Ottobre 4th, 2013 Riccardo Fucile
ASSENTI GLI AVVOCATI DI BERLUSCONI: “ORGANISMO NON IMPARZIALE”
E’ durata poco più di un’ora, nella sala Koch di Palazzo Madama, la seduta pubblica della Giunta delle elezioni che deve decidere della decadenza da senatore di Silvio Berlusconi, dopo la condanna definitiva per frode fiscale nel caso dei diritti tv Mediaset.
I commissari sono adesso riuniti nella saletta della commissione Ambiente per iniziare la Camera di consiglio.
E’ difficile prevedere quanto durerà la riunione a porte chiuse della Giunta, anche se da più parti si è ipotizzato una conclusione dei lavori in giornata. Stando alle dichiarazioni che si sono rincorse i questi giorni, il voto per la decadenza dovrebbe essere scontato.
La vera battaglia si combatterà in Aula, che nei prossimi giorni sarà chiamata a ratificare la decisione presa dalla Giunta. Tutti gli articoli sulla decandenza
Le forze politiche arrivano all’appuntamento schierate su posizioni contrapposte: il Pdl si stringe attorno al proprio leader e sostiene la tesi della non applicabilità della legge Severino, che prevede appunto la decadenza dei condannati, perchè al momento in cui fu commesso il reato la legge non era ancora in vigore.
Pd e Movimento Cinque Stelle sono invece orientati per un voto favorevole alla decadenza.
Assenti i legali del Cavaliere.
Gli avvocati di Silvio Berlusconi non si sono presentati all’udienza pubblica. Una scelta che può significare che la battaglia in Giunta viene data già per persa.
Franco Coppi, Piero Longo e Niccolò Ghedini motivano la loro assenza facendo appello al diritto a un ‘giudizio imparziale’: “Molti dei componenti della Giunta delle elezioni del Senato si sono già più volte espressi per la decadenza del presidente Berlusconi – spiegano i legali del Cavaliere -. Non vi è dunque possibilità alcuna di difesa nè vi è alcuna ragione per presentarsi di fronte a un organo che ha già anticipato, a mezzo stampa, la propria decisione. Nessuna acquiescenza nè legittimazione può essere offerta a chi non solo non è, ma neppure appare imparziale. Il non partecipare era dunque non più una scelta, ma un obbligo”. E annunciano un ricorso: “”Non vi è dubbio che anche questa ulteriore violazione dei diritti costituzionali e dei principi della Convenzione Europea troverà adeguato rimedio nelle sedi competenti”.
Silenzio per Lampedusa.
Il presidente della Giunta, Dario Stefà no, aprendo la seduta, ha ricordato la tragedia di Lampedusa e ha invitato gli altri componenti a osservare un minuto di silenzio.
Prime schermaglie.
A seduta appena iniziata, il presidente ha respinto una pregiudiziale avanzata da parte di una componente della Giunta, Elisabetta Alberti Casellati (Pdl), non essendo consentite in questa fase. “Non le do la parola” ha tagliato corto Stefano, citando i poteri che gli derivano dal Regolamento dell’organismo.
Poi, dopo aver illustrato i punti cardine della memoria difensiva del Cavaliere e le posizioni in campo, ricorda ai componenti del tribunalino senatoriale, che “il numero legale fissato nella maggioranza dei componenti è applicabile anche alla Giunta in camera di consiglio”.
Non sono ammesse dunque variazioni numeriche. “In Camera di consiglio- chiarisce Stefà no- non sono ammessi componenti arrivati in ritardo o che dovessero allontanarsi dalla riunione della giunta in seduta pubblica”.
Fuoco amico dell’aspirante senatore.
Il primo intervento di merito – e di fatto l’unico – è stato quello dell’avvocato Salvatore Di Pardo, in rappresentanza di Ulisse Di Giacomo, del Pdl, già senatore nella passata legislatura, che si discosta dal suo gruppo.
Di Giacomo è infatti il primo dei non eletti in Molise, la regione dove è stato eletto Berlusconi, e in caso di decadenza sarebbe lui a subentrare al posto dell’ex premier a Palazzo Madama.
