;o Angela e Gabriele, redattori di “Polvere”, giornale gestito da ex tossicodipendenti, che hanno accompagnato i registi nel viaggio tra le strutture a bassa soglia.
“Quello che vorrei sottolineare — conclude Fergnachino — è che abbiamo potuto mostrare solo una parte di questo mondo. La realizzazione del progetto ha richiesto all’incirca un anno, e nell’ultimo periodo ci sono arrivate richieste da molte associazioni che volevano partecipare. Per esigenze tecniche, non abbiamo potuto includerle nel documentario; ma quella dei servizi a bassa soglia è una realtà  molto ampia, che oggi rischia di chiudere perchè in tempi di crisi le amministrazione preferiscono tagliare ciò che non è immediatamente visibile agli occhi della cittadinanza. Ed è soprattutto per questo che abbiamo realizzato questo film”.
(Per il trailer e per approfondimenti sul progetto:     http://www.videocommunity.net) (ams)

(da “Redattore sociale“)

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L’ITALIA E IL CONTO AMARO DELL’EUROPA: SALDO NEGATIVO PER 22 MILIARDI

Febbraio 7th, 2013 Riccardo Fucile

IL BILANCIO DEGLI ULTIMI 5 ANNI, I RISCHI DEL NEGOZIATO DI OGGI… NEL 2005 STRAPPAMMO AL’ULTIMO 1,4 MILIARDI PER I “FONDI STRUTTURALI”

Nelle notte del 16 dicembre 2005, sotto gli occhi di Tony Blair, presidente di turno del Consiglio europeo, e di Angela Merkel, Silvio Berlusconi pensò, probabilmente, di aver limitato il danno.
Il bilancio europeo aumentava di poco, ma andava diviso tra gli otto Paesi dell’ex blocco sovietico, più Cipro e Malta.
Anzi, all’ultimo minuto, la delegazione italiana aveva addirittura strappato 1,4 miliardi extra per i «Fondi strutturali» (investimenti per le aree più svantaggiate) e altri 500 milioni per lo sviluppo rurale.
La medicina europea, però, ha due caratteristiche: può essere amara se non si regge il confronto negoziale con i partner più forti e soprattutto agisce con rilascio lento, differito nel tempo.
Oggi, in piena trattativa sulle «prospettive finanziarie» per il 2014-2020, fa testo una tabella che si può costruire elaborando i dati ufficiali diffusi dalla Commissione europea.
L’Italia dal 2007 al 2011 ha già  lasciato in Europa 22 miliardi di euro, solo due meno della Francia, che ha però un reddito nazionale superiore di un quarto al nostro, e di cinque miliardi in meno rispetto al Regno Unito (che ha un Pil maggiore del 10%).
Ventidue miliardi in cinque anni, una cifra più o meno equivalente al gettito atteso dall’Imu, tanto per avere un ordine di grandezza: oggettivamente non è un bel risultato.
Tanto più se si considera che la struttura del bilancio europeo, nonostante sforzi e tentativi di cambiamento ormai ventennali, si adatta ancora bene a un Paese come l’Italia.
Due grandi voci che coprono circa il 91% delle uscite (budget 2011): agricoltura e «crescita sostenibile», cioè i fondi di coesione per le zone arretrate.
E allora chi meglio di noi?
Certo la Polonia, l’Ungheria e gli altri «nuovi» dell’Est.
Ma perchè la Francia? Perchè, volendo andare fino in fondo, la Spagna?
Quando il presidente Nicolas Sarkozy assunse la guida a rotazione dell’Unione Europea si presentò davanti al Parlamento europeo di Strasburgo il 10 luglio 2008 come il «nemico dell’immobilismo» e volle cominciare dal bilancio, proprio come aveva fatto Tony Blair parlando, invece, nell’Aula parlamentare di Bruxelles il 23 giugno 2005.
Fa impressione rileggere oggi quei due discorsi di insediamento tanto sono simili: liberaldemocratico e modernista il francese; socialista liberale e modernista il britannico.
Tutti e due chiedevano di spendere di più nella ricerca, nell’innovazione, nella «competitività » e meno nei programmi di assistenza o di conservazione dell’esistente.
Dopo di che, messe da parte le belle parole, contano le azioni politiche quasi sempre fedelmente tradotte dai numeri.
Così i governi dell’era Sarkozy hanno mandato a Bruxelles negoziatori con in testa solo una cosa: tutelare i fondi a disposizione dei contadini francesi, compresi i grandi latifondisti.
E i rappresentanti di sua Maestà , anche dopo Blair, evidentemente più che della «modernizzazione» si sono preoccupati di difendere l’arcaico «rebate», il rimborso dei contributi ottenuto nel 1984 da Margaret Thatcher.
E l’Italia?
Anche per effetto dell’accordo del 2005, i governi di Romano Prodi e poi (dal maggio 2008) ancora di Berlusconi si sono visti raddoppiare in un anno il conto di Bruxelles.
Nel 2007 il «saldo operativo» tra versamenti (escluse le spese per l’amministrazione) e fondi provenienti dalla Ue era ancora fermo a 2 miliardi di euro.
Meno della Germania (7,4), della Francia (2,9), del Regno Unito (4,1), persino meno dell’Olanda (2,8).
Nel 2008, invece, eccoci proiettati al secondo posto della classifica dei «contributori netti» della Ue.
L’Italia già  in crisi, l’Italia indebitata, l’Italia della crescita asfittica, usciva ammaccata anche dalle cifre sul bilancio europeo: il «saldo operativo» toccava 4,1 miliardi di euro proiettandoci al secondo posto nella classifica dei contributori netti, dietro la Germania (8,7) e davanti a Francia (3,8) oltre a Olanda (2,6) e Regno Unito (0,8).
Da lì in poi, nel giro di altri tre anni, il «saldo operativo» è salito fino a 5,9 miliardi del 2011: in termini relativi abbiamo recuperato sulla Francia (6,4 miliardi), ma siamo ancora alle spalle del Regno Unito (5,5 miliardi)
In valori assoluti i versamenti sono passati dai 14,02 miliardi del 2007 ai 15,1 miliardi del 2008 (in questo calcolo, invece, è compresa anche la voce legata all’amministrazione).
E dal 2008 al 2011 i contributi sono aumentati di altri 900 milioni, toccando quota 16 miliardi nel 2011.
Gli incassi europei hanno viaggiato sulla corsia di marcia opposta, scendendo dagli 11,3 miliardi del 2007 ai 9,5 miliardi del 2011.
Questi sono i rapporti di forza (o se si preferisce le capacità  negoziali) alla vigilia del Consiglio europeo del 7 e 8 febbraio, dove si tornerà  a trattare sul bilancio per il periodo 2014-2020.
E allora, meglio tenere d’occhio la sostanza.
Per esempio, la rampante e ambiziosa Spagna di Luis Rodriguez Zapatero non ha mai mollato la presa sui fondi europei.
Tanto che, Polonia o non Polonia, nello stesso periodo in cui l’Italia cedeva 22 miliardi, ha portato a casa un saldo in positivo per un valore di 14,5 miliardi.
Adesso la Commissione europea propone, tra l’altro, di destinare, in sette anni, 80 miliardi in più per ricerca e innovazione e di orientare 84 milioni per sostenere disoccupati e nuove povertà . Benissimo, ma attenzione a chi rimane con l’assegno in mano.

