Maggio 22nd, 2013 Riccardo Fucile
AVEVA DETTO CHE AVREBBE RINUNCIATO ALLA PRESCRIZIONE, AVREBBE DOVUTO CONFERMARLO STAMANE IN AULA, MA E’ SPARITO
Processo a metà per Filippo Penati.
Il tribunale collegiale di Monza ha disposto la riunione del processo a carico di Penati e Antonino Princiotta, rispettivamente ex presidente ed ex segretario della provincia di Milano, a quello già fissato il prossimo 26 giugno per altri 8 imputati del cosiddetto «sistema Sesto».
L’ex uomo di punta del Pd Penati, dovrà rispondere solo delle accuse di corruzione di incaricato di pubblico servizio in relazione alla gestione della società Milano Serravalle, acquisita dalla provincia di Milano all’epoca della presidenza Penati, e di altre contestazioni di corruzione e violazione della legge sul finanziamento ai partiti.
Niente processo, invece, per la presunta concussione relativa agli appalti delle grandi aree industriali dismesse del comune di Sesto San Giovanni, le ex Falck e Marelli. Reati prescritti a febbraio dopo le modifiche normative dell’ultima legge «anticorruzione».
Proprio la questione relativa alla prescrizione, per Penati, si era trasformata in una sorta di «telenovela», nata dopo le dichiarazioni dello stesso ex sindaco di Sesto, il quale, ancora prima del rinvio a giudizio, aveva dichiarato pubblicamente di volersi opporre alla prescrizione per dimostrare la propria estraneità a tutte le accuse. All’udienza di stamattina, il tribunale collegiale (presidente Letizia Brambilla), dopo aver accolto la costituzione di tutte le parti civili presentate la scorsa settimana (compresa quella dei Democratici di Sinistra, soggetto giuridico ancora esistente) ha posto direttamente la questione ai difensori di Penati.
PENATI NON RISPONDE
La richiesta dei giudici era in questi termini: «Penati intende avvalersi o meno della prescrizione?».
L’imputato avrebbe potuto rinunciare ai vantaggi della prescrizione formalmente davanti a giudici, ma non era presente in aula.
A quel punto l’avvocato difensori Matteo Calori, ha dichiarato di non aver avuto mandato in questo senso.
Udienza interrotta, telefonata dell’avvocato a Penati, e dichiarazione finale del legale: «Penati oggi non c’è, e non posso decidere per lui».
Inevitabile, da parte del tribunale, la dichiarazione di non doversi procedere per quei reati già prescritti e il successivo rinvio con riunione del processo.
Al difensore, per «recuperare» il processo sui reati Falck, resta eventualmente la possibilità di ricorrere in Cassazione, come dichiarato dallo stesso al termine dell’udienza.
Solo quando tutto è prescritto Penati ritorna tra i vivi per annunciare che “nei prossimi giorni farò ricorso in Cassazione per annullare la sentenza di prescrizione voluta dai pm per i fatti di 13 anni fa”.
Peccato che, se avesse voluto, avrebbe potuto farlo stamane… che presa per i fondelli.
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Maggio 22nd, 2013 Riccardo Fucile
“COSI’ METTETE A RISCHIO IL GOVERNO”: E IL SENATORE COMPAGNA RITIRA LA PROPOSTA
«Purtroppo di episodi così ne abbiamo avuti e ne avremo, bisogna mantenere i nervi saldi».
Predica prudenza Letta di fronte all’ennesima provocazione: la proposta di dimezzare la pena per concorso in associazione mafiosa.
Una misura ritirata dal proponente, il senatore Luigi Compagna (eletto con il Pdl poi passato a un altro gruppo di centrodestra), ma che ha scosso per un giorno intero i nervi già provati della maggioranza.
Tanto che è stato necessario un intervento diretto del premier per arrivare al risultato e riportare la calma.
Letta è ancora a palazzo Madama per il dibattito sull’Ue quando gli portano le agenzie che riferiscono della nuova mina piazzata sul cammino del governo.
Non ci vuole molto a capire che l’episodio può far deflagrare la maggioranza. Il premier non perde tempo. Si mette in contatto con Angelino Alfano, volato a Milano per presiedere il comitato per l’ordine e la sicurezza.
Gli chiede conto di quel disegno di legge che è come un pugno in un occhio per il Pd e per il fronte antimafia.
«Se andate avanti — avverte è chiaro che rimettiamo tutti, mettete a rischio il governo». Ma il ministro dell’Interno ne è anche lui all’oscuro.
Insieme decidono comunque di spegnere sul nascere l’incendio.
Così, benchè dall’entourage di Schifani giurino che la decisione di stoppare Compagna sia stata «un’iniziativa personale » del capogruppo Pdl, presa senza suggerimenti dall’alto, nel governo si parla di una telefonata Alfano-Schifani per riparare il danno.
