Destra di Popolo.net

LE RIVELAZIONI DEL FACCENDIERE BISIGNANI: “ALFANO E SCHIFANI GIUDA CHE VOLEVANO LIBERARSI DI BERLUSCONI”

Maggio 28th, 2013 Riccardo Fucile

NEL LIBRO “L’UOMO CHE SUSSURRA AI POTENTI” SVELA I RAPPORTI TRA GRILLO E LA CIA E LA CORTE DEL CAVALIERE A RENZI

Berlusconi ha corteggiato in tutti i modi Matteo Renzi.
Il Cavaliere ha rischiato di essere tradito dai suoi, compreso Renato Schifani.
Alfano voleva mollare il leader Pdl. Le stragi che hanno ucciso Falcone e Borsellino sono state ideate tra Mosca e Roma.
Poi i rapporti tra Grillo e i servizi segreti americani.
Sono alcune delle verità  di Luigi Bisignani nel libro-intervista realizzato con il giornalista Paolo Madron, “L’uomo che sussurra ai potenti” (edito da Chiarelettere, in vendita dal 30 maggio).
Come dice il sottotitolo del libro il faccendiere, quello che Berlusconi definì “l’uomo più potente d’Italia”, racconta di “trent’anni di potere in Italia tra miserie, splendori e trame mai confessate”.
Bisignani è stato condannato in via definitiva a 2 anni e mezzo per l’inchiesta Enimont e ha patteggiato una pena di un anno e 7 mesi per il processo P4.
I presunti traditori di Berlusconi e la corte a Renzi
Innanzitutto i presunti tradimenti (o tentativi di tradimento) all’interno del centrodestra.
“Più che di tradimento vero e proprio — precisa Bisignani — parlerei di piccoli uomini creati da Berlusconi dal nulla e improvvisamente convinti di essere diventati superuomini”.
Il faccendiere e ex giornalista parla di “molti Giuda”. “Il primo che mi viene in mente — continua — è Renato Schifani, avvocato di provincia di Palermo, ex presidente del Senato. Con Angelino Alfano, altro siciliano, lavoravano alla costruzione di una nuova alleanza senza Berlusconi”.
Nella ricostruzione sui presunti complotti contro Berlusconi all’interno del Pdl, Bisignani assicura che tra chi tramava c’erano “in primis alcuni di An: Gasparri, La Russa, Mantovano e Augello.
Certamente non Altero Matteoli che è rimasto sempre leale”.
“E tra le donne — aggiunge — la favorita di Angelino, Beatrice Lorenzin, premiata con il ministero della salute”.
Quanto ad Alfano, in particolare, una volta insediato il governo Monti, si mosse per cercare alleanze per abbandonare Berlusconi.
“Finchè il governo Berlusconi stava in piedi, seppur con una maggioranza risicata, Alfano non si mosse. Cominciò a farlo non appena insediato l’esecutivo Monti, nel momento in cui per Berlusconi iniziava la fase più aspra di un calvario politico giudiziario che sembra non finire mai”.
Secondo Bisignani, Alfano cercò la sponda di Casini “il quale in realtà  lo ha sempre illuso. E non interrompendo mai un filo sotterraneo con Enrico Letta, all’epoca vicesegretario del Pd”.
Il faccendiere ha poi aggiunto che “la sua corte cercò di costruirsela incontrando parlamentari nella casa ai Parioli che Salvatore Ligresti gli aveva fatto avere in affitto. E in più stringendo un asse con Roberto Maroni, che da ex potente ministro dell’Interno, dopo aver fatto fuori Umberto Bossi, preconizzava la morte civile del Cavaliere e l’investitura di Alfano come nuovo leader”.
A Bisignani arriva la risposta secca di Schifani: “Io mi occupo di politica e non di malaffare — dichiara a Porta a Porta — e non ho mai avuto il piacere di incontrare questo faccendiere, e la non veridicità  delle sue parole è dimostrata dal fatto che io sono capogruppo del Pdl al Senato e Alfano è vicepremier”.
Ma Berlusconi, secondo Bisignani, guardava altrove.
Aveva già  un’altra carta da giocare: Matteo Renzi.
“Berlusconi lo ha corteggiato in tutti i modi” spiega nell’intervista. “Nei sondaggi riservati — prosegue — Renzi volava, tanto che Berlusconi non si sarebbe mai ributtato nella mischia. Solo Bersani fece finta di non accorgersene, mobilitando tutto l’apparato del partito per batterlo alle primarie. E scavandosi così la fossa”.
“Alfano? Pensava a costruirsi il monumento”
Il tentativo di “eliminare” politicamente Berlusconi partì proprio quando il Cavaliere fece diventare Alfano segretario politico del partito.
Ma “una volta incoronato, nell’estate del 2011, contro il parere di tanti — spiega Bisignani nel libro — Alfano ha pensato soprattutto a costruire un monumento a se stesso”.
Secondo quanto racconta il faccendiere l’ex ministro della Giustizia “se ne stava chiuso nel suo ufficio bunker in via dell’Umiltà , dove per chiunque era impossibile entrare.
Passava più tempo con i giornalisti, su Facebook e Twitter che con i parlamentari e con la base del partito e gli esponenti del mondo imprenditoriale, bancario e culturale che pure avevano desiderio di conoscerlo.
Inoltre Alfano ha una vera mania per i giochini sul cellulare, cui non rinuncia nemmeno durante le riunioni. E poi ha la debolezza di consultare sempre l’oroscopo e di regolare le giornate in base a quel che c’è scritto…”.
E sui parlamentari del Pdl che definisce “Giuda” perchè complottavano contro Berlusconi afferma: “Si montavano a vicenda, senza capire che, quando è ferito, Berlusconi dà  il meglio di sè”.
“Monsignor Fisichella lavorava a un dopo Berlusconi”
In molti, insomma, secondo Bisignani, lavoravano a un dopo Berlusconi. Tra questi monsignor Rino Fisichella, a lungo rettore della Pontificia Università  Lateranense e attualmente presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione.
“Con Alfano e il fidatissimo Maurizio Lupi lavorava sodo al dopo Berlusconi anche l’arcivescovo Rino Fisichella” sostiene Bisignani.
“Alcuni incontri riservati con Casini e Lorenzo Cesa — ricorda — si svolsero proprio Oltretevere, in un ufficio nella disponibilità  di Fisichella, il quale era molto amareggiato per non essere stato fatto cardinale da Joseph Ratzinger”.
