Ottobre 17th, 2013 Riccardo Fucile
LA MINIMANOVRA PER I DIPENDENTI….MA ARRIVA LA SFORBICIATA SULLE SPESE DEDUCIBILI
Una pizza, ma senza birra. Una mancia. Un’elemosina. 
La grande operazione di rilancio dell’economia, attraverso uno stimolo alla domanda e ai consumi, si è incagliata nel Consiglio dei ministri di martedì notte che ha varato il mini-cuneo fiscale. E ha fatto flop.
Secondo i calcoli della Cgia di Mestre, confermati in gran parte anche da Palazzo Chigi, il beneficio netto in busta-paga nel 2014 andrà da un minimo di 3 euro ad un massimo di 14 euro al mese. A ben guardare solo i più fortunati potranno permettersi una pizza e gli altri dovranno accontentarsi di poco più di un caffè.
E’ questa la sintesi della manovra sul cuneo fiscale che mette in campo solo 1,5 miliardi per aumentare nel 2014 le detrazioni Irpef a favore di 15,9 milioni di lavoratori dipendenti con redditi fino a 55 mila euro lordi annui.
Cifre molto più basse di quanto ipotizzato alla vigilia del Consiglio dei ministri quando il governo aveva lasciato trapelare l’imminenza di un intervento un po’ più consistente, pari a circa 2,5 miliardi. Intervento peraltro già contestato e ritenuto insufficiente dai sindacati nei giorni scorsi. Chiedevano almeno il doppio per il bonus destinato ai dipendenti ed ora, alla luce, dei primi calcoli minacciano lo sciopero.
Perplessa anche la Confindustria che, fino all’ultimo momento, aveva chiesto di mettere sul tavolo almeno 10 miliardi.
Bordate difficili da digerire tanto che qualche ripensamento sta emergendo anche tra i ranghi del governo: «Certamente si poteva fare di più e certamente si potrà migliorare in Parlamento, siamo aperti a contributi», ha ammesso ieri sera il ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni in un’intervista al Tg1.
Fonti di Palazzo Chigi, interpellate dopo l’arrivo di Letta a Washington, aggiungono: «Il fatto che le critiche vengano da Confindustria e dai sindacati dimostra che la manovra è equilibrata. Comunque in Parlamento si potrà migliorare ».
Ma per ora il risultato è assai modesto. I calcoli dell’ufficio studi veneto non lasciano scampo: ci sarà molto poco in bustapaga anche per i redditi più bassi. Se si prendono i 2 milioni 600 mila lavoratori che stanno alla base della piramide, con un reddito lordo che va dai 10 mila ai 15 mila euro, emerge che il beneficio mensile si limiterà a 9 euro.
Su base annua chi guadagna 10 mila euro potrà contare su 50 euro, circa 4 euro al mese.
La situazione migliora solo leggermente nella fascia che sta intorno ai 15 mila euro lordi all’anno (ci si trovano 3 milioni e 600 mila lavoratori): nell’arco dei dodici mesi il beneficio netto – il bonus più alto dell’intera operazione – sarà di 172 euro, che mensilmente diventano 14 euro e che al giorno fanno 46 centesimi.
Un po’ poco per ridare fiato al potere d’acquisto
Salendo nella scala dei redditi dei lavoratori dipendenti i vantaggi, già esigui, si riducono drasticamente.
Ad esempio la fascia successiva, quella che sta intorno ai 20 mila euro di reddito lordo, avrà in busta-paga il prossimo anno 152 euro: una beffa anche per questi 3 milioni e 800 mila lavoratori che ogni mese avranno a disposizione solo 12 euro in più.
Il dato elaborato dalla Cgia di Mestre non si allontana molto dalla simulazione diffusa ieri da Palazzo Chi secondo la quale tra i 15 e i 20 mila euro ci sarà un sollievo fiscale di 152 euro.
Più si sale e più ci si avvicina a microvantaggi ridicoli: una maglietta al mercatino, un panino ben farcito, un cappuccino con brioche.
Ad esempio per i 3 milioni di lavoratori, operai e impiegati che stanno tra i 26 mila e i 35 mila euro, il bonus mensile sarà di 8 euro.
Quasi una presa in giro ancora più in alto: tra i 35 mila e i 40 mila, dove ci sono 683 mila lavoratori, in busta- paga ci saranno 6 euro in più al mese.