Tanto più che il nuovo ddl, subito ribattezzato “salva-Dell’Utri”, se approvato sarebbe stato un colpo di spugna sui processi di un feroce nemico interno di Alfano.
Proprio con l’ex senatore condannato per mafia, prima delle elezioni, il vicepremier ebbe infatti uno scambio di insulti (pubblico) senza precedenti a colpi di «Alfano non ha le palle» e «Dell’Utri è un povero disgraziato, non va ricandidato».
Insomma, non deve essere stato difficile per Letta convincere Alfano a spendersi per far ritirare il ddl.
E tuttavia l’incidente di ieri segnala una volta di più la fragilità della maggioranza, esposta ai colpi di testa o alle studiate provocazioni di gruppi o singoli parlamentari. Come è accaduto appena una settimana fa con il disegno di legge presentato a Montecitorio da un altro esponente Pdl, Enrico Costa, per limitare le intercettazioni e la possibilità dei giornali di pubblicarle.
Anche allora ci volle l’intervento di Letta, impegnato in Polonia per un vertice, per indurre il Pdl alla retromarcia.
Come confida Felice Casson prendendo a braccetto un altro senatore del Pd, «qua se non si stiamo attenti ci infilzano ogni giorno».
Occhi aperti dunque, perchè la proposta Compagna non è stata inserita all’ordine del giorno con un blitz,bensì — come ha fatto notaremaliziosamente il presidente della commissione giustizia Nitto Palma — la calendarizzazione dei provvedimenti «è avvenuta su richiesta e con il voto dei capigruppo».
E il progetto sul concorso esterno sarebbe stato assegnato senza l’opposizione del capogruppo del Pd in commissione, Giuseppe Lumia. «Sarà stata pure un’iniziativa estemporanea di Compagna — ragiona la presidente della commissione giustizia della Camera, Donatella Ferranti ma qualcuno l’ha proposta all’ufficio di presidenza e gli è stato assegnato un relatore»
Insomma, nel Pd non tutti credono alla versione minimalista del ddl frutto soltanto dello zelo garantista di un senatore Pdl.
Sospettano manovre e provocazioni. Magari di quella parte di falchi del Pdl che hanno tutto l’interesse a mantenere alta la tensione dentro la maggioranza. Per poi arrivare al voto anticipato.
Qualche dubbio in questo senso affiora anche tra le colombe governative del partito di Berlusconi. Fabrizio Cicchitto per esempio è tra quelli che non hanno preso bene l’iniziativa sul concorso esterno.
«Al di là del merito della proposta — sisfoga Cicchitto — uno presenta queste cose se hanno una seppur minima possibilità di essere approvate. Altrimenti voler piantare delle bandierine tanto per fare, con una situazione già così difficile nei rapporti tra Pd e Pdl, mi sembra un atto demenziale ».
Anche il calendario stavolta ha giocato a sfavore, contribuendo ad alimentare la polemica interna alla maggioranza.
Per uno scherzo del destino la norma “salva Dell’Utri” è uscita dai cassetti della commissione alla vigilia dell’anniversario della strage di Capaci.
Francesco Bei
(da “La Repubblica“)
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Maggio 22nd, 2013 Riccardo Fucile
LE ESTERNAZIONI DI VIOLANTE, ORFINI E FASSINA ANTICIPANO IL VOTO DEL PD
Tra la “fuffa” del nuovo dibattito sulla legge elettorale e quella delle polemiche di giornata (tipo il ddl Finocchiaro-Zanda anti-Grillo sui partiti), la presidenza della giunta delle elezioni e delle immunità al Senato è l’unica cosa concreta che si profila all’orizzonte dell’inciucio di governo.
In quanto concreta e fin troppo delicata, perchè è lì che si deve slegare il nodo dell’ineleggibilità del senatore Silvio Berlusconi, la decisione attesa per ieri ha ovviamente subìto uno slittamento.
Fissata per le 14, la riunione della giunta cinque minuti prima del suo inizio è stata “sconvocata”, come si dice nell’orrendo gergo di Palazzo, dalla conferenza dei capigruppo e “rinviata a data da destinarsi”, probabilmente la prossima settimana, dopo lo svolgimento del primo turno delle amministrative, minitest nazionale per i partiti della maggioranza.
A favore Pd, Pdl e centristi, contro Lega e Movimento 5 Stelle.
Ufficialmente, il rinvio è imputato alla mancanza dell’accordone generale sulle presidenze di giunta, Copasir e Vigilanza Rai da assegnare alle opposizioni.
Al di là del rifiuto dei grillini a trattare, lo schema di partenza prevedeva e per certi versi prevede ancora: il leghista Raffaele Volpi alla giunta di Palazzo Madama, Claudio Fava di Sel al Copasir e Roberto Fico del M5S alla Vigilanza Rai.
