Maggio 19th, 2013 Riccardo Fucile
LA CASSA INTEGRAZIONE RIGUARDA MEZZO MILIONE DI PERSONE…IN CRISI I SETTORI DELL’AUTO, DEGLI ELETTRODOMESTICI, DELLA SIDERURGIA E CANTIERISTICA
La situazione dell’industria italiana vede la seconda manifattura d’Europa, dopo la
Germania, soffrie una crisi di sistema e di prospettiva.
La cassa integrazione complessiva riguarda mezzo milione di persone. Nei settori industriali ballano circa 300 mila posti di lavoro.
A guidare la crisi è il settore dell’auto.
La produzione di vetture, infatti, si è fermata a 390 mila unità . Solo qualche anno fa, Fiat arrivava a un milione di auto.
La cassa integrazione nel 2012 è stata di decine di milioni di ore.
Ma la crisi del Lingotto si porta dietro quella dell’intero “automotive” che occupa 1,2 milioni di lavoratori e “contribuisce per l’11,4% al Pil”.
È Federauto a denunciare il rischio di perdere 220 mila posti di lavoro in aziende che portano i nomi di Lear, Johnson, Bosch, multinazionali che in Italia “sono vincolate ai modelli Fiat”.
Nella “ricca” Toscana si giocano il posto circa 3 mila persone in aziende come Trw, Gkm o Continental.
Il secondo settore manifatturiero, dopo l’automobilistico, è quello degli elettrodomestici. La crisi ha i nomi di marchi come Electrolux, Indesit , Candy, Whirlpool o Merloni.
La perdita di posti è stimata nel 30% per i grandi gruppi e nel 50% per le aziende minori in un settore da 130 mila addetti.
Uno smantellamento progressivo che per marchi come Electrolux o Indesit significa spostare le produzioni in Polonia o Ungheria.
Non va meglio nella siderurgia dominata dal caso Ilva, ma in cui si muovono, più silenziose e altrettanto gravi, i casi della ex Lucchini o della Thyssen.
In Europa “la sovracapacità produttiva è di circa il 30%” il che vuole dire che un impianto su tre non serve.
Alla ex Lucchini/Severstal di Piombino sono circa 2500 le persone che rischiano e altri 700 sono in ballo a Trieste.
All’Ilva circa 6000 lavoratori sono in cassa integrazione. E altri esuberi sono già annunciati dal gruppo Marcegaglia.
A fare peggio è il settore dell’alluminio in cui si verifica il paradosso di una produzione interna che copre il 12% del fabbisogno con l’unico produttore nazionale, l’Alcoa (1000 lavoratori compreso l’indotto) che invece è stato chiuso e se n’è andato in Arabia Saudita. La crisi si affaccia anche nel settore del rame — 70 mila addetti con l’indotto — in cui l’Italia produce i due terzi delle barre di rame prodotte nel mondo.
Tra le grandi produzioni presenti in Italia c’è anche la Kme che però ha annunciato 300 esuberi su 1500 dipendenti.
A risentire di politiche industriali nazionali assenti o distratte è il grande colosso italiano Finmeccanica.
Il gruppo è indebolito dalla crisi globale ma anche dal susseguirsi delle inchieste.
La crisi colpisce soprattutto, per via della riduzione di commesse pubbliche, il settore della Difesa.
Ma Finmeccanica, che pure “si trova in condizioni di vantaggio” nel settore civile, ha finora programmato la dismissione di aziende come Ansaldo Energia, Ansaldo Breda o Breda Menarinibus.
E l’altro ieri al sindacato è stata prospettata la cessione di Ansaldo Sts.
Con la riorganizzazione dell’Aeronauta un anno e mezzo fa sono stati persi circa 2000 posti. Ora ce ne sono altrettanti nel settore elettronico (Selex) e 5000 potrebbero liquefarsi in caso di svendita del civile ferroviario. Sono 10 mila posti su 42 mila complessivi in Italia, circa un quarto.
à‰ di oltre un terzo, invece, la quota di lavoratori che stanno per essere abbandonati da Fincantieri che ha rappresentato, con 8500 addetti, l’eccellenza mondiale dell’industria navale.
Dallo scorso anno i dipendenti in cassa integrazione sono stabilmente 1500 ogni anno con la possibilità di arrivare a 3500.
Un altro segnale di declino su cui non si vede traccia nel dibattito politico.
Salvatore Cannavò
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Maggio 19th, 2013 Riccardo Fucile
COME GLI ILLUSIONISTI: IL GOVERNO GIOCA ALLE TRE TAVOLETTE, TOGLIE DA UNA PARTE E METTE DA UN’ALTRA
Il governo Letta ha approvato un decreto che consente al governo stesso di rimanere in vita almeno tre mesi e mezzo.
Dentro c’è la sospensione della rata Imu di giugno sulla prima casa condita con la previsione che, se non si trova una soluzione entro agosto, l’imposta si paga tutta da settembre.
Poi c’è un miliardo per la cassa integrazione in deroga che deriva per almeno metà da fondi sottratti ad altri interventi sul lavoro.