Inoltre è già data per certa la sua adesione al gruppo degli “alfaniani” che hanno preso le distanze dal leader.
Il legale ha subito contestato i rilievi del Cavaliere, che nei giorni scorsi ha chiesto la ricusazione di una decina di membri della Giunta per manifesto pregiudizio. “Nessun senatore è imparziale – ha ricordato -, i giudizi sono sempre politici, da una parte e dall’altra. I senatori non sono giudici e non devono essere terzi. Questa è una garanzia non una penalizzazione”.
Di Pardo ha ricordato che se Berlusconi fosse stato trattato come un cittadino qualunque, a quest’ora non sarebbe già più senatore , così come avvenuto nel caso di tutti gli altri politici, “perchè la giurisprudenza sulla legge Severino è granitica, il Consiglio di Stato ha già chiarito tutto. “La legge deve essere uguale per tutti”, ha ribadito l’avvocato.
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Ottobre 4th, 2013 Riccardo Fucile
IL SEGRETARIO PDL: MA A DESTRA VOGLIO IL PARTITO UNICO
Letta e Alfano vogliono sorprendere tutti, cancellare il Porcellum salvando il bipolarismo ed escludere
dalla scena il ritorno al proporzionale con i sospetti di un progetto centrista che quel sistema si porta dietro.
L’ipotesi di creare una nuova Dc non esiste, giurano a Palazzo Chigi, e viene agitata «in maniera strumentale dai renziani» per screditare le larghe intese.
E Letta, beninteso.
Il “patto” tra il premier e il suo vice viene messo alla prova in queste ore dalla lotta intestina al Pdl.
Per l’eterogenesi dei fini è stato consolidato dal voto di fiducia espresso mercoledì da Silvio Berlusconi. Un voto che ha evitato la spaccatura immediata del centrodestra, la costituzione di due partiti in quel campo e perciò il bisogno dei dissidenti di avere una legge elettorale pasticciata ma funzionale che non consegnasse i consensi di destra al Cavaliere.
«Se Alfano si prende il Pdl che bisogno ha del proporzionale e della chimera del centro? Perchè dovrebbe rinunciare all’egemonia nel terreno dei moderati?», si chiede il costituzionalista Pd Stefano Ceccanti.
Ma la partita a Palazzo Grazioli non è ancora finita. Anzi. La possibilità di una scissione resta in piedi e l’intesa sulla riforma elettorale naviga a vista.
Nel caso di uno spacchettamento nessuno può escludere che lo sbocco sia davvero il proporzionale. «L’esito delle crisi nel Pdl è decisivo», ha spiegato Dario Franceschini agli esperti con cui si confronta al ministero dei Rapporti col Parlamento.
I quarantenni che guidano l’esecutivo hanno però tutt’altro orientamento
Presto si riaprirà il tavolo delle riforme istituzionali.
A dicembre, poi, è attesa la sentenza della Consulta sul Porcellum. Per quella data bisogna arrivare con una proposta pronta. Anche se da qualche giorno a Palazzo Chigi si è fatta strada la convinzione, surrogata da qualche indiscrezione, che la Corte, alla fine, non toglierà le castagne del fuoco alla politica.
Potrebbe cioè respingere il ricorso limitandosi a qualche monito non vincolate sulla legge Calderoli.
Che quindi rimarrebbe lì, diavolo tentatore di tutti i partiti, come ha dimostrato la recente dichiarazione d’amore per il Parlamento dei nominati fatta da Beppe Grillo.
Le strade per mantenere il bipolarismo sono tre.
La prima appare oggi la più debole, contestata palesemente da Letta in aula e dal Movimento 5stelle, osteggiata da sempre a destra. È la battaglia di Roberto Giachetti per il Mattarellum, ossia per i collegi uninominali con piccola quota proporzionale.
Una riforma che aveva i numeri prima dell’estate, sostenuta da Pd, grillini e Sel. Ma stoppata dal governo di larghe intese che muoveva i primi passi. Ora ha perso la stampella del comico e continua a essere un dito nell’occhio di Alfano. Giachetti non ammaina la bandiera, ma apre anche alla bozza Violante
L’ex presidente della Camera ha studiato il doppio turno di coalizione.