Il no a oltranza di Felice Casson del Pd a votare Volpi (“La Lega non è opposizione”) e che ha spaccato gli otto democratici della giunta a metà sarebbe il vero motivo dello slittamento.
Lo dimostra il nuovo punto di mediazione da cui è ripartita la trattativa.
Casson chiede la presidenza per Sel o un grillino e così l’intesa avrebbe un punto d’arrivo diverso da quello originario: Dario Stefano di Sel alla giunta, un leghista al Copasir (lo stesso Volpi, ritenuto buono per tutti i ruoli) e il grillino Fino alla Vigilanza.
L’offerta è stata fatta pervenire al Pdl e “il ragionamento comune” ancora non è iniziato.
I berlusconiani potrebbero essere “disponibili” ma su tutto e tutti conterà , come al solito, la parola finale del Cavaliere.
Alla giunta del Senato si gioca il suo destino di eleggibile e i falchi del Pdl sono sempre fermi al nome di Volpi, l’unico che potrebbe garantire una “velocità lenta” alla mozione che verrà presentata da Vito Crimi, il capogruppo del M5S presente nella giunta delle elezioni e delle immunità di Palazzo Madama.
Dopo l’ultimatum del senatore previtiano Nitto Palma, presidente delle commissione Giustizia, (“Se passa l’ineleggibilità il governo cade”), sono arrivati segnali rassicuranti dal Pd.
Il primo dal dalemiano Luciano Violante: “Per tre o quattro volte, nelle passate legislature, il centrosinistra ha votato in un certo modo (contro l’ineleggibilità , ndr). Se non ci sono fatti nuovi non vedo perchè dovremmo cambiare questa scelta”.
Poi anche il giovane turco Matteo Orfini, ex dalemiano che oggi incarna l’anima sinistra del partito, ha sconfessato la linea hard dell’ineleggibilità , propugnata per esempio da Luigi Zanda: “Credo che Berlusconi sia eleggibile, perchè per vent’anni c’è stata una legge che è stata interpretata a favore della sua eleggibilità . A me piacerebbe batterlo alle elezioni e non squalificandolo”.
Idem Stefano Fassina, altro giovane turco socialdemocratico: “Il Pd non vuole eliminare nessuno. Credo che il comportamento che il Pd e i partiti che l’hanno preceduto hanno tenuto sin da quando il problema si è manifestato sia il comportamento che vada tenuto anche ora”.
Lungo e contorto giro di parole per dire che B. è eleggibile.
Nonostante le rassicurazioni, B. però non si fida e in tv ha sparato a zero, con venature di sarcasmo, facendo riferimento anche al ddl blocca-Grillo: “Eliminato Berlusconi e il Pdl, eliminato Grillo e il M5S, il Pd correrebbe da solo. Mi domando dove e perchè hanno tenuto nascosto questo genio fino ad adesso”.
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Maggio 22nd, 2013 Riccardo Fucile
I NOBILI PRECEDENTI DELL’APOLOGETA RAZZISTA IN CAMICIA VERDE …CHISSA’ COME MAI LA LEGA NON PUO’ PERMETTERSI DI ESPELLERLO COME FAREBBE QUALSIASI PARTITO CIVILE
La Stampa, 22.02.1979
In carcere per bancarotta un assessore di Cuorgnè, Giovanni Jaria, e due avvocati
Truffe e strane operazioni finanziarie che hanno per sfondo la fantomatica cooperativa «Aurora» di Borgaro continuano a interessare la magistratura che sta indagando su fatti e misfatti di questa società in cui parecchia gente in buona fede ci ha rimesso i risparmi credendo di poter un giorno diventare proprietaria di un alloggio.
Ieri il giudice istruttore Accordon ha emesso sei mandati; di cattura eseguiti dai carabinieri del reparto operativo.
Sono stati arrestati due avvocati. Veniero Frullano di 50 anni e Mario Borghezio, 32 anni, un assessore di Cuorgnè, Giovanni Jaria, impresario e personaggio pubblico piuttosto «chiacchierato» tanto da essere espulso dal partito socialista in cui militava attivamente. (…) Esaminando i libri contabili della fallita cooperativa «Aurora» sarebbe emerso che un «buco» di 90 milioni avrebbe avuto la copertura fasulla di fatture emesse dallo Jaria, o meglio dall’impresa «Ice» di cui Jaria era amministratore.
Perchè? L’ Ammassari, factotum della «Aurora», con quelle fatture fittizie avrebbe dimostrato ai soci che la contabilità societaria era perfetta e che i lavori sarebbero cominciati presto.
Tanto è vero che sarebbe riuscito grazie a quelle «credenziali» a far versare altre somme ai soci, soldi finiti poi non si sa bene dove. L’«operazione fatture» sarebbe un’iniziativa dell’Ammassari, conclusa con l’aiuto degli avvocati Borghezio e Frullano che gli avrebbero presentato Giovanni Jaria.
