L’INDUSTRIA MUORE, LA POLITICA NON VEDE
LA CASSA INTEGRAZIONE RIGUARDA MEZZO MILIONE DI PERSONE…IN CRISI I SETTORI DELL’AUTO, DEGLI ELETTRODOMESTICI, DELLA SIDERURGIA E CANTIERISTICA
La situazione dell’industria italiana vede la seconda manifattura d’Europa, dopo la Germania, soffrie una crisi di sistema e di prospettiva.
La cassa integrazione complessiva riguarda mezzo milione di persone. Nei settori industriali ballano circa 300 mila posti di lavoro.
A guidare la crisi è il settore dell’auto.
La produzione di vetture, infatti, si è fermata a 390 mila unità . Solo qualche anno fa, Fiat arrivava a un milione di auto.
La cassa integrazione nel 2012 è stata di decine di milioni di ore.
Ma la crisi del Lingotto si porta dietro quella dell’intero “automotive” che occupa 1,2 milioni di lavoratori e “contribuisce per l’11,4% al Pil”.
È Federauto a denunciare il rischio di perdere 220 mila posti di lavoro in aziende che portano i nomi di Lear, Johnson, Bosch, multinazionali che in Italia “sono vincolate ai modelli Fiat”.
Nella “ricca” Toscana si giocano il posto circa 3 mila persone in aziende come Trw, Gkm o Continental.
Il secondo settore manifatturiero, dopo l’automobilistico, è quello degli elettrodomestici. La crisi ha i nomi di marchi come Electrolux, Indesit , Candy, Whirlpool o Merloni.
La perdita di posti è stimata nel 30% per i grandi gruppi e nel 50% per le aziende minori in un settore da 130 mila addetti.
Uno smantellamento progressivo che per marchi come Electrolux o Indesit significa spostare le produzioni in Polonia o Ungheria.
Non va meglio nella siderurgia dominata dal caso Ilva, ma in cui si muovono, più silenziose e altrettanto gravi, i casi della ex Lucchini o della Thyssen.
In Europa “la sovracapacità produttiva è di circa il 30%” il che vuole dire che un impianto su tre non serve.
Alla ex Lucchini/Severstal di Piombino sono circa 2500 le persone che rischiano e altri 700 sono in ballo a Trieste.
All’Ilva circa 6000 lavoratori sono in cassa integrazione. E altri esuberi sono già annunciati dal gruppo Marcegaglia.
A fare peggio è il settore dell’alluminio in cui si verifica il paradosso di una produzione interna che copre il 12% del fabbisogno con l’unico produttore nazionale, l’Alcoa (1000 lavoratori compreso l’indotto) che invece è stato chiuso e se n’è andato in Arabia Saudita. La crisi si affaccia anche nel settore del rame — 70 mila addetti con l’indotto — in cui l’Italia produce i due terzi delle barre di rame prodotte nel mondo.
Tra le grandi produzioni presenti in Italia c’è anche la Kme che però ha annunciato 300 esuberi su 1500 dipendenti.
A risentire di politiche industriali nazionali assenti o distratte è il grande colosso italiano Finmeccanica.
Il gruppo è indebolito dalla crisi globale ma anche dal susseguirsi delle inchieste.
La crisi colpisce soprattutto, per via della riduzione di commesse pubbliche, il settore della Difesa.
Ma Finmeccanica, che pure “si trova in condizioni di vantaggio” nel settore civile, ha finora programmato la dismissione di aziende come Ansaldo Energia, Ansaldo Breda o Breda Menarinibus.
E l’altro ieri al sindacato è stata prospettata la cessione di Ansaldo Sts.
Con la riorganizzazione dell’Aeronauta un anno e mezzo fa sono stati persi circa 2000 posti. Ora ce ne sono altrettanti nel settore elettronico (Selex) e 5000 potrebbero liquefarsi in caso di svendita del civile ferroviario. Sono 10 mila posti su 42 mila complessivi in Italia, circa un quarto.
à‰ di oltre un terzo, invece, la quota di lavoratori che stanno per essere abbandonati da Fincantieri che ha rappresentato, con 8500 addetti, l’eccellenza mondiale dell’industria navale.
Dallo scorso anno i dipendenti in cassa integrazione sono stabilmente 1500 ogni anno con la possibilità di arrivare a 3500.
Un altro segnale di declino su cui non si vede traccia nel dibattito politico.
Salvatore Cannavò
(da “Il Fatto Quotidiano“)
Leave a Reply