Aprile 22nd, 2013 Riccardo Fucile
WEB E DEMOCRAZIA: LA DEMOCRAZIA LIQUIDA FA DISCUTERE I CINQUESTELLE
Mentre continua il dibattito sul ruolo di internet e dei social network in politica all’indomani dell’elezione del capo dello Stato, c’è una domanda che ancora oggi non ha trovato risposta.
Quanti sono i voti ottenuti da Stefano Rodotà alla Quirinarie?
Durante la conferenza stampa di domenica, Grillo ha risposto «Non lo so».
E ha cambiato subito discorso.
Poi, sempre durante il comizio alla Città dell’altra economia, ha buttato lì una frase: «Presto avremo una piattaforma di democrazia liquida».
LIQUIDO MA POCO TRASPARENTE
I leader e gli influencer del M5S hanno indubbiamente avuto il merito di riconoscere prima di altri l’importanza di mezzi di comunicazione come social network, forum (si pensi ai MeetUP), streaming, web tv, e quant’altro.
Ma non sempre i Cinque Stelle sono parsi in grado di gestire tutto ciò.
A tratti, la democrazia liquida è sembrata anche sfuggire di mano.
Ultimo esempio, le votazioni online del candidato alla presidenza delle Repubblica, condotte sul blog di Grillo, gestito da Casaleggio.
In questo caso il numero di aventi diritto in quanto iscritti entro una certa data al Movimento era di 48.282.
Ma sul numero di preferenze espresse si è preferito tacere.
E non si è fatta chiarezza nemmeno dopo la denuncia di un presunto attacco hacker che ha costretto a rivotare.
Ancora prima, in un momento particolarmente teso nei giorni successivi all’inizio della legislatura, Grillo ha denunciato la presenza di troll tra i commentatori del suo blog, senza peraltro prendersi la briga di spiegare come in realtà le stesse tecniche siano state usate anche dagli attivisti del Movimento durante la campagna elettorale.
Come dire, insomma, che se democrazia liquida è, il liquido non è poi così trasparente.
SEI SU DIECI NON USANO LA RETE
Risultato, ormai da mesi all’interno del Movimento Cinque Stelle si dibatte sulla necessità di introdurre o meno un programma di e-democracy per votare proposte di legge in collaborazione con gli iscritti al movimento.
E si cerca di migliorare un percorso già avviato. «Ci stiamo ancora lavorando. Ma non abbiamo ancora preso una decisione definitiva», spiega il parlamentare toscano Massimo Artini.
Allo studio ci sono parecchie soluzioni.
Una su tutte, LiquidFeedback, piattaforma usata dai Pirati tedeschi di cui non convince la complessità .
Poi altri sistemi i come White House.gov.
E, infine Airesis, software open source elaborato da alcuni attivisti, che integra i meetup (e dunque la parte di confronto) con la parte di votazione delle leggi.
Spiega Simone Curini, tra i coordinatori del Meetup 5 Stelle di Firenze e programmatore di Airesis: «Usando questo sistema si otterrà un abbassamento dell’età media di chi si avvicina alla politica. Molte persone parteciperanno per l’abbattimento di limiti temporali e geografici tipici delle riunioni».
Il problema è però l’alfabebitazzione digitale degli italiani, ancora indietro rispetto agli altri paesi, con quattro su dieci che non utilizzano la rete.
E il rischio è che si crei una ditattura degli attivi, con pochi che attraverso la rete decidono per tutti.
Un passaggio delicato, che gli attivisti affrontano però da un altro punto di vista.
«Gli svantaggi sono per coloro che non vogliono condividere il potere la partecipazione e mantenere gli status quo, ma consideriamo anche le difficoltà delle persone che non utilizzano strumenti informatici», Curini.
METODO SCHULZE
Tuttavia, come conferma Artini, le piattaforme non sono pensate per scegliere nomi.
Ma per presentare proposte di legge (fino ad oggi i parlamentari del Movimento Cinque Stelle ne hanno portate avanti 14, l’1% del totale da quanto è iniziata la legislatura).
Per quanto riguarda, invece, il sistema di selezione dei candidati l’idea è di continuare ad usare il metodo adottato per Parlamentarie e Quirinarie.
Continua Curini: «Le votazioni per il presidente della Repubblica sono state fatte usando Plurality Voting (che è il metodo più comune di votazione). Purtroppo questo si presta a voto strategico».
Che, tradotto significa: «Non conviene votare in maniera onesta quello che si preferisce, e si finisce per votare il meno peggio (che però ha delle possibilità vere di essere eletto)». Ecco allora che vengono avanzate altre proposte: «Airesis usa il metodo di votazione di Schulze che è molto più difficile da manipolare e restituisce un risultato più aderente a quello che la gente effettivamente vuole. Detto questo Airesis non nasce per sostituire il sistema di voto attualmente usato dal Movimento 5 stelle, ma per fornire un valido strumento decisionale e di confronto in sostituzione del Meetup», conclude Curini.
CHI SCEGLIE
Da parte loro, dunque, i parlamentari del Movimento Cinque Stelle continuano a lavorare anche su questo fronte.
Ma chi prende le decisioni finali ancora una volta non è certo la base dei Cinque Stelle: «Ne stiamo discutendo e ne continueremo a discutere con Casaleggio», spiega Artini.
E poi? «Una volta scelto il sistema migliore, questo verrà integrato sul blog di Grillo».
Un passaggio semplice dal punto di vista pratico.
Ma che rischia di assumere un connotato politico ben preciso.
E cioè che chi non è stato eletto controlli e gestisca processi decisionali che sono propri di una democrazia parlamentare.
Marta Serafini
(da “il Corriere della Sera”)
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Aprile 22nd, 2013 Riccardo Fucile
BOCCIATA INVECE LA RICHIESTA DI ESPULSIONE PER CRIMI: LUI PUO’ ANDARE DA VESPA… L’ESPULSO SI DIFENDE: “SOLO IN COREA DEL NORD E’ VIETATO”
Espulso dal movimento perchè è andato a parlare da Barbara d’Urso, sfidando il diktat di Beppe
Grillo che vieta ai parlamentari dell’M5S di partecipare ai talk show televisivi: il «reo» è il senatore Marino Mastrangeli, del basso Lazio, che più volte ha sfidato il gran divieto.
