Aprile 5th, 2013 Riccardo Fucile
A DISTANZA DI 4 ANNI SONO ANCORA 22.120 I CITTADINI IN ATTESA DI UNA CASA E 6.595 QUELLI CHE HANNO TROVATO UNA AUTONOMA SISTEMAZIONE
Fantasmi sotto i portici, solo le ombre riempiono le strade de L’Aquila, la città inutile. Domani saranno quattro gli anni che ci separano da quella frustata, la scossa che sommerse di pietre 309 persone.
Sono gli anni della nostra ultima vergogna, che raccontano la cattiva coscienza degli italiani e anche — perchè tacerlo? — la disposizione spesso supina degli aquilani ad accogliere tra le braccia ogni scempio, e ritrovarsi disperati dopo che i soldi hanno imbiancato le strade come fiocchi di neve del Gran Sasso.
Arrivo a Preturo e guardo l’aeroporto, la pista che doveva dare all’Aquila ferita ali nuove, per tornare a volare.
Ci è atterrato Berlusconi quando era presidente muratore, poi, raccontano, una volta l’imprenditore Barilla e infine il nulla.
Erbacce al costo di una ventina di milioni di euro.
Preturo ha davanti L’Aquila e lei guarda il Gran Sasso.
Sta facendo i conti con i soldi che non arrivano, che si perdono nelle promesse, oppure che ci sono ma non bastano. I soldi sembrano averla affamata, resa astiosa, incredula che, dopo l’interminabile show mediatico di cui è stata protagonista.
Ora nessuno bada più alla sua condizione. Non un rigo sui giornali, un minuetto in televisione, una dichiarazione alle agenzie di stampa.
“Se l’Italia ci ha dimenticati, ammaineremo la bandiera dal municipio, cacceremo perfino il Prefetto se ci toccherà farlo, rammenteremo a tutti la nostra dignità ”.
Sante parole quelle del sindaco Cialente che rivendica il diritto alla memoria, alla solidarietà e soprattutto alla ricostruzione.
In pochi aprirono bocca, e certo la sua non fu tra quelle, durante i ventiquattro mesi dello scempio delle casse pubbliche, durante la faraonica gestione dell’emergenza, un teatro del dolore proiettato quotidianamente.
Gli aquilani sullo sfondo, recintati nelle tendopoli e poi adagiati sui divani delle case a molle con frigorifero e spumante incorporato, e lui, il presidente laborioso e instancabile che vegliava sulla città ferita.
Solo per l’emergenza L’Aquila ha inghiottito due miliardi e ottocento milioni di euro sui tre miliardi e mezzo di spese finora effettuate.
Certo, quindicimila persone (per la precisione 15.266) hanno un alloggio nelle cosiddette newtown, diciannove casematte berlusconiane sistemate a circolo, a mo’ di grande raccordo anulare, lingua di case (le famigerate C.a.s.e.!) costate 2.800 euro a metro quadrato.
“Pura pornografia del potere”, ha scritto Barbara Spinelli. Come darle torto?
Oggi sono 6.595 i cittadini che invece hanno trovato una autonoma sistemazione, 143 ancora alloggiati in hotel e 22.120 le persone che aspettano una casa.
Prima di arrivare a loro dobbiamo dire che 48mila aquilani sono invece rientrati nelle proprie abitazioni.
I proprietari di quelle lievemente danneggiate hanno ricevuto il gruzzolo.
Qualcosa si è fatto, vero. E questo puntino bianco, dentro il nero turpe della menzogna e dello spreco, lo si deve anche al lavoro di Fabrizio Barca, ministro delegato dal governo nel gennaio dell’anno scorso a sciogliere l’incantesimo berlusconiano, denudarlo degli effetti perversi, delle carte sotto cui stava annegando la comunità . Dodici mesi per dare un segno, un senso della ricostruzione.
“Abbiamo speso 465 milioni di euro e dato esecuzione a 1.049 ordini di pagamento”, dice Barca.
Non è molto, ma non è poco.
Ci sono altri due miliardi da spendere, e la somma è di tutto rispetto. C’è ora un sistema di gerarchie tra i palazzi da ricostruire, quali aggregati da recuperare prima e quali dopo.
Dove spendere e come.
Si intravede una logica, un piano, una ragione per fare e non lamentarsi, fare senza aspettare.
Ma qui è il punto. Tre miliardi e mezzo spesi, altri due miliardi assegnati dal Cipe in dicembre fanno oltre cinque miliardi.
Sui circa dieci previsti, conto parziale. Certo, il tessuto urbanistico è straordinario, unico, la complessità dell’opera è di rara difficoltà , però resta una cifra enorme. E colpisce perchè è il medesimo livello di richiesta finanziaria avanzato dall’Emilia, anch’essa ferita da un sisma successivo, meno disastroso ma ugualmente acuto e tragico.
Chiunque conosca il sistema di mutazione e proliferazione del danno nei territori colpiti da grandi calamità naturali sa che la prima “urgenza” di — viene quella di non lenire il bisogno ma di espanderlo, renderlo maestoso.
Più danni più soldi.
Si procrastina all’infinito il bisogno e così la tragedia resterà una ferita sempre aperta. Al contrario, bisognerebbe sigillare la scena, come fosse quella di un delitto.