“Falcone, Andreotti pensava che c’entrasse il Kgb”
Poi un po’ di sguardi verso il passato. Prima tappa, le stragi del 1992.
Giulio Andreotti, ha sempre avuto un convincimento e cioè che i motivi delle stragi di mafia in cui morirono Giovanni Falcone e Paolo Borsellino “non si dovessero cercare a Palermo, ma fra Mosca e Roma”.
Il sette volte presidente del Consiglio, secondo Bisignani, era convinto che Falcone sarebbe stato eliminato “perchè collaborava a una spinosa indagine della magistratura russa sui finanziamenti del Kgb al Partito comunista”.
Bisignani ricorda anche che Falcone avrebbe dovuto incontrare, due giorni dopo la strage, il procuratore penale di Mosca Valentin Stepankov:
“Andreotti era certo che da lì bisognasse partire per capire meglio la strage, e su questo concordava anche Francesco Cossiga. Il quale era al corrente dell’iniziativa di Falcone”.
Secondo il faccendiere “la sinistra ha sempre taciuto ma ora “credo che dovrà  fare i conti con Piero Grasso, per anni capo della procura antimafia, ora presidente del Senato”.
Dovrà  fare i conti con lui “per la sua onestà  intellettuale e perchè, tra i primi atti, ha chiesto l’istituzione di una commissione d’inchiesta sulle stragi”.
“Tangentopoli? Tutti, da Agnelli a De Benedetti, tentarono di bloccare i pm”
Poi la vicenda Tangentopoli: “I protagonisti sotto assedio” del capitalismo italiano, “tutti indistintamente, da Agnelli a De Benedetti, cercarono disperatamente di bloccare il pool dei giudici di Milano”.
La “fortezza” in cui si arroccò il capitalismo per respingere l’offensiva giudiziaria contro il sistema delle tangenti fu Mediobanca.
“Fu lì — racconta Bisignani — che si tenne una riunione riservata presieduta da Enrico Cuccia, il custode di tutti i segreti.
Vi presero parte, oltre all’avvocato Agnelli e a Cesare Romiti, Leopoldo Pirelli accompagnato da Marco Tronchetti Provera, Carlo De Benedetti, Giampiero Pesenti, Carlo Sama per il Gruppo Ferruzzi e ovviamente l’amministratore delegato dell’istituto, Vincenzo Maranghi”.
Proprio Maranghi, dopo una perquisizione della polizia giudiziaria a Piazzetta Cuccia, organizzo nella notte “un pulmino che portò via tutte quelle carte dal contenuto inquietante” che non erano state scoperte.
Agli investigatori era infatti sfuggita una parete mobile “celata dietro una libreria in una delle sale del piano nobile dell’istituto — dove si custodivano altri segreti”. Secondo Bisignani, “tutta la storia di Mediobanca è fitta di episodi simili” a quello sul “pulmino” di Maranghi, come il caso dei fondi neri scoperti nella Spafid, la fiduciaria di Mediobanca che “custodiva la contabilità  ufficiale e parallela dei grandi gruppi”, fino alle “carte segrete su Gemina” rinvenute in “una botola” dalla Guardia di Finanza.
Tornando alla riunione “anti-pool” in Mediobanca “fu unanimemente decisa la totale chiusura a ogni possibile collaborazione con la Procura di Milano” nonchè la “perentoria denuncia dei metodi che stavano destabilizzando il paese e la sua economia”.
Cuccia incaricò Romiti di “coordinare ogni iniziativa” e ordinò “a quegli imprenditori che avevano interessi nell’editoria” di supportare la linea “senza tentennamenti”. Il fronte però si sfaldò presto un po’ perchè i tg di Berlusconi, che “all’epoca non faceva parte del giro di Mediobanca”, cavalcarono l’onda di Mani Pulite ma soprattutto perchè le delle ammissioni di un dirigente Fiat “fecero cambiare radicalmente la strategia decisa” facendo scattare il “tana libera tutti”.
Quando Cossiga mandò i carabinieri al Csm
Un altro retroscena riguarda Cossiga, il “presidente picconatore”. Nel novembre del 1991 l’allora presidente della Repubblica fece intervenire i carabinieri davanti al Csm, rivela Bisignani.
“Non fidandosi in quel momento — racconta Bisignani — nonostante fossero suoi amici, dei ministri della Difesa Virginio Rognoni e dell’Interno Vincenzo Scotti, chiamò personalmente al telefono il comandante della legione dei carabinieri di Roma, il colonnello Antonio Ragusa, perchè si preparasse a fare irruzione al Csm in piazza Indipendenza”.
“In quella riunione — spiega Bisignani — il Csm doveva occuparsi dei rapporti tra i capi degli uffici giudiziari e i loro sostituti. Una materia che, secondo Cossiga, non era di sua pertinenza”.
Secondo il racconto di Bisignani, Ragusa mise in stato d’allerta la vicina caserma: “I carabinieri rimasero al loro posto. Ma Ragusa che era in contatto telefonico diretto con Cossiga, entrò da solo negli uffici di piazza Indipendenza e convinse il vicepresidente Giovanni Galloni a togliere dall’ordine del giorno l’argomento incriminato”.
I rapporti tra i servizi segreti Usa e Beppe Grillo
I rapporti dei servizi segreti degli Stati Uniti con Beppe Grillo sono il tema di un capitolo del libro intervista a Bisignani.
Oltre a raccontare una vicenda già  conosciuta come il pranzo tra Beppe Grillo e alcuni agenti e diplomatici americani e il dispaccio dell’ex ambasciatore Ronald Spogli, aggiunge: “Avendo avuto anch’io il dispaccio in mano, c’è qualcosa che andrebbe approfondito” in quanto sono stati occultati “chirurgicamente quasi tutti i destinatari sensibili” tra cui oltre alla Casa Bianca, al Dipartimento di Stato e alla Cia “c’è da scommetterci ci fosse il Dipartimento dell’energia e la National Secuity Agency, che si occupa soprattutto di terrorismo informatico”.