Infine una proroga per 114 mila precari della Pa che miracolosamente non costa neanche un euro.
Questo decreto dice un’unica cosa chiaramente: il governo ha cento giorni per inventarsi qualcosa.
Il tutto senza toccare i saldi di bilancio: tanto si taglierà l’Imu o si finanzieranno nuove spese, tanto bisognerà decurtare le uscite.
Come? Non si sa.
Silvio Berlusconi prenota i prossimi provvedimenti: niente aumento dell’Iva e “tagliare le unghie al mostro Equitalia”.
Vasto programma che forse farà dimenticare a Enrico Letta e ai suoi ministri il crollo di gradimento nei sondaggi: ieri si aggiravano sui minimi del governo Monti.
La Ue si fida ma non troppo: “Bene l’impegno a rispettare i vincoli di bilancio: ora analizzeremo il testo”.
Al segretario Pd Guglielmo Epifani non resta che dire: “Il merito non è di Berlusconi”.
Imu.
Non si paga la rata di giugno sulla prima casa — con l’eccezione di castelli e dimore di lusso — e su terreni e immobili rurali.
Entro il 31 agosto, dice il testo, bisogna però fare una riforma complessiva della tassazione sugli immobili (Tares compresa) trovando il modo di compensare il mancato gettito e coprendo pure la detraibilità dell’Imu sui capannoni.
Quest’ultima, cara al Pd, rischia di costare quanto l’operazione sulla prima casa: i suoi effetti, però, si avranno solo nel 2014, mentre quest’anno le imprese pagheranno tutto (con enormi rincari già previsti).
A regime, questa manovra sull’Imu potrebbe valere oltre 7 miliardi: dove si troveranno, ovviamente, non è dato sapere.
La difficoltà è talmente evidente che il ministro Fabrizio Saccomanni ha preteso una clausola di salvaguardia: senza riforma entro agosto, l’imposta si paga per intero dal 16 settembre.
Cig.
Al rifinanziamento della cassa in deroga va un miliardo circa, che si aggiunge alla somma quasi analoga già stanziata da Monti: soldi che non coprono l’intero fabbisogno 2013, più vicino ai tre che ai due miliardi.
Il governo promette una riforma organica degli ammortizzatori entro qualche mese.
C’è, però, il problema che il miliardo di cui sopra arriva per circa metà da soldi sottratti proprio al mondo del lavoro: sgravi sui contratti di secondo livello — “li reintegreremo”, promette Saccomanni — e formazione professionale ci rimettono circa 500 milioni (il resto arriva da riprogrammazione di fondi Ue, soldi avanzati dall’accordo Italia-Libia e altre frattaglie).
Luigi Angeletti della Uil: “È inaccettabile”.
Susanna Camusso della Cgil: “Erano spese essenziali”.
Precari Pa
Scadevano il 31 luglio, ora scadranno il 31 dicembre in attesa della solita riforma complessiva: 114 mila persone circa, la maggior parte negli enti locali (20 mila nella sola Sicilia), la cui permanenza al lavoro per questi cinque mesi dovrebbe costare tra i 100 e i 150 milioni.
Dovrebbe, perchè il decreto Letta non finanzia la proroga: intanto Regioni, Comuni e ministeri possono prolungare i contratti, dei soldi si parlerà nella legge di Stabilità , in autunno.
La platea, ovviamente, non tiene conto dei 203 mila precari della scuola, che rispondono a regole diverse.
Iva e esodati.
Niente su questi due capitoli, per affrontare i quali non bastano sospensioni o proroghe: servono soldi veri.
L’aliquota al 21 per cento dell’imposta sul valore aggiunto dovrebbe aumentare di un punto dal primo luglio.
Gettito previsto: 2,1 miliardi nel semestre (4,2 a regime).
Nulla anche per chi è rimasto fuori dalla platea dei circa 130 mila esodati “salvaguardati”. Forse per loro la soluzione potrebbe arrivare dalla mini-riforma delle pensioni a cui pensa il ministro Giovannini: ci si potrà ritirare prima del tempo, ma solo prendendo un assegno parecchio più basso.
Marco Palombi
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Maggio 19th, 2013 Riccardo Fucile
DAL COLLE NESSUN PASSAGGIO FORMALE PER REVOCARLO. LO STRANO BUIO IN CUI FINàŒ TUTTO
“Ho riferito a Napolitano il lavoro di questi giorni, che non ha portato a un esito risolutivo”.
Era il 28 marzo, giovedì santo, quando Pier Luigi Bersani, nella Sala alla Vetrata del Quirinale, informava i giornalisti di non essere riuscito a trovare le condizioni per formare un governo.
Poche parole, la postura curva, un’espressione scurissima. Raggelata.
Nessuna domanda consentita. Un minuto dopo usciva il segretario generale della Presidenza della Repubblica, Donato Marra: Napolitano si è riservato di “prendere senza indugio iniziative che gli consentano di accertare personalmente gli sviluppi possibili”. Un’altra comunicazione secca. Nessuna apparizione di Napolitano.