Chiudere i varchi ad ogni improvvisazione e stimare il danno con certezza. Sul bisogno infinito si costruiscono carriere, si realizzano movimenti politici si solidificano partiti.
E L’Aquila offre purtroppo le prime avvisaglie di quel che altrove, come l’Irpinia, è successo. Gli aquilani non hanno capito ciò che avevano finchè l’han perso
Vado all’università . È un bel segno trovarla nuova, verificare che almeno le facoltà umanistiche sono ospitate in un edificio di recentissima fattura, funzionale, degno. Posto nel cuore del centro storico, appena dietro la piazza della Fontana luminosa, ai margini dell’auditorium in legno, il piccolo ma prezioso dono della provincia di Trento disegnato dallo studio di Renzo Piano. Busso alla porta di Lina Calandra che insegna Geografia e che avevo lasciata a Bazzano, nell’area industriale, dove l’università aveva trovato una prima sistemazione di fortuna.
“L’Aquila sconta l’ignavia dei suoi abitanti che non l’hanno mai apprezzata davvero, amata davvero, detenuta nel loro cuore. à‰ un dentro e un fuori. Vicini a queste pietre e però lontani, vogliosi di vedere ricostruita la città ma accecati da un risentimento antico nei suoi confronti, un corpo che sobbalza, fa un passo avanti e uno indietro.
La maestosa retorica di Barca che ci dice che autogufiamo un po’ è vera”.
Barca: “Nessuno gufi e tutti si diano da fare” Sì, l’ha detto il ministro, è vero: “Non c’è ragione di gufare”.
Aveva davanti una platea di amministratori, tecnici, dipendenti, spicciafaccende, gente perbene e altra meno. Tutti insoddisfatti, tutti a dargli addosso.
Gli si sono fatti incontro per chiedere: “Abbiamo solo due miliardi, i cantieri inizieranno e poi?”.
Solo due miliardi, e poi? “Siete i figli della sfiducia”, ha detto Barca.
Un po’ ha ragione, un po’ ha torto. Questa città è stata teatro incolpevole del più grande scempio etico, la famigerata telefonata notturna tra l’imprenditore Francesco Maria De Vivo Piscicelli e suo cognato Pierfrancesco Gagliardi: “Qui bisogna partire in quarta, non è che c’è un terremoto al giorno (…) io stamattina ridevo alle tre e mezza dentro il letto”. Brividi.
Ma brividi anche quando si riprendono in mano le cifre del frutto più scandaloso di quella tragedia, il G8, evento di rara disumanità costruito sulle ossa dei 309 cittadini seppelliti dalle pietre.
Bastano alcune cifre per capire come i soldi abbiano affamato L’Aquila, l’abbiano resa serva, oggetto della più rivoltante corruzione ambientale.
Le cifre che seguono aprirono un conto che si era appena chiuso alla Maddalena, dove il summit dei capi di Stato era previsto e già era costato 327 milioni di euro. Si cambiò scenografia al costo di altri 185 milioni di euro e si andò a Coppito. P
asseggio davanti alla caserma della guardia di finanza, il luogo simbolo delle esequie collettive, delle lacrime di un intero Paese.
Quello slargo, le bare, le croci, i fiori.
Quello stesso perimetro di cemento inghiottì accappatoi e asciugamani (24.420 euro), album sottomano da scrivania, portablocchi, cartelle (78.163 euro), sedute a noleggio (poltrone Frau, 373.233 euro); sessanta penne edizione unica (26.000 euro); pennoni e bandiere (175.576 euro); cartucce toner (12.733 euro); trenta distruggi documenti (12.852 euro); televisori lcd e noleggio plasma (347.348 euro); megafoni (3.895 euro) e persino posacenere (10.200 euro).
à‰ un dettaglio rispetto ai miliardi, e sono soldineanche iscritti al bilancio per L’Aquila.
Ma questi euro rappresentano per davvero la coscienza sporca di tutto il Paese, il fango che ha raggiunto e purtroppo colpito la città .
Avere memoria, chiede il sindaco. Anche questa è memoria.
Pietre, ferro, macerie: la faccia è la stessa Ruspe in movimento, la strada che conduce al centro storico è in via di rifacimento, due plessi sono in costruzione.
Dietro la curva il palazzo bucato, ha però la stessa faccia dell’anno scorso e di quello precedente.
Cumuli di ferro, queste fortezze di acciaio che cingono gli edifici si stanno arrugginendo.
L’esercito in divisa presidia il nulla. Tre gru vedo all’orizzonte, il resto è uguale a sempre purtroppo.
L’Aquila deve restituire la casa a 22.120 persone, le sue chiese sono ancora sventrate, il corso resta immobile, la non ricostruzione è un fatto.
La città non ha un piano urbanistico che la proietti nel futuro: sa com’è ma non ha idea di come sarà .
Sì, qualcosa s’è fatto, ma resiste, mi dicono all’università , il piano regolatore degli anni Settanta.
E resiste, anzi avanza, il grumo di interessi che si coagula intorno ai tecnici progettisti, il vero partito monopolista della ricostruzione. Sono loro che gestiscono le pratiche, che raccolgono (alcuni fanno incetta di) progetti. Non c’è una regola, non una misura di buon senso, un limite di conferimento.