Garantisce il bipolarismo, dà certezza immediata dell’esito elettorale. Per certi versi è la proposta che si avvicina di più al modello Renzi che sogna il sindaco d’Italia, vale a dire una legge sul modello di quella per i comuni.
La bozza Violante è legata alla riforma della Costituzione sul Parlamento, con una sola Camera che vota la fiducia, per evitare il rischio di due maggioranze diverse a Montecitorio e al Senato. Ma secondo il suo ideatore si può fare anche con le regole attuali «perchè – ha spiegato Violante nelle riunioni dei saggi – dal ’94 non è mai capitato che la coalizione vincente alla Camera non fosse la stessa che vinceva al Senato».
Questo sistema allontanerebbe il proporzionale, ma non escluderebbe affatto un’alleanza Letta-Alfano anche nelle urne.
Si potrebbe formare una coalizione di centrosinistra con Pd e Pdl, contrapposta a Grillo e alla destra dei falchi. Del resto, Letta ha sempre profetizzato: «La prossima campagna elettorale si giocherà tra uno schieramento pro-Europa e uno anti-Europa». Rappresenterebbe un cambio di schieramenti e di regime epocale.
Ma se l’Italia vuole mettere in scena il confronto classico delle democrazie europee, la sfida tra socialisti e popolari, allora le rispettive diplomazie dovranno ragionare sul doppio turno di collegio.
Due blocchi contrapposti che si combattono e vanno al ballottaggio studiando nuove alleanze lì dove non raggiungono il 50 per cento.
Un sistema mai amato nei palazzi romani, ma che potrebbe sbloccare la transizione della Seconda repubblica.
Goffredo de Marchis
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Ottobre 4th, 2013 Riccardo Fucile
SCONTRO DI DONNE
Per raccontare quel che segue occorre una premessa teorica.
La si deve a Sandro Bondi, unico esegeta autorizzato dal berlusconismo.
Quella del Cavaliere, ha scritto nel 2009, è “una politica donna”, in cui “la conquista del potere non è che uno strumento per diffondere benessere e felicità : la logica maschile del potere viene sostituita da quella femminile del dono, della comprensione, dell’amore”.
E dunque, come si vede, non è ozioso interrogarsi su come le donne della politica donna abbiano agito o parlato.
Le troviamo sui due fronti del dramma, pitonesse o colombe, e le sorprese non mancano: dichiarazioni violente, certo, ma anche amicizia, accoglienza, gesti delicati, silenzi raccolti in cui lasciar urlare il proprio smarrimento, forse, raccontano, qualche lacrima.
Espulsioni.
“Lorenzin e Quagliariello sono fuori dal partito” (Mara Carfagna, il 29 settembre, subito dopo aver augurato buon compleanno a Berlusconi paragonandolo a Bertrand Russell via Albert Einstein).
Nazisti.
“Non posso accettare l’idea di un partito alla Alba Dorata che considera traditore chi la pensa diversamente” (il ministro della Salute Beatrice Lorenzin, pasdaran alfaniana, il 30 settembre)
Uccelli.
“Credo che ci sia qualcuno nel Pdl che sta facendo il salto della quaglia. Ma la storia insegna che chi ha tradito finisce reietto e non rieletto” (Michaela Biancofiore mercoledì mattina)
Incolti.
“Verdini, Santanchè, Capezzone e Bondi non rappresentano i valori di Forza Italia” e “non sono attrezzati culturalmente per guidare il partito” (Beatrice Lorenzin).
Chiarimenti.
“Si divertono a chiamarmi Pitonessa, ma ribadisco che il senso non è quello della barzelletta sul coniglio ingoiato , nè quello della moglie del pitone: si tratta del soprannome dato a Pizia che prevedeva il futuro ad Apollo” (Daniela Santanchè).
Divorzio.
“È in atto un confronto tra due classi dirigenti che stanno diventando sempre più incompatibili” (Lorenzin dopo aver costretto Berlusconi a rimangiarsi la sfiducia a Letta). Profezie. “Anche Fini era il grande vincitore. Per i sondaggi e per tutti i giornali. Era acclamato come il salvatore della patria. Mi sa dire dov’è ora Fini?” (Santanchè).