Subito dopo una nota dell’ufficio stampa del Pd: “Bersani non ha rinunciato”.
Mai uscita di scena fu più confusa, più sfumata, più sfilacciata.
Bersani resta lì, con il suo pre — incarico ad aspettare.
Il giorno dopo Napolitano fa le sue consultazioni lampo. In serata vede la delegazione del Pd: Enrico Letta, nella veste di vice — segretario, e i capigruppo, Zanda e Speranza.
Chi c’era racconta che in quel colloquio del segretario congelato nessuno fece cenno. Nessuno chiese e nessuno chiarì quali dovevano essere le sorti di Bersani.
Alla fine della giornata, Napolitano non esce. Deve riflettere, fa sapere l’ufficio stampa. Comincia così una delle lunghe notti che hanno portato alla sua rielezione.
In tarda serata dal Quirinale vengono fatte trapelare voci sulle sue dimissioni.
La drammatizzazione della crisi è ai livelli massimi.
Si diffonde anche la notizia di una telefonata di Draghi.
Poi, nella tarda mattinata del sabato santo esce nella Sala alla Vetrata, più vispo di prima: “Posso fino all’ultimo giorno concorrere almeno a creare condizioni più favorevoli allo scopo di sbloccare una situazione politica irrigidita” . Non se ne va.
E dunque, nel frattempo va bene il governo Monti.
Poi, via con la nomina dei saggi. Quelli che di fatto scrivono il programma del governo oggi presieduto da Letta.
Su Bersani, ancora una volta, neanche una parola. Nè tanto meno un passaggio formale.
L’ex segretario del Pd ieri smentisce la notizia riportata dal Fatto del colloquio in cui D’Alema gli suggerì di farsi indietro a favore di Rodotà premier.
Notizia ripresa dall’Unità .
Dice Bersani: “Non si capisce come possa circolare la notizia a proposito di un mio rifiuto dell’ipotesi di Rodotà premier che mi sarebbe stata proposta. È un passaggio che non è mai esistito. Ho sempre detto che non avrei mai impedito la nascita di un governo di cambiamento se l’ostacolo fosse stato il mio nome ”.
Affermazioni generiche: del colloquio con D’Alema non fa cenno.
Piuttosto che smentire, Bersani potrebbe spiegare che cosa successe davvero in quei giorni.
Perchè non gli venne mai revocato il preincarico? Quali erano davvero gli accordi presi con Napolitano? Un mistero, uno dei tanti.
Commenta Arturo Parisi: “Non ci fu nulla di normale in quei giorni”.
Neanche il 22 marzo, in occasione del pre-incarico, i passaggi erano stati rituali. Era uscito prima Marra con il comunicato, poi lo stesso Napolitano, a specificare i confini entro cui il governo si poteva o non si poteva fare.
Con specifico riferimento alle “larghe intese” troppo difficili: un ammissione con rimpianto.
E dopo? Nulla di tutto questo.
Commentò Stefano Ceccanti, costituzionalista vicino al Presidente in un tweet: “Il bilancio delle consultazioni porta con sè in modo chiaro il dichiarare esaurito il pre-incarico di Bersani, sia pure implicitamente”.
Spiega adesso: “La nomina dei saggi di fatto fu il superamento di Bersani”. Di fatto.
Ma possibile che in passaggi istituzionali così delicati ci possano essere situazioni “di fatto”?
Racconta chi ha vissuto da protagonista quella fase che tutto rimase nel non detto e nell’ambiguità .
Una sorta di via d’uscita che voleva essere “onorevole” per Bersani. I fedelissimi dell’ex segretario oggi dicono che “forse” Napolitano telefonò all’altro.
“Forse”. Ma forse non ci furono neanche comunicazioni confidenziali chiare tra i due. Fatto sta che sia l’ex leader democratico che i suoi fedelissimi si mossero nella convinzione che un governo con Bersani premier fosse ancora possibile.
E con questo obiettivo cercarono di eleggere un Presidente che potesse conferirgli un altro incarico. O confermargli quello mai ritirato .
Nella storia della Repubblica italiana c’è un unico precedente: il pre-incarico dato da Scalfaro a Romano Prodi, dopo che il suo governo era caduto per mano di Bertinotti.
Fu lo stesso Prodi a rinunciare: “Non ci sono le condizioni”.
E toccò a D’Alema.
Affermazioni chiare, passaggi definiti. Nel non detto del Presidente e dell’ex segretario si consumò la rottura del Pd durante l’elezione del Colle.
Il finale è noto. Bersani in ginocchio da Napolitano per pregarlo di accettare la rielezione e la condizione posta dall’altro: il governo di larghe intese.
Quello che il Colle voleva dall’inizio.
Wanda Marra
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Maggio 18th, 2013 Riccardo Fucile
LA DONNA DI 84 ANNI CHIEDE AIUTO DALLA FINESTRA, INTERVIENE AHABU BUKARI: “NON SONO UN EROE, HO SOLO CERCATO DI AIUTARE UNA PERSONA IN DIFFICOLTA’”
In un attimo la cucina si è trasformata in una fornace.