Non solo a Canale 5, ma anche a La7.
Il Mastrangeli ha chiesto che la riunione per il suo allontanamento venisse trasmessa in streaming.
E finchè la diretta ha funzionato (lo streaming stranamente si è interrotto per diversi minuti, per «problemi tecnici» diranno loro, proprio quando parlava “l’imputato”) si è potuto carpire qualche passaggio dell’accorata autodifesa del senatore: «Io sono come Bruce Lee, ne atterro 50 alla volta. Non è che per 5 anni mettiamo la mordacchia ai parlamentari. E comunque, chiediamo agli iscritti se i parlamentari possono parlare a titolo personale»
«COME IN COREA DEL NORD»
Mastrangeli poi si lancia in comparazioni asiatiche: «Sono processato per un gravissimo delitto – prosegue – questi processi inutili, è una farsa. Solo in Corea del nord si vieta. E il codice di comportamento non vieta, consiglia. Se si vuole cambiare – ha ripetuto – siano i 50mila iscritti a decidere, loro sono più ragionevoli e diranno di no».
«E CRIMI DA VESPA?»
E si scaglia contro Vito Crimi chiedendo, a sua volta, l’epurazione del capogruppo perchè «lui, sì è andato da Vespa a sdraiarsi».
Anche Renzi, da La7, ha sposato la sua causa: «Perchè «Perchè hanno espulso Mastrangeli? Perchè è andato troppo in tv ? E allora Vito Crimi che è andato a Porta a Porta?».
Ma, dal Movimento, non hanno seguito nè uno, nè l’altro: l’espulsione di Crimi è stata bocciata all’unanimità , la sua approvata, con 62 sì, 25 no e 3 astenuti.
Ora la parola passa alla famosa Rete, agli iscritti che dovranno sanzionare la decisione dell’assemblea.
Tv sì? O tv no?
Matteo Cruccu
(da “il Corriere della Sera“)
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Aprile 22nd, 2013 Riccardo Fucile
DOPO CHE SONO STATE SCRUTINATE 987 SEZIONI SU 1.374, L’ESPONENTE DEL PD E’ AL 39.66%, TONDO (PDL, LEGA) AL 37,87, GALLUCCIO (M5S) AL 19,76%
Serracchiani, Tondo, Galluccio.
E’ l’ordine che emerge al momento dopo lo scrutinio di 987 sezioni su 1374 alle regionali del Friuli Venezia Giulia.
L’esponente del Pd, alla guida di una coalizione di centrosinistra, raccoglie al momento il 39.66% delle preferenze.
Il presidente uscente si attesta al 37,87, mentre il rappresentante del Movimento Cinque Stelle sarebbe al 19,76%
All’ultimo posto Franco Bandelli (2,72%) alla guida di una lista civica, “Un’altra regione”, composta in gran parte da fuoriusciti del centrodestra.
L’affluenza alla chiusura delle urne è stata di circa il 50%.
Con i dati di 1.341 sezioni su 1.374 l’affluenza è del 50,28%, in netto calo rispetto ai voti precedenti; nel 2008 era stato del 72,33%.
In quel caso si trattava di un election day. Si vota, peraltro, anche per la Provincia e per il Comune di Udine, ma lo scrutinio avverrà successivamente a quello delle regionali.
Il test elettorale assume ulteriore significato poichè arriva a ridosso del caos avvenuto in Parlamento in occasione dell’elezione del presidente della Repubblica con il centrosinistra che ha finito per sfarinarsi.
Tuttavia proprio Debora Serracchiani era stata tra gli esponenti che aveva spinto il partito a convergere sul sostegno a Stefano Rodotà .
RISULTATI REGIONALE 2013
987 sezioni su 1.374
Debora Serracchiani 39.,66%
Partito Democratico (Pd) 26,32%
Sinistra ecologia e libertà 4,82%
Svoboda ekologija levica (Sel) 4,70%
Ievica (Sel) 1,95%
Cittadini per Debora Serracchiani presidente 5,05%
Slovenska Skupnost 0,96%
Renzo Tondo 37,87%
Il Popolo della libertà (Pdl) 19,30%
Autonomia responsabile 11,29%
Lega Nord 7,65%
Unione di centro (Udc) 3,47%
Partito Pensionati 1,05%
La Destra 1,32%
Saverio Galluccio 19,76%
MoVimento 5 stelle 14,54%
Franco Bandelli 2,72%
RISULTATO DELLE REGIONALI 2008
Renzo Tondo 53,8%
Pdl 33,0
Lega Nord 12,9
Udc 6,1
Partito Pensionati 1,6
Riccardo Illy 46,2%
Pd 29,9
Sinistra Arcobaleno 5,7
Cittadini X il Pres 5,1
Idv 4,5
Slovenska Skupnost 1,2
RISULTATO ELEZIONI POLITICHE 2013 FRIULI
Partito Democratico (Pd) 26,5%
Sinistra ecologia e libertà (Sel) 2,4%
Centro Democratico 0,4%
Totale coalizione – Pier Luigi Bersani 29,3
Il Popolo della libertà (Pdl) 19,4%
Lega Nord 6,9%
Fratelli d’Italia 1,8%
La Destra 0,6 %
Totale coalizione – Silvio Berlusconi 28,8%
Con Monti per l’Italia 12,3%
MoVimento 5 Stelle – beppegrillo.it 25,5%
Rivoluzione Civile 1,7%
Fare per Fermare il Declino 1,5%
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Aprile 22nd, 2013 Riccardo Fucile
IL SINDACO DI FIRENZE FINIRA’ INCORONATO DALLA VECCHIA GUARDIA DALEMIANA E POPOLARE COI GIOVANI TURCHI… LA SINISTRA DI BARCA HA POCHI SPONSOR
A Matteo Renzi la premiership, meglio se passando prima per la leadership del Pd. 