Distanze.
“Oggi è nato il governo Letta-Alfini, ma posso dire che io in Alfini non mi ci riconosco affatto” (Alessandra Mussolini)
The end.
“I destini sono separati . Fine. È già pronto il nuovo gruppo. Ma di che parliamo? Non voglio giudicare nessuno, ma non credo che il presidente meritasse quanto sta succedendo” (Mariastella Gelmini, mercoledì mattina)
Freud.
“Nessun parricidio, non uccidiamo il padre politico, anzi l’abbiamo protetto dall’estremismo. Domando: è possibile essere berlusconiani senza mandare il cervello all’ammasso?” (Lorenzin)
The sequel.
“Detto questo, andiamo avanti e sono convinta che troveremo una nuova coesione” (Gelmini, mercoledì sera).
Mediatrice.
La ministro dell’Agricoltura Nunzia De Girolamo è l’unica ammessa in entrambi i circoli: è alfaniana, ma senza asprezze. Mercoledì è riuscita nella stessa serata ad andare alla riunione organizzata dal “traditore” Gaetano Quagliariello e poi a presentarsi a cena in una pizzeria romana con fidanzata e “badante” del Cavaliere, Francesca Pascale e Maria Rosaria Rossi.
Rimozioni.
“Il vincitore? Berlusconi” (la realtà vista da Santanchè). “Io so solo che a Zanda glielo abbiamo messo in quel posto” (Mussolini non ha simpatia per il capogruppo Pd in Senato).
Traditori.
“Sono scioccata, ma non potrei mai ribellarmi: lui è e resta il mio leader. Le sembro una che può tradirlo? Non sono mica come quelli lì che giocano a scambiarsi le figurine” (Santanchè).
Dissidenti.
“Il Pdl, che è il partito di Berlusconi e Alfano, ha espresso una linea in Parlamento. Se altri non vi si riconoscono, sono loro i dissidenti” (Barbara Saltamartini, deputata alemanniana, oggi vicina a Comunione e Liberazione).
Cibo/1.
Mercoledì mattina. Aula di palazzo Madama. Paola Pelino, senatrice abruzzese, offre materna all’amareggiato Silvio i confetti che la sua famiglia produce da decenni a Sulmona.
Cibo/2.
“Non mi sento tradita, certo ho mangiato un cucchiaino di merda” (il sapore della fiducia a Letta secondo Santanchè).
Afasia.
In molte s’affidano ad un delicato silenzio in cui lasciar decantare l’asprezza delle cose. Non pervenute: Laura Ravetto , Lara Comi, Annamaria Bernini. Tutte volti tv del berlusconismo fino a qualche giorno fa.
Speranze .
“Ho offerto la mia testa ad Alfano su un vassoio d’argento, mi auguro che su quel vassoio non ci finisca la testa di Berlusconi” (Santanchè)
Marco Palombi
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Ottobre 4th, 2013 Riccardo Fucile
BATTAGLIA DI DOCUMENTI NEL PDL
Come se nulla fosse accaduto. Nè la batosta di mercoledì al Senato, nè un partito spaccato e allo
sbando. Silvio Berlusconi sparge ottimismo tra le macerie del Pdl e prova a rassicurare: «Vedo sui giornali tutto questo dissenso, ma io stamattina ho parlato due ore con Alfano e non vedo le cose che sono sui giornali e le agenzie »
Esce dal Senato, dopo una riunione nello studio del capogruppo Renato Schifani.
E racconta così la retromarcia e la fiducia concessa al governo: «Abbiamo votato perchè Letta ha dato assicurazioni sulle cose da fare ai nostri ministri e nel suo discorso».
Poi torna ad attaccare la magistratura per la condanna nel processo Mediaset, bollandola come «sentenza politica». Quanto alla possibilità di finire “espulso” dal Senato per la legge Severino, il Cavaliere preferisce di sdrammatizzare: «Magari, così mi riposo ».
Hanno poco da scherzare, invece, il gruppo dei pasdaran e quello dei moderati.
L’un contro l’altro armati, battagliano a colpi di documenti.