Il tubo che alimenta i fornelli è stato il primo a saltare. Le fiamme, scaturite da un corto circuito, hanno divorato in pochi secondi tutti gli elettrodomestici per poi passare nelle altre stanze.
La casa si è riempita di fumo nero e la temperatura è schizzata alle stelle.
Rita Costa, 84 anni, che in quel momento era da sola, non ha potuto fare altro che correre alla finestra della sala e gridare aiuto.
Il primo a vederla e a correre in suo aiuto è stato un postino sudanese di 33 anni, Ahabu Bukari, che stava consegnando alcune lettere proprio in quel palazzo, in via del Manzasco 7, a San Fruttuoso.
Senza pensarci su due volte è salito per le scale e ha raggiunto l’abitazione della pensionata.
Quindi ha sfondato la porta a calci ed è entrato, sfidando il fuoco e la paura.
Ma il rogo ormai era troppo esteso e dopo qualche tentativo ha dovuto ripiegare.
È rimasto sulla porta fino all’arrivo dei pompieri, cercando di tranquillizzare l’ottantenne e spiegandole che cosa doveva fare per difendersi dal calore e dal fumo.
È un miracolo che Rita Costa sia sopravvissuta.
I vigili del fuoco della squadra di Genova Est l’hanno salvata all’ultimo momento, un attimo prima che perdesse i sensi.
È stata un’impresa perchè il calore era elevatissimo, tanto da sciogliere i rivestimenti del casco del soccorritore che materialmente ha eseguito l’intervento di recupero. L’inferno è iniziato poco dopo le 11.
I proprietari di casa – la figlia della pensionata e il marito – erano fuori per commissioni: «È stato un incidente – dice Dario Baldassini, 68 anni – Mia suocera non si è accorta di nulla. Quando ha capito quello che stava succedendo ormai era troppo tardi. Non so come ringraziare quel giovane: ha cercato di fare tutto il possibile per raggiungerla e poi le è stato vicino fino all’arrivo dei soccorsi».
Ahabu Bukari scuote la testa: «Volevo solo aiutare quella persona, ho fatto quello che mi sembrava giusto».
L’immigrato, quando la donna è stata salvata dalle fiamme, è tornato a lavorare come se nulla fosse. Ha rischiato la vita, su questo i pompieri non hanno dubbi: “Quando siamo arrivati la situazione era davvero critica, sulle scale l’aria era irrespirabile, la visibilità di pochi centimetri, ci siamo potuti muovere solo con i respiratori”.
Ahabu Bukari abita in via Donghi, da circa tre anni lavora come postino per la Tnt Post ed è molto conosciuto in zona: “Passo le mie giornate sul motorino, andando di casa in casa. Ed è un bene perchè posso sfamare la mia famiglia e dare un futuro a mio figlio, nato da pochi mesi. Sono arrivato in Italia dieci anni fa e ora le cose iniziano a girare per il verso giusto. Eroe io? No, ho solo cercato di aiutare una persona in difficoltà “.
Pablo Calzeroni
(da “il Secolo XIX”)
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Maggio 18th, 2013 Riccardo Fucile
MONITO DEL PONTEFICE PER LA MANCANZA DI ETICA NELLA VITA PUBBLICA: “VOGLIO UNA CHIESA POVERA PER I POVERI”
“A causa della crisi la gente muore di fame ma ci si occupa di banche”. Francesco cita un
“midrash” ebraico sul cantiere della torre di Babele, dove “se cadeva un mattone era un dramma, se cadeva un operaio non succede niente”, nel corso dell’incontro in piazza San Pietro con i movimenti cattolici.
E avverte: “Oggi, se calano gli investimenti banche è una tragedia, ma se la gente muore di fame non succede niente”.
Per il Papa, “la testimonianza di una Chiesa povera e per i poveri va contro questa mentalità “.
Monito di Bergoglio sulla necessità dell’etica nella vita pubblica. «La mancanza di etica nella vita pubblica fa male all’umanità intera», ha ammonito.
La missione della Chiesa è non chiudersi e andare verso le periferie esistenziali. «Quando la Chiesa diventa chiusa, si ammala. Pensate ad una stanza chiusa per un anno, una chiesa chiusa è ammalata, la chiesa deve uscire verso le periferie esistenziali, qualsiasi esse siano. Gesù ci dice andate, predicate, date testimonianza del Vangelo», ha affermato il Papa nel corso dell’incontro a piazza San Pietro con i movimenti e le associazioni.
«Quello che è in crisi è l’uomo come immagine di Dio, una crisi profonda. In questo momento di crisi non possiamo preoccuparci solo di noi», ha aggiunto il Papa sottolineando l’esigenza di «non chiudersi di fronte ai problemi».
Inoltre «ci sono più martiri oggi che nei primi secoli della Chiesa, fratelli e sorelle nostri. Loro portano la fede fino al martirio, ma il martirio non è mai una sconfitta, è il grado piu alto della testimonianza».
Parole accolte dall’ovazione di 200mila fedeli.