La Stampa, 23.02.1979
Dietro i raggiri della falsa cooperativa l’ombra del delitto di Vauda Canavese?
Tra i cocci della cooperativa «Aurora» di Borgaro. dichiarata fallita nell’autunno scorso, c’è di tutto: truffa, falsi in contabilità , raggiri, «buchi» per decine di milioni, bilanci fasulli, un’estorsione e, domani, forse, la spiegazione di un delitto che pareva destinato alla polvere degli archivi.
Vediamo di riassumere gli ultimi sviluppi della complessa vicenda.
Tra ieri e martedì notte il giudice istruttore Accordon ha interrogato le persone arrestate; gli avvocati civilisti Venicro Frullano e Mario Borghezio; l’impresario ed assessore di Cuorgnè Giovanni Iaria; il suo socio Luigi De Stefano e un commerciante di Vimodrone (Milano), Giovanni Tornaghi, 47 anni.
Costui, in concorso con Alfredo Luca, 50 anni, radiotecnico di Milano, avrebbe tentato un’estorsione a due non meglio specificati soci della «Aurora».
Come? Cercando di farsi consegnare un paio di brillanti del valore di 10 milioni e offrendo in cambio il silenzio sull’imbroglio che Gian Maria Massari farmacista di Borgaro e factotum della cooperativa, ed i suoi più stretti collaboratori, andavano tessendo alle spalle dei «soci». (…) E c’è di più: da questa fitta ragnatela dovrebbero venire fuori i nomi e le ragioni di un delitto commesso presso Vauda Canavese il 30 agosto scorso.
Quella sera, due contadini scorsero nelle vicinanze di un loro vigneto affiorare dal terreno il braccio di un cadavere sepolto da poco.
La fossa, scavata qualche ora prima, conteneva il corpo di Loris Silvestri, ex cuoco, «giustiziato» con due colpi di pistola alla testa.
C’è il sospetto che il Silvestri avesse ficcato il naso troppo a fondo proprio nelle attività delle società fantasma che pullulavano nella zona, minacciando forse di parlare.
Da qui l’ordine di farlo tacere per sempre.
Esistono collegaimenti tra le indagini che sta svolgendo il magistrato sulla cooperativa di Borgaro. e varie «affiliate», e il delitto di Vauda (la pratica è pure nelle mani del giudice Accordon?)
Lo si saprà forse tra pochi giorni.
La Stampa, 03.05.1980
La cooperativa-truffa a Borgaro Rinviate a giudizio 11 persone
La truffa ai danni di persone che sono alla ricerca di una casa sta diventando sempre più frequente.
Un esempio viene dalla cooperativa fantasma «Aurora», di Borgaro. costituitasi nel marzo del ’77 e dichiarata fallita nel gennaio del ’79.
I soci avevano nel frattempo versato oltre alle 50 mila lire di capitale sociale e alle 250 mila, a titolo di fondo spese, quote pari al 10 per cento del valore degli alloggi vale a dire, dai 2 al 2 milioni e mezzo di lire ciascuno.
Al centro della vicenda, nata da una denuncia dell’ottobre ’78, e i successivi esposti dei soci che avevano ormai intuito la truffa ordita ai loro danni, un gruppo di spregiudicati professionisti, in questi giorni il giudice istruttore Acordon ha chiuso l’inchiesta, chiedendo il rinvio a giudizio davanti al tribunale per undici persone.
Tutte devono rispondere di associazione per delinquere e concorso nella truffa.
Sono: Giuseppe De Vita, 37 anni, ex postino e vicesindaco di Borgaro, socialista come Gian Maria Ammassari, 35 anni, che abbandonò la gestione della farmacia nel paese per darsi alla politica (era segretario del psi della locale sezione) e agli affari; (…) Maria Luisa Aime, 25 anni, di Leinì, impiegata, socia e consigliere d’amministrazione, grazie alla sua amicizia con il farmacista; (…) l’imprenditore edile Giovanni Iaria, 33 anni, che secondo l’accusa forni fatture «di comodo» per un importo di 91 milioni, a titolo di spese per materiale edilizio mai consegnato; gli avvocati Veniero Frullano e Mario Borghezio, che dovevano assistere come legali gli amministratori e parteciparono invece agli utili dell’impresa truffaldina; (…)
Il via alla cooperativa-truffa risale all’inizio del ’77.
Il progetto è allettante: 150 alloggi da tre a cinque vani, prezzi vantaggiosi. L’iniziativa viene sponsorizzata dalla locale sezione socialista (segretario Ammassari, il farmacista) e dal vicesindaco De Vita, intraprendente e conosciuto. I guai cominciano quando i soci, che nel frattempo hanno versato il 10 per cento del valore degli alloggi, chiedono informazioni più precise sull’ubicazione del terreno e sulla concessione da. parte del Comune dell’autorizzazione a costruire.