Ieri è stata la volta di quello firmato dai cosiddetti “lealisti”.
Una replica dura al testo filogovernativo presentato dagli alfaniani il giorno della fiducia. Lo sottoscrivono in cento — tra deputati e senatori — e tra i firmatari spiccano Denis Verdini e Mariastella Gelmini, Mara Carfagna e Sandro Bondi, Daniele Capezzone e Daniela Santanchè
Nel partito, però, c’è chi sogna in una difficile ricomposizione.
Lo sostiene anche un falco come Sandro Bondi: «Spero ancora che si superino le divisioni». Come lui, anche due ex An come Maurizio Gasparri e Barbara Saltamartini lottano per una ricomposizione.
Ma il ministro Gaetano Quagliariello non gradisce il documento dei lealisti e su Twitter attacca: «Venti parlamentari bussano a palazzo Grazioli per una resa dei conti interna. In un giorno come questo…Senza parole».
E anche Fabrizio Cicchitto va giù duro: «Doveva essere una giornata di tregua e di riflessione nel Pdl. Ci troviamo di fronte invece ad un ulteriore atto di aggressività e di conflittualità ».
Sul fronte delle colombe, d’altra parte, molto si muove.
In prima linea c’è Roberto Formigoni, uno dei senatori pronto allo strappo: «La linea del nuovo gruppo è sospesa. Abbiamo trovato un Berlusconi dialogante e anche per questo abbiamo sospeso l’iniziativa», assicura, giurando: «Ieri eravamo settanta e oggi abbiamo ancora altre adesioni».
Salta, intanto, la manifestazione del partito annunciata per oggi. Era stata lanciata giorni fa e sarebbe dovuta servire per reagire al voto sulla decadenza del Cavaliere in Giunta per le immunità .
Ma di fronte alla scelta di votare la fiducia all’esecutivo, molto delle parole d’ordine dell’appuntamento sono evaporate e hanno consigliato l’annullamento.
Tommaso Ciriaco
(da “La Repubblica“)
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Ottobre 4th, 2013 Riccardo Fucile
L’OBIETTIVO È QUELLO DI RINVIARE IL VOTO SULLA DECADENZA, LE SPERANZE PERà’ SONO MINIME
Non riposa in pace nè di notte nè di giorno, ratifica il dottor Michele Zangrillo.
La rabbia di Niccolò Ghedini e Denis Verdini, fra documenti, petizioni e vendette, non dà un effetto sedativo.
Alzi la mano chi vuole cenare, sempre, con l’avvocato di Padova e il contabile di Fivizzano? Neanche Silvio Berlusconi, forse.
Angelino Alfano non ha ricevuto il perdono paterno, perchè non gli interessa, perchè vale niente: vuole il partito, la gestione di struttura e finanza, la cassa.
Quelli che si definiscono “lealisti” assediano palazzo Grazioli, fomentano il Capo umiliato, il giorno dopo lo psicodramma al Senato, il giorno prima la decadenza in Giunta: “Non ci andrò, la sentenza è mediatica. In Europa mi daranno ragione”.
I lealisti scrivono poche righe contro Alfano, riesumano il giovane invecchiato Raffaele Fitto, lo trasformano in portavoce.
Proprio l’ex governatore che, emarginato, trovava pace soltanto nel mutismo.
Sono un centinaio, o anche di più. Vogliono un rimpasto del governo, posti da ministri e sottosegretari: se le correnti sono due, le poltrone vanno divise.
La truppa guidata da Verdini rappresenta il pezzo di Pdl che Alfano vuole scaricare. Un elenco che non sorprende e che, nonostante le dichiarazioni pubblicitarie di B. (“Non siamo divisi, c’è dialettica interna”), non ricompone la frattura e non rinvia (di molto) la scissione.
Ci sono Santanchè, Bondi, Capezzone, Minzolini. Quelli che, a sentirli, non conciliano proprio il sonno.
Quagliariello li declassa: “In 20 bussano a Grazioli per una resa dei conti in questo giorno (Lampedusa, ndr)”.
Berlusconi senza cravatta va in Senato a istruire Renato Schifani: “In Giunta finisce un ventennio? Magari, così mi riposo”. Zangrillo esulta.