Per i 704 mila che guadagnano tra i 40 mila e i 50 mila, la beffa di 3 euro mensili. Almeno a quota 55 mila non si prende nulla, perchè a questo livello non si ha più diritto a nessuna detrazione
Ma non è finita. Il rischio è che questi magri guadagni vengano vanificati dagli altri aumenti o interventi della manovra: gli statali, ad esempio, se la dovranno vedere la proroga del blocco della contrattazione e il taglio degli straordinari.
La sanità ha scampato il pericolo, ma gli enti locali e le Regioni subiranno tagli che avranno un riflesso sulle tasche dei cittadini.
Senza contare che sulla manovra pende la spada di Damocle del taglio delle agevolazioni fiscali al 19 per cento: già è stato operato sulle polizze vita e, se si toccheranno mutui per la casa e spese sanitarie, il bilancio della manovra sarà decisamente con il segno meno per i contribuenti che hanno un lavoro dipendente
E non a caso ieri Federconsumatori e Adusbef hanno già tentato di tracciare un primo bilancio del dare-avere dell’intera manovra: a fronte della riduzione del cuneo fiscale, le famiglie dovranno fare i conti con la nuova Trise, con il blocco della contrattazione nel pubblico impiego, con l’aumento dell’imposta di bollo e con l’Iva.
Una stangata.
Roberto Petrini
(da “La Repubblica“)
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Ottobre 17th, 2013 Riccardo Fucile
NON È VERO CHE LA LEGGE DI STABILITà€ È SENZA TAGLI E SENZA NUOVE TASSE: IL CONTO ARRIVA A STATALI, PENSIONATI, RISPARMIATORI E PROPRIETARI DI IMMOBILI (PRIMA CASA INCLUSA)
Se avete una pensione superiore a 3 mila euro, avete investito i risparmi di una vita per comprare un appartamento che affittate nel centro di una grande città , sul conto titoli c’è qualche euro, e magari vostro figlio è un dipendente pubblico, allora per voi non vale lo slogan con cui Enrico Letta ha presentato la legge di Stabilità 2014: “Niente tasse e niente tagli”.
Vediamo chi sarà a pagare il conto della manovra che per il 2014 vale 11,6 miliardi di euro.
CUNEO E TASSE
D’accordo, ci sarà l’intervento sul cuneo fiscale, per i lavoratori nel 2014 vale 1,5 miliardi di euro: sono esclusi dalla riduzione delle tasse in busta paga quelli con un reddito sopra ai 55 mila euro, per gli altri il beneficio si dovrebbe aggirare tra i 100 e i 185 euro all’anno. Meglio di niente.
Basta poco a mangiare la mancia fiscale: tra gli interventi di copertura c’è una riduzione delle detrazioni che vale 500 milioni di euro.
Finora si poteva detrarre dall’Irpef l’imposta sul reddito delle persone fisiche, il 19 per cento di varie spese, come quelle mediche (visite, medicinali, interventi), le rette universitarie e gli interessi dei mutui sulla prima casa.
Lo sconto fiscale scenderà , già per il 2013, dal 19 al 18, e poi andrà al 17.
Niente di drammatico, ma si somma a una serie di altri balzelli molto poco progressivi (cioè che colpiscono ugualmente redditi bassi e redditi alti): la patrimoniale sul conto titoli passa dallo 0,15 per cento allo 0,2.
E compare una bizzarra imposta di bollo da 16 euro per le comunicazioni trasmesse on line alla Pubblica amministrazione.
CARA CASA
Avete esultato per l’abolizione dell’Imu sulla prima casa? Attenzione: in teoria quella per il 2013 non si pagherà (anche se ci sono dubbi sulle coperture per la prima rata da 2 miliardi ed è misteriosa quella per la seconda da altri 2,4).
Dal 2014 cambia l’approccio: non una patrimoniale sull’immobile, come l’Imu, ma una imposta legata ai servizi erogati dal Comune.
La Trise, scomposta in due parti: Tari (che poi diventerà Tarip) è legata ai rifiuti prodotti, la Tasi ai servizi indivisibili, come strade e illuminazione stradale, e dovrebbe avere come aliquota base l’1 per mille.
Non è chiaro, però, quale sarà il conto finale, i Comuni possono decidere di spalmare parte del-l’onere delle prime case sulle seconde.