“Il Santo Padre conosceva le domande e si era appuntato alcuni concetti su un foglio ma ha parlato completamente a braccio”, spiegano nei Sacri Palazzi.
La formula scelta per l’incontro tra Bergoglio e i movimenti ecclesiali è quella di un serrato “question time” a cui il Pontefice non si è sottratto.
La “fragilità della fede”, l’evangelizzazione, l’etica, la politica la povertà e la mancanza di lavoro, e infine la persecuzione dei cristiani: sono i temi delle quattro domande rivolte a Francesco da altrettanti esponenti di associazioni cattoliche alla veglia di Pentecoste.
“Troppe volte ci rendiamo conto di come la fede sia un germoglio di novità , un inizio di cambiamento, ma stenti poi a investire la totalità della vita. Non diventa l’origine di tutto il nostro conoscere e agire”, è un passaggio della prima domanda.
“Come lei ha potuto raggiungere nella sua vita la certezza sulla fede? E quale strada ci indica perchè ciascuno di noi possa vincere la fragilità della fede?”.
“Siamo fatti per l’infinito – ha detto la seconda rappresentante dei movimenti- eppure tutto attorno a noi e ai nostri giovani sembra dire che bisogna accontentarsi di risposte mediocri, immediate e che l’uomo deve adattarsi al finito senza cercare altro”.
“Qual è secondo lei la cosa più importante cui tutti noi movimenti, associazioni e comunità dobbiamo guardare per attuare il compito cui siamo chiamati? Come possiamo comunicare in modo efficace la fede di oggi?”.
“Come vorrei una Chiesa povera e per i poveri”, è la frase del Papa citata nella terza domanda letta in piazza San Pietro da un rappresentante dei movimenti cattolici.
“E la crisi ha aggravato tutto. Penso alla povertà che affligge tutti i paesi e che si è affacciata anche nel mondo del benessere, alla mancanza di lavoro, ai movimenti migratori di massa, alle nuove schiavitù, all’abbandono e alla solitudine di tante famiglie, di tanti anziani e di tante persone che non hanno casa o lavoro”. Associazioni e movimenti, dunque, “quale contributo concreto ed efficace possiamo dare alla Chiesa e alla società per affrontare questa grave crisi che tocca l’etica pubblica, il modello dello sviluppo, la politica, insomma un nuovo modo di essere uomini e donne?”.
Infine, il quarto contributo verte attorno “ai tanti nostri fratelli che soffrono” a causa della fede, “a chi la domenica mattina deve decidere se andare a messa perchè sa che andando a messa rischia la vita”, “a chi si sente accerchiato e discriminato per la fede cristiana in tante, troppe parti del mondo”.
Da qui la domanda: “Vorremmo fare di più, ma cosa? E come aiutare questi nuovi fratelli?”.
Anche i ministri ciellini Mario Mauro (Difesa) e Maurizio Lupi (Infrastrutture e trasporti) hanno partecipato in piazza San Pietro alla veglia di Pentecoste per la quale si sono dati appuntamento a Roma 200mila fedeli provenienti da ogni angolo del pianeta.In prima fila, tra i responsabili di movimenti e associazioni cattoliche, i leader di neocatecumenali (Kiko Arguello), Azione cattolica (Franco Miano), comunità di Sant’Egidio (Andrea Riccardi), focolarini (Maria Voce), Rinnovamento nello Spirito (Salvatore Martinez).
Giacomo Galeazzi
(da “La Stampa“)
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Maggio 18th, 2013 Riccardo Fucile
IL PD DISERTA, GELO TRA LANDINI ED EPIFANI… COFFERATI: “E’ SBAGLIATO NON ESSERCI OGGI”… IL NEOSEGRETARIO PD: “SERVONO RISPOSTE, NON CORTEI”
È il lavoro, non l’Imu, la vera priorità . E al Pd dovrebbe far più paura il fatto di essere al Governo con Berlusconi piuttosto che scendere in piazza con i metalmeccanici della Cgil.
Così, in una piazza San Giovanni che ha raccolto un corteo di decine di migliaia di manifestanti, il segretario generale della Fiom, Maurizio Landini, ha indicato la vera emergenza e ha bacchettato il partito guidato da Guglielmo Epifani per aver disertato un’iniziativa che ha voluto essere “per” e non “contro”.
La Fiom – ha ricordato Landini – aveva «invitato tutti», ma alla manifestazione ha aderito solo il Sel con Nichi Vendola, ha partecipato un gruppo di esponenti M5S e si sono visti, sparsi, solo pochi uomini Pd, fra i quali l’ex ministro Fabrizio Barca che ha salutato Landini all’inizio del corteo, Sergio Cofferati («avrei sperato che il mio partito ci fosse»), Pippo Civati, Corradino Mineo e Matteo Orfini.
E in piazza San Giovanni il numero uno della Fiom non ha esitato a rimarcare certe assenze.
Invitando «a non avere paura della piazza», dopo che si è trovato il coraggio di «governare con Berlusconi».
Al lungo corteo dei metalmeccanici si sono uniti anche studenti, esodati e pensionati. Insieme hanno voluto lanciare un messaggio chiaro al Governo Letta.
