LE “SPENTE” ELEZIONI DI UNA ROMA DISINCANTATA
TRA SCARSO INTERESSE DEI CITTADINI, DISILLUSIONE DIFFUSA E 19 CANDIDATI MIMETIZZATI
In una grande e vasta metropoli come Roma è difficile per un aspirante sindaco segnalare la sua stessa presenza alla vasta cittadinanza indaffarata o indifferente.
Le tv locali hanno un bacino d’ascolto molto circoscritto, quasi catacombale.
Le radio della città sono un’infinità e raggiungono un pubblico molto spezzettato, assatanato dalla campagna acquisti della Roma e della Lazio.
Un pubblico poco versato nella decifrazione degli immensi problemi che angustiano la città . I manifesti costano e qui, come altrove, circolano pochi euro, anche se adesso va di moda inondare taxi, bus e tram con la propaganda di partito.
E i 19 candidati girano come trottole sperando di intercettare un timido frammento di attenzione pubblica.
Solo che se parli a Primavalle, davanti a una dozzina di avventori, a Torpignattara, all’altro capo della città , nessuno di accorge di te.
Almeno, una volta, c’erano i partiti a presidiare il territorio, anzi «i territori» come si dice ora in gergo.
Ma ora la parola «partito» fa scappare la gente: e i candidati devono pure mimetizzarsi.
Mancano pochi giorni, alle elezioni che decideranno del nuovo governo del Campidoglio, ma l’atmosfera non sprizza energia e passione.
La città è indolente, si sa. E ora è anche delusa e disincantata.
I quattro candidati più accreditati sono ovviamente: Gianni Alemanno, sindaco uscente del centrodestra; Ignazio Marino, candidato del Pd dopo elezioni primarie che hanno scombussolato la vita del partito già piagato dalle vicissitudini nazionali; Marcello De Vito, del Movimento 5 Stelle, nominato sul web con una platea elettorale molto più esigua di quella del Pd; e Alfio Marchini, indipendente, mediaticamente la star di questa campagna elettorale.
Poi c’è la pletora delle candidature che aspirano a un buon piazzamento (e a un po’ di tonificante visibilità ).
C’è un folto gruppo che si colloca all’estrema destra (da CasaPound a Forza Nuova a Militia Christi).
C’è un candidato noto per le sue stravaganti, e costose, trovate auto promozionali, Alfonso Luigi Marra, che vanta tra i suoi sostenitori liste come «Dimezziamo lo stipendio ai politici» e «Fronte giustizialista».
C’è un candidato che grosso modo gravita attorno al mondo che un tempo si aggregava in Rifondazione comunista, che gode dell’appoggio di una «Lista pirata» e che propone che Roma si rifiuti di pagare i debiti e violi il soffocante «patto di Stabilità ».
Ma qui si gioca sugli zero virgola.
I magnifici quattro, invece, giocano su percentuali molto più elevate, quelle necessarie per il ballottaggio.
La città segue pigramente una campagna elettorale abbastanza opaca e spenta, se si eccettuano risvegli momentanei nell’esercizio che alla classe politica italiana viene decisamente meglio: la rissa da talk show. Roma è soffocata, sporca, ingabbiata in un traffico infernale.
Un giorno sì e uno no la metropolitana non funziona. Quella ancora da costruire è un cantiere che il romano cinico già vive come un incubo che non finirà mai e di fronte al quale bisognerà adattarsi,
L’Ama, la municipalizzata che si occupa della pulizia delle strade, si è fatta conoscere per una Parentopoli che certo non ha portato prestigio alla giunta Alemanno e i suoi camioncini attraversano la città per svuotare i cassonetti all’ora di punta, vicoli del centro compreso: si può immaginare con quanto entusiasmo dei romani bloccati.
Dei nuovi filobus pagati con un conto molto salato non si ha notizia.
Recentemente ha chiuso il servizio dei battelli sul Tevere, per via dei detriti che rendono il fiume impraticabile ed è di questi giorni la notizia che sta smettendo di funzionare l’impianto di depurazione del fiume.
Ma nella campagna elettorale questi temi sono lasciati sullo sfondo, pure sono manipolati in modo strumentale senza che nessuno dica in modo chiaro, circostanziato e credibile quante risorse serviranno, e come saranno reperite, e come si assicureranno appalti trasparenti, e chi controllerà che i lavori saranno svolti bene, con accuratezza, nei tempi stabiliti, nel rispetto della cittadinanza non trattata come un gregge, come «traffico» con cui ingolfare irrimediabilmente la citt�
I candidati maggiori preferiscono tenersi sul vago e, come si dice, buttarla in politica. Gianni Alemanno, che i sondaggi danno in ripresa dopo i tonfi degli ultimi anni, deve spiegare credibilmente perchè tutto quello che propone per il prossimo quinquennio non è stato fatto nei cinque anni precedenti.
La sua è una battaglia per la vita, perchè una sconfitta lo declasserebbe di molto nella nomenclatura che si riconosce nel Pdl.
Il sindaco uscente è molto nervoso, reagisce come davanti a un’offesa a chi gli contesta le manchevolezze della sua gestione del Campidoglio, ma spera in un buon piazzamento per il ballottaggio che è una strana creatura della psicologia collettiva, come si dimostrò proprio a Roma nel 2008, a scapito del superfavorito Francesco Rutelli.
Poi c’è Ignazio Marino, che ha vinto con ampio margine le primarie, ma opera con il Pd romano sull’orlo dell’autodissoluzione.
Finora lui ha evitato di farsi sommergere dall’apparato del partito, ma una campagna elettorale molto scialba ha consigliato al candidato di non apparirgli troppo estraneo. Alfio Marchini, un cuore rosso come simbolo della sua lista, di una famiglia di costruttori romani da sempre vicina al Pci e alla sinistra, «buca il video» e sui social network si è scatenata, sotto la dicitura «Arfio», la corsa alla presa in giro bonaria del candidato molto danaroso.
Un finto annuncio fra tutti: «Rinuncio allo stipendio di sindaco, perchè troppi spicci in tasca mi danno fastidio».
Il suo destino è di pescare in un’area di consenso trasversale.
Come il candidato di Grillo, De Vito, sempre chino sui suoi appunti anche quando deve dire «votatemi».
Ora il Pd cerca di riprendersi la piazza San Giovanni «occupata» da Grillo prima delle ultime elezioni, mentre Alemanno sfida le ire della Soprintendenza proponendo il palco elettorale nei pressi del Colosseo.
La battaglia dei simboli prima di quella dei voti veri.
Per i candidati e i loro partiti una boccata d’ossigeno, o la fine di molte ambizioni politiche.
Pierluigi Battista
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