Maggio 29th, 2013 Riccardo Fucile
IL LIQUIDATORE DI FLI PORTERA’ CERTAMENTE ALL’EX SOCIALE I 120.000 EX VOTO NECESSARI PER LA SANTIFICAZIONE DELLA DESTRA PARENTALE
Roberto Menia, liquidatore di Futuro e Libertà , ha “indicato la rotta” a quello che resta
dell’arcipelago finiano: “A Roma votiamo al ballottaggio Alemanno”.
Il novello Schettino, dove aver coordinato Fli dalla battigia, assistendo inerte e complice all’annegamento dei valori del manifesto di Bastia Umbra, ora ha deciso di dare un contributo letale al naufragio della “destra parentale” dell’ex sociale, puntando dritto sugli scogli del “tengo famiglia”.
Da grande stratega, lui che aveva votato contro la liquefazione di An nel bollitore Pdl, salvo poi coerentemente conservare la poltrona di parlamentare Pdl con relative prebende, invece che limitarsi a fare l’esecutore testamentario di Fli sta perseguendo il sogno-delirio della riunificazione della becerodestra italiana.
I maligni dicono per aspirare a una poltrona di parlamentare europeo e per “controllare da vicino” il patrimonio milionario dell’ex Fondazione An, i più buonisti pensano semplicemente che per lui si tratti di un ritorno a casa o caserma che sia.
Con chi dovrebbe allearsi infatti questa “destra riunificata” se non con i responsabili dello sfascio morale della destra politica italiana da venti anni a questa parte?
Quelli che fino a ieri erano indicati da Menia come esempio di malcostume e malgoverno?
Molti si chiedono chi abbia deciso questa nuova linea politica e in nome di chi.
Se Fli non esiste più, Menia a che titolo parla?
Non certo degli ex iscritti o militanti che sul web sono incazzati per il suo pronunciamento a favore di un bollito misto irrancidito.
Come si permette di far compiere a un partito che mai avrebbe votato Alemanno una totale inversione di marcia, dimostrando non solo di non aver rispetto di sè, ma neanche della storia di Fli?
Se Menia ama il libero mercato, si metta pure in vendita, ma lo faccia a titolo personale.
Saremo anche in una politica da caserma, ma preferiamo umili trombettieri con degli ideali a vecchi tromboni trombati .
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Maggio 29th, 2013 Riccardo Fucile
IL NUOVO GIOCO CINQUESTELLE: LA CACCIA ALLA TALPA.. TENSIONE INTERNA OLTRE IL LIVELLO DI GUARDIA
Chi sarà ? Il calderaio? Il sarto? Il soldato? Il povero?
Se lo chiede Roberta Lombardi alla vigilia della resa dei conti di domani, quando l’assemblea congiunta di deputati e senatori Cinquestelle dovrà discutere del tracollo elettorale delle comunali.
Se lo chiede e gira la domanda ai suoi deputati in un’email che Europa è in grado di riportare: «Volevo scrivervi qualcosa per condividere con voi questa specie di assedio a cui siamo sottoposti, ma grazie allo stronzo/i che fanno uscire tutto quello che ci scriviamo o diciamo sui giornali, mi è passata la poesia. Grazie per averci tolto anche la possibilità di parlarci in libertà . Sei una merda, chiunque tu sia. R.».
D’altra parte, se la colpa della liquefazione del consenso, come sostiene Beppe Grillo, non è la linea politica tenuta in questi mesi dal Movimento, non resta che sparare nelle altre due direzioni possibili: verso gli elettori, come ha fatto ieri il leader, e verso l’interno.
«Comunicheremo solo quando avremo realmente qualcosa da comunicare. Intendo dire progetti, proposte, principi e metodi…» aveva provato a dire il deputato Tommaso Currò in un’intervista al Mattino.
La reazione del vicepresidente grillino della camera, Luigi Di Maio, è stata nervosissima: «Ora io non so Tommaso dove abbia passato gli ultimi due mesi, (forse a parlare di strategie con la stampa) ma lo informo che sul sito della Camera e del Senato sono disponibili tutte le proposte di legge, emendamenti e mozioni del Movimento presentate ed approvate. Anche nella sua commissione. Queste dichiarazioni (chiaramente in malafede) mi fanno pensare che c’è chi proprio a questo gruppo non vuole bene (spero restino pochi)”.
I prodromi di una zuffa.
Non certo di una analisi critica intorno al Movimento come “oggetto politico” e ancor meno l’annuncio di quella svolta che la base chiede a gran voce e che le urne di lunedì hanno mostrato in tutta la sua drammatica necessità .