«Senza discontinuità » rispetto alle politiche targate Monti e Berlusconi – ha detto Landini – «il governo non avrà vita lunga».
E sicuramente non avrà gioco facile, visto che il segretario generale della Fiom si è detto pronto a mettere in campo «ogni iniziativa» per determinare un cambio di rotta. Per il sindacato serve dare risposte alle tante vertenze ancora in piedi: dall’Ilva, di cui Landini ha ricordato le vittime, alla Fiat, per la quale la Fiom torna a richiedere un tavolo.
Stavolta la manifestazione non si è unita ad uno sciopero, come era accaduto nel marzo del 2012. Da allora il bilancio della crisi si è aggravato, con tanti operai diventati cassaintegrati o disoccupati. Ma la piazza non ha rinunciato a invocare «lo sciopero generale».
Parole non pronunciate dal segretario, che però sulla rappresentanza ha evidenziato, come nell’intesa con Confindustria «sarebbero inaccettabili limitazioni al diritto di sciopero».
Ma sono i temi di queste ore, Imu e Cig, ad aver tenuto banco nel corso di tutta la manifestazione.
L’Imu – ha detto Landini – «non è una priorità », perchè al primo posto delle cose da fare ci sono i temi del lavoro.
Il «problema non è cancellare l’Imu per tutti», ma «tassare la ricchezza per ridistribuirla», «fare investimenti pubblici», dare il via «a un piano straordinario per l’occupazione» ed arrivare «al reddito di cittadinanza».
Il rifinanziamento della Cig, che ha avuto il via libera venerdì dal CdM, «è un fatto positivo, ma non è detto che quel miliardo sia sufficiente e, comunque bisogna andare oltre l’emergenza».
«Quando una forza politica sostiene un governo, il suo primo imperativo è dare risposte alle persone che pongono problemi. Esattamente ciò che ha fatto il governo. Oggi in piazza si è detto “ripartire dal lavoro”, il governo è ripartito esattamente da quello».
Così ha risposto il neo-segretario del Pd Epifani in merito alla sua assenza al corteo.
Il primo provvedimento che ha preso – ha proseguito – è stato il rifinanziamento della cassa integrazione in deroga per un miliardo, la proroga dei contratti dei precari nelle pubbliche amministrazioni, il ripristino dei contratti di solidarietà . Queste misure parlano della condizione del lavoro, soprattutto nei settori più esposti della società , pmi e precari».
(da “La Stampa”)
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Maggio 18th, 2013 Riccardo Fucile
UN ASSISTENTE PARLAMENTARE RIVELA IN UN ‘INTERVISTA: “DA 1.000 A 5.000 EURO AL MESE PER ORIENTARE IL VOTO A FAVORE DELLE SLOT”
Le Iene svelano il sistema delle lobbies che hanno a libro paga senatori e deputati del nostro
Parlamento.
Filippo Roma (con la collaborazione di Marco Occhipinti) ha intervistato l’assistente di un senatore, che ha preferito rimanere anonimo per evitare possibili ripercussioni, che racconta di ciò che, secondo lui, succederebbe a Montecitorio e a Palazzo Madama.
Ecco un’anticipazione dell’intervista che andrà in onda domenica 19 maggio 2013 alle ore 21.20 su Italia1.
Assistente senatore: “Ci sono le multinazionali che ogni mese per mezzo di un loro rappresentante fanno il giro dei palazzi, sia al Senato che Camera, incontrano noi assistenti e ci consegnano dei soldi da dare ai rispettivi senatori e onorevoli”.
F.Roma: “A che titolo?”
Assistente senatore: “Per far sì che quando ci sono degli emendamenti da votare in commissione in aula, i senatori e gli onorevoli li votino a favore della categoria che paga”.
F.Roma: “Ma è legale tutto questo?”
Assistente senatore: “Che io sappia no”
Ancora Roma: “Ma di quanti soldi si parla?”
Assistente senatore: “Per quel che mi riguarda, conosco due multinazionali ed entrambe elargiscono una 1.000 euro e un’altra 2.000 euro ogni mese”
Roma: “Di che multinazionali si tratta?”
Assistente senatore: “Quelle che conosco io, con i senatori di cui stiamo parlando, una è del settore dei tabacchi e un’altra nel settore dei video giochi e delle slot machine”. Roma: “Scusa, gli danno migliaia di euro al mese in cambio di che cosa?”
Assistente senatore: “La protezione. Quando vengono emanate delle leggi o degli emendamenti che potrebbero andare ad intaccare i guadagni di queste società , loro si impegnano invece a proteggere le società a discapito del cittadino”.