La verità viene a galla in consiglio comunale quando il sindaco Sola, rispondendo all’interrogazione di un esponente della Democrazia Cristiana, in minoranza nel Comune, rivela che il terreno dell’«Aurora» non esiste. Poi va dal pretore di Ciriè Di Palma che fa partire l’inchiesta.
La Stampa, 18.12.1993
«On. Borghezio, lasci l’Antimafia»
Il caso della cooperativa socialista «Aurora» di Borgaro coinvolge nuovamente Mario Borghezio, oggi deputato e capogruppo della Lega Nord nella Commissione parlamentare antimafia.
Il senatore e il deputato dei Verdi Emilio Molinari e Massimo Scalia e il senatore della Rete Carmine Mancuso, in una lettera, hanno domandato al presidente della commisione Luciano Violante, pidiessino, se il comportamento di Borghezio nella bancarotta della Cooperativa Aurora (e nell’ammanco di 90 milioni) sia compatibile con il suo attuale incarico di commissario dell’Antimafia.
Tanto più che il tribunale condannò assieme a lui (e ad un’altra dozzina di persone) «tal Giovanni Iaria, indagato per legami con la mafia calabrese». (…)
In altre parole i due senatori Verdi e il deputato della Rete sollecitano il presidente dell’Antimafia ad invitare Borghezio a dimettersi.
Ma il deputato della Lega risponde picche: «E’ curioso che questa faccenda ritorni a galla alla vigilia dello scioglimento delle Camere».
Contrattacca: «Siamo di fronte a una chiara manovra anti-Lega, orchestrata per far riemergere quella vecchia storia».
Una storia di ammanchi (dalla cooperativa sparirono 90 milioni) e una «bancarotta fraudolenta» che parevano dimenticati.
Anche perchè, dopo la condanna (due anni) pronunciata dal tribunale nell’84 e confermata in corte d’appello nell’86, la Suprema Corte annullò le sentenze per vizio di forma: i due dibattimenti, a giudizio della Cassazione, si erano tenuti nonostante che il fallimento della cooperativa fosse stato impugnato, quindi non esecutivo.
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Maggio 22nd, 2013 Riccardo Fucile
CONSEGNATE 130.000 FIRME PER CHIEDERE L’ESPULSIONE DEL PARLAMENTARE EUROPEO ANCORA A PIEDE LIBERO CHE CERCA DI MINIMIZZARE
“Esternazioni inaccettabili”. Il presidente dell’Europarlamento Martin Schulz è chiaro e definisce “una vergogna” gli insulti di Mario Borghezio al neo ministro Cecile Kyenge. Le frasi incriminate sono quelle con cui l’eurodeputato ha commentato la nomina del neo ministro dell’Integrazione “una scelta del cazzo, ha la faccia da casalinga”.
E ancora: “Diciamo che io ho un pregiudizio favorevole ai mitteleuropei. Kyenge fa il medico, gli abbiamo dato un posto in una Asl che è stato tolto a qualche medico italiano“. “Questo è un governo del bonga bonga“.
Con un intervento “a titolo personale” Schulz, in apertura dei lavori della plenaria a Strasburgo, ha ricordato che ”una raccolta firme di 130.000 persone” chiede sanzioni contro il leghista.
Il presidente ha fatto sapere che il regolamento non le permette, ma il caso è stato discusso con procedura straordinaria dalla Conferenza dei presidenti.
Ma Borghezio minimizza: “L’unico epiteto, se lo si può chiamare epiteto, che ho detto a Cecile Kyenge è “casalinga“, quando Martin Schulz prenderà visione integrale della registrazione se ne renderà conto”.
Per il leghista la bufera esplosa non ha motivo di esistere. ”Non ho mai detto “negro” a nessuno — spiega ancora Borghezio — mentre sui blog mi è stato attribuito di tutto”. Quanto alle critiche su Kyenge, il deputato del Carroccio ha ammesso di “aver usato espressioni ironiche pesanti” ma solo “perchè non la considero una buona scelta per il governo”.
“E’ stata — chiarisce — una critica politica e non personale, espressa in termini non offensivi, sia perchè non penso in quei termini sia perchè so che esiste la legge Mancino”.
Le firme consegnate sono quelle della petizione #iostoconCecileKyenge, lanciata sul sito change.org e che Stefano Corradino, direttore di Articolo21, ha consegnato al Presidente del Parlamento Europeo. “Riteniamo che queste ultime affermazioni, oltre a rappresentare una grave offesa al neo ministro Cecile Kyenge, dovrebbero essere considerate un oltraggio al Parlamento europeo”, sostiene Corradino.