(da “Europa”)
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Maggio 29th, 2013 Riccardo Fucile
“IL CASO MARINO E LA SERRACCHIANI LO DIMOSTRANO”
Che a Roma sarebbe andata così – dicono i sondaggisti – era abbastanza chiaro, almeno per
quanto riguarda i rapporti di forza tra i tre principali candidati.
I flussi di voto dicono anche che Marino è fortemente favorito per il secondo turno, ma la partita è aperta.
Anche se i sondaggi non possono essere diffusi, abbiamo vagliato umori di tre illustri guru del settore: Nicola Piepoli, Antonio Noto di Ipr Marketing e Roberto Weber di Swg.
Per quanto riguarda il passato, sia Weber che Piepoli confermano che il dato elettorale corrisponde alle rilevazioni dell’ultima ora: una città che percepiva un senso di decadimento generale della qualità dei servizi, alcuni scandali locali e regionali che mettevano in cattiva luce una certa classe dirigente, e poi la grande disillusione per la politica che a Roma si viveva in maniera perfino amplificata, data la contiguità fisica coi Palazzi del potere.
Da qui il vantaggio per lo sfidante Marino e, soprattutto, la rilevazione della vasta zona d’ombra dell’astensione amara.
E adesso?
«Secondo i nostri dati – dice Nicola Piepoli – l’inconscio collettivo ha già scelto e Ignazio Marino dovrebbe essere il prossimo sindaco di Roma con il 57-58% dei voti». Ma la situazione è magmatica, perchè il bacino da cui trarre il consenso è vastissimo e per oltre la metà è senza una bandiera, «per cui aggiunge Antonio Noto – tutto è possibile. Ciò detto il sindaco uscente è in forti difficoltà , perchè ha raccolto il voto politicamente orientato ma non è andato oltre». La possibilità di rimonta appare problematica, intorno al 15-20%.
Ignazio Marino, invece, deve consolidare i voti ricevuti «e gli basterebbe – secondo Piepoli un 7,5% di consensi per vincere, cioè, in numeri assoluti 100 mila voti: pochi rispetto alla grande base elettorale».
Ed è soprattutto all’elettorato di Alfio Marchini che il chirurgo dovrebbe rivolgersi, perchè è quello a lui più affine: moderato sì, ma tendenzialmente di sinistra, borghese ma progressista. Non sembra probabile, invece, secondo Noto, che il centrosinistra possa sfondare le linee dei Cinque Stelle «dato che i delusi di quel movimento non sono andati a votare. E se sono delusi da Grillo figurarsi da un “partito tradizionale” come il Pd, e quindi anche dal candidato che ne è bandiera».
Molto più difficile è la strada per Alemanno: «Se si eccettua il caso di Berlusconi – dice Weber il centrodestra ha ovunque una grave crisi di progetti ma soprattutto di uomini. E quindi Alemanno, che ha preso tutto il voto orientato a destra, ha molta più difficoltà ad emergere rispetto al suo avversario. La strategia di puntare su personalità forti e nuove che ha attuato il centrosinistra, ha dato buoni risultati ovunque – basti pensare al caso della Serracchiani che in Friuli ha preso il 25% in più della sua lista – ma il centrodestra non ha un personale politico tale da smuovere un elettorato che non sia il suo».
Tuttavia – dice Piepoli – la battaglia di Alemanno non è affatto da considerarsi chiusa: «Ha detto che ricomincerà tutto da capo e che la campagna comincia ora. Mi sembra bene. Ma deve puntare su cose concrete: metropolitane, strade, raccolta differenziata. Lasci perdere destra e sinistra».
Raffaello Masci
(da “La Stampa“)
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Maggio 29th, 2013 Riccardo Fucile
TRA POCO LA LOMBARDI SARA’ SOSTITUITA DA “TORQUEMADA” NUTI
È come una maionese impazzita, il Movimento 5 stelle in Parlamento.
Nessuno sa più bene dove andare, nè dove va.
Non ha una voce univoca sul risultato delle elezioni amministrative: il consiglio fatto filtrare dalla “comunicazione” è di non commentare. Il risultato è che ognuno dice la sua.
La balcanizzazione riguarda tutti. Anche i dissidenti.
Alcuni di quelli che erano alla cena di martedì scorso si sono rivisti lunedì sera, altri non lo hanno neanche saputo.
Perchè lì dentro si giocano partite diverse.
C’è chi è davvero interessato a uscire dalle dinamiche pesanti del Movimento al più presto possibile, magari formando un gruppo che possa partire dai principi cardine della legalità e dei beni comuni per attirare i democratici delusi dal governo di larghe intese.