I grandi mangiano e subappaltano.
Come fanno le imprese così gli ingegneri: ho trenta progetti che distribuisco ai miei amici. à‰ una suddivisione ingiusta dei meriti e dei bisogni. A pranzo incontro Serena Castellani: si è appena laureata a Bologna con centodieci e lode. “Non ho futuro qua, devo andare via”.
Come sia possibile che un centro con meno di centomila abitanti, bisognoso di ogni capitale umano, espella anzichè trattenere i suoi figli, è un’altra delle domande impossibili.
Certo, e anche qui bisogna dare atto al ministro Barca, qualcosa si è fatto: “In cinque mesi abbiamo espletato un concorso per trecento posti negli uffici tecnici e amministrativi per le funzioni necessarie a sostenere il processo ricostruttivo. Concorso trasparente, veloce che ha raccolto le migliori energie e dato un futuro a tanti giovani”. In un anno scarso di delega non si poteva fare di più.
Ridiscendo verso la fontana delle 99 cannelle. à‰ stata recuperata dal Fai, è lo scrigno prezioso tutelato e restituito ai suoi cittadini. Il curvone che la costeggia è fitto di cantieri chiusi.
Tre cani randagi, un soldato annoiato, due vecchietti con le buste della spesa. In alto c’è la fortezza spagnola che appunto gli spagnoli si resero disponibili a consolidare. Sarà stata la crisi economica, gli affari urgenti di un Paese impelagato con la propria recessione, ma i soldi qui non sono arrivati. Anche Obama ha promesso e poi dimenticato.
Sotto il bastione, l’auditorium in legno.
Realizzato per fortuna in pochi mesi ma non senza polemiche: “Siamo fatti così — dice Francesco Paolucci, giovane giornalista free lance — non c’è cosa che ci garbi appieno. Io posso dirti che dalla notte del terremoto non mi sono fermato un minuto. Ho vissuto, lavorato, realizzato. Sono felice, io. Ma sono in minoranza”.
Antonello Caporale
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Aprile 5th, 2013 Riccardo Fucile
LOTTIZZAZIONE SELVAGGIA IN REGIONE LOMBARDIA, FUORI I BOSSIANI… E UN UFFICIO STAMPA CON PIU’ DIPENDENTI DI UN QUOTIDIANO
Aveva promesso di fare piazza pulita in Regione, dopo il tramonto del Celeste. 
Aveva giurato di abbandonare il super-ufficio con luci emozionali incorporate, al trentacinquesimo piano del super-grattacielo nuovo di zecca voluto da Super-Formigoni, per scendere giù al primo piano, vicino ai lombardi che lo hanno eletto presidente.
Per ora, Roberto Maroni non solo resta appollaiato in cima alla torre di Babele, ma conferma anche il faraonico apparato presidenziale ereditato dal Celeste.
La scopa del capo dei Barbari Sognanti ha fatto pulizia dentro la Lega, dicevano i druidi del nuovo Carroccio durante la campagna elettorale.
E rinnoverà anche Formigopoli, facendo piazza pulita degli sprechi e delle ruberie e avviando la nuova era della Macroregione del Nord, dal Piemonte al Friuli.
A parte il fatto che il Friuli ancora leghista non è, anche a Milano si stentano a vedere i segni della Nuova Era.
Lo slogan con cui ha vinto le elezioni (“Teniamo qui il 75 per cento della tasse pagate in Lombardia”), è stato dimenticato: promessa impossibile da marinaio celtico-padano.
Quanto al rinnovamento, Maroni sta procedendo così: rivoluzione a parole, cauta continuità nei fatti.
Promette una presidenza aperta e dialogante, pronta a collaborare anche con l’opposizione. Certo, l’arroganza di Formigoni sarà difficilmente eguagliabile, ma fatti concreti ancora non se ne sono visti.
Se l’apertura si limiterà alla promessa commissione antimafia regionale (che è un’ottima idea), bisogna dire che è poco più di un atto dovuto: da sempre, in democrazia, le commissioni straordinarie, di garanzia e di controllo sono affidate alle minoranze.
In verità , quello che sta avvenendo è una nuova dislocazione dei poteri, spartiti tra leghisti maroniani e pidiellini di stretta osservanza berlusconiana.
Insomma: via i bossiani, epurati dalle scope dei Barbari Sognanti, e minor presenza (ma non eliminazione) dei ciellini, che con il Celeste facevano la parte del leone (con buona pace dei martiri cristiani sbranati al Colosseo).
Il nuovo punto di riferimento è Mario Mantovani, fedelissimo di Silvio Berlusconi, diventato il vice di Maroni.
Alla guida di un Pdl diviso e inquieto, in cui i ciellini lottano per non essere messi troppo da parte dai compagni di partito berlusconiani doc.
La divisione è visibile anche nello strano vertice del gruppo Pdl al consiglio regionale, con un presidente ciellino, il bresciano Mauro Parolini, che ha come contrappeso un co-presidente, il berlusconiano di Lodi Claudio Pedrazzini.