“Borghezio non è un cittadino comune ma un rappresentante (di tutti) in una prestigiosa istituzione sovranazionale: il Parlamento europeo. E per di più membro della Commissione per le libertà civili. Consegnando queste firme — conclude il direttore di Articolo 21 — chiediamo che il Parlamento europeo favorisca le dimissioni dell’europarlamentare Borghezio o quantomeno attui nei suoi confronti i più pesanti provvedimenti disciplinari”.
Schultz ha però riferito di aver informato l’organo che riunisce i capigruppo delle forze politiche presenti in Parlamento di non “avere gli strumenti disponibili” per eventuali sanzioni o per chiedere le dimissioni dell’eurodeputato leghista.
Sempre Borghezio due anni fu censurato per le sue esternazioni dopo le stragi di Oslo e Utoya da parte del fanatico xenofobo norvegese Anders Breivik. ”Spetta alle autorità italiane determinare se c’è stato un reato”, ha detto il presidente del Parlamento europeo. La conferenza dei presidenti ha deciso di esaminare una registrazione dell’intervista, riservandosi di “condannare le osservazioni, se del caso, con una dichiarazione congiunta”.
Infine, la solidarietà al ministro e un plauso alla scelta di Enrico Letta: “Aver scelto una donna di origine africana come ministro del governo è un grande segnale. Lo incoraggio ad andare avanti su questa strada”.
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Maggio 22nd, 2013 Riccardo Fucile
POI IL MASSIMO DELL’UMORISMO INVOLONTARIO: “LE POLEMICHE SULLA MIA PARTECIPAZIONE? COSE DA RADICAL CHIC”
«Penso sia giusto arrivare a tutti. I ragazzi che guardano Amici non sono di serie B rispetto
ad altri. Mi è sembrata una polemica ideologica da radical chic. Io voglio parlare ai giovani e agli anziani e, per fare questo, devo essere capace di adoperare il loro linguaggio, devo andare nelle trasmissioni che guardano e nei luoghi che frequentano. Il mio dovere è essere diretto e non elitario».
Così, in un’intervista che appare su Chi in edicola, Matteo Renzi difende la sua partecipazione alla trasmissione di Maria De Filippi e più in generale il suo approccio alla politica.
Ma il sindaco di Firenze, il rottamatore rottamato e poi di nuovo resuscitato, fa di più. Alle parole fa seguire le immagini e si concede al servizio fotografico del settimanale in posa da Fonzie: maglietta girocollo bianca e giubbotto di pelle, non propriamente nero, ma l’effetto è quello.
Proprio come quando si era presentato alla prima puntata di Amici lo scorso 6 aprile, suscitando ironie («ecco Renzie») e attese in egual misura.
Quanto ai suoi obiettivi più immediati, c’è la ricandidatura a sindaco di Firenze tra sei mesi «sempre che non si verifichino le condizioni per…» …correre per Palazzo Chigi, completa la frase il giornale, e Renzi chiosa: «Esatto».
(da “il Corriere della Sera”)
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Maggio 21st, 2013 Riccardo Fucile
DOPO I RILIEVI DELLA CORTE DEI CONTI SUI RIMBORSI AI GRUPPI, L’UFFICIO DI PRESIDENZA SOSPENDE L’EROGAZIONE DEI FONDI…MA I CINQUESTELLE VOTANO CONTRO
Dopo il rilievo della Corte dei conti sui rimborsi ai gruppi consiliari in Regione Lombardia, l’ufficio di presidenza del consiglio regionale ha sospeso – nonostante il voto contrario del Movimento 5 Stelle – l’erogazione dei fondi per le spese di funzionamento e comunicazione dei gruppi per un periodo compreso tra il 27 marzo e il 30 giugno.
La decisione è stata presa in attesa di approfondire la contestazione della magistratura contabile sulle spese sostenute nel 2012 dai gruppi della scorsa legislatura e di approvare entro giugno una legge che recepisca la norma nazionale.
La somma che avrebbe dovuto essere erogata alle forze politiche, per la quale è stata disposta la sospensione in via cautelare attraverso una delibera approvata dall’organismo, ammonta a 220mila 212 euro, già ridotta di due terzi rispetto alla scorsa legislatura.
Favorevoli alla decisione i rappresentanti di maggioranza e opposizione nell’Ufficio di presidenza.
Il Movimento 5 Stelle aveva votato incredibilmente contro.
Come è noto la Corte dei conti ha condannato i gruppi regionali di tutti i partiti della precedente legislatura a rifondere una somma complessiva di circa un milione di euro (la metà a carico di Pdl e Lega).
Per riuscire a riscuotere la somma si è pensato di bloccare le nuove erogazioni, una sorta di sequestro cautelare.
Se è vero che i Cinquestelle non possono essere coinvolti per il passato, è inspiegabile che si siano opposti alla sospensione dei rimborsi, visto che sono contrari a ogni forma di finanziamento pubblico.
Evidentemente in Lombardia la distanza tra chi predica bene e razzola male è assai labile.