Ma c’è anche chi ha una storia di destra, e guarda a quella parte del campo.
O chi non accetta di farsi controllare ogni singolo scontrino dal futuro capogruppo alla Camera Riccardo Nuti, soprannominato Torquemada, che tra pochi giorni succederà a Roberta Lombardi.
Non è finita, la storia della diaria.
Non è sopita, almeno in una parte del gruppo.
Sui risultati elettorali, poi, sono in molti a tirare fuori la loro delusione.
«Mi chiedo se Grillo abbia davvero un disegno politico », chiede uno sconsolato Aris Prodani. «Siamo come una macchina lanciata a 200 all’ora che non si accorge di stare andando contro un muro», si sfoga una deputata.
E se per Federica Daga l’esito delle amministrative «è oro, siamo entrati in 200 consigli comunali, avere due consiglieri partendo da zero è già tantissimo », Mara Mucci pensa che alcuni risultati siano a dir poco deludenti: «Dobbiamo capire che le persone contano. Che sono importanti. A Imola avevamo un signor candidato e abbiamo raggiunto il 19,7 per cento. Altrove non ne siamo stati capaci».
La storia dei portavoce che non importa chi sono, che devono solo eseguire, non le va giù: «Su Facebook qualcuno mi scrive che io non devo pensare. Ma dico: sei fuori? Che ragionamento è?».
Eppure è il metodo, quello che secondo il consulente della comunicazione al Senato Claudio Messora, Grillo e Casaleggio vorrebbero fosse «declinato con purezza». Niente da fare, sono in tanti a considerarlo un’iperbole, un’utopia — se non una distopia irrealizzabile.
Tanto che la confusione ieri ha raggiunto l’ennesima potenza quando si è affrontato il tema riforme.
Il Movimento non riesce a rispondere a domande urgenti come quella sulla legge elettorale: il porcellum va abolito oppure no?
Vito Crimi va a parlare con una delegazione del governo dicendo «massima apertura, valuteremo, forse si può fare un referendum », e mezz’ora dopo arriva una mozione sconosciuta ai più (in assemblea non è passata) che preclude qualsiasi trattativa.
In molti si infuriano: «Discutiamo di tutto e non di come cambiare la Costituzione?», protesta chi quel testo, già mostrato alle altre parti politiche, non lo ha neanche ricevuto. Figurarsi discusso.
Gli onorevoli a 5 stelle (ma un testo identico sarà presentato anche al Senato) chiedono che il governo si impegni a ridurre il numero di deputati, senatori e membri dei consigli regionali, eliminando nel contempo le province e dando impulso al processo di accorpamento dei comuni.
I mandati elettorali ricopribili a qualsiasi livello dovranno essere due per legge.
Non si potranno candidare i condannati a oltre dieci mesi con sentenza definitiva. Quanto al modello, presidenzialismo, parlamentarismo, proporzionale o maggioritario, i grillini invocano un referendum di indirizzo.
Di tutto questo si parlerà probabilmente domani.
L’assemblea, per ora, è stata convocata senza ordine del giorno, ma lì si farà di certo l’analisi del voto, e di quello che non va.
Che però, secondo gli ortodossi, sono i giornali a ingigantire.
Roberto Fico si ferma in Transatlantico a spiegare ai cronisti che si soffermano troppo sugli aspetti negativi, che non devono continuare a dar voce a dissidenti che non hanno il coraggio di metterci la faccia: «Se trenta davvero vogliono andar via, lo dicano chiaramente, piuttosto che parlare alla stampa. Abbiano il coraggio di uscire allo scoperto. Se non lo fanno siamo al gossip».
Alessio Villarosa, il successore di Riccardo Nuti, a una cronista che gli chiede cosa pensa dei risultati delle amministrative dice solo: «Che vi toglieremo i finanziamenti all’editoria».
Annalisa Cuzzocrea
(da “La Repubblica“)
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Maggio 29th, 2013 Riccardo Fucile
SUCCEDE AL PD CHE HA VISTO SPARIRE, RISPETTO ALLE COMUNALI 2008, BEN 291.000 VOTI E ALLE POLITICHE DI FEBBRAIO 243.000 VOTI… SUCCEDE AL PDL CHE NE PERDE RISPETTAVAMENTE 458.000 E 163.000
Vincere perdendo è la grande novità delle amministrative 2013.
Succede al Pd, che rispetto alle Comunali del 2008 ha visto sparire 295 mila voti, cioè il 43% del suo elettorato.