Poi precisa il portaborse: “comunque la tariffa cambia a seconda dell’importanza del senatore e quindi, se è molto influente, sale fino a 5.000 euro. Per quanto riguarda poi le sale Bingo, si sono formati due gruppi, partecipati sia da uomini del centro sinistra che da uomini del centro destra. Un gruppo fa capo a un ex Ministro de…, e un altro gruppo fa capo a un ex Ministro de…, entrambi del centro sinistra”
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Maggio 18th, 2013 Riccardo Fucile
BUSTE CON SOLDI, BALLETTI HOT “MA NIENTE CONTATTI FISICI” : RUBY FA ARRABBIARE I PM… TROPPE BUGIE E “NON RICORDO”
Mancano pochi minuti alle 11 quando Karima El Mahroug detta Ruby Rubacuori entra nell’aula del Tribunale di Milano dove si celebra il processo parallelo a quello Berlusconi: imputati Lele Mora (presente) Emilio Fede e Nicole Minetti.
Per la prima volta la ragazza, parte offesa ma non parte civile, testimonia.
Ammette solo l’evidenza, inchiodata dalle celle telefoniche: sono stata ai “Bunga Bunga di Arcore 5, 6, 7 volte”.
Per il resto è la solita storia raccontata in Tv: mai fatto sesso a pagamento, “30 mila euro per aprire un centro estetico”.
E i 5 milioni di cui parlava al telefono e scriveva sull’agenda? “Cavolate”.
È stato il collegio presieduto da Annamaria Gatto a chiamarla sul banco dei testimoni.
La “minorenne” che ha inguaiato il presidente del Consiglio, nel 2010, snocciola la sua verità : “A 12 anni scappo di casa per la prima volta”, a 16 anni partecipa al concorso di bellezza a Taormina, presidente della giuria Emilio Fede. Mesi dopo lo rivedrà per caso, racconta, in un bar di Milano e poi il 14 febbraio 2010, a 17 anni. Attraverso Lele Mora che “non sapeva la mia vera età . Avevo detto di avere 19-20 anni”.
Quel giorno al telefono “Lele mi dice che davanti alla sua agenzia c’era una macchina ad aspettarmi”.
L’autista porta Ruby in redazione dal direttore: “Non capivo, mi aspettavo un’altra serata in discoteca come le altre due all’Hollywood. Invece, entra in macchina Fede e andiamo ad Arcore (il giornalista ha sempre negato, ndr). All’ingresso vedo il presidente”.
A cena, con tante ragazze e Mariano Apicella, dice di aver raccontato la balla della nipote di Mubarak .
Quella notte Ruby non si ferma ma Berlusconi le dà lo stesso una busta “con 2-3 mila euro. “Mi chiede anche il numero di telefono”.
Il premier ultra settantenne chiama la ragazzina e la rivede: “Vado in taxi. Lì conosco Nicole Minetti, Marysthell Polanco, Barbara Faggioli. Dopo la cena mi hanno detto di avvicinarmi verso il Bunga Bunga. Mi hanno spiegato che, per una barzelletta di Berlusconi, chiamavano così una sala con un palo della lap dance”.
Anche, come le arcorine stipendiate dal Cavaliere, parla di serate senza sesso: “Mai visto contatti fisici”. Ma ammette: “I balletti erano sensuali”.
Minetti “vestita da suora si alzava la tonaca per mostrare le gambe. Si è spogliata ed è rimasta in biancheria intima”.
Polanco era travestita “da Obama” e anche “da Ilda Boccassini con la parrucca rossa e un affare addosso”. “Quell’affare — la interrompe Gatto — si chiama toga”.
Ruby conferma di aver passato la notte ad Arcore “insieme a Minetti e Polanco” ma “in una stanza da sola”.
Bustarella? Certo che sì: “Berlusconi mi dava sempre una busta con 2 mila euro in banconote da 500”.
Snocciola anche la storia dell’aiuto per avviare il centro estetico, mai aperto: “Spinelli (il cassiere di Berlusconi, ndr) mi ha dato in contanti 30 mila euro” (il Cavaliere su Canale 5 ha detto “57 mila”).
Arrivano le domande sulla notte del 27 maggio 2010 in Questura.
Ruby sostiene che con lei ci fossero Michelle Coincecao, la prostituta da cui abitava, Minetti e Miriam Loddo, definita “bugiarda” da Ilda Boccassini (nell’altro processo) perchè “non ci sono prove documentali” che fosse lì.
Che cosa succede all’uscita? “Nicole mi passa al telefono il presidente. Era arrabbiato perchè gli avevo raccontato tante cavolate”.
Citando intercettazioni, la presidente Gatto le chiede se si sia mai prostituita: “Mai fatto sesso a pagamento”. “E perchè al telefono definisce Noemi Letizia la pupilla di Berlusconi e lei il suo culo?”. Ruby si inalbera: “Ma era solo una battuta”.
Ha pure provato a screditare i pm: “I verbali con le mie dichiarazioni non corrispondono a tutti i colloqui che ho avuto”.
E la presidente: “Se lei conferma, fa un’accusa molto grave e se non è vera può avere conseguenze penali. Non siamo in televisione ”.
Lei ci ripensa: “Sono sensazioni, sono qui per rettificare”.
Avrebbe detto “cavolate” quando parlava intercettata e “solo la verità ” in Tribunale e su Canale 5.