Quanto a Maroni, ha promesso di mostrarsi virtuoso con la pelle degli altri: promette tagli al budget del Consiglio regionale (via i rimborsi facili che hanno fatto mettere sotto inchiesta per peculato la quasi totalità dei consiglieri della scorsa tornata), ma si tiene ben stretti i soldi del budget di giunta.
Confermato un ufficio del Presidente composto da una quindicina d’addetti, con una cerchia d’oro di dirigenti e una struttura di comunicazione formata da decine di persone che potrebbe produrre un quotidiano nazionale.
Formigoni non c’è più, la sua struttura imperiale resta.
Gianni Barbacetto
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Aprile 5th, 2013 Riccardo Fucile
TREMENDO SCIVOLONE DEL “CITTADINO” FRACCARO: DOPO TANTE CHIACCHIERE ALLA FINE IL PRECARIO, INVECE CHE DIFENDERLO, LO VUOLE SFRUTTARE
In un video postato su Youtube il desiderio di «rendicontare» all’universo-web quanto sta facendo. Quanto guadagna. A quanto rinuncia, soprattutto a quell’indennità di mandato (tremila euro) restituita «ai cittadini, allo Stato, alle piccole imprese».
Poi, Riccardo Fraccaro, deputato trentino appena eletto alla Camera tra le fila del Movimento 5 Stelle, annuncia di essere alla ricerca di una serie di collaboratori, tra i quali un addetto stampa che lo aiuti nel rapporto con il territorio locale (quello trentino) e un altro che lo aiuti nella gestione del sito Internet.
Infine di un terzo che lo supporti nell’attività prettamente istituzionale, dato il suo incarico nell’ufficio di presidenza del Movimento 5 Stelle.
LA FRASE
E qui, nella ricerca di collaboratori, incorre in uno scivolone offrendo compensi irrisori: «Io lavoro 14 ore al giorno, tutta la settimana, e rinuncio allo stipendio aggiuntivo – dice – Sto facendo dei colloqui per dei collaboratori che mi aiutino nel rapporti con la stampa. Così 600 euro a uno, 600 euro a un altro….».
Queste cifre provocano la levata di scudi del presidente dell’Ordine dei Giornalisti di Trento, Fabrizio Franchi, che a Corriere.it replica: «Non vorrei che sia l’ennesima conferma di una corsa al ribasso dei salari per i professionisti del settore. Lavorare a 2,5 euro l’ora, per 14 ore giornaliere sette giorni su sette mi sembra troppo. Soprattutto per un movimento che in campagna elettorale ha rilanciato il reddito minimo di cittadinanza per consentire a tutti di avere un compenso per sopravvivere».
«DORMO POCO»
Fraccaro nel video in realtà fornisce un quadro quasi compassionevole: dorme poco, legge studia e lavora molto, anche la domenica.
Per ora quando è a Roma dorme dalla sorella e si fa aiutare dal fidanzato di lei, un avvocato, «che per il momento lavora gratis».
Insomma sacrifici per lui, e per tutti. Compresi i suoi (eventuali) collaboratori.
Ma ciò non toglie l’ironia di Franchi: «Non vogliono solo servi, ma anche schiavi sottopagati».
(da “il Corriere della Sera”)
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Aprile 5th, 2013 Riccardo Fucile
SERGIO TROISI TORNA A LONDRA: “FACCIO L’INGEGNERE E GUADAGNAVO DI PIU’…”ERO ENTRATO SOLO PER COMPLETARE LE LISTE”
Anche in Sicilia salta il primo eletto del Movimento Cinque Stelle. 
Sergio Troisi, deputato regionale eletto in provincia di Trapani, ha infatti annunciato di volersi dimettere.
Questa volta però non ci sono nè epurazioni nè diffide postali degli avvocati del comico genovese.
Nessun fuori onda alla Giovanni Favia o vietatissimi talk show in stile Federica Salsi. Trosi, semplicemente, vuole tornare a fare il suo lavoro: l’ingegnere. “Mi manca il mio lavoro da ingegnere: ho studiato molto per raggiungere questo obiettivo. Un lavoro che faccio con passione da tempo e che come tutte le passioni, vorrei tornare a fare” dice l’ormai ex deputato del Movimento Cinque Stelle.
Troisi ha preso congedo dagli altri 14 colleghi deputati per rifare le valigie e tornare a Londra, dove progetta treni per gli aeroporti.
“Un lavoro molto appassionante” assicura lui.
E un lavoro in cui guadagnava di più dei duemila e cinquecento euro che rimangono in busta paga ad un deputato regionale del Movimento Cinque Stelle dopo il “taglio” previsto dal programma di Grillo.
“Certo guadagnavo di più, ma non è una questione di soldi. Ho cercato di servire la Sicilia meglio che potevo in questi mesi. Semplicemente voglio tornare a fare l’ingegnere. Anche perchè da professionista se rimani fuori dal mondo del lavoro per troppo tempo poi sei fuori”.
Ma perchè allora Troisi ha deciso di candidarsi al Parlamento regionale se voleva continuare a progettare treni?
“La verità ? Non pensavo assolutamente di poter essere eletto. Mi sono candidato perchè nella mia città , Trapani, sono uno degli attivisti della prima ora. Scrivevo sul sito del meet up, cercavo di coinvolgere i miei concittadini. All’inizio c’erano problemi a chiudere la lista e di certo all’inizio della campagna elettorale non pensavamo di arrivare a tanto”.