Un dato che fa il paio con le politiche dello scorso febbraio nei 16 comuni capoluogo andati alle urne: meno 243 mila voti, bruciato il 38% delle schede ottenute da Bersani.
Molto ma molto peggio va nel Pdl.
Dissolti 458 mila voti rispetto alle gloriose elezioni 2008 (con un 65% di delusi) e 163 mila rispetto alle urne di febbraio 2013, sempre sul campione dei capoluoghi.
Tracollo infine per la Lega Nord, che ha perso la metà del consenso in cinque anni, e percentuali da sballo per le formazioni di destra mentre in controtendenza stanno le formazioni di sinistra (Sel, Rc, Arcobaleno).
Tutte le analisi sul voto si precipitano a spiegare l’origine di questi numeri da tregenda.
Innanzitutto l’anno 2008 è un termine di paragone imperfetto: lì le elezioni comunali erano associate alle politiche, peraltro molto accese, e perciò più partecipate.
Se il paragone si fa tra i risultati di oggi e quelli delle consultazioni amministrative successive al 2008, cioè i Comuni andati a votare tra il 2009 e il 2012, il calo della partecipazione si attenua con gradualità .
Spiega il Cise, centro studi elettorali della università Luiss: “Considerando i 16 comuni capoluogo al voto, l’affluenza è stata del 56,2%, con una perdita di 19,2 punti rispetto alla tornata precedente. Anche allargando lo sguardo fino a comprendere l’insieme dei 92 comuni superiori ai 15.000 abitanti la sostanza non cambia: 60,5% di affluenza e un calo di 16,2 punti. Alle amministrative dell’anno scorso, nei 26 comuni capoluogo al voto la diminuzione dell’affluenza fu esattamente la stessa dello scorso weekend (8,2 punti) e la partecipazione complessiva fu del 63,5%. Andando ancora più indietro, nella tornata amministrativa del 2011 (quella che coinvolgeva città come Milano, Napoli e altri 21 capoluoghi), la partecipazione fu del 65,3%”.
Dunque il calo ha colpito l’Italia dei partiti con le cifre più drammatiche (meno 20 per cento a Roma, meno 24 a Pisa, meno 19 a Sondrio) solo guardando parecchio indietro. Ma la colpa dei brutti risultati dipende soprattutto dalla voragine romana: la capitale ha segnato il record negativo dell’affluenza con il 52,8 per cento, un valore pesante da reggere sull’intero corpo votante e che ha punito severamente sia il Pd che il Pdl.
“Il dato dell’astensione resta l’elemento principe in questa tornata – conferma Gianluca Passarelli, ricercatore dell’Istituro Cattaneo -. Una disaffezione che ha incanalato una serie di elementi diversi: la stanchezza generale verso i partiti, le urne così ravvicinate tra politiche, regionali e comunali, la delusione per Grillo che in questi primi mesi di attività parlamentare s’è dimostrato poco duttile. Mettiamoci pure un governo di larghe intese che di sicuro non spinge gli elettori a esprimersi con decisione, ed ecco il risultato di queste ore”.
L’istituto ha cercato di capire in dettaglio come si siano mossi i flussi analizzando quattro città campione (Barletta, Treviso, Brescia e Ancona): anche in provincia vincono astensione e ritorno alle origini.
Una delusione cui non scampa il Movimento 5 Stelle, che pur migliorando la performance sul territorio rispetto alle primissime apparizioni, perde 415mila voti guardando alle politiche (sempre nei 16 comuni capoluogo).
E svuota ulteriormente il bacino elettorale: “Di certo una parte degli elettori un tempo Pd s’erano trasferiti nel Movimento ma hanno deciso stavolta di disertare il voto, oppure di rientrare nel Pd – continua Passarelli -. Ora immaginare che cosa accadrà al ballottaggio è difficile, ma di certo conterà molto l’elemento locale: un conto è dare il proprio voto di protesta a Grillo per il parlamento, il palazzo del potere, Roma lontana; altro discorso è scegliere la persona che amministra il tuo comune, il tuo quartiere, le decisioni più spicce ma più rilevanti nella vita quotidiana”.
Chiara Paolin
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Maggio 29th, 2013 Riccardo Fucile
“BOSSI MI ORDINO’ DI SPOSTARE I SOLDI IN TANZANIA: DOVEVANO SERVIRE ALLA LEGA PER CONTRASTARE I FINANZIAMENTI CHE MARONI STAVA RACCOGLIENDO PRESSO INDUSTRIALI PER IMPOSSESSARSI DEL PARTITO”
Finanziamenti occulti, trasferimenti di denaro all’estero, «talpe» sulle inchieste.