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Maggio 21st, 2013 Riccardo Fucile
BEN 830 SONO A TEMPO INDETERMINATO, IN LIGURIA SONO 404, IN PIEMONTE 406… IN UNA FRAZIONE DI MONREALE SONO 383 SU 2.000 ABITANTI
A Pioppo, una frazione di Monreale in provincia di Palermo, c’è un solo mestiere che i
bambini sognano di fare grande: il forestale.
Guarda boschi, vigilante del verde, nemico delle erbacce e provvidenziale spegnitore d’incendi: è il talento più diffuso dalle parti di Pioppo, dove un abitante ogni cinque è dipendente dell’azienda regionale foreste demaniali.
Su duemila abitanti infatti la frazione palermitana annovera ben 383 forestali. Un’enormità se si pensa che l’intera Regione Liguria ne ha solo 404.
E se in Piemonte i forestali sono appena 406, nel comune di Solarino, nove mila abitanti in provincia di Siracusa, i forestali sono ben 437: come dire che un abitante ogni 20 è impegnato nella tutela dei boschi.
Ancora superiori le statistiche registrate a Godrano, in provincia di Palermo: su mille abitanti 190 sono forestali, compresi sindaco, alcuni assessori e consiglieri.
Da soli (sic!) badano a 2 mila ettari di bosco.
Circa 158 mila ettari in meno rispetto al Molise dove le guardie forestali sono appena 152.
La questione forestali in Sicilia però non è nuova alle cronache nazionali.
Qualche mese fa il settimanale Panorama aveva quantificato in 28mila elementi l’intero organico di cui poteva disporre la Regione Sicilia per la cura delle proprie foreste.
Un’enormità se si pensa che in tutta la Lombardia sono meno di 500.
In Sicilia però, si sa, dove non arrivano i privati c’è sempre mamma Regione a fornire aiuti ai suoi figli (infatti nell’isola i forestali nulla hanno a che vedere con il Corpo forestale dello Stato).
Un meccanismo collaudato quello delle guardie forestali che non accenna assolutamente a cambiare: quasi trentamila precari significano soprattutto voti sicuri ad ogni tornata elettorale.
Sarà per questo che in Sicilia i forestali impiegati a tempo indeterminato sono appena 803.
Poi ci sono i 22mila precari dipendenti dell’assessorato all’agricoltura, e gli 8mila dipendenti dell’assessorato al Territorio: lavorano 6 mesi l’anno e da giugno a dicembre guadagnano 1.200 euro al mese pagati dalla Regione, mentre negli altri sei mesi sono a carico dell’Inps.
Per stipendiare precari e assunti a tempo indeterminato la Regione spendeva 450 milioni di euro l’anno, mentre l’Inps 180 milioni.
Adesso la nuova Finanziaria regionale ha approvato tagli per 150 milioni: il risultato è un orario di lavoro inferiore per i precari, che però sono riusciti a limitare i danni salvando il posto.
Giuseppe Pipitone
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Maggio 21st, 2013 Riccardo Fucile
TRA SCARSO INTERESSE DEI CITTADINI, DISILLUSIONE DIFFUSA E 19 CANDIDATI MIMETIZZATI
In una grande e vasta metropoli come Roma è difficile per un aspirante sindaco segnalare la sua stessa presenza alla vasta cittadinanza indaffarata o indifferente.
Le tv locali hanno un bacino d’ascolto molto circoscritto, quasi catacombale.
Le radio della città sono un’infinità e raggiungono un pubblico molto spezzettato, assatanato dalla campagna acquisti della Roma e della Lazio.
Un pubblico poco versato nella decifrazione degli immensi problemi che angustiano la città . I manifesti costano e qui, come altrove, circolano pochi euro, anche se adesso va di moda inondare taxi, bus e tram con la propaganda di partito.
E i 19 candidati girano come trottole sperando di intercettare un timido frammento di attenzione pubblica.
Solo che se parli a Primavalle, davanti a una dozzina di avventori, a Torpignattara, all’altro capo della città , nessuno di accorge di te.
Almeno, una volta, c’erano i partiti a presidiare il territorio, anzi «i territori» come si dice ora in gergo.
Ma ora la parola «partito» fa scappare la gente: e i candidati devono pure mimetizzarsi.
Mancano pochi giorni, alle elezioni che decideranno del nuovo governo del Campidoglio, ma l’atmosfera non sprizza energia e passione.
La città è indolente, si sa. E ora è anche delusa e disincantata.
I quattro candidati più accreditati sono ovviamente: Gianni Alemanno, sindaco uscente del centrodestra; Ignazio Marino, candidato del Pd dopo elezioni primarie che hanno scombussolato la vita del partito già piagato dalle vicissitudini nazionali; Marcello De Vito, del Movimento 5 Stelle, nominato sul web con una platea elettorale molto più esigua di quella del Pd; e Alfio Marchini, indipendente, mediaticamente la star di questa campagna elettorale.
