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I SOLITI VECCHI RICATTI DELLO STATISTA PER UN GIORNO

Maggio 8th, 2013 Riccardo Fucile

NON REGGE L’ALLEANZA TRA DUE PARTITI SCONFITTI: PDL E PD INSIEME HANNO PERSO 10 MILIONI DI VOTI

L’abito solenne dello statista e padre della patria, indossato per la cerimonia quirinalizia delle larghe intese, è già  svanito.
Il re torna come sempre nudo.
Sono bastate due votazioni a vuoto per la commissione giustizia al Senato.
Lì dove il Pdl vorrebbe piazzare Nitto Palma.
Così è stato cancellato a un tratto il clima di pacificazione nazionale fra destra e sinistra tanto invocato da Berlusconi e dai cantori al seguito. I toni sono subito tornati quelli da piccola guerra civile, con Gasparri che grida al tradimento di un non ben precisato patto e Schifani che minaccia addirittura la caduta del governo.
Ammesso che si possa considerare una minaccia.
Nessuna sorpresa, in tutti i sensi. Non meraviglia che il nome di Nitto Palma, figura forse non esemplare di magistrato politicizzato – esistono anche a destra – e di ex guardasigilli, abbia provocato qualche crisi di coscienza fra i votanti del Pd.
Tanto meno stupisce che la destra berlusconiana possa evocare (già !) la fine della maggioranza sul tema della giustizia, guarda caso.
Il più importante per Berlusconi, insieme all’andamento delle aziende, le quali però da quando c’è il governissimo hanno guadagnato un bel trenta per cento in Borsa.
Così, dopo aver fatto incetta di dicasteri chiave nel nuovo governo, a cominciare dagli Interni occupati da Alfano, il Cavaliere si è lanciato con scatto da vero caimano sulle più importanti commissioni parlamentari.
E la giustizia, per lui, è la più importante di tutte. Se il Pd non cede sul nome di Palma, il governo Letta rischia di non finire l’estate. Questo è il ricatto.
Il primo probabilmente di una lunga serie.
Con tanti saluti all’emergenza disoccupati, esodati, cassintegrati, ai poveri giovani precari, ai piccoli e medi imprenditori in difficoltà  e a tutta l’umanità  dolente della quale è bello riempirsi la bocca nei salotti televisivi.
Il Pd ama essere ricattato e magari cederà , ma non è questo il punto.
La questione è se e quanto un governo nato dall’emergenza ed eletto da nessuno, con la missione quasi impossibile di uscire da una lunga crisi, possa e debba venir condizionato dagli interessi personali del suo azionista di minoranza.
Quanto l’agenda di Enrico Letta, modellata sull’urgenza assoluta di riforme economiche e istituzionali, possa e debba tener conto dell’agenda parallela di Berlusconi, con i soliti temi e problemi di sempre, le solite poltrone dove piazzare le stesse facce.
Sinistra e destra si sono messe insieme, così hanno detto, per fare ciò che non sono riuscite a fare quando erano separatamente al governo.
Ridurre le tasse e gli sprechi di danaro pubblico, riformare le istituzioni e provare per una volta a lanciare una seria politica industriale che manca da un ventennio.
Già  sulla base di questo nobile proposito è difficile, soprattutto per il Pd, far accettare un’alleanza anomala e contro natura democratica.
Per giunta un’alleanza fra sconfitti, visto che i due partiti maggiori alle ultime elezioni hanno perso insieme oltre dieci milioni di voti.
Ma se poi al programma ufficiale si sostituisse la pura e semplice occupazione di potere da parte della stessa nomenclatura che gli italiani a febbraio hanno cercato pur confusamente di spedire a casa, allora saremmo al delirio.
La strada del governo Letta sarà  forzatamente un cammino di compromessi.
Ma, se esiste un terreno sul quale è impossibile per l’opinione pubblica di sinistra accettare il minimo compromesso con Berlusconi, questo è proprio la giustizia.

Curzio Maltese
(da “La Repubblica“)

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INTERVISTA A CIVATI: “IL NO A NITTO PALMA SOLO UNA RIDUZIONE DEL DANNO”

Maggio 8th, 2013 Riccardo Fucile

“PER IL PD C’E’ UN LIMITE DI DIGNITA’ DA NON VARCARE”… “IMPOSSIBILE VOTARE CHI APPOGGIO’ LA RIVOLTA DI MILANO”