E invece nella fortunata tornata elettorale il movimento di Beppe Grillo si è consolidato come la prima forza politica dell’isola.
E a Trapani, nel collegio di Troisi, sono scattati ben due seggi a Palazzo dei Normanni.
Il secondo è toccato proprio a Troisi che ha raccolto quasi tremila voti: niente male per un riempi-lista senza alcuna aspettativa (e volontà ) di elezione.
“Le persone mi conoscevano, hanno apprezzato il mio impegno e mi hanno dato fiducia”. Ma perchè non dimettersi subito invece di aspettare cinque mesi?
“Non volevo mancare di rispetto ai miei elettori: continuerò comunque ad impegnarmi per il movimento” dice l’ormai ex deputato.
Che ha lasciato il solitamente ambitissimo scranno a Palazzo dei Normanni al conterraneo Sergio Tancredi, quarantacinquenne di Mazara del Vallo.
“Mi gratifica e al contempo mi riempie di responsabilità prendere il posto di una persona di valore: farò di tutto per essere all’altezza del nuovo compito” ha detto il neo deputato, che nella vita fa l’istruttore in una palestra e probabilmente ha accettato di buon grado il nuovo incarico.
Almeno fino a prova contraria.
Giuseppe Pipitone
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Aprile 5th, 2013 Riccardo Fucile
VELTRONI E I GIOVANI TURCHI RIPRENDONO CONTATTO CON RENZI
Tocca a un vecchio parlamentare del Pd, un fu Pci, sintetizzare con una citazione quali sono i rischi a cui va incontro questo Partito democratico sempre più tormentato.
Da Fausto Bertinotti, in procinto di diventare segretario di Rifondazione comunista: «I merli con i merli, i passeri con i passeri».
Una frase pronunciata per spiegare per quale motivo la sinistra e il Pds erano due forze distinte e distanti.
Ecco, è questo quello che potrebbe accadere nel Pd: che ci si divida.
Ma non seguendo solo i binari immaginati finora. E che prevedono una scissione dei renziani.
Quella potrebbe esserci nel caso in cui veramente i bersaniani rifiutassero le primarie al sindaco di Firenze in caso di elezioni.
«Allora – continua a ripetere Matteo Richetti ai compagni di partito – finalmente ce ne andremmo».
Ma il primo cittadino del capoluogo toscano continua a dire di “no” a questa ipotesi e invita i suoi a «restare sott’acqua» e a non agitare questo spettro.
No, è un’altra la scissione che potrebbe verificarsi.
Ne accenna Alessandra Moretti, bersaniana di ferro, quando dice che il partito «può spaccarsi».
Lo spiega a un amico Ugo Sposetti quando osserva: «Se Renzi vince la battaglia interna il Pd non regge e si divide».
E suppergiù gli stessi concetti ripetono i parlamentari di Franceschini seduti sui divanetti di Montecitorio.
Del resto, lo aveva detto anche Massimo D’Alema qualche tempo fa, non si sa se sul serio o per scherzo, perchè i suoi interlocutori in quell’occasione non lo hanno ben compreso: «Se nel Pd prevale la linea Renzi, io vado a fare un grande partito della sinistra con Nichi Vendola».
Ed è proprio questa la prospettiva di cui si sentiva parlare a mezza bocca ieri, alla Camera dei deputati: una grande forza della sinistra che si attesti intorno al 15 per cento.
Certo, può stupire che si parlasse di questo.
A prima vista è una questione non all’ordine del giorno.
Eppure non andava fuori tema chi toccava questo argomento.
«Ormai è guerra, anzi è la guerra nucleare», annuncia Renzi ai suoi. Una guerra che il sindaco di Firenze vuole assolutamente vincere.
Come? Giocando tute le carte a sua disposizione. Ne ha.
Lo testimoniano il silenzio di Dario Franceschini sugli attacchi di Renzi al segretario e le poche parole sfumate di Enrico Letta, che evita di polemizzare con il sindaco, pur essendo il vice di Bersani.
Lo confermano le telefonate, che sono riprese, con Veltroni, e i “giovani turchi” in fila da Graziano Delrio, presidente dell’Anci e uomo di punta del primo cittadino del capoluogo toscano. Insomma, le potenziali truppe del sindaco si stanno ingrossando.
E, come se non bastasse, anche chi è contro di lui non difende il segretario.
Non lo fa Rosy Bindi, e nemmeno Massimo D’Alema.
Commentava ieri sera a questo proposito Antonello Giacomelli: «Matteo non dice cose tanto diverse da Franceschini».
Ma se Renzi ottiene la vittoria nel Pd, se riesce a ribaltare situazione e maggioranza interna, è difficile per tanti ex Ds restare in un Pd con lui a capo.
Il sindaco viene visto come un corpo estraneo.
Prova ne è la virulenza di certe reazioni del cerchio stretto bersaniano: «Sei fuori linea», «Ragioni come Berlusconi», e via di questo passo.