“Agli americani — spiega Bisignani — è noto il rapporto strettissimo che Grillo ha con due loro vecchie conoscenze. Franco Maranzana, un geologo controcorrente di 78 anni, considerato il suo più grande suggeritore su tematiche energetiche e ambientali non politically correct, in contrasto così con la linea ecologica che viene attribuita al movimento. E soprattutto Umberto Rapetto, un ex colonnello della Guardia di finanza”.
Secondo Bisignani l’incontro con Grillo dovrebbe essere avvenuto nel marzo del 2008 in quanto il rapporto dell’ambasciatore Spogli dal titolo “Nessuna speranza. Un’ossessione per la corruzione” reca la data del 7 marzo 2008.
Con ogni probabilità , secondo Bisignani, quel documento è finito nelle mani del presidente Obama. Quindi fornisce le conclusioni del rapporto sulle idee di Grillo: “La sua miscela fatta di spumeggiante umorismo, supportata da dati statistici e ricerche, fa di lui un credibile interlocutore per capire dal di fuori il sistema politico italiano”.
Inoltre, racconta che dopo le elezioni del febbraio scorso una delegazione di grillini “capeggiata dai due capigruppo in parlamento, Vito Crimi e Roberta Lombardi, è andata a omaggiare l’ambasciatore David Thorne.
Lo stesso che, parlando agli studenti, ha pubblicamente lodato il nuovo movimento come motore necessario per le riforme di cui ha bisogno l’Italia”.
“Il Pdl voleva far cadere Monti subito, fu Letta a arrabbiarsi e a scongiurare la crisi”
La crisi del governo Monti poteva arrivare molto prima e non a fine dicembre.
“Dopo pochi mesi di governo — riferisce Bisignani — mezzo Pdl voleva far cadere Monti. Ma fu proprio Letta, con voce alterata, a convincere tutti che lo spread sarebbe schizzato alle stelle e che la colpa sarebbe ricaduta tutta sul Cavaliere che a quel governo aveva appena dato appoggio”.
Sul ruolo di Gianni Letta, Bisignani ricorda anche che quando Berlusconi e Fini fecero saltare l’accordo sulla Bicamerale, “fece sapere a D’Alema che il Cavaliere aveva commesso un errore”.
“Allo stesso modo — ricorda — nel febbraio del 1996 dissentì dal no di Berlusconi a un governo guidato da Antonio Maccanico, grand commis di Stato che avrebbe aperto le porte a una collaborazione tra Forza Italia e la sinistra. La bocciatu
“Scalfari ad ogni scoop mi regalava champagne”
Spazio anche ai ricordi personali nei rapporti con i personaggi più influenti della stampa italiana.
Nel libro sono descritti i rapporti con i direttori dei giornali più importanti. Di Eugenio Scalfari ricorda di avergli offerto diverse notizie quando era capo ufficio stampa del ministero del Tesoro Gaetano Stammati.
“Ogni volta che lo aiutavo a fare uno scoop — ricorda — mi mandava una bottiglia di champagne. Credo che fosse altrettanto con un’altra sua fonte, Luigi Zanda, portavoce di Francesco Cossiga, al Viminale e poi alla presidenza del consiglio, con il quale credo abbia conservato una forte amicizia”.
Sul direttore del Corriere Ferruccio De Bortoli invece dice: “Sempre compassato, dotato di una camaleontica capacità  di infilarsi tra le pieghe del tuo discorso e di una grande dialettica, non sufficiente però a nascondere il fatto di non aver quasi mai un’opinione troppo discorde da quella dell’interlocutore: democristiano con i democristiani, giustizialista con i giustizialisti, statalista o liberista a seconda di chi ha davanti”.
Bisignani racconta inoltre di aver favorito i suoi rapporti con Geronzi ma non con D’Alema “visto che i due si detestavano cordialmente”.
“E durante il governo Berlusconi — ricorda — i motivi di contatto sono stati molteplici”.
Papa Francesco e la riforma dello Ior
In un passaggio del libro Bisignani parla anche delle mosse future di papa Francesco per trasformare lo Ior: “Secondo alcune autorevoli indiscrezioni lo riformerà  trasformandolo in una vera banca della solidarietà  al servizio dell’evangelizzazione. Uno strumento di aiuto per le chiese povere e per le missioni sparse nel mondo. I centri missionari saranno uno dei punti fondamentali di papa Francesco, secondo la miglior tradizione dei gesuiti”.
Secondo Bisignani, la riforma dello Ior avverrà  attraverso la riclassificazione di tutti i conti e saranno “autorizzati solo quelli che fanno capo ufficialmente a congregazioni e ordini religiosi.
Nessuno potrà  più gestire fondi, depositi e titoli se non nell’esclusivo interesse di enti religiosi”. Bisignani ha quindi spiegato che “la Curia conosce bene le sue intenzioni”. “Non fu un caso — ha aggiunto — se nel conclave precedente, per scampare il pericolo della sua salita al soglio pontificio come voleva il suo grande elettore di allora, Carlo Maria Martini, gesuita come lui, gli fu preferito Ratzinger. Meglio conosciuto nei palazzi apostolici e quindi considerato più malleabile”.
Cairo editore di La7? “Facilita future alleanze”
Telecom ha venduto La7 a Urbano Cairo, preferendolo al fondo Clessidra, perchè “si dice nell’ambiente che si è scelto il contendente finanziariamente più debole così da facilitare una possibile futura alleanza con Diego Della Valle o con De Benedetti, a seconda di come butterà  la politica”.
In particolare sull’interesse di De Benedetti per La7, Bisignani sostiene che l’Ingegnere sarebbe stato disponibile all’acquisto “però solo con un’adeguata dote, quella che poi il consiglio Telecom ha concesso proprio a Cairo e non a lui, secondo me facendolo irritare. Vedrà  che alla fine rientrerà  nella partita”.
Infine “ad accelerare la vendita de La7 — racconta — ha contribuito anche lo studio legale Erede con una lettera che nelle ore che precedettero il consiglio d’amministrazione decisivo”.
Del legale Bisignani ricorda che “ha assistito Cairo nell’operazione e ha ottimi rapporti con De Benedetti”.