«Almeno, il no a Nitto Palma è una riduzione del danno. Troppi bocconi amari il governissimo ci costringe ad ingoiare. E tanti, temo, ne verranno. Però, per il Pd c’è un limite di dignità  da non varcare»
Cosa rischia il Pd, onorevole Pippo Civati?
«Che i mal di pancia si trasformino in voti apertamente contro l’esecutivo Letta. E non mi vengano a parlare di “spiacevoli sorprese” per le presidenze di commissione ».
A cosa si riferisce?
«Ma come si fa a votare Formigoni all’Agricoltura? Quasi non ci credevo. Due sere prima, Report aveva fatto a pezzi il suo gigantesco sistema di potere lombardo, poi come se niente fosse eccolo eletto a Palazzo Madama. Forse non bastava avere al governo già  altri due di Comunione e Liberazione, Lupi e Mauro».
Prezzi da pagare per l’accordo di governo col Pdl?
«Purtroppo, ed era del tutto prevedibile. Cambiali pesanti, tanto da pensare di spedire una come la Biancofiore alle Pari Opportunità . Ovvio, poi, il patatrac. Ma del resto se Berlusconi può candidarsi a guidare la convenzione per le riforme, tutto è possibile».
In commissione Giustizia il Pd però ho votato no a Palma.
«Giustissima la linea di Casson e degli altri senatori. Palma è l’uomo, anzi il magistrato, che appoggiò i parlamentari pdl che hanno invaso il Palazzo di giustizia di Milano. Spero solo che il no alla sua presidenza della commissione, tenga».
Pensa che possa passare comunque?
«Registro che, progressivamente, la soglia di tolleranza del Pd si va abbassando nei confronti del centrodestra».
Il Pdl accusa il Pd di non aver rispettato i patti, minaccia ripercussioni sul governo.
«Non sono la persona adatta a rispondere. Per me, il governissimo di Letta dovrebbe andare via prima possibile. Magari dopo aver realizzato e portato a casa tutto il meglio possibile per il paese. Efficacissimo ma che duri pochissimo».
E intanto?
«Su giustizia, corruzione e conflitto di interessi il Pd non accetti cedimenti. Almeno su questi punti riduciamo il danno del governo delle larghe intese».
Anche qui teme compromessi al ribasso?
«Trecento parlamentari hanno aderito ieri all’iniziativa contro la corruzione lanciata da don Ciotti e Libera con i “braccialetti bianchi”. A vedere tanta partecipazione, non dovrebbero esserci problemi a stroncare il voto di scambio. O no?».

Umberto Rosso

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E ORA BERLUSCONI AFFONDA LA CONVENZIONE, CON UN PD FRAMMENTATO NESSUNO AVREBBE POTUTO GARANTIRGLI LA PRESIDENZA

Maggio 8th, 2013 Riccardo Fucile

SUL CASO NITTO PALMA REAZIONE DURA, MA NESSUNA ROTTURA SUL GOVERNO

Alle barricate sulla candidatura di Nitto Palma in commissione Giustizia.
Una questione di principio, per Silvio Berlusconi: «Abbiamo ceduto sulla Biancofiore, non possiamo dare altri segnali di debolezza».
Basta, porgere l’altra guancia a un Pd che ormai non garantisce più i patti, come ha quasi urlato Verdini a Zanda dopo la doppia bocciatura di ieri al Senato.