Renzi non prende sule serio certe dichiarazioni che lo fanno sorridere: «Sono ridicoli». Ironizza sui suoi avversari interni, il sindaco rottamatore, ma sa che la partita è difficile. Per questo motivo, appena ha subodorato la possibilità di «un inciucio Bersani-Berlusconi», ha imbracciato l’artiglieria pesante.
Renzi ha il sospetto che il segretario del Pd e il leader del Pdl stiano lavorando per un compromesso che preveda l’elezione di un presidente della Repubblica non inviso a Berlusconi (magari Luciano Violante, che potrebbe dargli della garanzie sul fronte della magistratura) e la possibilità per Bersani di andare in aula con il «suo» governo. Ottenendo di fare il premier, o, in caso di mancata fiducia, di portare lui il Paese alle elezioni e di essere lui, di conseguenza, il candidato premier del centrosinistra, evitando così le primarie.
In questo modo Renzi non avrebbe nessuna chance di entrare in partita.
Insomma, Bersani e Berlusconi si starebbero annusando per capire se un patto tra di loro è possibile.
O, almeno, questa è l’impressione dei renziani.
Spiega il sindaco a un amico: «Quelli hanno paura delle elezioni e quindi faranno un governo purchè sia, ma non durerà tanto con quelle premesse».
Quelli sarebbero Bersani e Berlusconi, il quale avrebbe cambiato anche lui idea sul voto dopo aver visto un sondaggio che lo dà dieci punti sotto Renzi.
Perciò meglio la stabilità o le elezioni con Bersani come competitor.
Ma i franchi tiratori del Pd potrebbero diventare tanti e far saltare quel compromesso… magari senza nemmeno nascondersi dietro il voto segreto.
Maria Teresa Meli
(da “il Corriere della Sera“)
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Aprile 5th, 2013 Riccardo Fucile
SCIVOLANO GIU’ DE MAGISTRIS, RENZI, FASSINO E TOSI… TRA LE NEW ENTRY ORLANDO E PIZZAROTTI
Piccola rivoluzione anche nell’indice di gradimento dei sindaci, dove anche questa volta (dopo De
Magistris a Napoli lo scorso anno) si impone un primo cittadino del Sud: a svettare infatti è Paolo Perrone, primo cittadino di Lecce, seguito da Mario Lucini (Como) e dall’onnipresente Vincenzo De Luca (Salerno).
Questo almeno a stare al verdetto, relativo al secondo semestre del 2012, della 18/ma edizione dell’indagine di Monitorcittà di Datamonitor, che monitora la percentuale di gradimento dei cittadini per i propri sindaci.
Lo studio ha quantificato anche l’apprezzamento per la qualità dei servizi dove, ancora una volta, si impongono le città del Nord, in questa edizione con Bolzano e Trento.
Perrone, eletto per il centrodestra e al suo secondo mandato, è apprezzato dal 64,2% dei suoi concittadini, e ha guadagnato rispetto al primo semestre 2012 il 4,4%.
Lucini (centrosinistra, eletto a maggio scorso), ha conseguito un gradimento del 63,8%; sale poi dello 0,5% Vincenzo De Luca (centrosinistra), arrivando a quota 63,5%.
Lo studio, ricordano gli autori della ricerca, prende in esame il gradimento dei sindaci che riescono a ottenere più del 55% di gradimento da parte dei cittadini.
Sui 110 comuni capoluogo monitorali sono 49 in quest’edizione quelli che sono riusciti a entrare nella “top 55%” (erano 45 nell’edizione precedente).
Al quarto posto della classifica dei sindaci troviamo il sindaco di Palermo Leoluca Orlando (centrosinistra), con il 63%, e, in leggera flessione, Graziano Delrio di Reggio Emilia (centrosinistra), con il 64,1% (-1,3%).
In sesta posizione il sindaco di Lucca Alessandro Tambellini, eletto a maggio dell’anno scorso, che incassa il 62,5% di gradimento.
Un particolare rilievo viene dato alle città metropolitane, dove svetta il +5% del sindaco di Milano Giuliano Pisapia, che sale al 61,2% (10/mo), il +4,8% del primo cittadino di Genova Marco Doria (14/mo), forte del 60,7%, il calo del 5,6% del sindaco di Napoli Luigi De Magistris (19/mo con il 59,6%), il -1,8% di Fassino a Torino (20/mo con il 59,2%), il -2,3% di Matteo Renzi a Firenze (39/mo al 56,1%) e la flessione del 5,2% di Massimo Zedda a Cagliari (47/mo con il 55,2%).
New entry al 24/mo posto con il 58,4% il primo cittadino grillino di Parma Federico Pizzarotti, che ha riscosso varie critiche per i punti ancora irrisolti a quasi un anno dalla vittoria.
L’ambito della qualità dei servizi vede ai primi due posti Bolzano e Trento (rispettivamente con il 76,9 e il 69,9% di gradimento), seguite da Reggio Emilia con il 66,1%.
Più distanziate troviamo Belluno con il 63,9%, Pordenone (62,5%), Verbania (61,2%), Udine (59,6%), Biella (59,4%), Sondrio (59,1%) e Aosta (58,7%).
Con la sola eccezione di Siena (15/ma con il 57,9%), i primi 20 posti della classifica sono occupati da città del Nord.