A Massimo D’Alema, e i pochi maggiorenti non scottati dai sei scrutini per il Quirinale, il ruolo di king maker del nuovo astro fiorentino e magari un posto al sole in collina per coronare la carriera.
Questo è quanto si profila sulle macerie del Pd; sempre ammesso che il partito di largo del Nazareno riesca a superare indenne la formazione del governo.
Il sindaco di Firenze sarà incoronato precisamente dai 101 franchi tiratori, che hanno silurato nell’urna Romano Prodi: un asse tra vecchia guardia dalemiana e popolare coi giovani turchi e non solo.
Il resto, la sinistra di Fabrizio Barca o altrimenti intesa, o si aggrega al carro del sindaco e dei suoi numi tutelari oppure può anche far fagotto; come si è già capito non dispiacerebbe ai reniziani più oltranzisti.
Una manovra che passerà per il prossimo congresso del Pd, in calendario per l’autunno, e le successive elezioni politiche.
Elezioni che, su esplicita richiesta di Napolitano, i partiti si sarebbero impegnati a svolgere il prossimo anno con una nuova legge, in modo da concedere al presidente di accomiatarsi come desidera, ma che potrebbero facilmente slittare al 2015, considerato che nel giugno del prossimo anno si votano già amministrative e europee — un genere di consultazione capace di rinvigorire istinti di separazione tra socialisti e popolari nel Pd —, all’indomani delle quali l’Italia sarà per 6 mesi alla guida dell’Unione.
DA “ROTTAMATORE” A “RIFONDATORE”
Con una lunga intervista a Repubblica il sindaco “rottamatore” si propone oggi per “rifondare” un Pd versione 2.0, esortando a non “inseguire” Grillo (“Dice delle castronerie incredibili”), per giunta in alternanza col Cavaliere, ma piuttosto a intervenire di petto sul finanziamento pubblico della politica e a ripartire dall’emergenza “lavoro”.
Per Renzi il Pd dovrebbe mettere “la faccia” sin dal prossimo governo, che a suo avviso non deve durare più di un anno per mandare poi al voto con una nuova legge elettorale.
Quanto poi alla sinistra di Fabrizio Barca, o si aggrega al carro del sindaco e dei suoi redivivi numi tutelari oppure può anche far fagotto; come non dispiacerebbe alla sinistra di Sel, propensa a aggregare una formazione in scia a Barca già in corso di legislatura.
Vigenti le dimissioni dalla segreteria di Pierluigi Bersani “da un minuto dopo” l’elezione di Napolitano alla successione di se stesso, martedì è convocata la direzione del Pd per definire la composizione del comitato cui sarà affidata la “reggenza” del partito, nonchè la delegazione incaricata di svolgere le nuove consultazioni per la formazione del governo.
La direzione dovrà inoltre stabilire l’indirizzo politico da affidare agli incaricati delle consultazioni, ma si tratterà certamente di un mandato ampio rimesso per intero alla “saggezza” e le determinazioni del presidente.
GOVERNO CANCELLIERI
Per cominciare, però, il Pd deve riuscire a doppiare lo scoglio del governo.
Il motivo per cui le proteste per l’elezione di Napolitano hanno visto andare in cenere tessere del partito è legato al sospetto che il capo dello Stato abbia posto come condizione per la propria rielezione anche la formazione di una maggioranza di governo di larghe intese.
E, quali che siano i giudizi sulla decisione di Napolitano, le larghe intese vanno di traverso a una gran parte della base democratica. Ma così è.
“Chiusa la stagione Monti”, come riconoscono i più, il capo dello stato affiderebbe volentieri il governo a Giuliano Amato; che peraltro vedeva bene anche come proprio successore.
Ma sul dottor sottile il Carroccio non sente ragioni, e il Cavaliere non fa un passo senza l’alleato leghista.
Berlusconi vorrebbe un governo con esponenti politici di tutti i partiti, a cominciare dal segretario Angelino Alfano.
Il Pd, al contrario, ha bisogno della minore visibilità possibile nell’esecutivo.
Anche l’ipotesi che il vicesegretario Enrico Letta possa andare a palazzo Chigi, quindi, non è così scontata.
Tanto per cominciare i renziani imputano a Letta di “avere le medesime responsabilità di Bersani”, come osserva da Firenze il fedelissimo Erasmo D’Angelis.
E “semmai Letta dovrà prendere la reggenza in qualità di vice”, nota un altro fiorentino, ma dalemiano, come Michele Ventura.
La guida del governo potrebbe perciò essere assunta da Anna Maria Cancellieri, che per il Pd è sicuramente la candidatura più indolore.
A quel punto i partiti potrebbero essere rappresentati nel governo dai saggi, come Luciano Violante e Gaetano Quagliariello, oppure da altri esponenti lontani da ruoli dirigenti.
RISCHIO SCISSIONE SULLA FIDUCIA
Non è impossibile che il Pd si divida già sulla fiducia al governo.
E’ l’accelerazione che probabilmente si augura anche la sinistra vendoliana di Sel dopo aver sostenuto all’ultimo scrutinio la candidatura di Stefano Rodotà , vagheggiando già in corso di legislatura la formazione di uno spicchio di emiciclo alla sinistra del Pd e aperto al dialogo coi 5 stelle come sul nome di Rodotà .
Sennonchè il partito si è ricompattato su Napolitano, lasciando solo 10 voti al giurista, per quanto Fabrizio Barca avesse dato voce alle perplessità definendo “incomprensibile” il fatto che il partito non sostenesse Rodotà o Emma Bonino.
Le parole del ministro sono risultate intempestive anche agli occhi di chi guardava a lui con l’obiettivo di formare una componente si sinistra interna al partito.