Il Cavaliere rientra a Roma, rinvia il vertice con lo stato maggiore del Pdl alla giornata campale di oggi, prima che al Senato si riapra la battaglia sulla Giustizia.
Nervi a fior di pelle.
Il partito insisterà  sull’ex Guardasigilli e se non la spunterà  alla terza, decisiva votazione, allora Berlusconi alzerà  i toni, ma non fino alla crisi.
Sebbene lo sfogo di ieri sera coi suoi sia stato assai amaro, sulla tenuta dell’esecutivo: «È sempre più evidente che questo governo durerà  il minimo indispensabile. Non più di un anno. Con questa sinistra non si possono fare accordi di lungo periodo».
Ora si pretendono risposte immediate su Imu, stop all’Iva, esenzioni per chi assume. Ma senza staccare la spina.
È stata ridimensionata di molto l’uscita elettorale di sabato a Brescia, niente piazza, solo comizio in teatro.
Ma una prima conseguenza il caso Nitto Palma la provoca.
L’ex premier vuole ufficializzare la rinuncia alla convenzione sulle riforme.
Non solo alla presidenza – che il Pd gli nega – ma allo strumento stesso della commissione per riscrivere la Costituzione.
«Il Pd è fuori controllo, sono incapaci di garantire alcunchè in Parlamento, figuriamoci in una convenzione » è il ragionamento raccolto da chi è andato a Palazzo Grazioli.
«Le riforme, se ne avranno voglia, le faremo nelle commissioni alle Camere, alla luce del sole».
Non è un caso se ieri il Pdl abbia ufficializzato l’inserimento del leader agli Affari costituzionali al Senato.
Il fatto è che in un quadro così frammentato, nessuno avrebbe potuto garantirgli davvero la presidenza della convenzione, semmai i vertici pro tempore del Pd gliel’avessero concessa.
Alle barricate su Nitto Palma dunque Berlusconi ci va perchè ancora turbato dalla sostituzione delle deleghe del sottosegretario Biancofiore senza essere stato nemmeno consultato. Ma non per la figura in sè del senatore: vicino a Previti e «protetto» da Verdini, più che un suo fedelissimo.
E poi, il Cavaliere è concentrato più che altro sui processi e le due imminenti sentenze.
Alla lunga intervista di ieri in seconda serata al Tg5, seguirà  stamattina (a Mattino5) una nuova uscita, il martellamento ormai sarà  incessante.
«Dal secondo grado del processo Mediaset mi aspetto un’assoluzione totale perchè il fatto non sussiste o per non aver commesso il fatto, se i giudici saranno integerrimi – spiegava ieri in tv – Se invece mi troverò di fronte a un collegio dominato da giudici politicizzati, allora potrà  aversi ancora una sentenza come quella di primo grado, fatta apposta per eliminare l’avversario politico. Accade così dal ’94».
E mentre i giochi sono ancora aperti su Nitto Palma, con questi chiari di luna nel Pdl viene considerata a rischio pure l’elezione di Daniela Santanchè alla vicepresidenza della Camera (al posto del neo ministro Lupi).
Lei coi colleghi si dice fiduciosa, certa dei voti di Pdl, Scelta civica e di «un centinaio del Pd».
Ma nel segreto dell’urna tutto può succedere.
Laura Ravetto, che il Pdl aveva re-indicato per il posto di segretario d’aula, ha declinato l’offerta.

Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica“)

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“VENGO ANCH’IO”, “NITTO NO”

Maggio 8th, 2013 Riccardo Fucile

STOP ALL’EX GUARDASIGILLI ALLA COMMISSIONE GIUSTIZIA DEL SENATO… PDL: “VIOLATI I PATTI”… OGGI ALE 15 SI REPLICA

E ora il Cavaliere è davvero arrabbiato.
L’accordone spartitorio Pd-Pdl sulle presidenze delle commissioni parlamentari ha tenuto su tutte le caselle — in verità , un po’ a fatica per quella di Altero Matteoli alle Comunicazioni di Palazzo Madama — tranne che per l’unica che lui giudica davvero fondamentale: la commissione Giustizia del Senato.
Il suo candidato, l’ex Guardasigilli e commissario Pdl in Campania Francesco Nitto Palma, è stato affossato ieri per ben due volte: gli servivano 14 voti, la maggioranza assoluta, ne ha avuti prima 12 e poi 13, conditi da 14 e 13 schede bianche.
Si replica oggi, ma già  ieri pomeriggio Silvio Berlusconi ha inviato Denis Verdini sul luogo del delitto per chiarire che così non va e che se il Pd non ci mette una pezza rischia pure il governo. “È un fatto politico, una cosa organizzata: ciascuno si prenderà  le sue responsabilità ”, sibilava un incattivito Renato Schifani; “questo è inaccettabile: ora è chiaro a tutti chi viola i patti e chi li rispetta — si lamentava Maurizio Gasparri — Il Pdl è un partito serio, il Pd è il regno del caos”.
Il problema se l’è posto anche il Quirinale che ieri sera, ascoltato il premier Letta sul tour europeo appena concluso con un certo successo, ha mostrato preoccupazione per l’incaglio sulla giustizia che mette a repentaglio il governo appena varato e per la “tenuta” del Pd.
L’accordone sulla giustizia prevedeva che quella poltrona fosse appannaggio di due ex magistrati: Donatella Ferranti del Pd alla Camera e Palma, appunto, in Senato.
È successo però che ieri mattina Felice Casson e gli altri 7 componenti della commissione Giustizia del Pd (Rosaria Capacchione, Giuseppe Lumia, Luigi Manconi, Sergio Lo Giudice, Monica Cirinnà , Nadia Ginetti e Rosanna Filippin) abbiano avvertito il loro capogruppo Luigi Zanda che loro Francesco Nitto Palma non lo avrebbero votato: “Ma come? Abbiamo fatto un accordo”, ha replicato il tapino. Niente.
Quelli non si sono smossi e Zanda ha dovuto avvertire la controparte Pdl.
Qui il racconto si complica. Sì, perchè i conti dei voti non tornano.
La commissione ha 26 membri: 8 Pd, 7 Pdl (tra cui l’ex sottosegretario Caliendo, coinvolto nelle indagini sulla P3, e l’avvocato del Cavaliere Niccolò Ghedini, entrambi tra i “papabili” in caso di rinuncia di Palma), 4 del M5S, 2 della Lega, 2 di Scelta civica più uno ciascuno di Autonomie, Sudisti e Sel.
A favore di Palma hanno votato di sicuro il suo partito, i montiani, il sudtirolese Zeller e Barani (che è sudista, ma in prestito dal Pdl): fanno 11 voti, vale a dire due in meno di quelli effettivamente ottenuti dall’ex ministro.
Di chi sono quei due voti?
Difficile a dirsi: o vengono dal Pd o dalla Lega, schierata ufficialmente su “scheda bianca”. Casson non ha dubbi: “Il Pd ha votato compatto”.
Il Carroccio, spiega una fonte, ha votato Palma dalla seconda votazione alla chetichella. Come che sia, ora la partita è aperta.
Dalla terza votazione infatti, secondo il regolamento, il presidente della commissione si elegge a maggioranza semplice dei presenti: se nessuno la ottiene, si va al ballottaggio tra i due più votati e, in caso di ulteriore parità , vince il più vecchio.
Quindi? Visto che il Cavaliere sembra non voler cedere su Palma, gli scenari possibili sono due: Pd, M5S e Sel continuano con le schede bianche (“e magari uno o due tra i meno barricadieri escono dall’aula”, prevede qualcuno) e dunque Palma viene eletto per quanto in un modo un po’ imbarazzante, oppure i democratici presentano un loro candidato da contrapporre a quello berlusconiano e se la giocano al ballottaggio.
Il nome che circola, nel caso, è quello di Luigi Manconi, non sgradito al centrodestra per le sue posizioni garantiste e che ha pure il vantaggio di essere di due anni più anziano di Palma.
“È chiaro che se insistono su quel nome rischiano il blitz”, ammettono dal gruppo del Pd.
Ma questo candidato alternativo c’è o no? Mistero.
Ieri pomeriggio Felice Casson, dopo una breve chiacchierata coi collegi 5 Stelle, lo dava per certo con le agenzie.
Poi, dicono, è stato invitato a chiarire: non ho mai detto che presenteremo un candidato, ha scritto in una nota, “l’unica dichiarazione che ho fatto è che noi siamo per un candidato condiviso”.
A complicare di più la situazione ci si è messa pure Scelta civica: “Se domani (oggi, ndr) il Pd non garantisce che voterà  Palma, allora non lo voteremo nemmeno noi”, dice Gianluca Susta, che siede in commissione assieme ad Andrea Olivero.
L’interessato non si dà  pace: “Davvero non capisco la ragione di un simile atteggiamento”.
Farà  un passo indietro? “E perchè mai dovrei farlo? C’era stato un accordo che il mio partito ha rispettato anche dopo che il Pd lo aveva violato. E poi di cosa sarei accusato? Di essere berlusconiano? Di non essere preparato? Di essere divisivo?”.
Il gran finale oggi alle 15.