Poi c’è la pletora delle candidature che aspirano a un buon piazzamento (e a un po’ di tonificante visibilità ).
C’è un folto gruppo che si colloca all’estrema destra (da CasaPound a Forza Nuova a Militia Christi).
C’è un candidato noto per le sue stravaganti, e costose, trovate auto promozionali, Alfonso Luigi Marra, che vanta tra i suoi sostenitori liste come «Dimezziamo lo stipendio ai politici» e «Fronte giustizialista».
C’è un candidato che grosso modo gravita attorno al mondo che un tempo si aggregava in Rifondazione comunista, che gode dell’appoggio di una «Lista pirata» e che propone che Roma si rifiuti di pagare i debiti e violi il soffocante «patto di Stabilità ».
Ma qui si gioca sugli zero virgola.
I magnifici quattro, invece, giocano su percentuali molto più elevate, quelle necessarie per il ballottaggio.
La città segue pigramente una campagna elettorale abbastanza opaca e spenta, se si eccettuano risvegli momentanei nell’esercizio che alla classe politica italiana viene decisamente meglio: la rissa da talk show. Roma è soffocata, sporca, ingabbiata in un traffico infernale.
Un giorno sì e uno no la metropolitana non funziona. Quella ancora da costruire è un cantiere che il romano cinico già vive come un incubo che non finirà mai e di fronte al quale bisognerà adattarsi,
L’Ama, la municipalizzata che si occupa della pulizia delle strade, si è fatta conoscere per una Parentopoli che certo non ha portato prestigio alla giunta Alemanno e i suoi camioncini attraversano la città per svuotare i cassonetti all’ora di punta, vicoli del centro compreso: si può immaginare con quanto entusiasmo dei romani bloccati.
Dei nuovi filobus pagati con un conto molto salato non si ha notizia.
Recentemente ha chiuso il servizio dei battelli sul Tevere, per via dei detriti che rendono il fiume impraticabile ed è di questi giorni la notizia che sta smettendo di funzionare l’impianto di depurazione del fiume.
Ma nella campagna elettorale questi temi sono lasciati sullo sfondo, pure sono manipolati in modo strumentale senza che nessuno dica in modo chiaro, circostanziato e credibile quante risorse serviranno, e come saranno reperite, e come si assicureranno appalti trasparenti, e chi controllerà che i lavori saranno svolti bene, con accuratezza, nei tempi stabiliti, nel rispetto della cittadinanza non trattata come un gregge, come «traffico» con cui ingolfare irrimediabilmente la citt�
I candidati maggiori preferiscono tenersi sul vago e, come si dice, buttarla in politica. Gianni Alemanno, che i sondaggi danno in ripresa dopo i tonfi degli ultimi anni, deve spiegare credibilmente perchè tutto quello che propone per il prossimo quinquennio non è stato fatto nei cinque anni precedenti.
La sua è una battaglia per la vita, perchè una sconfitta lo declasserebbe di molto nella nomenclatura che si riconosce nel Pdl.
Il sindaco uscente è molto nervoso, reagisce come davanti a un’offesa a chi gli contesta le manchevolezze della sua gestione del Campidoglio, ma spera in un buon piazzamento per il ballottaggio che è una strana creatura della psicologia collettiva, come si dimostrò proprio a Roma nel 2008, a scapito del superfavorito Francesco Rutelli.
Poi c’è Ignazio Marino, che ha vinto con ampio margine le primarie, ma opera con il Pd romano sull’orlo dell’autodissoluzione.
Finora lui ha evitato di farsi sommergere dall’apparato del partito, ma una campagna elettorale molto scialba ha consigliato al candidato di non apparirgli troppo estraneo. Alfio Marchini, un cuore rosso come simbolo della sua lista, di una famiglia di costruttori romani da sempre vicina al Pci e alla sinistra, «buca il video» e sui social network si è scatenata, sotto la dicitura «Arfio», la corsa alla presa in giro bonaria del candidato molto danaroso.
Un finto annuncio fra tutti: «Rinuncio allo stipendio di sindaco, perchè troppi spicci in tasca mi danno fastidio».
Il suo destino è di pescare in un’area di consenso trasversale.
Come il candidato di Grillo, De Vito, sempre chino sui suoi appunti anche quando deve dire «votatemi».
Ora il Pd cerca di riprendersi la piazza San Giovanni «occupata» da Grillo prima delle ultime elezioni, mentre Alemanno sfida le ire della Soprintendenza proponendo il palco elettorale nei pressi del Colosseo.
La battaglia dei simboli prima di quella dei voti veri.
Per i candidati e i loro partiti una boccata d’ossigeno, o la fine di molte ambizioni politiche.
Pierluigi Battista
argomento: elezioni, Roma | Commenta »