(da “il Fatto Quotidiano“)

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FINALMENTE TAGLI VERI: LA CONSIP HA RISPARMIATO 6 MILIARDI COMPRANDO A SCONTO

Maggio 28th, 2013 Riccardo Fucile

SEDIE, CARTE, SCRIVANIE, ECCO I TAGLI DELLO STATO… ECONOMIE PR 1,5 MILIARDI CON LE “AZIONI VERDI” PER RIDURRE GLI SPRECHI ENERGETICI

Una sedia che costa 86 euro anzichè 124 (il 30% in meno), una scrivania a 112 euro invece di 176 (-36%), una risma di fogli A4 a 2,415 centesimi e non a 2,470 (-2,23%): sono anche questi i tagli attraverso cui la Consip, la società  che si occupa degli acquisti per la Pubblica amministrazione, ha messo a segno un risparmio complessivo di 6,15 miliardi nel 2012, su 30 miliardi effettivi di spesa realizzata.
«Abbiamo raggiunto tutti gli obiettivi prefissati», commenta soddisfatto l’amministratore delegato, Domenico Casalino, presentando i dati del rapporto annuale della Concessionaria Servizi Informativi Pubblici, società  che fa capo al ministero dell’Economia.
E a cui tutte le Pubbliche amministrazioni, per effetto della spending review, dovrebbero rivolgersi per i propri acquisti: il condizionale è d’obbligo perchè in realtà  non tutti gli enti obbligati usano le convenzioni o gli altri strumenti messi a disposizione dalla Consip, con il rischio di incorrere nei richiami della Corte dei conti, e il 60% degli acquisti è da attribuire ad enti che non hanno prescrizioni.
Come gli enti locali: che teoricamente dovrebbero agire attraverso le centrali di acquisto regionali e, solo se queste non hanno ancora attivato una convenzione, passare alla Centrale pubblica di acquisti.
Oppure, in alternativa, indire gare d’appalto al ribasso, mettendo come prezzo base di riferimento quello Consip.
Perchè una cosa è certa: il prezzo ottenuto dalla Centrale, come testimoniato anche dall’analisi Istat-Ministero dell’Economia dell’anno scorso, è sempre più basso di quello di mercato.
E infatti di quei 6 miliardi e passa, vantati alla fine del 2012 (+20% dal 2011), buona parte (4,55 miliardi) sono stati ottenuti proprio su tagli ai «prezzi unitari» di 66 categorie merceologiche, che vanno dalle stampanti alla carta passando per le bollette della luce e del telefono.
I risparmi maggiori per gli uffici pubblici anzi si sono avuti proprio sui servizi, che rappresentano in realtà  la fetta più grossa della spesa della pubblica amministrazione: in particolare, quelli di telefonia fissa e di gestione degli edifici.
Importanti anche i tagli ottenuti per l’illuminazione pubblica e per l’energia elettrica, dove è bastato rivolgersi a fornitori concorrenti per ottenere lo stesso servizio a prezzi più bassi.
Un’altra voce consistente, che ha permesso la riduzione, riguarda la gestione della sicurezza dei luoghi di lavoro e quella degli apparecchi elettromedicali: ad esempio nelle Asl e negli ospedali l’oculatezza nell’affidare la manutenzione degli apparecchi delle Tac alle stesse aziende che li vendono è servita a risparmiare migliaia di euro.
Gli altri 1,59 miliardi sono ricavati in parte grazie alle «azioni verdi», che hanno portato a scegliere le soluzioni più sostenibili per ridurre gli sprechi. In parte vengono dalla cosiddetta «dematerializzazione documentale», ovvero il trasferimento di tanti dati, che richiedevano carta e ore di lavoro, sui computer e sulle reti cloud .
L’ultima fetta riguarda «i risparmi di processo», un’espressione che definisce tutto il tempo guadagnato dalle amministrazioni facendo gare sul Mercato elettronico anzichè dilungarsi in procedure lunghe, costose e a rischio.
Ma i margini di risparmio sono ancora tanti: un esempio su tutti è la prima gara in Italia sul Sistema dinamico d’acquisto, effettuata dalla Regione Lazio, per la fornitura di medicinali ad Asl e ospedali nel 2012.
Poichè i prodotti farmaceutici – spiega la relazione Consip – hanno diversi principi attivi e tanti fornitori sul mercato, si prestano alla negoziazione on line : su un bando con base d’asta di circa 57,3 milioni si è arrivati ad uno sconto del 5%, cioè quasi tre milioni di euro.

Valentina Santarpia

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LA PROPOSTA DI LEGGE DEL PD VACCARO PER AUMENTARE LO STIPENDIO DEI PARLAMENTARI

Maggio 28th, 2013 Riccardo Fucile

MA LETTA NON AVEVA PARLATO DI RISPARMI?

Equiparare lo stipendio dei parlamentari italiani a quelli europei ritoccando, verso l’alto naturalmente, le entrate.
La proposta del Pd, o meglio, del deputato Guglielmo Vaccaro è la seguente: aumentare gli stipendi dei parlamentari, rivedere anche le cifre dei rimborsi spese e quelle destinate ai portaborse.
La proposta di legge è la numero 495 di cui Vaccaro, fedelissimo di Enrico Letta, ne è il primo firmatario.
Una richiesta bizzarra in un momento in cui la parola chiave è ‘sacrifici’ e dove la politica del rigore dovrebbe essere applicata non solo ai cittadini ma, e forse soprattutto, alla classe dirigente.
Ebbene, il belpaese riesce a stupire sempre e in quest’Italia a due velocità  ecco che spunta una proposta da molti già  ribattezzata come ‘la furbata’.
La proposta di Vaccaro consiste nel dare a deputati e senatori la stessa indennità  mensile netta degli europarlamentari: 6.200 euro netti contro gli attuali 5 mila ‘scarsi’,   facendo registrare un bel + 24% sugli introiti.
Una volta fatta questa scelta, sarebbe direttamente indicizzata alle rivalutazioni e alle decisioni del Parlamento europeo.
Aumento anche per i portaborse, ma direttamente pagati dalle Camere per evitare che i singoli onorevoli possan girare ai loro collaboratori una somma inferiore.
Ma chi è Guglielmo Vaccaro?
Da sempre fidato collaboratore del presidente del Consiglio Letta, che lo volle nella sua segreteria tecnica tra il ’99 e il 2011 quando era ministro dell’Industria.
Lo stretto legame affonda le radici in un passato ben più remoto che risale alla margherita e ancor prima ai giovani democristiani.

(da “Ibtimes“)

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LA GERMANIA ACCUSA IL GOVERNO ITALIANO: “PAGATI 500 EURO AI PROFUGHI PERCHE’ VENGANO DA NOI”

Maggio 28th, 2013 Riccardo Fucile

CENTINAIA DI AFRICANI AVREBBERO RICEVUTO SOLDI E UN PERMESSO SCHENGEN PER PROSEGUIRE IL VIAGGIO VERSO LA GERMANIA

Gravissime accuse delle autorità  tedesche all’Italia.
Centinaia di migranti africani arrivati in Italia dove avevano ottenuto lo stato di rifugiati (o esuli), cioè non di illegali, sarebbero stati ‘spediti’ dalle autorità  italiane in Germania.
O meglio, a ciascuno di loro, secondo le accuse tedesche, sono stati pagati 500 euro ed è stato concesso un permesso di soggiorno valido per tre mesi per tutta l’area di Schengen (quella gran parte dell’Unione europea al cui interno una volta entrati si viaggia senza essere tenuti a passare controlli di confine) a condizione che si trasferissero altrove.
Molti di loro sarebbero stati invitati più o meno chiaramente a recarsi in Germania.
Il problema è serio, soprattutto per gli sventurati esuli, i quali in Germania non hanno diritto a sussidi o altre misure di appoggio e sostegno.
Sono cittadini di paesi africani classificati come democratici (Nigeria, Togo, Ghana, dove tornando rischierebbero la miseria ma non repressioni), ma ottennero lo status di rifugiati in quanto, trovandosi da anni come emigrati per lavoro in Libia, fuggirono dalla Libia allo scoppio della guerra civile tra regime di Gheddafi e ribelli.
Fuggirono spesso con mezzi di fortuna, pericolosi viaggi in mare.
In Italia appunto furono classificati rifugiati perchè venivano da una zona di guerra, la Libia. Ma non sono rifugiati o esuli dal paese di nascita.
“Non hanno diritti legali qui in Germania, sarebbe irresponsabile dare loro false speranze”, dichiara il ministro degli Affari sociali della città -Stato di Amburgo, Detlef Scheele.
“Le uniche alternative per loro sono andare dove possono avere diritto di residenza legale e lavorare, come per esempio in Italia, o il loro paese solo se nel frattempo là  la situazione è cambiata”.
E’ un pasticciaccio che minaccia di pesare e creare malumori nei rapporti bilaterali italotedeschi, sullo sfondo delle generali tensioni tra tutti i governi dell’eurozona su austerità , occupazione, salvataggio della moneta unica.
Il ministero dell’Interno federale, tra l’altro, non è chiaro che ruolo abbia voluto giocare: secondo l’agenzia di stampa tedesca Dpa, aveva scritto circolari riservate ai responsabili degli uffici stranieri (cioè per gli extracomunitari) dei 16 Stati della Repubblica federale (Bundeslaender), avvertendoli appunto in modo confidenziale che l’Italia stava pagando fino a 500 euro a testa a ogni rifugiato, più il visto Schengen, alla condizione che in cambio la persona del caso partisse dal territorio italiano alla volta di un altro Stato europeo membro dello spazio di Schengen.
La polemica, non nuova, rischia oltre l’incidente diplomatico di riaprire anche lo scontro sugli sbarchi nel Mediterraneo.
I paesi europei del sud Europa, infatti, rappresentano la principale via d’accesso al Vecchio Continente per i migranti in fuga da situazioni di guerra e fame non solo dall’Africa, ma anche dal Medio Oriente e dall’Asia.
L’Italia, proprio per questo, ha sempre sollecitato l’Unione a considerare quello dei profughi un problema della comunità  europea, ricordando inoltre che molti dei migranti che arrivano in Italia hanno già  come meta altri Paesi dell’Unione dove esistono comunità  di connazionali radicate.