Marco Palombi
(da “Il Fatto Quotidiano“)

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IGNAZIO LA RUSSA, ECCO L’OPPOSIZIONE A BERLUSCONI

Maggio 8th, 2013 Riccardo Fucile

PRIMA E’ STATO INSERITO CON UN ESCAMOTAGE DAL PDL CHE GLI HA CEDUTO UN POSTO E POI E’ STATO NOMINATO PRESIDENTE DELLA COMMMISSIONE PER LE AUTORIZZAZIONI A PROCEDERE

Più che un inciucio, stavolta si tratta di una mascherata.
Nel senso che partiti di maggioranza mascherati da opposizione tentano di ottenere (e in alcuni casi ottengono) prestigiose poltrone di presidenze di commissioni attraverso scandalosi tatticismi.
Così, mentre al Senato volavano gli stracci sulla Giunta per le autorizzazioni dopo che il Fatto ha svelato l’intenzione del Pdl di giocare sporco per tutelare Berlusconi spingendo per una presidenza a Raffaele Volpe della Lega (la decisione, visto il caos, è stata rinviata “a data da destinarsi”), alla Camera andava in scena una performance degna della peggior Prima Repubblica.
Complice anche un’inesperta Laura Boldrini, che si è prestata al gioco, il Pdl ha ceduto un seggio della Giunta per le Autorizzazioni di Montecitorio a Fratelli d’Italia, nella persona di Ignazio La Russa, che altrimenti non avrebbe avuto diritto ad avere un proprio componente nell’organismo di garanzia.
Il fatto è che questo “passo indietro” del Pdl, giustificato nella Conferenza dei capigruppo come magnanimo atto di apertura alla rappresentatività  di chi, altrimenti, non ci sarebbe stato, ha consentito ai berlusconiani di ottenere per l’amico di sempre ex ministro della Difesa dell’ultimo governo del Cavaliere, prima uno scranno, poi niente di meno che la presidenza della medesima Giunta.
La Boldrini, che ha consentito tutto questo, si è auto assolta, sostenendo che far posto a La Russa, in prima battuta, non avrebbe determinato una alterazione significativa della rappresentanza degli arcoriani nell’organismo di garanzia (che passava così da 3 componenti a 2), nè si determinava un disequilibrio tra maggioranza, con 14 seggi, e opposizione, a cui spettano 7 seggi.
Il problema non era certo questo, ma in Presidenza della Camera si sono comunque affrettati a giustificare che si è trattato di una concessione del tutto eccezionale in quanto avanzata in fase costituente dell’organismo.
Se fosse stato dopo, sarebbe stata considerata illecita.
Peccato che a loro (il Pdl) servisse proprio in questa fase e solo per dare ad una figura amica un ruolo tanto delicato: “Sono molto soddisfatto — ha infatti commentato, gaudente, lo stesso La Russa — spero di ricambiare la fiducia che gli altri gruppi mi hanno dato riconoscendo la mia esperienza e competenza nella materia, essendo io avvocato”.
La sostanza politica è evidente: le Giunte per le autorizzazioni, nell’ottica del Pdl e in entrambi i rami del Parlamento, servono soprattutto a fare scudo ai parlamentari di area implicati in procedimenti giudiziari, in odore di condanna o già  condannati e in attesa della definizione dei processi in Cassazione.
E se La Russa dovrà  fare da scudo a personaggi come Antonio Angelucci, Debora Bergamini, Luigi Cesaro, Raffaele Fitto e Daniela Santanchè, di sicuro la presidenza della Giunta del Senato è una poltrona da non mollare per nessun motivo, visto il calibro degli elementi da tutelare.
Da Verdini e Schifani, da Tremonti a Formigoni sono tanti i senatori di “peso” sugli scranni di Palazzo Madama.
Soprattutto, buon ultimo, Berlusconi in persona, che presto potrebbe essere condannato in via definitiva con annessa interdizione dai pubblici uffici, fatto che darebbe alla Giunta l’arduo compito di rallentare il più possibile la presa d’atto della sua (ovvia) decadenza da parlamentare con relativa incandidabilità  a vita.
Ecco perchè non si può certo lasciare ad un grillino come Michele Giarrusso o come Dario Stèfano di Sel la suddetta carica.
Di qui una guerra intestina, con gli uomini di Vendola decisi a non mollare e la Lega sulle barricate.
Oggi il prossimo round.