Giuseppe Sarcina
(da “il Corriere della Sera”)

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LE PAGELLE DEI PARLAMENTARI: LA META’ DEI MIGLIORI E’ RIMASTA FUORI

Febbraio 7th, 2013 Riccardo Fucile

LA RICERCA DI OPEN POLIS: DEI MIGLIORI SOLO 18 SU 60 SONO GLI ELETTI SICURI, 22 GLI ESCLUSI, 14 A RISCHIO

L’associazione OpenPolis valuta la produttività  dei parlamentari.
Presenze in aula e in commissione, disegni di legge presentati, assenze, voti espressi. Tutta l’attività  di deputati e senatori viene macinata da un algoritmo che restituisce un indice per ognuno.
Chi è più assiduo e propositivo finisce in cima alla classifica.
All’associazione OpenPolis sono in nove, molti giovani, tutti bene assortiti.
Scienziati, politici, matematici, ingegneri.
Per l’algoritmo che calcola l’indice di produttività , si sono avvalsi dell’aiuto dei parlamentari stessi che hanno contribuito a determinare il «peso» dei comportamenti dei parlamentari.
E contano su un bacino di 25mila sostenitori che in modalità  «wiki» li aiutano a non sbagliare.
L’indice di produttività  che hanno costruito è stato preso come modello a livello internazionale. Può essere migliorato, ma già  ora restituisce la fotografia di sgobboni e sfaccendati tra Montecitorio e Palazzo Madama.
La graduatoria che si può consultare in questi giorni è di fatto quella finale della legislatura.
Le Camere possono ancora essere convocate a domicilio nelle prossime tre settimane, ma le posizioni sono consolidate. Impossibili ormai i sorpassi.
Chi è stato il migliore tra i due rami del Parlamento? Chi il peggiore? E soprattutto: sono stati ricandidati i migliori? E i peggiori? In posizione eleggibile o no?
Insomma, paga essere produttivi in Parlamento o è meglio frequentare i talk show per sperare nella ricandidatura?
Abbiamo incrociato i dati.
Il migliore in assoluto alla Camera è Donato Bruno (Pdl), premiato con un seggio sicuro. Seggio sicuro anche per il peggiore, l’avvocato Niccolò Ghedini: molto assente in Aula, e poco incisivo nelle battaglie che ha cercato di portare avanti.
Ma evidentemente gli oltre mille punti di distacco tra i due non sono stati sufficienti per convincere il partito a non ricandidare l’avvocato del Cavaliere.
Il Pd ha scelto di non ricandidare il peggiore senatore in assoluto, quel Vladimiro Crisafulli che ha fatto il pieno alle primarie dei parlamentari.
Ma la decisione è arrivata in seguito alle disavventure giudiziarie del senatore siciliano e non dovute alla bassa, bassissima, produttività  nella legislatura che sta per chiudersi. In totale sui 60 migliori sono 24 gli eletti sicuri, 14 quelli in posizione a rischio e 22 quelli non più ricandidati.
Diciotto dei 60 peggiori invece sono sicuri di rientrare, trenta sono stati esclusi e dodici sono quelli a rischio ingresso.
A rischio nostro, ovviamente.

Marco Castelnuovo

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