L’ex tesoriere della Lega Francesco Belsito collabora con i magistrati di Reggio Calabria.
Prima del suo arresto, avvenuto per ordine dei giudici milanesi il 24 aprile scorso, l’uomo che gestiva i soldi del partito all’epoca guidato da Umberto Bossi, ha riempito centinaia di pagine di verbali.
Negli interrogatori svela come i vertici del Carroccio, in particolare Roberto Castelli, fossero stati avvisati delle indagini ancora segrete e avessero così aggirato i controlli. Un sistema utilizzato anche per sottrarsi ai controlli sulle quote latte.
Ricostruisce il flusso degli esborsi dal Carroccio al Movimento per le Autonomia di Raffaele Lombardo, i rapporti con gli imprenditori.
Assicura che fu Bossi ad autorizzare lo spostamento dei soldi in Tanzania.
Accuse pesanti che il pubblico ministero Giuseppe Lombardo sta adesso verificando con accertamenti delegati agli investigatori della Dia.
«Cambia le targhette»
È il 13 marzo scorso. Belsito, accusato di ricettazione e riciclaggio, viene convocato per un interrogatorio.
E dichiara di voler rispondere alle domande.
Racconta il proprio ruolo all’interno della Lega.
Ma soprattutto svela che cosa accadde due mesi prima delle perquisizioni ordinate dalle procure di Napoli, Milano e Reggio Calabria sui soldi usati per mantenere la famiglia Bossi.
Belsito: «Vorrei che qualcuno mi spiegasse qualcosa. Sapevano che arrivavano le perquisizioni prima e hanno cambiato le targhe delle stanze dove c’era la contabilità con i nomi dei deputati e senatori, perchè la sa benissimo…».
Pm: «Quindi lo sapevano? Come fa ad avere questa certezza?».
Belsito: «Quelle stanze dove lei leggeva onorevole tizio o caio, non c’era nessun onorevole, erano le stanze della contabilità ».
Pm: «E lì c’erano i documenti?».
Belsito: «Certo! Ma lei lo sa qual era il mio ruolo? Io prendevo la carta, la consegnavo alla Dagrada e la Dagrada faceva tutto. Mi spiega come mai le stanze della contabilità , dove stava la Dagrada, dove stava la Pizzi, cioè i nomi dei dipendenti».
Pm: «Sono stati spostati?».
Belsito: «Non che sono stati spostati, c’erano sempre loro… ma fuori c’era scritto “Onorevole tal dei tali”».
Pm: «Quindi le hanno rese inaccessibili, dice lei. E chi li aveva avvertiti?».
Belsito: «Io questo non lo so, ma sapevano benissimo, perchè io ho avuto un bisticcio con Castelli e lui mi ha detto “ci sono tre Procure che indagano”. Era il mese di febbraio, quando trattavamo il rientro dei soldi, lui voleva le mie dimissioni e aveva detto che c’erano… Io gli ho risposto e gli ho detto, ma sei un cartomante? O fai parte anche tu del sistema? Come fai a sapere? Perchè tre Procure non una, non due? Eravamo nella stanza di Bossi alla Camera… e le giuro che sono incazzato, mi sono alzato e gli ho detto “tu sei un grandissimo pezzo di m…”. Bossi mi richiedeva le dimissioni perchè c’erano tre Procure che indagavano: “Se tu vuoi bene al partito”. Gli ho detto, ma perchè io mi devo dimettere scusami?».
Le verifiche hanno consentito di accertare che l’incontro a Montecitorio sarebbe avvenuto il 9 febbraio 2012. Le perquisizioni scattarono invece il 4 aprile successivo e furono effettivamente condotte dai magistrati di tre Procure. E non solo. Aggiunge Belsito: «Comunque quando c’è stata la perquisizione delle quote latte… idem! Stesso giochetto, targhe dei deputati e non hanno trovato niente».
Pm: «Lei ha capito Castelli attraverso chi l’aveva saputo?».
Belsito: «No. So che era un periodo che si vedevano tutti di nascosto. I vari dirigenti del partito, che potevano essere Calderoli, Maroni, Castelli, lo stesso Stiffoni. Io sono andato a cena con Stiffoni una sera dove lui mi pregava di dare le dimissioni. Io le posso giurare, lo chieda a Bossi, io andavo da lui, a casa sua o in ufficio e gli dicevo: “Se vuoi le mie dimissioni, io non ho problemi a dartele. Però ricordati che tutti questi soggetti che sono qua, sono tutte delle persone veramente scorrette. Perchè davanti ti fanno un gioco e dietro ne fanno un altro”».