Gli unici a compiacersene sono appunto i renziani. “Potrebbe addirittura nascere una formazione di sinistra che unisca Vendola, l’area Ingroia e la parte più grillina della sinistra Pd — si augurano i fedelissimi del sindaco — rendendo così possibile la vera nascita di un Pd riformista e innovatore”.
L’idea di separare “i merli con i merli e i passeri con i passeri”, come disse Armando Cossutta annunciando la nascita del Prc, serpeggi già da un po’ nel Pd.
E le europee del 2014 potrebbero essere l’occasione perchè le famiglie politiche eterogenee che compongono il Pd tornino alle rispettive case socialista e popolare.
Tuttavia non è facile come sembra che le politiche si svolgano in concomitanza con le europee. E’ più probabile che la data slitti di un anno.
Senza contare che gli ex pci superstiti nel Pd ormai sono i primi in fila per affiliarsi a Renzi.
RENZI SEGRETARIO, D’ALEMA PRESIDENTE?
Lo sganciamento della sinistra è semmai quel che si augura il sindaco di Firenze, convinto da sempre di non poter tentare la scalata a palazzo Chigi a prescindere dal Pd e ora anche dai maggiorenti, come D’Alema e gli ex popolari, che ha cercato di “rottamare” con meno successo di quanto apparso.
Perchè sono proprio loro che, dopo averlo stoppato, adesso si propongono di portare Renzi alla guida prima del partito e poi del governo.
Magari per avere in cambio dopo il voto l’elezione al Quirinale di D’Alema, un laico rispetto al cattolico Renzi, l’unico nome, insieme a Amato, sui cui il sindaco ha detto “non ci sono veti”. L’aveva detto il fedelissimo Matteo Richetti che il siluramento di Prodi fosse “anche un segnale contro Renzi”.
E lo confermano tutte le analisi: “I 101 contro Prodi sono stati un voto scientifico contro Matteo Renzi”, calcola il deputato fiorentino Filippo Fossati.
Dunque i voti delle componenti ex popolare e ex comunista, dalemiani in primis, che insieme ai giovani turchi e non solo avrebbero così inteso dimostrare al sindaco di Firenze che senza il loro benestare l’ascesa al Pd non ha speranza.
LA REGGENZA E IL CONGRESSO
Adesso la parola passa al congresso. “Da un minuto dopo” la rielezione di Napolitano sono infatti divenute effettive le dimissioni di Bersani.
Sulla carta la reggenza passa al vice Letta, al quale si imputano non meno responsabilità che al segretario e che dovrebbe perciò prendere l’onere di reggere il partito anzichè l’onore di guidare il governo.
Anche la presidente Rosi Bindi è dimissionaria, potrebbe comunque essere convocata l’assemblea di circa 3mila persone per eleggere un segretario provvisorio o affidarsi a Letta per traghettare il partito al congresso, come accadde con Dario Franceschini dopo le dimissioni di Walter Veltroni.
A meno che non si decida di chiedere a Bersani di restare fino a ottobre.
Ne discuterà una direzione che sarà convocata già martedì, visto che occorrerà discutere anche e sopratutto del governo e della maggioranza. Poi, appunto, il congresso.
Le procedure prevedono la convocazione di una direzione che stabilisca la data entro cui chiudere il tesseramento, poi vanno convocati i congressi di circolo per le candidature e si tiene una convenzione che stabilisce la data delle primarie.
Da lì occorrono 20 giorni per formare le liste: quelle in cui le diverse componenti — dai dalemiani agli ex popolari ai giovani turchi — sosterranno la candidatura di Renzi alla leadership.
Cosimo Rossi
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Aprile 22nd, 2013 Riccardo Fucile
ALTA TENSIONE NEL PD, INSISTENTI LE VOCI DI FUORIUSCITE, PUPPATO E MARINO SMENTISCONO
Pippo Civati va all’attacco. Il leader dei giovani parlamentari Pd spara alzo zero nei confronti dei seniores di Largo del Nazareno.
E li accusa senza mezzi termini di essere parte del piano che ha sabotato la candidatura di Romano Prodi.
Ora, spiega, i traditori potranno fare i ministri.
“Si parla molto di ‘traditori’ ma state attenti: perchè i soliti protagonisti della politica italiana che ora chiamate così poi potreste ritrovarvi, tra qualche ora, a chiamarli ‘ministri’. Tutti insieme. Appassionatamente”, dice Civati.
E spiega che i traditori-ministri hanno “un argomento formidabile: dopo che abbiamo ridotto il centrosinistra così, non vorrete mica andare a votare? Affidate le cose a noi, sappiamo come si fa”.
Sul suo blog, Civati fa notare “che se avessimo votato Prodi o Rodotà , non saremmo andati a votare, come le vecchie volpi della politica hanno ripetuto (altro che Twitter) a tutti i giovani deputati. No, semplicemente avremmo fatto un governo del presidente. Con un presidente, un governo e una maggioranza molto diversi da quella che vedremo tra qualche ora. Spero sia chiaro a tutti. Anche a quelli che, come me, in questi giorni hanno perduto”.
Quanto al possibile governo di larghe intese, il leader dei giovani Pd osserva che “ieri Napolitano ha annunciato che oggi dirà quali sono le condizioni che gli hanno fatto accettare il secondo mandato. Condizioni di cui nessuno ha parlato ufficialmente e che certo il Pd non ha valutato.
Anzi – sottolinea Civati – Bersani ha spiegato ripetutamente che non c’erano, quelle condizioni. Personalmente, voglio fidarmi: mi chiedo però perchè tutti parlino di Amato, Berlusconi sia in un brodo di giuggiole e i nostri filo-governissimo così scatenati. Curioso, no?”.
Civati, che non ha votato la riconferma di Napolitano, viene indicato come uno dei parlamentari che potrebbero lasciare il Pd per approdare ad una nuova formazione più chiaramente di sinistra.
Insieme a lui le voci riguardano anche Ignazio Marino e Laura Puppato.