Andrea Tarquini
(da “La Repubblica“)

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TAV: IN UN LIBRO IL GRANDE BLUFF DEL CORRIDOIO 5 (CHE NON C’E’)

Maggio 28th, 2013 Riccardo Fucile

LUCA RASTELLO E ANDREA DE BENEDETTI RACCONTANO IL VIAGGIO NELLA GRANDE ILLUSIONE DELL’ALTA VELOCITA’

La Tav è soltanto un grande bluff e Binario morto, il libro diLuca Rastello e Andrea De Benedetti questa grande illusione la smaschera unendo i dati a un viaggio da Lisbona (e Algeciras) sino a Kiev, in un’Europa economicamente in ginocchio che pensa di poter continuare a sperperare denaro pubblico in nome di un futuro remoto fatto di progresso e alte velocità .
Il colpo di genio del tandem Rastello-De Benedetti è quello di allargare il discorso dal provincialismo del dibattito No Tav-Sì Tav e di guardare al famoso Corridoio 5 nel suo insieme. Già  perchè molto spesso il discorso viene circoscritto alla Valsusa, alla Valle della Maurienne (dove il tunnel dovrebbe sbucare sul versante francese), ma non si fa alcun cenno al fatto che la Torino-Lione sarebbe un segmento “galleggiante” in un corridoio totalmente ideale.
È proprio la sostanza del concetto di corridoio a essere messa in discussione, secondo il professor Sergio Bologna, uno dei “pesi massimi della logistica mondiale”, il “corridoio” è un concetto astratto utilizzato per legittimare una grande opera che, come “ogni piattaforma logistica pubblica, europea, nazionale”, è “un affare immobiliare” in più di nove casi su dieci:
“Non capisco che cosa intendiate voi, e con voi tutti quelli che ne fanno uso, con il termine “corridoio”. È forse un’espressione geografica? E a dire il vero mi sfugge anche che cosa si intenda per “rete”: qual è il significato di questi termini? Se ne parla ovunque, ma senza riferirsi in realtà  a niente. Sono linee virtuali, vettori immaginari su cui non esiste alcun flusso significativo di merci. Nonostante questo si investono montagne di soldi. Essenzialmente vi si scatenano le lobby locali, che guardano all’investimento immediato nell’area di competenza ma che poi complessivamente per tenere in piedi i loro progetti disegnano la storia del cosiddetto corridoio.”
Il corridoio è l’ideale. La realtà  è un’altra e Rastello e De Benedetti la esplorano viaggiando dall’Estremo occidente fino all’Ucraina, lo fanno portando con loro un pacchetto di caffè, ironico simbolo del trasporto merci fra Lisbona-Kiev.
“La realtà  ci dice, per esempio che il Portogallo di Pedro Passos Coelho ha rinunciato al progetto nel 2012, sommerso da ben altri problemi. In Spagna l’Alta Velocità  funziona molto bene, ma è stata costruita senza nessuna pianificazione internazionale: i treni partono a raggiera da Madrid, verso Siviglia, Barcellona e verso città  e regioni, anche molto piccole, nelle quali si vogliono soprattutto acquietare gli slanci autonomistici. Una visione europeista non c’è, tanto che i binari non arrivano fino al confine francese e per raggiungere il Midi si devono prendere altri mezzi. Inoltre l’Alta Velocità  spagnola (che ha superato la Francia ed è seconda al mondo dietro alla Cina) ha uno scartamento differente a quello europeo. Se ma ci dovesse essere un “corridoio” dunque le merci andrebbero trasportate da un treno all’altro oppure andrebbe rifatta tutta la rete.
In realtà  si stima che nel mondo ci siano solo due linee ad alta velocità  in attivo: la Tokyo-Osaka e la Parigi-Lione. Tutte le altre sono in perdita, secondo i dati dell’Uci, l’Union internationale des chemin de fer.
Eppure in Italia la politica, con uno schieramento bipartisan, insiste con un atteggiamento dogmatico ed europeista, paventando l’esclusione dell’Italia dai grandi corridoi.
Gli autori raccontano un quarto di secolo di proteste No Tav e poi esaminano la situazione “in uscita” scoprendo che in Slovenia e in Ungheria non vi è alcuna intenzione di partecipare alla creazione del famoso corridoio.
I treni ad alta velocità  sloveni potranno toccare i 160 km/h, quelli ungheresi appena messi sui binari vanno ancora più lenti.
La favola del corridoio 5, “il corridoio unicorno, il corridoio ircocervo”,   si scontra con i numeri e con un contesto storico con tre grandi nodi perfettamente spiegati dal professor Bologna:
Uno riguarda la democrazia: per quanto si cerchi di aggirare il problema, i territori non sono più disposti ad accettare imposizioni che partono da lontano. In Italia e in Europa è ora di rassegnarsi al fatto che i diritti delle comunità  locali valgono quanto i diritti dello Stato. Soprattutto che ora la sovranità  è sempre meno nelle mani degli Stati e sempre più in quelle di potenze oscure, destabilizzanti, sottratte a ogni controllo democratico, e comunque votate a interessi privati come le famose agenzie di rating, o i fondi sovrani: tutti soggetti che non rispondo ad alcuna legge nè patto sociale.
La seconda criticità  riguarda i flussi:
Curioso l’accanimento sulla Torino-Lione, quando l’80 per cento delle merci che entrano in Italia o ne escono su rotaia transita dai valichi di Domodossola, Chiasso, Luino, Brennero, Tarvisio. Cioè attraverso la Svizzera e l’Austria. Dimostriamo di non essere capaci di agganciarci a infrastrutture già  esistenti, realizzate — e in larga parte pagate — da altri, ma non ci facciamo problemi a chiedere all’Europa ulteriori capitali per realizzare la Torino-Lione.
Terzo e ultimo punto:
Infine i nodi. Qualunque cosa si voglia intendere con l’espressione “rete europea”, uno dei principali problemi da affrontare è quello dei nodi: si possono investire miliardi su autostrade e ferrovie, ma se non si interviene sui nodi non si fa che aggravare il problema. (…) Ma come si fa a pensare che più velocità  significhi automaticamente maggiore efficienza?