Sara Nicoli
(da “il Fatto Quotidiano“)

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MATTEOLI, L’EX COLONNELLO DI AN PER LE TELEVISIONI DI SILVIO

Maggio 8th, 2013 Riccardo Fucile

IL “SOCCORSO ROSSO” QUANDO FU INDAGATO PER FAVOREGGIAMENTO, IL FIGLIO ASSUNTO DA ALITALIA, L’ATTACCO AI FINANZIERI TROPPO ARROGANTI, LA LAUREA AD HONOREM

Altero Matteoli, a volte, fa il simpatico: “Ho due figli, Federico e Federica, un terzo figlio non avrei saputo come chiamarlo”.
Quando non è di buon umore, e le cronache, mica di rado, lo spingono a rettifiche o rattoppi, l’ex ministro va di intercalare: “Cazzate”.
A 72 anni, abbandonata la penombra che avvolge i furono colonnelli di Gianfranco Fini, l’hanno nominato presidente di commissione al Senato: Lavori pubblici e Comunicazioni, cioè televisioni, l’eterno conflitto di Silvio Berlusconi.
Il Cavaliere preferiva Paolo Romani, ma il tempo — e le manovre felpate — sanno premiare l’abile Altero, toscano di Cecina, pescatore non convenzionale (“Sì, a volte senza licenza”), guidatore non prudente (“Eleviamo il limite a 150 km/h”).
Per far infuriare Matteoli, a capo dei ministeri di Ambiente e Trasporti, in Parlamento dal 1983 sempre a destra, va ricomposta un’inchiesta fatta a brandelli, fra rimpalli a colpi di codice e rivolte a colpi di casta.
Un giorno di dieci anni fa, allora guidava il dicastero verde, Matteoli chiese al prefetto di Livorno se fosse indagato per abusi edilizi all’Isola d’Elba.
Il prefetto, furbo, s’allarmò. E Matteoli fu indagato per favoreggiamento e rivelazioni di segreti d’ufficio.
Il pubblico ministero di Livorno chiese l’archiviazione, ma il giudice per le indagini preliminari non sigillò il fascicolo — smistato dal Tribunale dei ministri di Firenze per incompetenza territoriale — senza ottenere l’autorizzazione a procedere dai colleghi deputati e senatori perchè non riteneva che la telefonata rientrasse nelle funzioni di un componente di governo.
La protezione soccorse Matteoli, e fu di colore rosso, quel colore che per anni, da consigliere comunale e provinciale in Toscana, aveva combattuto.
La Camera, presieduta dal comunista Fausto Bertinotti, sollevò il conflitto d’attribuzione dinanzi alla Consulta: i fatti contestati riguardano il cittadino Altero Matteoli (prese il nome dal nonno, pare fosse il primo veterinario pisano) o il ministro Altero Matteoli?
La Giunta di Montecitorio, però, fu inflessibile: avvertivano un certo fumus persecutionis.
La Corte costituzionale annullò anche il rinvio a giudizio. E così, planata a Cecina, l’inchiesta è finita con il proscioglimento di Matteoli che, non contento, voleva un risarcimento di 230.000 euro dallo Stato per le spese legali.
Al ministero dell’Ambiente, in carta raccomandata, gli hanno rammentato che non è mai andato in udienza. L’ha presa male, ancora: “È stato un calvario”.
Quando vuole, il presidente — questo è l’ultimo titolo — riesce a stupire.
Da ministro dei Trasporti al salone nautico di Genova, dove finanziari e imprenditori si riflettevano sui barconi arredati con quadri di Picasso (e non è un modo di dire), se la prese con i controlli dei finanzieri: “Sono sacrosanti, ma in alcuni casi i militari si sono comportati con poca civiltà  e un po’ di arroganza. Non parlo tanto delle verifiche sui maxi-yacht, ma di barche normali, magari ferme nei porti dove ci sono state operazioni a tappeto”.
Coincidenza: qualche giorno prima, i finanzieri avevano visitato l’imbarcazione dei figli di Matteoli, non proprio una carretta, di 11 metri.
La reazione? Facile: “Non ne posso più di queste cazzate. Federico e Federica hanno una barca normale ormeggiata in Toscana. (…) Non me l’ha detto mio figlio. Mi ha avvertito un ufficiale. Altre persone mi avevano raccontato di comportamenti un po’ arroganti dei finanzieri”.
Con la stessa gradazione di rabbia, Matteoli liquidò le domande su Federico, pilota di Md80 (ora pensionati), che fu assunto in Alitalia nel 2002 durante il blocco delle assunzioni: ma sembra soltanto un bisticcio linguistico.
Una mattina di luglio, il rigido Altero, detto Attila, seppe invocare perdono con dolcezza e la firma a tre assieme a Maurizio Gasparri e Ignazio La Russa.
Furono beccati a sparlare su Gianfranco Fini.
Il testo, a tratti, commosse: “Per questo non possiamo che chiederti scusa e, dal punto di vista politico, rimetterci a ogni tua decisione”.
S’è visto com’è andata a Fini.
Matteoli conosce l’evoluzione cronologica, mentre il Parlamento s’affanna a trattare per il governo e il Quirinale, lui scongiurava Mario Monti di non cassare la società  per lo Stretto di Messina perchè “l’opera va fatta e si può”.
Ha siglato anche l’accordo per il Tav fra Torino e Lione. Non è un politico prematuro. La gavetta l’ha fatta sino in fondo.
Da ragioniere, l’Università  di Perugia — “grata per aver ricevuto vari finanziamenti” — gli conferì la laurea ad honorem in Ingegneria.