“Come immaginavo, oggi sulla stampa sono iniziate le ipotesi di scissioni e correnti. E mi ritrovo tirato per la giacchetta da una parte e dall’altra. Forse non hanno capito che voglio liberare questa città da cinque anni di scandali e parentopoli. Il mio partito è Roma”, scrive su Facebook il candidato sindaco di Roma.
Smentisce possibili uscite anche la parlamentare veneta. “In merito a quanto scritto oggi sul Corriere della Sera e su Repubblica, smentisco categoricamente di aver lasciato il Pd per essere approdata a Sel”, afferma. “Il Pd – aggiunge – è e resta il mio partito e continuerò al lavorare al suo interno per superare questo difficile momento”.
(da “La Repubblica“)
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Aprile 22nd, 2013 Riccardo Fucile
“SFIDA A GRILLO SUL CAMBIAMENTO: GOVERNO DI UN ANNO, POI PRESIDENZIALISMO”…PARLA SOLO DI STRATEGIE: CONTENUTI ZERO E TANTI LUOGHI COMUNI
«Cambiare il Partito Democratico per cambiare l’Italia». Il giorno dopo l’elezione di Giorgio
Napolitano e le dimissioni in blocco del gruppo dirigente del Pd, Matteo Renzi lancia la sua sfida.
È pronto a candidare il suo progetto a favore di un «nuovo riformismo ».
Vuole un partito rinnovato, capace di interpretare il Paese e che non si paralizzi nella difesa delle «sue correnti».
Il sindaco di Firenze sprona i democratici ad accettare la sfida di un «infingardo» come Beppe Grillo dettando l’agenda del governo che sta per nascere.
«Mettiamoci la faccia anche con un nostro premier» ma indicando le priorità a cominciare dall’emergenza lavoro e senza aver paura del popolo del web. Un esecutivo che duri non più di un anno per poi tornare al voto con una nuova legge elettorale e dopo aver approvato un pacchetto di provvedimenti che diano una boccata d’ossigeno ai cittadini. E magari dopo aver introdotto l’elezione diretta del capo dello Stato. «A questo punto il Pd è in un angolo. O ne esce oppure salta in aria».
E come ne può uscire?
«Partiamo da quel che è successo. Il Pd ha avuto una strategia perdente in quasi tutto. Ha inseguito le formule e i tatticismi regalando la leadership della discussione una volta a Grillo, una volta Berlusconi. Ha rincorso e non ha guidato. Questa è una settimana decisiva per imprimere una svolta».
Intende dire per la formazione del governo?
«Guardi, io sono rimasto sgomento e disgustato per gli insulti ai parlamentari da parte dei grillini. Io difendo Franceschini e Fassina. Ogni forma di violenza va condannata, ma dobbiamo essere noi a uscire dall’impasse. Il Pd dica che governo vuole, eviti le formule. La smetta con gli aggettivi e inizi con i sostantivi. Si faccia avanti con le sue idee. E le imponga al nuovo governo».
Lei ha qualche suggerimento?
«Il problema, quello vero, è il lavoro. Basta con le discussioni tecniche, basta annunciare provvedimenti di legge che poi non si realizzano mai. Bisogna semplificare e sburocratizzare. Nei primi cento giorni di governo si semplifichi la normativa sul lavoro, si proceda con gli sconti fiscali per i neo assunti. La riforma Fornero è un papocchio, non ha agevolato alcunchè».
Vuole misure più liberiste?
«Io voglio qualcosa che crei più occupati, che consenta ai giovani di trovare lavoro e di non essere sballottati tra stage e apprendistato. Su questo si può coinvolgere tutto il partito».
Ma il nodo non è come creare di posti lavoro ma come si licenzia. È l’articolo 18.
«Quando il paese la smetterà di discutere di questo e inizierà a parlare dei 450 mila nuovi disoccupati, allora tutto si potrà risolvere. Il resto è ideologia. Le aziende stanno chiudendo. Dobbiamo semplificare liberando le energie. Il Paese è paralizzato, i cittadini stanno soffrendo. Questa è la vera emergenza».
I cittadini veramente chiedono anche di condividere i sacrifici.
«Io dico: taglio netto non ai costi ma ai posti della politica. Via il finanziamento pubblico dei partiti. Trasparenza nelle spese dei partiti e della Pubblica amministrazione. Io non voglio darla vinta ai grillini. Sugli “open data” siamo più bravi noi. La trasparenza non è lo streaming, non è il Grande fratello, non è la morbosità ma è rendicontare le spese. È sapere cosa ci fa Grillo in Costa Rica».
E tutto questo lo si può fare con un governo insieme a Berlusconi?
«Non mi interessa questa discussione sulle larghe intese o su Berlusconi. Non mi preoccupa il Pdl, con loro abbiamo già fatto un governo. Pensiamo a quel che si deve fare. Tutti sanno che io sono per andare a votare subito, ma è evidente che dopo la conferma di Napolitano al Quirinale le urne sono improbabili. Vogliamo continuare a parlare di questo o di cosa fare? Io preferisco indicare le priorità ,altrimenti buttiamo altri giorni preziosi».
Quanto tempo può durare questo esecutivo?
«Il meno possibile. Diamoci un tempo. Ma se in sei mesi o un anno realizza un po’ di questi interventi, ci guadagna il Pd e il Paese».
Chi dovrebbe presiederlo?
«Intanto mettiamoci la faccia. Non si abbia paura di tutto, non inseguiamo i grillini. Mettiamoci la faccia e diciamo noi quel che va fatto. Poi può presiederlo anche uno d’area centrosinistra, un tecnico o un politico. Certo deve appartenere al nostro mondo, deve essere una persona stimata e godere di consenso. E comunque dimostriamoci leader e non follower. Non si può essere terrorizzati da un tweet. Al primo cinguettio c’è qualcuno che se la fa addosso. Io voglio che i democratici diano la linea al web e non viceversa. I nostri militanti, quelli che si sacrificano, i volontari non vogliono che i loro leader siano impauriti. Non vogliono un partito succube. Puntiamo sulla trasparenza, aboliamo le province, abbattiamo le burocrazie, organizziamo una lotta all’evasione fiscale a tutto campo. Andiamo in Parlamento e vediamo chi è contro, se ne assumeranno la responsabilità ».