(da “ecoblog.it”)

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IL CARROCCIO E’ FINITO FUORI STRADA: A MARONI NON BASTANO LE RUOTE DI SCORTA

Maggio 28th, 2013 Riccardo Fucile

IN TUTTI I COMUNI DEL NORD LA LEGA PERDE CONSENSI E MARONI FINISCE SOTTO ACCUSA: “PENSA SOLO A ESPELLERE E A DIVIDERE, NON FA CAMPAGNA ELETTORALE, CREA LISTE PERSONALI”

“Lezione numero uno: dove i leghisti litigano, si perde. Basta ragazzi, non ce lo possiamo più permettere, il Nemico è fuori”.
Questo lo sfogo che il vicesegretario leghista Matteo Salvini ha affidato alla sua bacheca Facebook, come per scuotere le coscienze dei militanti del Carroccio che ancora sembrano non essersi ripresi dal pensionamento di Umberto Bossi, rimpiangendo i tempi in cui in terra padana si conquistavano comuni ad ogni piè sospinto.
La Lega 2.0 di Roberto Maroni, dopo l’exploit delle regionali in Lombardia, ha infatti ripreso la strada verso il declino, deludendo in tutti gli appuntamenti importanti.
Salvini cerca di farsene una ragione, individuando nell’astensionismo uno dei motivi dell’ennesima debacle alle amministrative: “Fra i non elettori di questi giorni ci sono molti voti passati, e forse anche futuri, della Lega: sono questi cuori che bisogna riconquistare. Dobbiamo discutere e ragionare sui perchè delle sconfitte”.
E di temi di discussione per i leghisti sembrano essercene parecchi.
Da Brescia a Treviso passando per Vicenza, Sondrio e Imperia e Lodi in tutti i grandi comuni la Lega Nord ha perso voti sia in termini assoluti che in termini percentuali.
E le cose non vanno meglio nelle realtà  minori.
A Treviso, dove lo spadone è stato impugnato per l’ennesima volta dallo sceriffo Giancarlo Gentilini, la Lega si è fermata all’8,26% contro il 15,39% di cinque anni fa.
Al secondo turno l’ottantaquattrenne leghista dovrà  faticare un bel po’ per recuperare il terreno perduto e riconquistare la poltronissima della sua città .
A Vicenza, dove è stato confermato al primo turno il sindaco uscente Achille Variati (Pd — Udc), la leghista Manuela Dal Lago ha portato il Carroccio al 4,59% (meno di un terzo dei consensi del 2008, quando era arrivata al 15,11%) conquistando appena 1 seggio in consiglio comunale.
A Brescia, uno degli appuntamenti più attesi di queste amministrative, dove la Lega sostiene il sindaco uscente Adriano Paroli (Pdl), non è andata oltre uno scarno 8,66%, lasciando sul terreno 7 punti percentuali e 10 mila voti.
A Lodi passa dal 16,57% al 9,79%.
A Sondrio, dove correva da sola, non è andata oltre il 7,78%, in coalizione cinque anni fa era arrivata al 9,83%.
Anche a Cinisello Balsamo, grande comune in provincia di Milano, la Lega ha dimezzato i suoi voti, passando dall’8,69 al 4,64%, portando la coalizione al ballottaggio con 20 punti di distacco dalla candidata di centrosinistra Siria Trezzi.
Nemmeno nel feudo tosiano le cose vanno meglio.
A Villafranca di Verona la Lega correva da sola (in coalizione con la Lista Tosi) ma non è riuscita a centrare l’obiettivo ballottaggio, piazzandosi al terzo posto (oggi ha il 3,04% contro il 15,34% delle precedenti elezioni).
A Bussolengo è passata dal 32,15% al 10,36%, dietro a Pdl e Lista Tosi.
La Lega perde terreno anche in tutte le altre province venete.
A Piove di Sacco (Padova) passa dal 15,12% al 10,45%; perde il comune di Vedelago (Treviso) dove governava con il 66% e oggi arriva al 15,64%; a San Donà  di Piave (Venezia) crolla dal 19,23% al 5,81%.
E in Liguria è andata anche peggio.
Ad Imperia Erminio Annoni fallisce la riconquista della città , cedendo il passo al centrosinistra che si presenta al ballottaggio da favoritissimo.
Qui la Lega è crollata addirittura dal 10,11% al 2,07%.
Osservando i dato in tutto il nord la sensazione è ovunque la stessa.
A Calolziocorte, in provincia di Lecco, la Lega governava con Paolo Arrigoni e oggi non va oltre il 27,19% dei voti, cedendo il passo ad una lista civica.
Perde anche il comune di Manerbio, in provincia di Brescia, dove nel 2009 aveva vinto con Cesare Giovanni Meletti e oggi deve accontentarsi di uno scarno 10,33%.
Perde il comune di Capriate San Gervaso in provincia di Bergamo e perde anche il comune di Salsomaggiore Terme, avanguardia leghista in Emilia.
In provincia di Como, a Mozzate (uno dei comuni più indebitati d’Italia con le sue 12 società  partecipate), al sindaco leghista Luca Denis Bettoni non è bastato togliere il simbolo del Carroccio dal contrassegno per essere confermato.
Perde terreno anche a Carate Brianza (in provincia di Monza), dal 17,17% all’8,41%.
E gli esempi potrebbero continuare. A parte rari casi di conferme in comuni di piccole dimensioni, la Lega non incanta più.
Tanto basta per far montare la polemica interna, dove militanti e sostenitori si lasciano andare allo sconforto e alla rabbia.
Tanti infatti i leghisti che guardano con nostalgia ai bei tempi andati, quando sotto la guida del carismatico Umberto Bossi si macinavano consensi in tutto il Nord, conquistando comuni su comuni. Maurizio Bernasconi, avvocato varesino e consigliere comunale recentemente epurato dal Carroccio non ha dubbi: “Bene, molto bene! I fenomeni che hanno voluto Pinocchio ed i suoi gatti e le sue volpi muniti di scopa a capo della lega adesso staranno festeggiando i risultati elettorali!”.
Più criptico l’ex parlamentare bossiano Marco Desiderati: “Un amico tempo fa mi disse: stai li… sulla riva del fiume e vedrai tanti cadaveri passare… quanta ragione aveva!”.
Sulle bacheche di molti delusi è stato condiviso un testo che da solo riassume il sentimento di scoramento che c’è attorno alla sonora batosta incassata dalla Lega: “Dove c’è un segretario nazionale che dà  espulsioni a raffica, che non fa campagna elettorale, che crea sue liste personali, che si avvolge nel tricolore, e crea divisioni si perde!” e, ancora: “Pare che non abbiamo nemmeno bisogno di una Lega democristiana, che apre ai gay, alle moschee, ai massoni; che dimentica la Padania per Prima il Nord (Italia)”.
In tutto questo dal segretario federale Roberto Maroni non è arrivato un solo commento: ”Venerdì abbiamo il consiglio federale e parleremo anche di questo” ha risposto il governatore della Lombardia a margine della seduta del consiglio regionale a chi gli ha chiesto un commento sull’esito delle elezioni comunali.
Ad altre domande Maroni non ha voluto rispondere.