Imprenditori e finanziamenti
L’ex tesoriere parla anche della guerra interna al partito.
Belsito: «Io avvisai Bossi che c’era una raccolta fondi, sempre voci di partito, lettere anonime, dove determinati esponenti, importanti imprenditori, stavano foraggiando l’iniziativa nel Nord, cioè rafforzare l’assetto della Lega nel Nord. E dove, in queste cene con l’imprenditoria importante Roberto Cota, Luca Zaia, Roberto Maroni incontrarono soggetti, ma non imprenditori improvvisati, gente di livello nazionale e dove stavano facendo una raccolta fondi. Ma il partito non c’entrava nulla, e non c’entrava niente».
Pm: «Ma non ho capito. Questo progetto, che sarebbe sorto all’interno già di un partito separatista».
Belsito: «Volevano costituire una Fondazione. Quindi c’erano due tipi di Fondazioni che volevano essere costituiti in Lega. Una la volevamo costituire noi come Lega, quindi la Lega vera. È questa che doveva finanziare degli eventi politici».
Pm: «E quindi diciamo, si stava creando già una fronda?».
Belsito: «Certo. Un soggetto autonomo. Tanto è vero che la preoccupazione di Bossi era quella: se rompiamo dobbiamo essere in grado di fare campagna elettorale. Ed ecco lì il motivo del Fondo. Lo spostamento del Fondo in Tanzania. Lui voleva un tesoretto per affrontare… disponibile… quindi iscritto a bilancio».
I soldi a Mpa
Belsito parla anche della strana alleanza tra Carroccio e il partito dell’ex governatore siciliano Raffaele Lombardo.
Belsito: «Loro erano alleati. Io ad esempio quando ho seguito la contabilità diretta, mandavo ogni anno a Lombardo un bonifico perchè il Mpa era in coalizione, così mi era stato detto, con la Lega. Una quota parte del rimborso elettorale. Erano rapporti che aveva Calderoli».
Pm: «Ma erano portati all’ordine del giorno, questi argomenti, in sede di Consiglio federale?».
Belsito: «Sull’alleanza di Lombardo indubbiamente sì. Su strategie interne, ripeto, ognuno di noi aveva un ruolo. Lombardo si appoggiava sempre a Berlusconi. So che quando hanno rotto, il suo tesoriere era venuto, questo onorevole siciliano a batter cassa. Io l’ordine che avevo era di non dargli più niente, perchè si erano separati con la Lega».
Pm: «Cioè, la Lega finanziava il Mpa?».
Belsito: «Finanziava perchè nella campagna elettorale avevano fatto l’accordo. In prima battuta Calderoli mi aveva detto di non dargli più niente e di prender tempo. E poi invece mi aveva convocato, ha detto no, devi pagare, bisogna pagare. Ed io naturalmente l’ho fatto. Quando parlo di pagamenti, sono pagamenti ufficiali, quindi bonifici».
Fiorenza Sarzanini
(da “il Corriere della Sera“)
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Maggio 29th, 2013 Riccardo Fucile
MICHELA DE BIASE , GIOVANE ESPONENTE DEL PD, E’ OTTAVA E SI ASSICURA IL POSTO IN CONSIGLIO COMUNALE A ROMA
Michela Di Biase è in dirittura d’arrivo come ottava eletta tra i consiglieri del Pd in
Campidoglio. Con questa posizione, qualunque sia l’esito del ballottaggio per il sindaco della Capitale, Michela Di Biase si sta guadagnando — con 3.781 preferenze nelle 2.176 sezioni scrutinate su 2600 – la promozione e l’ingresso nel nuovo consiglio comunale di Roma.
LA COMPAGNA DI FRANCESCHINI
È lei la giovane candidata che aveva fatto scalpore per gli sms di raccomandazione lanciati dal suo compagno, Dario Franceschini, già capogruppo Pd alla Camera e attuale ministro dei Rapporti col Parlamento del governo Letta.
Michela Di Biase è riuscita a scavalcare rappresentanti uscenti piuttosto noti come Athos De Luca e Orlando Corsetti.
E così passa dal parlamentino del VII Municipio dove era capogruppo Pd all’aula Giulio Cesare del Campidoglio.
DALLA CASILINA IN CAMPIDOGLIO
Dal suo quartier generale sulla Casilina — lei è cresciuta all’Alessandrino come ricorda con orgoglio nella sua scheda personale postata sul web — aveva però replicato: «Questa è una competizione difficile, che male c’è in un sms di sostegno?».