Ma il suo partito ora è decapitato. Come può riuscire a imporre uno sforzo di questo tipo?
«Basta non farsi prendere dal panico, e indicare un progetto. Il Pd ha tanti deputati (forse non ne avrà più così tanti), Scelta Civica è disponibile a contribuire. Una base parlamentare c’è».
Perchè non fa lei il premier?
«Il capo del governo lo sceglie il Presidente della Repubblica con le convergenze che si realizzeranno. Il problema quindi non si pone. Il punto è rendere più smart l’Italia. E più aperta».
In che senso?
«Parlavo nei giorni scorsi con Soru e mi diceva che Amazon in Sardegna sta assumendo 600 persone, è l’equivalente della Carbosulcis e nessuno se ne occupa. Google investirà qui nel 2014 due miliardi. Se può discutere? Gli immobili inutilizzati dello Stato possono essere venduti. Se ne può parlare? Gli italiani non toccano i loro soldi perchè hanno paura. Vogliamo fare qualcosa? In cento giorni è possibile far partire una nuova luna di miele con gli italiani. Ma se si fa quel che è giusto».
Lei però deve fare i conti anche con Beppe Grillo che definisce un golpe l’elezione di Napolitano ed espone al pubblico ludibrio qualsiasi progetto.
«Quello è il massimo del centralismo antidemocratico. Dice delle castronerie incredibili, sfidiamolo. Se facciamo le cose, sconfiggeremo anche i grillini. Abolire il finanziamento pubblico non è uno scalpo è la riconciliazione con l’opinione pubblica. Il Pd vince se riesce a essere il centro del cambiamento».
Insomma lei si candida a guidare il suo partito.
«La mia ambizione è cambiare l’Italia e cambiare un partito che riflette sul suo ombelico».
Si candida o no?
«Non so come, non so quando ma io ci sono. Ora non voglio aprire un dibattito su di me, non sono in cerca di una seggiola. Io in questo partito ci sono e ci resterò con Fassina e con Orfini. Non mi candiderò per il gusto di candidarmi. Bersani ha vinto alle primarie ma la sua linea è stata sconfitta. Il partito vuole vincere con una linea diversa? Io ci sono. Vuole proteggere solo la sua classe dirigente? Non ci sono. Vuole cambiare l’Italia? Allora cambiamo il partito per cambiare l’Italia e io ci sono. Rifondiamolo con un riformismo che scalda i cuori, con un’anima. Dobbiamo essere capaci di esprimere un nuovo racconto».
In questo percorso c’è spazio anche per Fabrizio Barca?
«Non ho capito qual è il suo progetto. Ci vedremo. Io voglio un partito che coinvolga le persone e le speranze ideali. Un partito concreto. Su questo anche Barca ben venga».
Il ministro ha ipotizzato di sdoppiare la guida del partito dalla premiership.
«Non è un problema. Io preferisco il modello classico, ma sono pronto a dialogare. Purchè alcuni presupposti siamo chiari».
Quali?
«Si prenda atto che Grillo con parole d’ordine tipo “golpetto” va preso sul serio. Sfidiamolo dicendogli “sei un infingardo”. Tu parli e noi lavoriamo per davvero. Poi Vendola: lui è fuori. Apra il cantiere a sinistra. Una formazione alla mia sinistra non mi fa paura. Noi siamo il Partito Democratico di Obama, di Hollande, di Clinton. Siamo il partito democratico che vince le elezioni».
Un partito di sinistra?
«Certo, un partito riformista e non massimalista. Poi ho mandato un sms a Nichi. Gli ho detto: teniamoci in contatto. Mi ha risposto dicendomi che stava per spedirmi lo stesso messaggio».
Tenersi in contatto per provare a governare insieme?
«Ci penseremo al momento opportuno. Ora pensiamo ad altro. Di sicuro lui ha sbagliato sul Quirinale. Inaccettabile insistere su Rodotà davanti alla disponibilità di Napolitano, una figura di garanzia che ha dimostrato un incredibile senso di responsabilità . Doveva ritirarsi. E poi tutti sapevano che Rodotà non avrebbe comunque avuto i consensi per essere eletto».
Nel frattempo il centrosinistra ha silurato prima Marini e poi Prodi.
«Marini sarebbe stato un passo indietro. Ma quel tifo da stadio era sconvolgente. Io ho difeso Prodi a spada tratta. Non ho avuto paura del web. Il killeraggio nei suoi confronti è venuto da parte degli ex popolari e degli ex Ds. Spero che questa sia stata l’ultima volta di un capo dello Stato eletto in questo modo».
In che senso?
«Spero in modalità diverse. Io sono per il sindaco d’Italia».
Vuol dire l’elezione diretta?
«Perchè no?».
Farà arrabbiare molti dei suoi colleghi di partito.
«Non so se quest’anno ce la faremo perchè è una modifica costituzionale. Ma perchè non coinvolgere direttamente i cittadini evitando questo tifo da stadio? Credo che non ci sia niente di male. Il sistema semipresidenzialista è un punto di riferimento di larga parte della sinistra. Perchè non da noi?»
Nei prossimi dodici mesi forse va cambiata prima la legge elettorale.
«Certo, io adotterei anche in questo caso il sistema dei sindaci. Si sa chi vince, funziona. Poi va bene qualsiasi altra soluzione che dia certezze sul vincitore. L’importante ora è fare qualcosa per gli italiani. Il mio obiettivo, le mie ambizioni sono meno importanti del successo del nostro Paese. L’Italia viene prima».
