STRAGE DI VIA D’AMELIO, COSI’ GLI UOMINI DEL GRANDE DEPISTAGGIO
L’AGENDA DI PAOLO: CHI NON L’HA SEGNALATA A CHI DI DOVERE, CHI HA OMESSO, CHI HA TACIUTO E DEPISTATO
Se questa è l’agenda rossa di Paolo Borsellino a mistero si aggiunge mistero, un altro: chi l’ha raccolta da terra, chi l’ha rimossa da quel parasole per auto dove era celata poco prima che un piede la spostasse, chi l’ha presa? Chi l’ha rubata?
La macchia rossa – quella che sembra proprio un’agenda – compare per la prima volta al minuto 5.37 secondi in un video di 2 ore 28 minuti e 19 secondi girato dai vigili del fuoco di Palermo nei momenti successivi all’esplosione (ma non sappiamo quando esattamente hanno cominciato a riprendere e quando esattamente hanno finito), filmato che da 21 anni – avete capito bene, ventuno anni – è agli atti dell’inchiesta e poi del processo per l’uccisione del procuratore aggiunto della repubblica di Palermo Paolo Borsellino.
Da quasi un quarto di secolo quella macchia rossa è lì, ben in vista, riconoscibile anche o occhio nudo quanto meno come un oggetto che potrebbe tanto somigliare a quel diario che il magistrato portava sempre con sè e dove annotava tutti i suoi pensieri dal giorno della morte del suo amico Giovanni Falcone.
È lì, fra la cenere e un cadavere (quello della povera Emanuela Loi) sotto il parafango di un’auto, una Renault, un’utilitaria e non una delle blindate dei poliziotti di scorta al magistrato. Qualcuno, ventuno anni fa, aveva mai segnalato quella macchia rossa ai pubblici ministeri che stavano indagando sulla strage?
Qualcuno, ventuno anni fa, aveva mai avuto il dubbio che quella macchia rossa avrebbe potuto essere l’agenda del procuratore assassinato?
Qualcuno, ventuno anni fa, aveva menzionato in una relazione di servizio – in un verbale di sopralluogo, in una lettera di trasmissione del video girato dai vigili del fuoco – quelle immagini della macchia rossa?
Dallo «sconcerto» manifestato dai magistrati di Caltanissetta la risposta sembra ovvia: no, nessuno quanto pare si preoccupò di comunicare ai titolari dell’inchiesta cosa si vedeva al minuto 5.37 di quel lunghissimo filmato del dopo strage.
Perchè? In qualche modo, l’abbiamo già detto.
O grande è stata l’imperizia degli investigatori delegati alla visione del filmato o – e certo i precedenti in questa direzione non mancano – qualcuno ha fatto finta di non vedere.
Se così stanno le cose, come possiamo ogni volta mostrare meraviglia che si sia scoperto poco e niente sui massacri di Capaci, di via D’Amelio e sui tanti, troppi delitti eccellenti siciliani?
Se così stanno le cose, i procuratori di Caltanissetta che negli ultimi anni hanno indagato con intelligenza sulle indagini taroccate e deviate nel 1992 (fino ad arrivare a chiedere la revisione del processo Borsellino per sette imputati) dovranno ricominciare la loro inchiesta fin dai particolari più insignificanti.
E da quelle più significanti.
Come per esempio questo video dei vigili del fuoco dove in meno di sessanta secondi – dal minuto 5,37 al minuto 5,55 – si nota di spalle un uomo in maglietta azzurra, pantaloni chiari e mocassini neri davanti a quella macchia rossa
Le indagini tecniche annunciate dal procuratore capo della repubblica Sergio Lari accerteranno fra qualche giorno se la macchia ripresa dai vigili del fuoco sia davvero la famosa agenda di Paolo Borsellino, però bisogna precisare che intanto la caccia ai «ladri» di quel diario non si è fermata mai.
Neanche in queste ultime ore, soprattutto in queste ultime ore dove sembra che si sia accelerata la ricerca a personaggi sospetti – uomini dei servizi segreti, secondo i pubblici ministeri – sospettati di avere trafugato l’agenda il pomeriggio del 19 luglio 1992.
L’affaire, come vediamo, è apertissimo.
Di sicuro, le investigazioni si stanno concentrando sulle manovre degli apparati di sicurezza di stanza in Sicilia ventuno anni fa.
E che non riguardano solo la sparizione dell’agenda. È praticamente tutta l’indagine sull’uccisione del procuratore, fin dall’inizio, che scava negli ambienti dell’intelligence.
È già il primo depistaggio alle indagini, il più grande, che viene da quel mondo.
Con quell’imbeccata che un (ancora) anonimo 007 offrì alla squadra mobile di Palermo annunciando «svolte clamorose» sulla strage di via Mariano D’Amelio.
Come? Tirando fuori per la prima volta il nome di Vincenzo Scarantino, uno sbandato di borgata fatto passare per un grande testimone di mafia. Così è entrato in scena il falso pentito della Guadagna, quello che – poi manovrato da poliziotti – si è autoaccusato di un attentato che non aveva mai fatto trascinando nel gorgo delle indagini personaggi estranei al massacro.
Lo Scarantino ha confermato, ha smentito, ha riconfermato e ha rismentito la sua versione anno dopo anno.
Sotto la regia di qualcuno in divisa che l’ha pilotato per allontanare i magistrati dalla verità .
Un pupo Vincenzo Scarantino. In mano a pupari.
Gli stessi che probabilmente qualche giorno prima avevano fatto sparire l’agenda rossa.
Attilio Bolzoni
(da “La Repubblica“)
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