Antonella Mascali
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Maggio 18th, 2013 Riccardo Fucile
IL PD SI LASCIA USARE DAL CAVALIERE A GIORNI ALTERNI SENZA UNA PROPRIA AGENDA…E IL “GOVERNO DI SERVIZIO” INVECE CHE AL PAESE SERVE SOLO A BERLUSCONI
L’onestà è nel riconoscere esplicitamente i limiti di un provvedimento che per ora congela
soltanto il pagamento dell’Imu sulla prima casa, e impegna l’esecutivo a riformare entro l’estate l’intera tassazione sugli immobili.
La responsabilità è nell’ammettere implicitamente che, a dispetto delle troppe promesse seminate dai partiti prima del voto di febbraio, allo stato attuale l’Italia non ha le risorse necessarie per finanziare interventi più massicci ed «espansivi».
E nonostante i ripensamenti della Merkel e la svolta di Hollande, non si può permettere il lusso di riallargare i cordoni della borsa, e di sfondare il tetto del 3% di deficit strutturale in rapporto al Pil.
Almeno fino alla chiusura ufficiale della procedura d’infrazione. Almeno fino alle elezioni tedesche del 22 settembre.
È il paradosso tricolore di questa fase eccezionale da tutti i punti di vista: siamo stati addirittura troppo virtuosi, pagando un prezzo altissimo al rigore ma rispettando l’impegno al pareggio di bilancio al netto del ciclo.
Oggi Bruxelles ci può al massimo dire «continuate così». Non ci può certo dire «tornate a spendere in disavanzo», come invece permette per altri due anni a Francia e Spagna, che l’obiettivo del pareggio non l’hanno ancora raggiunto
Ecco perchè di miracoli non c’è traccia, nel decreto del governo.
Non si può raccogliere l’appello del «popolo dei capannoni», che deve rassegnarsi a una batosta sugli immobili strumentali all’attività aziendale pari al 50% in più del 2012 e al 176% in più del 2011.
Non si può affrontare la sfida più impegnativa (e quella sì, decisiva per la ripresa dell’economia reale) della riduzione delle tasse sul lavoro e del cuneo fiscale sulle imprese.
Non si può aprire il dossier dei nuovi ammortizzatori sociali per chi, tra i giovani precari e gli ultracinquantenni disoccupati, non ha nessuna copertura.
Ed è già tanto se Saccomanni è riuscito a trovare il miliardo necessario a coprire la Cassa integrazione in deroga, anche se per riuscirci non ha trovato di meglio che prosciugare i fondi residui per la detassazione dei salari di produttività .
Come dire: con una mano si dà e con l’altra si toglie, ma sempre nelle tasche del lavoro si va a pescare.
Com’è dunque evidente, siamo solo all’inizio di un percorso, che sarà lungo, difficile e tormentato.
Per questo, sul piano politico, suonano come al solito velenose e pericolose le parole di Berlusconi, che dà ancora una volta quello che tutti si aspettano da lui: il peggio di sè.
Di fronte a questo decreto, pur con tutte le sue manchevolezze, la soddisfazione è comprensibile.
Prima del voto il Cavaliere aveva trasformato la cancellazione e addirittura la restituzione dell’Imu nel suo vessillo ideologico.
Ma ora passa all’incasso nel modo che gli è più congeniale: titanico, smisurato. E la provocazione diventa inaccettabile.
Il congelamento dell’imposta sulla casa non è un successo condiviso nell’azione corale del governo, da offrire a un’opinione pubblica smarrita e stremata. Diventa invece l’arma impropria di una campagna elettorale che per il Cavaliere non è mai finita, e che ora lui stesso usa da vincitore contro il centrosinistra sconfitto.
È lui, non Letta e non il governo, che gli italiani devono ringraziare se non pagheranno l’Imu di giugno.
Ed è lui, non Letta e non il governo, che ha in mano il programma e dunque il destino dell’esecutivo
La reazione berlusconiana tradisce così la natura più vera e profonda di queste intese larghe ma contro natura, rispetto alla del bipolarismo sedimentata nel Paese in questi due decenni.
La Grande Coalizione è poco più che un taxi, sul quale lo Statista di Arcore sale in corsa per lucrare un crescente dividendo elettorale e nel frattempo raggiungere la meta dell’impunità , se non formale di fronte ai tribunali almeno morale di fronte agli italiani.
Il Cavaliere usa il Pd a giorni alterni come l’alleato malleabile o come l’avversario irriducibile, secondo la convenienza politica o il calendario giudiziario.
Questa sproporzione nei rapporti di forza che regolano la strana maggioranza, anche se non giustificata dai numeri, è purtroppo suffragata dai fatti.
È un problema serio, del quale il presidente del Consiglio e il Partito democratico dovrebbero farsi carico.
Azzerando l’asimmetria politica. Affiancando e contrapponendo, a quella della destra, l’agenda della sinistra (se ne esiste una).
Dalla lotta all’evasione alle norme anti-corruzione. Dalla riforma elettorale a quella del lavoro.
Il «governo di servizio» ha senso solo se serve al Paese, non se serve solo al Cavaliere.
Massimo Giannini
(da “La Repubblica“)
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