Claudio Tito
(da “La Repubblica“)
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Aprile 22nd, 2013 Riccardo Fucile
AGLI AVVERSARI INTERNI POCHI MESI FA DISSE: “VI HO IN PUGNO”… INDAGATO PER RICETTAZIONE
Il cassetto dei segreti. O, meglio, dei dossier.
I “souvenir” che l’ex ministro dell’Interno (e poi delle Attività produttive) ed ex presidente del Copasir Claudio Scajola si era portato da Roma a Imperia.
Sono spuntati dalle perquisizioni nell’abitazione e nell’ufficio di Scajola, nell’ambito dell’inchiesta che vede l’esponente del Pdl indagato perchè la somma pagata per i lavori di ristrutturazione di casa nasconderebbe un illecito finanziamento.
A causa di quei documenti, l’ex ministro è ora indagato anche per ricettazione.
Ci sono atti relativi a un procedimento contro Berlusconi, carte del Viminale e note “riservate” dei servizi segreti.
C’è anche un’informativa del 1998, in cui i carabinieri parlano del presunto consumo di cocaina da parte dell’ex deputato Eugenio Minasso, l’attuale principale avversario di Scajola.
La circostanza getta una luce nuova sul clamoroso sfogo dell’ex ministro lo scorso inverno, quando durante un incontro a Genova con gli avversari interni del Pdl, affermò: «So molte cose di voi, ma non le utilizzo».
(da “il Secolo XIX“)
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Aprile 22nd, 2013 Riccardo Fucile
“HO SAPUTO DAI GORNALISTI CHE AVEVANO PREGATO NAPOLITANO DI RIMANERE”… “DOVEVO FORSE CHIEDERE AL PD IL PERMESSO PER ACCETTARE LA CANDIDATURA DEI CINQUESTELLE? MA QUESTI SONO PAZZI”
Succede, purtroppo, di dover disturbare la domenica un signore come Stefano Rodotà per chiedergli
di rispondere ad alcune miserie che sono state scritte sul suo conto in questi giorni di Romanzo Quirinale.
Lo si fa con un certo imbarazzo: non solo considerando la sua persona, ma anche tutti gli altri.
Tutti quelli che in questi giorni lo hanno riconosciuto come simbolo del rinnovamento.
Professore, si è scritto che per la seconda volta lei e Napolitano vi siete trovati a essere rivali per una presidenza. Ci racconta come andarono le cose nel ’92?
Su quella vicenda non sono mai tornato. E, chiariamo subito, non ha mai provocato frizioni tra me e Giorgio Napolitano: io le questioni politiche non le mescolo con quelle personali. Dopo l’elezione di Scalfaro alla Presidenza della Repubblica, Napolitano fu eletto presidente della Camera.
In precedenza ero stato designato dal Pds come candidato alla presidenza di Montecitorio, di cui ero vice-presidente. Sono stato impallinato in parte dai franchi tiratori del Pds e soprattutto dal veto di Craxi.
Ebbi un incontro con Napolitano, perchè i vertici del partito ben si guardavano dal fare chiarezza. Dopo, io ritirai la candidatura e andai a votare per Napolitano. Mi pare tutto chiaro. E poi non è vero, come è stato scritto, che allora lasciai il partito.
Mi dimisi semplicemente dalla presidenza del Pds perchè ero stato candidato e poi non sostenuto dal partito. C’era una contraddizione. Più tardi presentai le mie dimissioni da deputato, furono ripetutamente respinte. Sono rimasto in parlamento fino alla fine della legislatura . Ho detto no a una successiva candidatura, non per risentimento, ma perchè volevo fare altro.
Sabato invece, che è successo?
Sono partito da Reggio Emilia e sono atterrato a Bari dopo le 16. Lì ho saputo che c’era un fatto nuovo, ovvero la candidatura di Napolitano. I giornalisti m’informano della cosa e mi chiedono se intenda ritirarmi: “Apprendo ora di questi nuovi sviluppi, non ho ricevuto nessuna sollecitazione in questo senso, ci sono 1007 grandi elettori e questi voteranno come credono”.
Le hanno rinfacciato di non aver fatto un “gesto di cortesia”.
Ma che vuol dire? Apprendo un fatto dai giornalisti, nessuno — sottolineo: nessuno — mi chiede di ritirarmi. Io non sono in Parlamento, nemmeno potevo discuterne lì. Non avrei certo potuto ritirarmi senza parlare con le persone che avevano proposto e sostenuto il mio nome dalla prima votazione. Non avrei mai sbattuto la porta in faccia al Movimento 5 Stelle o a Sel.
La prima cosa che ho detto sul palco di Bari è stata: “Vorrei dare un saluto al rinnovato presidente della Repubblica”. Una dichiarazione istituzionalmente doverosa, io tengo molto alle istituzioni. Questo rilievo mi pare dunque politicamente infondato ed è una critica personale tutto sommato meschina.
Le è stato rimproverato anche di non aver preso in mano il telefono e contattato il Pd.
Ma per quale ragione dovevo chiamarli io? Il mio telefono e la mia email, durante la campagna elettorale, sono stati largamente contattati. Io, che nelle altre campagne elettorali mi ero molto tenuto in disparte, questa volta, vedendo il rischio, sono intervenuto. E poi guardi: il Pd mi aveva chiesto di candidarmi alle ultime europee, come capolista nel Nord-Est. Ho rifiutato, come ho sempre fatto da quando sono uscito dal Parlamento. Poi, me lo aveva chiesto con grandissimo garbo anche Nichi Vendola. Ma non avevo nessun dovere verso di loro. Dovevo forse chiedere il permesso al Pd per accettare la candidatura del Movimento 5 Stelle? Ma siamo pazzi? Loro credono di essere i proprietari delle vite altrui. Devo spiegare perchè doveva essere Bersani a chiamarmi? Perchè, più o meno responsabilmente, guida un partito e quando si crea una situazione di conflitto tra persone provenienti dallo stesso mondo, è lui che deve prendere l’iniziativa. Sa cosa le dico? Romano Prodi dal Mali mi ha telefonato.
Cosa le ha detto Prodi?