Nella top ten dei sindaci di Datamonitor, 7 risultano eletti nel centrosinistra, che ne acquisisce 37 su 49.
La classifica dei sindaci over 55% ne conta 29 del Nord (erano 22 nel primo semestre 2012), 7 del Centro (-3) e 13 del Sud (-1).
Nessuna donna sindaco, viene sottolineato, è presente nella classifica.
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Aprile 5th, 2013 Riccardo Fucile
VORREBBE LE LARGHE INTESE “COSI LA GENTE PRENDE I BASTONI”, NON CAPISCE CHE SE GOVERNASSE LUI LA GENTE PRENDEREBBE I FUCILI… POI BATTUTE DEGNE DI BOSSI: “NOI SIAMO UNITI, GLI ALTRI SONO DIVISI”, “NOME DI UN PREMIER A NAPOLITANO LO FACCIAMO SOLO SE PRIMA CI DA’ L’INCARICO”… PREVALE LA LOGICA DEL BUNKER
Lontani dal boato delle piazze, ma anche dal chiacchiericcio della politica, i parlamentari 5 stelle incontrano il loro leader Beppe Grillo in aperta campagna, dove il silenzio è interrotto solo da polli, galline e volatili.
A pranzo paccheri con porcini e guanciale, per i “grillini”, che dicono di aver scelto la location per una giornata «in allegria».
Si trova tra la costa di Fregene e il lago di Bracciano il casale Villa Valente, con ristorante “La quiete”, dove deputati e senatori sono stati portati da tre autobus, dopo un giro tortuoso per le vie della capitale.
All’arrivo a destinazione occhi ben aperti da parte di staff e parlamentari per tenere fuori eventuali infiltrati: i giornalisti sono stati invitati fuori dai cancelli della villa.
Nessuno streaming è previsto per quei militanti che fossero curiosi di sapere cosa, in questo delicato frangente politico, Grillo dirà ai suoi.
«Non siamo noi che ci stiamo dividendo, sono gli altri», ribadisce Grillo.
«Se si verificherà l’inciucio delle larghe intese la gente, che è stufa, prenderà i bastoni», avverte il blogger genovese, che poi detta la linea: «Dobbiamo arrivare calmi e sereni all’elezione del presidente della Repubblica che sarà molto diverso da questo».
Grillo non perde occasione per criticare i giornali: «Abbiamo a che fare con gente incredibile. Fanno dossier e controdossier di tutti i tipi contro di me».
Poi rilancia: «Ho detto a Napolitano di darci l’incarico» di formare un governo e solo dopo «gli faremo un nome» per la sua guida. «Ora il nome è il Movimento nel suo insieme».
Poi fa il solito modesto: “Le cose in Sicilia le abbiamo fatte noi, non Crocetta“.
E ai parlamentari Grillo chiede di non pubblicare sui social network «elementi di vita privata, ma solo l’attività parlamentare».
Ma c’è chi lo interrompe: “Non stiamo per caso fornendo un pretesto ai partiti per fare un governissimo?” chiede un parlamentare.
E Grillo risponde: “L’hanno già fatto da un mese. No, non gli stiamo fornendo nessun pretesto”.
Il leader dei Cinque Stelle si mette a disposizione di deputati e senatori: “Fatemi domande, ma non ho risposte per tutto”.
In mattinata, in una intervista al “Secolo XIX” era uscito allo scoperto un altro dissidente.
“Il Movimento 5 stelle doveva fare il governo con Bersani, ottenere dei ministeri e cominciare a lavorare, dice il deputato friulano grillino Walter Rizzetto.
Rizzetto spiega che con Bersani avrebbe “cercato una mediazione” per ottenere “dei ministeri”.
“Faceva il premier, alle nostre condizioni, e intanto ci sedevamo nel governo e iniziavamo seriamente a lavorare — ha detto il deputato -. Ci potevamo dare una possibilità . E lo dice uno che sulla fiducia a Bersani ha votato no. Però le cose sono cambiate”.
Ma “ormai il tempo è scaduto, non si torna indietro. Credo che il destino del M5s sia all’opposizione”.
Rizzetto ha difeso il collega Tommaso Currò, che nei giorni scorsi aveva aperto all’ipotesi di un sostegno a Bersani: “Ha fatto bene. Una persona è libera di esprimere il proprio dissenso, di avere le proprie idee diverse dagli altri, e non deve avere paura di dichiararlo”.
Per Rizzetto anche il silenzio con i giornalisti è un “atteggiamento che danneggia il movimento… questa paranoia asfissiante sull’informazione, gli sguardi sospetti tra di noi. Ci stiamo facendo del male, e se ora se la prenderanno con Tommaso, lo emargineranno, sarà solo l’ennesimo errore. Aria di caccia alle streghe, non mi piace”.
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Aprile 5th, 2013 Riccardo Fucile
TRAVOLTO ANNI FA DA UN SEXY GATE, IL LEGHISTA FUMAGALLI RITENUTO COLPEVOLE DI USO IMPROPRIO SI AUTO BLU E AUTISTI PER VIAGGI DI PIACERE IN COMPAGNIA DI GIOVANI ESCORT
L’ex sindaco leghista di Varese Aldo Fumagalli è stato condannato a quattro anni di reclusione per
peculato e concussione per induzione, al termine del processo per il sexy gate che lo ha travolto otto anni fa.