Ma le simulazioni del Sole 24 Ore sono interessanti: prendendo un appartamento da 100 metri quadri in una zona residenziale. Se è un’abitazione principale, nel 2012 il proprietario pagava nel 2012 737 euro tra Tares e Imu, nel 2013 grazie all’azzeramento dell’Imu il fisco chiederà 390 euro e nel 2014 535.
Se per sventura avete una casa affittata, invece, il conto del 2014 sarà di 2.388 euro contro i 2.141 del 2012 e i 2.070 del 2013.
Insomma, il prossimo anno pagherete 300 euro in più di quest’anno (se la casa è sfitta quasi 200).
PENSIONI
Sulle pensioni il governo Letta si esercita in una sorta di paso doble.
Da un lato stanzia alcune milioni di euro per risarcire i cosiddetti pensionati “d’oro” — sopra i 90 mila euro — dopo che la Corte costituzionale ha bocciato il contributo di solidarietà inventato dagli esecutivi Berlusconi e Monti.
Dall’altro istituisce una nuova tassazione ad hoc per le pensioni alte: il prelievo sarà del 5 per cento tra i 100 e i 150 mila euro, del 10 fino a 200 mila e del 15 oltre questa soglia.
Perchè la Consulta non dovrebbe bocciarlo ancora? Secondo il sottosegretario Carlo Dell’Aringa: “Stavolta facciamo apparire il contributo non tanto in una natura tributaria, che ci era stata criticata, quanto nella sua natura di contributo di solidarietà ”.
Scettico il montiano Giuliano Cazzola: “È uguale alla legge che hanno già bocciato”. Intanto i soldi si incassano: poi si vede.
Viene anche prorogato per i prossimi tre anni il blocco dell’adeguamento all’inflazione per le pensioni oltre i 3.000 euro al mese, mentre dai 1.500 euro lordi in su l’indicizzazione viene confermata parziale.
Va anche citato un altro dei tagli proposti da Enrico Letta: basta con l’assegno di accompagnamento per quei disabili che hanno oltre 65 anni e dichiarano un reddito di 40 mila euro lordi (70 mila se coniugati).
Questo tipo di interventi è quasi una tradizione nelle ultime Finanziarie: dal 2010 i governi provano in vari modi a tagliare le provvidenze per la disabilità , anche se poi in genere ci ripensano.
STATALI
Anche nel 2014 i contratti pubblici saranno bloccati e pure senza la cosiddetta indennità di vacanza. È il quinto anno consecutivo che succede.
“L’avevamo già deciso ad agosto”, ha sostenuto il ministro competente Gianpiero D’Alia. È tanto vero che quei soldi erano già a bilancio per l’anno prossimo e non figurano tra le coperture del decreto.
Che significa per uno statale non vedersi rinnovato il contratto dal biennio 2008-2009? Questi i conti del sindacato Usb, che anche su questo tema ha indotto uno sciopero generale per domani: uno stipendio che nel 2009 era di 23.907 euro lordi, in cinque anni — calcolando un’inflazione al 2,5 per cento — ha lasciato per strada 9.259 euro in tutto e oltre tremila euro di stipendio annuo lordo.
Soldi che non torneranno mai più nelle tasche dei lavoratori: quel taglio si aggraverà con gli anni pesando sui successivi scatti di stipendio e sui contributi pensionistici versati.
Lo si capisce anche dai numeri ufficiali: a stare alle tabelle (e previsioni) Istat, l’effetto di cinque anni di stipendio bloccato è una perdita cumulata di potere d’acquisto fino a 9 punti percentuali.
Basti guardare ai risparmi per lo Stato cumulati nel quinquennio: secondo Aran ammontano a 11,5 miliardi.
Questo, peraltro, in un lasso di tempo in cui il personale della P.A. continua a diminuire: per effetto del blocco del turn over — parzialmente prorogato anche dalla manovra del governo Letta — si può calcolare che tra il 2007 e il 2017 sarà calato di 460mila unità circa (siamo già ora a trecentomila).
A questo si aggiunge il taglio del 10% sugli straordinari e la rateizzazione del tfr per chi va in pensione: mancano i licenziamenti di massa per essere in piena “cura greca”.
Stefano Feltri e Marco Palombi
(da “il Fatto Quotidiano”)
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