Le polemiche sulla sua candidatura erano state piuttosto roventi.
SMS DI RACCOMANDAZIONE
Nel mirino gli sms che Dario Franceschini aveva diramato in suo favore. «Caro xxx, se voti a Roma posso proporti la preferenza di Michela Di Biase, la mia compagna, che si candida in consiglio comunale? Dario».
A pubblicare l’sms prima era stato il sito «Il Portaborse» e poi il blog di Beppe Grillo che aveva sotto un titolo sfottò «Il compagno Franceschini e la sua compagna»aveva commentato: «Teniamo tutti famiglia».
LA SANTANCHE’
Ne era nata una querelle con accuse di favoritismo respinte al mittente dallo stesso Franceschini (“Grillo rispetti la mia compagna”) ma anche con la difesa inaspettata di un’avversaria politica come Daniela Santanchè che aveva apprezzato il gesto di un uomo «innamorato».
IL CURRICULUM
Il resto è nel suo sito dove Michela Di Biase si descrive intanto così: «Sono nata a Roma il 17 ottobre 1980 e sono cresciuta nel quartiere Alessandrino. Sono laureata in storia dell’arte e oggi lavoro in un’ azienda pubblica. In passato ho prestato servizio civile presso il corpo nazionale dei vigili del fuoco. Ho iniziato a fare politica nel mio quartiere, prima impegnandomi nell’associazionismo e in seguito militando nei Ds. Nel 2006 sono stata eletta consigliere del VII Municipio e mi sono occupata di politiche giovanili e questione femminile. Nel 2008 sono risultata il consigliere più votato del Pd e da allora ho rivestito il ruolo di capogruppo. Attualmente sono vice presidente dell’assemblea regionale e membro della direzione romana del partito». E ancora: «Sono convinta che si debba investire nel patrimonio archeologico e culturale. Sono convinta che si debba puntare sul trasporto pubblico per migliorare la qualità della vita dei cittadini. Sono convinta che la creatività , l’impegno e la partecipazione vadano valorizzati e incentivati. Sono convinta che le periferie di Roma siano piene di risorse e di potenzialità straordinarie. Sono convinta…».
Paolo Brogi
(da “il Corriere della Sera”)
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Maggio 29th, 2013 Riccardo Fucile
LA CONFESSIONE DEL CANDIDATO SINDACO CINQUESTELLE ANTONIO RUSSO… ALLE COMUNALI I GRILLINI ORA SONO CROLLATI ALL’ 8,6%
Il M5S di Imperia ammette: alle politiche di febbraio il M5S (33,65%) incassò i voti spostati da Claudio Scajola in rotta con Eugenio Minasso (anche lui Pdl) che gestì la composizione delle candidature lasciandolo fuori.
Ma non erano i Cinquestelle quelli che volevano mandare tutti a casa, in primis politici come Scajola al centro di indagini?
E poi fanno un accordo da prima Repubblica proprio con il maggior esponente del Pdl nell’imperiese?
Da un lato lo attacchi per la casa “acquistata a sua insaputa” e dall’altro ne incassi i voti?
Non si tratta di illazioni giornalistiche, ma di dichiarazioni rilasciate da Antonio Russo, candidato Cinquestelle alla carica di sindaco a Imperia che, quasi a giustificare l’enorme calo di consensi dei grillini alle comunali (dal 33,65% all’ 8,6%) dichiara: “Il dato delle politiche non è da tenere in considerazione: lo sanno tutti che gran parte di quei voti erano stati spostati da Scajola per fare un dispetto a Minasso”.
Se lo sapevano tutti perchè non ci spiega a come si era arrivati a quell’accordo?
O forse ci vogliono far credere che i Cinquestelle incassarono quei voti “a loro insaputa”?
Ricordiamo bene le polemiche interne al Pdl in quei giorni convulsi, quando Scajola fu estromesso dalla lista delle politiche.
E le dichiarazioni sul fatto che nel suo feudo non avrebbe certo favorito il suo acerrimo nemico Minasso.
“Stiamo valutando su chi far votare” dissero esponenti Pdl vicini a Scajola, vi erano trattative in corso, fecero capire.
E i Cinquestelle sfondarono miracolosamente il muro del 33% in una delle province più difficile, monopolio Pdl da venti anni.
Russo ci spieghi chi trattò l’inciucio e chi non volle prenderne subito le distanze.
O ritiene che l’operazione sia consona a un movimento che vuole davvero mandare tutti a casa?
In realtà gli elettori a Imperia pare abbiano già deciso chi mandare a casa: i Cinquestelle.