Oggi in Giunta per le Elezioni, o per essere precisi nei prossimi 3-4 giorni in forma definitiva, il Cavaliere sarà decaduto a metà , ancora più indebolito, ancora più inquieto.
E non c’entra nulla la manifestazione di piazza Farnese annullata. Non lo fa per la pacificazione.
Non vuole la conta pubblica, la teme: “Non ci sono dissapori con Alfano”. Ora a Ghedini e Verdini, consiglieri per le salvezze estreme, il Cavaliere ha affidato se stesso. E l’ultima e disperata via di fuga.
Prima che il presidente Grasso e i capigruppo fissino la data per l’uscita ingloriosa da Palazzo Madama, B. vuole pasticciare una mozione per un rinvio alla Consulta.
La domanda non è originale, già spesa, usurata e bocciata in Giunta: la legge Severino può essere retroattiva?
Qualcuno avrà il buon cuore di spiegare che il Senato non può aprire un conflitto di questo tipo .
Ma qualcuno potrà pensare, per supplicare ai democratici (ora inflessibili) un aiutino meno scandaloso, che uno slittamento sia possibile.
Oggi la Giunta si esprimerà per la decadenza, poi ci sarà una seconda votazione con la relazione di Stefà no che sarà girata a Pietro Grasso.
Berlusconi e Alfano dovevano parlare a distanza: l’ex capo a Montecitorio con i deputati di Brunetta e l’ex gregario a Palazzo Chigi con i ministri.
Il dramma di Lampedusa ha posticipato la battaglia. La schizofrenia di Berlusconi, l’oscillare senza coerenza e consistenza, va esaminata, analizzata con pratiche terapeutiche: che fa, di sera, il Cavaliere?
Mercoledì notte, braccato da Dudù (Francesca non c’era), aspettava una visita di Alfano. A ringhiare era uno soltanto, non il barboncino, ma Denis Verdini.
Francesca Pascale, annoiata, scortata da Maria Rosaria Rossi, è scappata in pizzeria. C’erano la Biancofiore e Jole Santelli. Al ristorante c’era pure il ministro Mario Mauro, ex berlusconiano convertito al montismo, ma poi neanche più di tanto.
Nunzia De Girolamo raggiunge la comitiva.
Tra le luci arancioni s’aggirano Daniela Santanchè, Alessandro Sallusti e Nicola Porro, ieri a pranzo facevano comunella al Bolognese con La Russa, praticamente le riunioni del Giornale sono itineranti e i “traditori” sempre a tiro.
Ci siamo dimenticati di Berlusconi, affranto a palazzo Grazioli con Brunetta, Ghedini e Verdini. Pronto a sbranare Alfano.
Per incollare una strategia, una tattica ragionevole, va raccontato lo sfogo di Francesca, che accusa i duri e i puri che hanno trascinato il Cavaliere nel duello con Enrico Letta e Angelino, che non risparmia critiche al duo Capezzone e Santanchè.
E che affascinata dal cagnolino che le commensali portano in pizzeria, fa un resoconto (non breve) del rapporto empatico tra Silvio e Dudù.
Pascale versione moderata. Statista.
Altro che Gianni Letta.
E ieri mattina, inerme davanti al segretario scissionista, B. ha finto di voler consegnare il partito al gruppo di Alfano.
È una prova di scuola, che avrà ripassato durante la convivenza con Dudù: mollare il guinzaglio, mettere l’uno contro l’altro, e osservare dove vanno a sbattere.
Le indiscrezioni, sempre più assordanti, danno per imminenti problemi giudiziari tra i cosiddetti falchi.
Una consulenza a Francesca sarebbe utile.
Carlo Tecce
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Ottobre 4th, 2013 Riccardo Fucile
“DIMETTITI DA SENATORE”: NUOVO FACCIA A FACCIA IERI MATTINA… MA I FALCHI NON SI ARRENDONO E PROPONGONO FITTO COME SEGRETARIO DI FORZA ITALIA
La tentazione di mollare tutto. Il crollo psicologico dopo la disfatta politica. 
La rassegnazione a cedere l’intera baracca ad Angelino, riconoscergli la vittoria.