Carlo Tecce
(da “il Fatto Quotidiano“)

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IL NUOVO CHE NON AVANZA: I RIPESCATI DOPO IL FLOP ELETTORALE

Maggio 8th, 2013 Riccardo Fucile

NUOVE CARICHE DOPO LA BOCCIATURA: DALLA REGIONE LOMBARDIA AL GOVERNO LETTA, IL VIZIO BIPARTISAN DI RESTARE SEMPRE IN CARICA

Il nuovo che avanza, in Lombardia, ha il volto di Romano Colozzi da Cesena.
Sessantatrè anni, è in politica da trentotto. Ha cominciato con la Dc nel consiglio comunale della sua città  natale, 1975.
Nel 1990 è sbarcato nel consiglio regionale dell’Emilia Romagna, per diventare sei anni dopo consulente di Roberto Formigoni.
Da allora è stato la sua ombra più cara, quella che aveva in tasca le chiavi della cassaforte regionale. Assessore al bilancio e alle finanze per due mandati, Colozzi non ha mancato di collezionare anche incarichi nazionali: dall’Unione incremento Razze equine all’Agenzia del farmaco, al cda della Cassa depositi e prestiti.
Una volta tramontato il regno di Formigoni poteva forse restare senza uno strapuntino? Eccolo dunque segretario generale del consiglio regionale. E pazienza se non conta come un assessorato: sempre un posto è.
RIPESCATI
Anche Andrea Gibelli, in Lombardia, è il nuovo che avanza.
Leghista a quattro ruote motrici, è stato deputato per una decina d’anni, durante i quali ha beccato un paio di cartellini rossi.
L’ultimo nel 2007, quando era capogruppo del Carroccio durante una clamorosa protesta in aula contro l’indulto culminata nell’ostensione di un cartello con su scritto: «Governo fuori dalle balle».
Governo Prodi, naturalmente.
Dopo la Camera, l’approdo nel consiglio regionale e l’ingresso nella giunta, nientemeno che come vice di Formigoni.
Alle elezioni politiche di febbraio ha tentato di tornare a Montecitorio ma è stato trombato.
Non restava, a quel punto, che sperare in un ripescaggio. Puntualmente arrivato: il successore di Formigoni, Roberto Maroni, suo compagno di partito, l’ha nominato segretario generale della giunta.
UN «VIZIO» BIPARTISAN
Ma dopo le elezioni ripescare è lo sport più praticato in tutti gli schieramenti.
Prendete Alessio D’Amato, già  consigliere regionale della sinistra per due legislature fino al 2010: il governatore Nicola Zingaretti l’ha messo a capo della cabina di regia per la sanità . Antonio Rosati è invece il nuovo commissario dell’Arsial, l’agenzia di sviluppo dell’agricoltura della Regione.
Nella giunta provinciale di Roma guidata da Zingaretti era assessore: al Bilancio.
C’è poi chi dalla Regione Lazio, seguendo il modello lombardo, non si è mai mosso.
Per esempio Roberto Buonasorte, ex componente del consiglio azzerato dallo scandalo di Batman & co di cui presiedeva la commissione urbanistica.
Esperto del ramo, in quanto titolare di una piccola impresa di costruzioni.
Il suo partito, la Destra, l’aveva candidato al Senato: ma nonostante il cognome ben augurale è stato trombato.
Ora farà  il capo della segreteria dell’ex governatore Francesco Storace. Meglio che a spasso: paga sempre la Regione.
NEL GOVERNO
Sorte decisamente migliore ha avuto Sabrina De Camillis. E dire che per lei s’era messa proprio male.
Candidata alla Camera in Molise per il Pdl, non ce l’ha fatta per uno strano scherzo del destino: il seggio che doveva occupare è andato a un eletto dell’Umbria.
Non ha abbozzato, scatenando una tempesta di ricorsi. Prima di essere recuperata, a sorpresa, addirittura nel governo di Enrico Letta.
Sottosegretaria alla presidenza del Consiglio delegata ai Rapporti con il parlamento, nientemeno.
Difficile che possa recriminare.
FEDELI E FEDELISSIME
L’ex senatore pidiellino Giampaolo Bettamio ha invece tutte le ragioni per lamentarsi. Dopo che Franco Carraro gli aveva soffiato il seggio, poteva almeno aspirare a essere riciclato in Senato come direttore «esterno»del gruppo del Pdl. Ma è andata male.
Il nuovo capogruppo Renato Schifani ha preferito puntare sulla continuità  garantita dalle sue fedelissime.
Come Daniela Lucentini, preziosa contabile di fiducia, sotto la sua precedente presidenza, prima del gruppo di Forza Italia quindi del Pdl.
E Annamaria Palma, sua ex capo di gabinetto da presidente del Senato, incidentalmente consorte dell’ex sottosegretario alla Salute Adelfio Elio Cardinale.
E la fidatissima segretaria personale Letizia Cicinelli, incidentalmente compagna dell’ex sottosegretario, ex dirigente di palazzo Madama ed ex senatore, nonchè attuale presidente della Consob Giuseppe Vegas.
E l’ascoltatissima consulente per la comunicazione culturale Tiziana Ferrari, cittadina svizzera.
E l’esperta delle relazioni esterne Alessandra Necci, scrittrice e figlia dell’ex capo delle Ferrovie Lorenzo Necci.
Alla sua vice Simona Vicari, invece, dovrà  probabilmente rinunciare: è entrata anche lei nella squadra di governo, come sottosegretario allo Sviluppo, ministero competente per l’energia.
Al Senato la senatrice del Pdl era stata collocata dal presidente Schifani alla guida del comitato per il risparmio energetico.

Sergio Rizzo
(da “il Corriere della Sera“)

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IMU, PRESSING DELL’EUROPA SULL’ITALIA: “DITECI ENTRO UNA SETTIMANA COME COMPENSERETE IL BLOCCO DELL’IMU E DELL’AUMENTO DELL’IVA”

Maggio 8th, 2013 Riccardo Fucile

“ENTRO META’ MESE VOGLIAMO VEDERE I CONTI AGGIORNATI CON INDICATE LE COMPENSAZIONI”

