I SOLITI VECCHI RICATTI DELLO STATISTA PER UN GIORNO
NON REGGE L’ALLEANZA TRA DUE PARTITI SCONFITTI: PDL E PD INSIEME HANNO PERSO 10 MILIONI DI VOTI
L’abito solenne dello statista e padre della patria, indossato per la cerimonia quirinalizia delle larghe intese, è già svanito.
Il re torna come sempre nudo.
Sono bastate due votazioni a vuoto per la commissione giustizia al Senato.
Lì dove il Pdl vorrebbe piazzare Nitto Palma.
Così è stato cancellato a un tratto il clima di pacificazione nazionale fra destra e sinistra tanto invocato da Berlusconi e dai cantori al seguito. I toni sono subito tornati quelli da piccola guerra civile, con Gasparri che grida al tradimento di un non ben precisato patto e Schifani che minaccia addirittura la caduta del governo.
Ammesso che si possa considerare una minaccia.
Nessuna sorpresa, in tutti i sensi. Non meraviglia che il nome di Nitto Palma, figura forse non esemplare di magistrato politicizzato – esistono anche a destra – e di ex guardasigilli, abbia provocato qualche crisi di coscienza fra i votanti del Pd.
Tanto meno stupisce che la destra berlusconiana possa evocare (già !) la fine della maggioranza sul tema della giustizia, guarda caso.
Il più importante per Berlusconi, insieme all’andamento delle aziende, le quali però da quando c’è il governissimo hanno guadagnato un bel trenta per cento in Borsa.
Così, dopo aver fatto incetta di dicasteri chiave nel nuovo governo, a cominciare dagli Interni occupati da Alfano, il Cavaliere si è lanciato con scatto da vero caimano sulle più importanti commissioni parlamentari.
E la giustizia, per lui, è la più importante di tutte. Se il Pd non cede sul nome di Palma, il governo Letta rischia di non finire l’estate. Questo è il ricatto.
Il primo probabilmente di una lunga serie.
Con tanti saluti all’emergenza disoccupati, esodati, cassintegrati, ai poveri giovani precari, ai piccoli e medi imprenditori in difficoltà e a tutta l’umanità dolente della quale è bello riempirsi la bocca nei salotti televisivi.
Il Pd ama essere ricattato e magari cederà , ma non è questo il punto.
La questione è se e quanto un governo nato dall’emergenza ed eletto da nessuno, con la missione quasi impossibile di uscire da una lunga crisi, possa e debba venir condizionato dagli interessi personali del suo azionista di minoranza.
Quanto l’agenda di Enrico Letta, modellata sull’urgenza assoluta di riforme economiche e istituzionali, possa e debba tener conto dell’agenda parallela di Berlusconi, con i soliti temi e problemi di sempre, le solite poltrone dove piazzare le stesse facce.
Sinistra e destra si sono messe insieme, così hanno detto, per fare ciò che non sono riuscite a fare quando erano separatamente al governo.
Ridurre le tasse e gli sprechi di danaro pubblico, riformare le istituzioni e provare per una volta a lanciare una seria politica industriale che manca da un ventennio.
Già sulla base di questo nobile proposito è difficile, soprattutto per il Pd, far accettare un’alleanza anomala e contro natura democratica.
Per giunta un’alleanza fra sconfitti, visto che i due partiti maggiori alle ultime elezioni hanno perso insieme oltre dieci milioni di voti.
Ma se poi al programma ufficiale si sostituisse la pura e semplice occupazione di potere da parte della stessa nomenclatura che gli italiani a febbraio hanno cercato pur confusamente di spedire a casa, allora saremmo al delirio.
La strada del governo Letta sarà forzatamente un cammino di compromessi.
Ma, se esiste un terreno sul quale è impossibile per l’opinione pubblica di sinistra accettare il minimo compromesso con Berlusconi, questo è proprio la giustizia.
Curzio Maltese
(da “La Repubblica“)
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