Dura due ore il faccia a faccia mattutino, l’ennesimo, che a sorpresa si consuma nella residenza dell’ex premier, nel day after della disfatta berlusconiana.
Nel salotto dello studio al primo piano, ancora una volta Alfano.
Il capo riconosce: «Ho commesso degli errori, mi sono fidato di persone sbagliate, vi offro la testa di Verdini e Santanchè, ma adesso cerchiamo di restare uniti, voi siete ministri del Pdl e io ho dato fiducia a questo governo».
Ammette di essere «molto stanco», travolto dagli eventi, tanto più alla vigilia del voto di giunta di oggi e della decadenza imminente.
«Angelino, il partito deve restare unito e poi lo sai, sei il segretario, sei destinato a guidarlo tu». Discussione filata via molto sul filo degli affetti tra i due.
Appare il segnale della resa, della ritirata dell’anziano leader.
Al suo cospetto, il vicepremier non arretra, conferma la linea della fermezza, ma assicura a Berlusconi che loro non hanno alcuna intenzione di dar vita a gruppi autonomi «se non ce ne saranno motivi».
E aggiunge: «Io ti suggerirei di dimetterti, di lasciare il Senato prima del voto di giunta (di oggi, ndr), sarebbe un segnale di distensione».
Ipotesi, questa, che Berlusconi però scarta subito.
Alfano dopo la vittoria di mercoledì in aula opta per la strategia dell’attesa, prevalsa del resto nel vertice della notte precedente tra i «diversamente berlusconiani» Quagliariello, Lupi, Cicchitto, Castiglione, Formigoni e altri.
«Nuovi gruppi? Tutta da vedere» sostiene non a caso un Cicchitto di colpo più cauto.
Non forzare la mano, dunque, non uscire per ora dal Pdl per dar vita a un gruppetto di 25 alla Camera e al Senato in stile Fli, attendere le prossime due settimane e gli sviluppi della decadenza del Cavaliere, l’inizio della pena restrittiva che ne depotenzierà comunque la leadership.
I governativi decidono insomma di sedere in riva al fiume e attendere.
Il punto sul quale tutti sono ormai d’accordo, come va ripetendo Castiglione, è che «Forza Italia a noi non interessa più, sarebbe un dannoso ritorno al passato, dobbiamo pensare al Ppe».
E puntare a conquistare il partito nella sua interezza, intanto, cariche direttive comprese. A quel punto la decisione dei ministri di indire per mezzogiorno una conferenza stampa per confermare di voler restare nel partito e di Berlusconi di convocare per le 13 il gruppo per predicare appunto unità e compattezza.
L’elemento nuovo è che Berlusconi ad Alfano avrebbe confidato di sentirsi appunto stanco, pronto quasi a eclissarsi quando tra qualche giorno per lui scatteranno i servizi sociali da scontare e la decadenza.
Il testimone anche di Forza Italia passerebbe a lui.
Forse è lo sfogo del momento, forse un tentativo di ammansirlo. Sta di fatto che la notizia fa subito il giro dei palazzi.
A Montecitorio e Palazzo Madama è subito panico tra i «veramente berlusconiani ». I fedelissimi si chiamano a raccolta alla spicciolata, è il primo pomeriggio.
Dopo il tam tam telefonico si ritrovano tutti nella nuova sede di Forza Italia a San Lorenzo in Lucina.
Non solo Verdini e Santanchè, in allarme per la notizia delle «teste offerte» dal capo ad Angelino. Ma anche Bondi e Capezzone, Gelmini e Carfagna, Fitto e Prestigiacomo, Malan e Biancofiore, Polverini e Saverio Romano, una cinquantina.
«Non possiamo finire nel partito di Alfano, diamo vita subito a Forza Italia sotto la guida di Berlusconi» è il mantra che ripetono tutti.
Vogliono contarsi, dimostrare di essere loro la maggioranza del partito, dopo che in giornata Formigoni aveva detto che gli alfaniani erano già diventati settanta.
Ed ecco spuntare cento firme che i “lealisti” in serata portano a Berlusconi a Palazzo Grazioli.