Alessandro Madron
(da “il Fatto Quotidiano“)

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DAL CONSIGLIO COMUNALE DI ROMA RESTANO FUORI ILONA STALLER, LO STILISTA DOMINELLA, LA CRIMINOLOGA BRUZZONE, BARBARA CONTINI E VALENTINO PARLATO

Maggio 28th, 2013 Riccardo Fucile

E’ LUNGA LA SERIE DEI NOMI VIP NON ELETTI NELLA CAPITALE

Da Stefano Dominella (Lista civica Marino sindaco) a Roberta Bruzzone (Mui, Movimento unione italiano), da Ilona Staller-Cicciolina (Pli) a Barbara Contini (Centro democratico) a Valentino Parlato (Repubblica romana).
Restano fuori dal consiglio comunale i candidati cosiddetti vip, tutti sonoramente bocciati dal responso delle urne.
Lo stilista Stefano Dominella, quando sono state scrutinate 1.800 sezioni su 2.600, ha raccolto solo 168 voti tra gli elettori della lista civica Cittadini X Roma a sostegno di Ignazio Marino.
STALLER E BRUZZONE
La criminologa-tv Roberta Bruzzone, nel Mui che sosteneva Gianni Alemanno, raccoglie 26 preferenze, già  superata da 6 candidati della piccola lista.
Lontani i fasti del Parlamento per Ilona Staller, candidata con il Partito liberale, scelta da appena 24 elettori.
VALENTINO PARLATO
Valentino Parlato, storica firma del Manifesto, candidato con la Repubblica romana di Sandro Medici, finora raccoglie solo 131 preferenze.
Infine Barbara Contini, già  governatrice di Nassiriya nel dopoguerra iracheno. Candidata con il Centro democratico di Bruno Tabacci, Contini finora ha ottenuto 106 voti.

(da “il Corriere   della Sera“)

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LA STRATEGIA DEL CAVALIERE: SANTANCHE’ LEADER

Maggio 28th, 2013 Riccardo Fucile

IN CASO DI CONFERMA IN CASSAZIONE DELLA CONDANNA PER MEDIASET, BERLUSCONI SI VEDE IN UN RUOLO “ALLA GRILLO”: IN QUEL CASO ALLE PROSSIME ELEZIONI IL PDL PUNTEREBBE SULLA SANTANCHE’

Certo, ieri sera tardi, ad Arcore, quando i dati sono diventati definitivi e la fotografia del territorio ha rilasciato un’immagine a dir poco sfocata dell’impresa del Pdl, il Cavaliere non si è infuriato come qualcuno prevedeva.
Sulle amministrative ha sempre avuto un approccio disincantato, ma certo sentire che l’amico di sempre, Claudio Scajola, è ad un passo dal vedersi scippare il feudo di Imperia e che in alcune roccaforti del nord come Brescia e Sondrio l’arretramento è stato vistoso, non lo hanno certo fatto gioire.
A preoccuparlo, più che altro, l’ennesima deblacle della Lega, con Treviso e Vicenza perse in modo pesante al punto da rendere il Carroccio ininfluente — di fatto — nelle grandi realtà  comunali del nord.
Una questione che lo ha fatto riflettere sulla strategia futura: Maroni ha portato la Lega ai minimi storici, ora l’alleanza è diventata più un orpello che altro.
Eppoi, in ultimo, Siena. Dove proprio non se l’aspettava che Bruno Valentini e la sinistra, dopo lo scandalo Mps, avrebbero fatto bingo.
Geografie da rivedere e sondare con grande attenzione, anche se il Cavaliere l’aveva messo in conto di dover pagare un piccolo, grande tributo alle larghe intese, fino a considerare come un rischio calcolato la possibilità  di qualche brutta sorpresa. Alemanno e la sconfitta a Roma, la peggiore, in fondo, di questa tornata amministrativa.
La frenata del sindaco di Roma, però, gli era stata in qualche modo annunciata da più di un collaboratore, ma i dati lo hanno comunque scioccato.
Così, quel che davvero sembra aver più colpito il Cavaliere (che ieri , come si diceva, ha seguito lo spoglio da Arcore, dove potrebbe restare tutta la settimana) è il flop del M5S, il fatto che la strategia di Grillo inizi a non pagare più.
Lui che la stava osservando con grande attenzione, traendone auspici per il suo, personale futuro.
E questo lo ha portato a ragionare apertamente con Verdini sulla strategia che aveva messo nel cassetto come piano B in caso di condanna definitiva al processo Mediaset via Cassazione: continuare ad essere leader del centrodestra da fuori del Parlamento, proprio come Grillo (anche lui un condannato incandidabile), lasciando a Daniela Santanchè la leadership carismatica del Pdl nelle aule. E nelle urne.
Già , perchè l’idea è proprio quella di passare il testimone alla “signora Sallusti” in caso di chiusura negativa della partita giudiziaria.
Ecco, appunto, la Santanchè.
“Giubilato” Angelino Alfano come delfino, messo non a caso a reggere il governo di larghe intese, per il partito e la strategia futura elettorale Berlusconi non potrebbe contare su elemento migliore della Santanchè che, non a caso, in questi ultimi giorni spopola in tv con il nuovo volto della destra dalle idee chiare e che si spende per il bene del Paese, benchè oberata da un’alleanza con il Pd difficile da digerire e su cui è già  stato messo in conto di perdere terreno elettorale.
Anche a destra l’elettorato non è meno spietato che a sinistra.
Ma la strategia arcoriana è piuttosto semplice, dopo tutto.
Se Berlusconi dovesse avere la condanna definitiva, la Santanchè diventerebbe il leader politico del Pdl da spendere in Parlamento.
Non tutti, è bene dirlo, sono d’accordo con questa scelta di Berlusconi.
La parte più dialogante e centrista del partito, formata dai Lupi ma anche dalle Prestigiacomo e De Girolamo, difficilmente potrebbe digerire che un “falco puro” come la Santanchè possa dirigere l’orchestra pidiellina nelle aule in assenza del Cavaliere.
Però l’alternativa è Renato Brunetta. E, insomma, c’è di peggio.
Avanti la Santanchè, dunque, anche se la costruzione della strategia politica, di qui a tre, quattro mesi, vedrà  il Cavaliere giocare sostanzialmente d’attesa.
Non solo dei processi, ma anche della tenuta complessiva del governo.
Se, infatti, incassato il via libera sulla caduta della procedura d’infrazione europea, l’esecutivo dovesse centrare alcuni obiettivi, poi sarebbe difficile azzopparlo e portare il Paese alle urne ad aprile prossimo, in contemporanea con le europee.
Ma è comunque bene giocare d’anticipo.
La sconfitta di Grillo, d’altra parte, insegna: non si contruiscono nè leader, nè parlamentari, nè tantomeno alternative politiche dal nulla e improvvisamente.
Ci vuole tempo, altrimenti l’elettorato, alla prima delusione, volta le spalle.
E, dunque, è bene che la Santanchè cominci fin da ora a costruire la propria credibilità  di leader dentro il partito e nell’elettorato.
Attraverso la tv, ma non solo; ci vuole anche il territorio.
Intanto, nelle prossime settimane sarà  lei a portare alta la bandiera della pressione sul governo per ottenere risultati da dare in pasto all’elettorato scontento e disaffezionato. Lo ha detto chiaramente, anche ieri, un altro falco come Fabrizio Cicchitto: “Quello che ci interessa e ci fa giudicare la validità  dell’esecutivo è la capacità  di fare le riforme, economiche e politiche. A questo stiamo guardando”.
Dunque, se non è prevedibile un allentamento del sostegno al governissimo Letta, è certo che il Pdl incalzerà  chiedendo “misure forti, decisive, convincenti”, per l’immediato, perchè è alla “realizzazione dei fatti” che è appesa la vita di questo esecutivo bizzarro e il futuro politico del partito.
Ma il volto che chiederà  con forza queste misure non sarà  quello del Cavaliere. Sempre più spesso ci sarà  Daniela Santanchè.