“Stefano, mi dispiace che ci troviamo in una situazione di conflitto”. E io gli ho risposto: “Questa telefonata dimostra di quale spessore politico diverso tu sia rispetto agli altri. Per quel che mi riguarda, ho fatto una dichiarazione concordata con i capigruppo del Movimento 5 Stelle le cui ultime parole sono: ‘Per parte mia non sarò d’ostacolo qualora il Movimento voglia prendere in considerazioni soluzioni diverse’”.
Resta l’inspiegabile fatto che gli uomini del Pd si aspettavano che lei li chiamasse.
Quando hanno bisogno di me si fanno vivi, quando invece io assumo un ruolo rispetto al quale loro dovrebbero esprimersi, scompaiono.
Eugenio Scalfari ha scritto su Repubblica che il suo nome proprio non gli era venuto in mente. Eppure a giugno dell’anno scorso (precisamente il 2, festa della Repubblica, sic) il nostro giornale la intervistò perchè proprio Scalfari aveva parlato di lei per una lista di intellettuali che facessero da “stampella” al Pd.
Sono rimasto molto sorpreso. Ho trovato l’attacco di Scalfari inutilmente aggressivo e del tutto infondato per quanto riguarda i dati di fatto. E il complessivo significato politico di quello che è avvenuto.
Ultima: nessuno ha spiegato perchè il Pd non ha voluto convergere sul suo nome.
Chissà . Forse avevano già definito una strategia che poi si è rivelata rovinosa: io ero probabilmente in rotta di collisione.
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Aprile 22nd, 2013 Riccardo Fucile
TUTTE LE CORRENTI VOGLIONO AVERE VOCE IN CAPITOLO: “MA COSI’ DOVREMMO ANDARE IN QUINDICI…”
La cabina di regia improvvisata del Partito Democratico è in allarme rosso: domani dovrebbero iniziare le consultazioni per il nuovo governo e i Democratici non hanno deciso chi andrà a farle e con quale mandato.
Ieri i leader o aspiranti tali del partito hanno passato la giornata a telefonarsi per venire a capo del rebus.
E alla fine hanno convocato una direzione per domani, con il compito di scegliere chi andrà al Colle e con quale incarico.
Da Costituzione ci vanno sicuramente i capigruppo, Roberto Speranza (fedelissimo di Bersani) e Luigi Zanda (area Franceschini).
Evidentemente impossibilitati in questa fase a rappresentare un partito in frantumi. Andrea Orlando, Stefano Fassina e Matteo Orfini stanno gestendo la trattativa per i Giovani Turchi, poi ci sono gli stessi Zanda e Speranza, oltre a Dario Franceschini e Enrico Letta, parte integrante del caminetto testè impallinato.
Molto attivo in questa fase anche Matteo Renzi, che rivendica il suo diritto ad essere consultato.
Per citare il renziano Paolo Gentiloni : “Nei prossimi giorni bisogna riunire gli organismi dirigenti e trovare una soluzione provvisoria. Congresso a giugno? Francamente non è questo il problema, perchè i nodi politici dietro al problema sono nodi che verranno al pettine prima di giugno. Serve una soluzione provvisoria plurale e non verticistica”.
E infatti la direzione dovrebbe decidere anche i reggenti.
L’ipotesi Letta, in questo momento non sembra proponibile.
E dunque, si va verso una gestione collegiale, magari con i rappresentanti delle varie anime, correnti e sotto-correnti.
Il problema è che sono troppe: “Da Napolitano ci andiamo in 15?”, ironizza qualcuno. Per questo nel bunker bersaniano sperano anche che il segretario dimissionario resti. O almeno che vada a parlare con Napolitano. Difficile pensarlo.
I nodi al pettine sono già venuti e i prossimi stanno arrivando.
“La fiducia a un governo rischiamo di non reggerla”, ammettono nel partito.
Un problema non piccolo anche per farlo il governo, visto che nessuno è pronto a scommettere un euro sulla tenuta dei Democratici.
Sandra Zampa si è autosospesa, dopo la bocciatura di Prodi: “Stavolta non si può fare finta di niente, non si può chiuderla così dopo quello che è successo, andrò avanti fino a che i 101 che non hanno votato per Prodi non avranno detto chi sono e perchè l’hanno fatto”.
Tanto per guardare alle prese di posizione di ieri, a proposito del governo. Rosy Bindi: “Enrico Letta al governo ? Non è il momento. Dobbiamo rimanere contro le larghe intese”.
Franco Marini: “Serve un esecutivo politico”.
Orfini: “Non ci sarà un governo Pd — Pdl”.
Sandro Gozi (prodiano, in questa fase furioso): “La fiducia a un governo politico? Faccio fatica a pensare di non votarla”.
Pippo Civati: “Il governissimo con i politici è l’autodistruzione”.
Per un esecutivo con larga rappresentanza dei partiti stanno lavorando a vario titolo Letta e Franceschini.
Visto che il Pd è evidentemente su posizioni opposte al suo interno capire chi prenderà le decisioni potrebbe essere dirimente per capire quale esecutivo nascerà . “Bisogna anteporre gli interessi del Paese a quelli del Pd, dei gruppi dirigenti. Un minuto dopo la nascita del governo inizierà la fase congressuale del nuovo Pd”, spiega il lettiano Boccia.
Dopo la direzione di domani dovrebbe rapidamente essere convocata un’Assemblea nazionale, quella dei 1000 delegati, per dare il via ufficialmente alla fase congressuale.
Ma sorge una nuova questione: in direzione molti dei giovani che hanno vinto le primarie e sono diventati parlamentari non sono rappresentati.
E allora si pensa anche a fare una riunione dei gruppi, nella speranza di governarli. Molti di questi giovani non hanno votato per Marini nè per Prodi. In buona fede.
E in parte magari manovrati.
Un’altra colpa che in questi giorni si fa a Bersani: aver portato in Parlamento gente senza esperienza e non controllabile.
Wanda Marra
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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