Discutono di un ipotetico segretario da contrapporre o al più da affiancare al «traditore » Alfano.
Si parla di Fitto per quella carica.
Invocano un rimpasto di governo dato che al momento non esprimono più ministri.
Vogliono avere ancora il controllo del Pdl. Soprattutto chiedono al capo di non cedere il testimone al vicepremier. Lui li rassicura ma non fino in fondo.
Non si dimetterà da senatore, come nel pomeriggio aveva confermato ai senatori Pdl incontrati negli uffici del gruppo a Palazzo Madama alla vigilia della giunta.
Riunione assai tesa, sono scintille col capogruppo Schifani che due giorni fa si è rifiutato di pronunciare il discorso sulla sfiducia.
Il partito resta dentro un frullatore.
Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica”)
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Ottobre 4th, 2013 Riccardo Fucile
NEL BUNKER ASSEDIATO, LA PASCALE PERDE LE STAFFE E PONE FINE AL PELLEGRINAGGIO, BERLUSCONI SI SCHIERA CON LEI E MANDA TUTTI A CASA
E’ un bunker, Palazzo Grazioli. Assediato.
Urla, liti, rapporti che si sfasciano in lunghe notti di trattative e pallottolieri. Ed è facile perdere le staffe.
Nelle ultime ore è accaduto a Berlusconie a Verdini, ad Alfano e Bondi.
E nella notte di mercoledì, quella della sconfitta al Senato, è accaduto anche a Francesca Pascale. È toccato a lei, la fidanzata del Presidente, perdere la pazienza.
La residenza del Cavaliere è un porto di mare. Il partito è in balia di una guerra intestina senza fine. Riunioni, mille riunioni e un ritmo frenetico che mette a dura prova la resistenza del leader del Pdl. Verdini e Bondi — i falchi più fidati — sono al fianco di Berlusconi e ragionano con lui del caos.
In un ristorante romano la pattuglia dei falchi moderati — quelli guidati da Raffaele Fitto — vuole unirsi al summit di Grazioli. Telefona Mara Carfagna a nome del gruppo. E tutti, da Renato Brunetta a Mariastella Gelmini, raggiungono in pochi minuti la residenza romana dell’ex premier.
È a quel punto che la fidanzata del Cavaliere, riferiscono diverse fonti presenti all’incontro, si innervosisce. Parecchio.
Fino a poco prima è in una pizzeria, a due passi da Via del Plebiscito. Accanto a lei c’è l’onnipresente Maria Rosaria Rossi, che sostiene le ragioni della compagna di Berlusconi.
Torna a “casa” e sbotta: non gradisce il continuo assedio a Silvio. Anzi, si rivolge ai presenti con la classica frase: «Questa è anche casa mia».
Fa insomma presente con toni sbrigativi che a Palazzo Grazioli vive pure lei. Li invita ad andarsene. Apriti cielo. Tutti restano allibiti. Non credono alle proprie orecchie. «Mai dicono diversi testimoni — era accaduta una cosa del genere».
Verdini interviene a nome di tutti. Lo fa in modo piuttosto deciso.
Chi ha assistito alla scena, non nasconde la tensione che ha immediatamente avvolto il salone. A farne le spese anche le tre “mediatrici” Nunzia De Girolamo, Barbara Saltamartini e Jole Santelli.
Il faccia a faccia fra Verdini e Pascale continua per parecchi minuti.
Il nervosismo sale, il volume della voce pure. Gli altri tacciono, sorpresi e imbarazzati. Solo dopo un po’ i due si chiariscono.
Il Cavaliere, però, non apprezza. Sorprende tutti e prende le difese della sua fidanzata e poi ricorda le priorità di una situazione politica drammatica.
Ma il risultato è che invita tutti ad andarsene.
Il giorno dopo tutti ne parlano.
Nel Transatlantico di Montecitorio, il passaparola diventa irrefrenabile. Verdini cerca di porre un freno ai racconti e nega qualsiasi litigio.
Eppure le testimonianze sono tutte convergenti e inequivocabili.
E ieri sera tutti si sono ritrovati di nuovo a Palazzo Grazioli.
Tommaso Ciriaco
(da “La Repubblica“)
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