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Maggio 29th, 2013 Riccardo Fucile
UNA DECINA DI DEPUTATI E SENATORI PRONTA A LASCIARE IL GRUPPO… CASALEGGIO NEL MIRINO…VENERDI CORSI DI RECUPERO IN COMUNICAZIONE
Chi ci crede, nega il calo. O si dice «entusiasta» dei risultati o fa ragionamenti non lontani da
formule democristiane tipo: «Abbiamo tenuto».
Oppure, ancora, cerca rimedi: andare di più in televisione (da venerdì gruppi di dieci parlamentari andranno a Milano a «corsi di comunicazione televisiva»); o stare di più sul territorio, magari tornando a quella «settimana corta» tanto cara ai parlamentari di ogni tempo e di ogni partito (ma in questo caso per lavorare, non per oziare).
Ma c’è anche chi ci crede sempre meno.
E quelli preparano una via d’uscita, rumorosa.
«Siamo in dieci, pronti ad andarcene», dice un parlamentare. Questione di tempo. Ma anche di dialettica interna.
Se non si trova una composizione, se non si allenta la stretta del duo Grillo e Casaleggio, un drappello di 5 Stelle è pronta a formare un gruppo separato.
Fervono le trattative con il Pd. Al Senato lo snodo decisivo è la nomina del nuovo capogruppo.
Il diktat di Vito Crimi, che nega ai suoi il diritto di parlare di «strategie politiche e alleanze», fa il paio con la sua volontà di far cadere «le mele marce».
E il successore di Crimi, da scegliere entro il 15 giugno, può confermare la linea dura o ammorbidirla.
Nel primo caso, un piccolo gruppo di senatori è pronto all’addio.
Operazione «C’eravamo tanto amati», la chiama uno di loro.
La delusione la puoi osservare nei volti tesi in Transatlantico. L’onda lunga subisce per la prima volta un riflusso. Il Movimento si trova in questa temperie, con una base che scalpita, ironizza o si infuria.
E i «cittadini» che minimizzano o sbottano di nascosto.
Su twitter questa è la battuta più gettonata: «Lodevole iniziativa del #m5s, che si dimezza i voti del 50%».
C’è chi attacca Casaleggio e chi è impietoso con Grillo: «Hai buttato 9 milioni di voti relegando questo branco di 163 incapaci all’opposizione».
E chi chiede: «Avete finito di contare gli scontrini?».
Si cerca una via d’uscita. E necessariamente le soluzioni frantumano certezze poco flessibili rispetto alla realtà : il dogma del «tutti in Parlamento sempre» viene messo in discussione, tra gli altri, da Serenella Fucksia e Bartolomeo Pepe.
Un senatore la chiama «settimana corta»: «Se siamo andati male è perchè ci siamo dimenticati del territorio. Perdiamo troppo tempo a Roma in assemblee inutili. Il lunedì e il venerdì è meglio stare a casa, con i nostri elettori».
Parole che stridono un po’ con quelle di Carla Ruocco, pasionaria in bianco. Che se la prende, giustamente, con i troppi assenti: la diaria è legata al voto e non alla presenza. Ma la settimana corta è già realtà per molti 5 Stelle. Soltanto che non basta.
Il campano Salvatore Micillo non si capacita dei risultati: «Sono preoccupato. Certo, è comunque un inizio. Ma in molti posti siamo andati male e non ho capito perchè. A Portici, per esempio, c’erano tutte le condizioni per arrivare al ballottaggio. E invece niente».
Colpa degli elettori, urla Grillo. Vero, dice Tatiana Basilio, che nota «un’involuzione dell’umanità » ma non demorde: «Bisogna proseguire nel cammino degli illuminati, nella ricerca della verità ».
Si sentono più al buio Tommaso Currò e Vega Colonnese. Che rilancia articoli critici di Travaglio e Gomez. Walter Rizzetto, uno di quei deputati che non soffre sudditanza verso il fondatore, non ci sta: «Non sono d’accordo con Grillo, non è colpa degli elettori. Dobbiamo riflettere. L’astensionismo è un dato sconfortante».
Matteo Incerti, Comunicazione del Senato, elenca i ballottaggi dei 5 Stelle: «Pomezia (Roma), Martellago (Venezia) e Assemini (Cagliari)».
Bastano? No di certo. E allora si prepara lo sbarco in tv, con cautela.
Rocco Casalino: «Abbiamo appena detto no a Lerner, Santoro e Floris».
Cosa resta? «Le ricette di Benedetta Parodi no – scherza -. Vedrete».
Alessandro Trocino
(da “il Corriere della Sera“)
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