I fatti risalgono al periodo in cui Fumagalli sedeva sulla poltrona di primo cittadino, nel 2005, quando la Procura gli contestò l’utilizzo improprio di auto blu e autisti usati per viaggi di piacere in compagnia di giovani straniere.
Viaggi che, a detta del Pm Agostino Abate “non avevano nulla di istituzionale”.
Auto con autista stipendiato dal Comune per raggiungere le ragazze o accompagnarle da qualche parte; compresa quella volta che, sulla strada per Monza, l’auto blu rimase in panne e Fumagalli la fece sostituire con un’altra da Varese.
Testimone dei fatti l’imprenditore Roberto Pasin, amico di Aldo Fumagalli: l’ex sindaco avrebbe frequentato un giro di escort.
Pasin ha dichiarato di essere stato personalmente testimone di uno di questi appuntamenti a luci rosse con una russa, che si è svolto nell’Hotel Regina di Savoia di Stresa.
Più volte, inoltre, Fumagalli avrebbe utilizzato l’auto di servizio per trasportare giovani straniere in varie zone della provincia; una di loro usufruì perfino di un appartamento che il Comune destina ai bisognosi.
Appuntamenti dello stesso tenore venivano presi in una casa sul lago di Monate, frequentata da giovani cubane, mentre altri appartamenti erano frequentati da ragazze rumene.
Oltre ai viaggi Fumagalli era stato accusato di aver fatto pressioni per l’assunzione delle giovani donne nella cooperativa che aveva in appalto la pulizia del Comune.
E infine era stato accusato di aver aggirato i regolamenti per trovare un alloggio alle stesse amiche straniere.
Quattro diversi capi d’accusa per cui la Procura varesina aveva chiesto in totale sei anni.
Alla fine Fumagalli è stato assolto solo dall’accusa di peculato per avere concesso indebitamente una casa comunale a una donna che non ne aveva diritto, mentre è stato dichiarato colpevole per gli altri capi d’accusa.
(da “il Fatto Quotidiano“)
argomento: Giustizia, LegaNord | Commenta »
Aprile 5th, 2013 Riccardo Fucile
LANCIA OGGETTI E MICROFONI CONTRO I DUE CONDUTTORI: “SIETE DUE COGLIONI”… UN GIORNALISTA FERITO ALLA MANO …. PANNELLA: “TI SPACCO PURE LA FACCIA”
Studio quasi devastato, microfoni, cuffie, ipad rotti, una mano ferita.
E’ questo il bilancio dell’ospitata di Marco Pannella a “La Zanzara”, su Radio24, in una puntata comica e surreale che resterà negli annali della nota trasmissione radiofonica.
Il leader dei Radicali comincia a spazientirsi coi conduttori, Giuseppe Cruciani e David Parenzo, perchè non riesce a prendere la parola.
“Qui non servo a dare notizie” — si lamenta Pannella — “sentite solo parlare voi stessi e in questo siete due coglioni“.
La polemica si infiamma quando il politico, commentando il ventaglio dei possibili candidati al Colle, afferma che Emma Bonino da quindici anni gode di un “sostegno plebiscitario che si è sempre rinnovato”.
Cruciani replica: “Beh, plebiscitario…avete preso lo 0,3% alle elezioni”.
Pannella si adira e abbandona temporaneamente lo studio ma viene convinto a tornare da David Parenzo.
Nel frattempo, viene lanciato l’audio dello scherzo telefonico a Valerio Onida, ma il radicale urla: “Non me ne frega un cazzo di sentire Onida. Tieniti il saggio e non rompere i coglioni”.
E continua a effondere perle ruspanti all’indirizzo di Cruciani, che paragona Pannella a Beppe Grillo perchè non accetta il contraddittorio.
Tra parolacce e anatemi, il politico biascica sondaggi e rivelazioni sui bookmarkers inglesi fino a rivangare la campagna “Emma for president” lanciata dai radicali nel 1999.
Ma Cruciani puntualizza: “Sì, ma è successo tanti anni fa”.
Il leader dei Radicali esplode in una furia incontrollabile, lanciando oggetti e buttando microfoni, tra le urla e le risate incredule dei due conduttori.
”Mi hai fatto male alla mano, io qui chiamo l’avvocato”, avverte Cruciani, innescando un altro raptus di collera di Pannella che nuovamente scaglia contro il giornalista i microfoni e replica: “Ti spacco pure la faccia, chiama l’avvocato anche per la faccia“.
Passano alcuni minuti e il radicale vuole fare un altro appello, stavolta alla comunità penitenziaria. “Hai una radio tua a disposizione, non me ne frega un cazzo dell’appello”, commenta polemicamente Cruciani.
La frase scatena l’ultimo atto dell’ira funesta di Pannella, che dà il suo finale tocco devastatore e abbandona lo studio de “La Zanzara”.
Nel corso della puntata, Cruciani si farà dare dalla regista del ghiaccio per la mano e su twitter scriverà : “Ha distrutto lo studio e mi ha colpito la mano con tutto. Vado al pronto soccorso dopo la trasmissione”
Gisella Ruccia
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