Passano i giorni ma il nodo dell’Imu (abolizione, rinvio, soppressione, restituzione?) non si scioglie, anzi si aggroviglia un po’ di più.
Lunedì è entrata in campo anche l’Unione europea: Bruxelles, ha scritto l’agenzia Ansa citando fonti interne alla Commissione Ue, si aspetta entro metà  mese che il governo italiano presieduto da Enrico Letta presenti il programma di stabilità  aggiornato, con le compensazioni dell’abolizione dell’Imu e del rinvio dell’aumento dell’Iva.
D’altronde sul fronte finanziario il governo deve subito mettere in campo alcune misure.
Oltre a Imu e Iva, ci sono anche da trovare le risorse per la Cassa integrazione in deroga. In tutto si tratta di un pacchetto da circa 6 miliardi di euro, che dovrebbe prendere la forma del decreto legge.
LAVORO
Ma non c’è solo il fronte conti pubblici, c’è anche quello dell’emergenza lavoro, come hanno ricordato sia il presidente della Banca centrale europea Mario Draghi («Rischi di proteste distruttive a causa della disoccupazione») sia lo stesso Enrico Letta nell’incontro con il premier spagnolo Mariano Rajoy, in cui si è deciso di creare una task force congiunta italo-iberica per il lavoro: «Quello della disoccupazione giovanile è il tema centrale. La lotta alla disoccupazione deve essere l’ossessione principale dell’Europa». Letta ha voluto anche rassicurare l’Europa sul fatto che l’Italia assolverà  ai suoi obblighi.
ENTRATE
Ma la situazione si presenta comunque incerta: segnale di queste incertezze è il dato sulle entrate tributarie nel primo trimestre: ammontano a 87,7 miliardi di euro con una flessione dello 0,3% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.
Lo ha comunicato il ministero dell’Economia commentando però che nonostante la crisi «il gettito tiene».
Tra le ipotesi che si cerca di verificare in queste ore, anche la possibilità  di chiedere più tempo per il pareggio strutturale.
Ma da Bruxelles arrivano segnali non positivi rispetto a questa ipotesi.
«Per l’Italia raggiungere il pareggio di bilancio strutturale è molto importante alla luce del debito molto elevato del Paese», ha detto il portavoce del commissario Olli Rehn. «L’abrogazione della procedura per deficit eccessivo richiede un deficit sotto il 3% per quest’anno e per il prossimo, quindi guardiamo soprattutto a questo e insistiamo che il programma di consolidamento dei conti sia accompagnato dalle riforme essenziali per rafforzare l’economia italiana», ha aggiunto il portavoce di Rehn.

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NUOVI TAGLI AI SERVIZI E VENDITA IMMOBILI PER TROVARE SEI MILIARDI

Maggio 8th, 2013 Riccardo Fucile

NUOVA SPENDLING E FONDO IMMOBILI, IL GOVERNO ALLA RICERCA DI QUATTRINI… PIU’ TEORIE CHE CERTEZZE

Si aggrava la recessione in Italia, mentre il governo accelera per il varo della manovra in due tempi: un primo decreto, a giorni, per sospendere l’Imu, finanziare gli ammortizzatori sociali e forse per le prime misure a sostegno dell’occupazione giovanile; un secondo per scongiurare l’aumento dell’Iva nel mese di giugno.
Si cominciano intanto a delineare le coperture per finanziare il pacchetto di 5-6 miliardi necessario a varare i due provvedimenti.
In primo piano c’è il rilancio della spending review sul modello allestito con il «libro verde» di Tommaso Padoa-Schioppa: si interverrà  con il bisturi su beni e servizi, abbandonando la logica dei tagli lineari, con l’obiettivo di recuperare 2-3 miliardi per la seconda metà  dell’anno (resta il fatto che diminuiranno così i servizi ai cittadini).
Circa un miliardo verrà  dal nuovo Superfondo costituito presso il Tesoro: il decreto per la nuova Sgr (società  gestione del risparmio) è pronto e la società  sarà  guidata da Vincenzo Fortunato (già  capo di gabinetto di Grilli al Tesoro) e da Elisabetta Spitz (per molti anni ai vertici del Demanio).
Complessivamente alla Sgr saranno conferiti nei prossimi giorni dal Demanio 350 immobili per il valore di 1,2 miliardi.
Un terzo perno è il cosiddetto piano-Giavazzi che prevede il taglio del pacchetto di agevolazioni alle imprese: l’obiettivo sono 800 milioni-1 miliardo a partire dai trasferimenti alle Ferrovie.
Cioè invece che aiutarle, si tagliano le agevolazioni…
Per il resto si giocherà , per occupazione e formazione giovanile, sul cofinanziamento dei fondi strutturali europei ma anche su una parte delle risorse erogate per il decreto salda- debiti della pubblica amministrazione (complessivamente, come è noto, si tratta di 7 miliardi nel 2013 sul deficit) che potrebbe rimanere inoptata o inutilizzata.
Anche qui molta teoria, nessuna certezza.
Il ministro del Tesoro Fabrizio Saccomani, intervenendo ieri nell’aula di Montecitorio sul Documento di economia e finanza, ha detto che nel «decreto d’urgenza che il governo sta mettendo a punto dovranno trovare spazio il rifinanziamento della cig in deroga e, se possibile, le «prime misure a sostegno dell’occupazione giovanile».
Voci critiche continuano a venire dei Comuni sull’Imu: «La sospensione della rata di giugno è un grande pasticcio», ha detto il sindaco di Milano Pisapia.
A rendere ancora più fosco il quadro anche i dati Istat sulla disoccupazione: raggiungerà  l’11,9 per cento quest’anno (1,2 per cento in più rispetto al 2012) e toccherà  il 12,3 per cento nel 2014.
Scendono anche le entrate: -0,3 nei primi tre mesi dell’anno.
«Siamo al lavoro per fronteggiare l’emergenza », ha detto ieri il ministro del Lavoro Enrico Giovannini che ieri ha incontrato il leader della Uil Angeletti in vista di un vertice con le parti sociali.
Tanto promettere è l’unica cosa che non costa nulla

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