Sara Nicoli
(da “il Fatto Quotidiano“)

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TUTTI A CASA, FLOP DI GRILLO; NESSUN COMUNE A CINQUESTELLE

Maggio 28th, 2013 Riccardo Fucile

RISSA IN SENATO SUL “DIVIETO” DI PARLARE DI STRATEGIA POLITICA… BOOMERANG COMUNICAZIONE: D’ORA IN POI PARLAMENTARI IN TV

Alle dieci di sera, messo sul tavolo il magro bottino di queste elezioni amministrative, il deputato Cinque Stelle Alessandro Di Battista è già  in televisione.
A Piazzapulita, a fianco dello sconfitto candidato sindaco di Roma, interloquisce con Corrado Formigli come un Mastrangeli qualunque.
Se si cerca il vero risultato delle comunali di fine maggio, eccolo: di corsa sul piccolo schermo, che fin qui abbiamo sbagliato tutto.
Quando lo scrutinio è praticamente finito, il Movimento di Beppe Grillo fa il bilancio: nemmeno un sindaco grillino, un solo ballottaggio a Pomezia (paesotto operaio alle porte di Roma), circa 400 consiglieri eletti: in media, meno di uno per Comune.
E la percentuale massima è quella di Ancona, 15 per cento.
Dieci punti in meno delle politiche di tre mesi fa.
Non si mischiano le mele con le pere, si ostinano a ripetere i Cinque Stelle e sul piano dei numeri hanno ragione.
Ma per capire che, dalle parti dello staff, i risultati elettorali non siano quelli attesi, basta guardare la faccia di Matteo Ponzano, volto unico de La Cosa.
Quattro sere fa arringava la folla dal palco di piazza del Popolo, ora cerca di consolare gli ascoltatori che chattano delusi: “Tenete botta, state tranquilli. Il cambiamento….lo sapevamo…queste battaglie…contro un sistema così corrotto ci vuole parecchio, parecchio tempo…”.
Un paio di secondi, poi il collegamento si interrompe.
E mentre tutte le tv parlano di proiezioni e di voti, su La Cosa va in onda “Sorpasso d’asino”. Un documentario sulla decrescita felice, “a passo lento”.
È lì, che i toni degli ascoltatori si fanno più gravi. Quando capiscono che nè dal blog, nè dalla sua televisione ufficiale qualcuno abbia voglia di prendersi la briga, di spiegare cos’è successo. Restano in silenzio fino alle 22.35 quando Paolo Becchi liquiderà  i titoli sul crollo dei 5 Stelle: “Banalità ”.
Eppure, voti alla mano, se il paragone con le politiche è sbagliato, quello con le regionali, non dà  maggior conforto.
Prendiamo il Comune di Brescia, la città  di Vito Crimi.
Laura Gamba, candidata sindaco, arriva a 5 mila voti, poco più del 6 per cento.
Solo tre mesi fa, Silvana Carcano, candidata al Pirellone, negli stessi seggi ne prendeva 12 mila, il doppio.
Non va meglio a Roma, a casa di Roberta Lombardi, dove Marcello De Vito si ferma intorno al 13 per cento, lontanissimo dal ballottaggio che sembrava a portata di mano.
O ancora prendiamo Massa, dove vive Laura Bottici, questore del Senato: ha perso il 20 per cento in 90 giorni.
Per non parlare di Siena: nella città  del Monte dei Paschi, per cui i Cinque Stelle hanno chiesto una commissione di inchiesta parlamentare, il Movimento si ferma all’8 per cento.
Non va meglio a Nord Est, dove Casaleggio era passato a caccia di imprenditori: 7 per cento scarso a Vicenza e Treviso.
Si consolano con Ancona: 15 per cento dei voti, il miglior risultato nazionale.
“Andrea Quattrini ha lavorato bene come consigliere comunale e adesso ha riscosso — spiega il deputato marchigiano Andrea Cecconi — Noi siamo un partito ideologico, alle comunali valgono ancora le persone”.
Cecconi non è stupito dei risultati. Dice che quelli strani erano quelli di febbraio: “La fiducia che i cittadini ci avevano dato era eccessiva, ora siamo in linea con le nostre possibilità  e facoltà ”.
È che stavolta, molti di quelli che avevano scelto i Cinque Stelle forse sono rimasti a casa: “Probabilmente quell’italiano su due che non è andato a votare – dice il deputato Massimo Artini – alle politiche aveva scelto noi”.
Da Cepagatti, provincia di Pescara, Daniele Del Grosso, invita a non drammatizzare: “Qui anche quelli che hanno votato noi alle politiche preferiscono affidarsi al candidato sindaco farmacista, al parente, a quello che ti può fare un favore…”.
Al Senato invece l’hanno presa in maniera meno sportiva.
Alcuni sono furibondi con Crimi che al Corriere ha detto che gli eletti non devono parlare di alleanze e strategie, altri se la prende con i colleghi sempre pronti a gonfiare il dissenso.
Ieri, durante lo spoglio, erano riuniti in una accesissima riunione.
Una senatrice urla contro il collega Lorenzo Battista: “Stai sempre a parlare di strategie!”.
Lui esce dalla stanza beffardo: “Ma De Vito non era quello che a Roma doveva andare al ballottaggio?

Paola Zanca
(da “il Fatto Quotidiano“)

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