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TRENTINO, L’AMAZZONE SCONFITTA: MA PER LA BIANCOFIORE “MANCAVA IL NOME SILVIO”

Ottobre 29th, 2013 Riccardo Fucile

PRIMA DEL VOTO AVEVA SCOMODATO DE GASPERI: QUESTA TERRA E’ UN LABORATORIO… FORZA ITALIA PIU’ LEGA HANNO PRESO INSIEME IL 2,5%

La sintesi, certe volte, è tutto. «Sono nel bel mezzo del casino. Sentiamoci dopo, per favore»
Dopo, però, la situazione addirittura peggiorerà : per il Pdl – precipitato giù nel crepaccio dei dati finali – e soprattutto per lei, Michaela Biancofiore da Bolzano, 44 anni, capelli biondi e lisci, coordinatrice regionale del Trentino Alto Adige e tra le azzurre deputate amazzoni certamente quella preferita dal Cavaliere, che un giorno, ad Arcore, in vena di romanticherie, le regalò persino un magnifico anello di brillanti (vista la tempra di Francesca Pascale, nuova regina di Palazzo Grazioli, prudentemente portato all’anulare della mano destra).
Ad Andalo, venerdì sera, le ultime parole famose della Biancofiore sono state queste: «Il Trentino Alto Adige è un laboratorio che ha dato vita ad Alcide De Gasperi». Scomodato lo statista democristiano, per giustificare quelle bandiere che nel gelo sventolavano con su scritto: «Forza Trentino».
Esperimento, fallito, di tramutare Forza Italia in simbolo territoriale.
Quello del vessillo, comunque, non è stato l’unico esperimento di questa tornata elettorale abbastanza memorabile.
Perchè a un certo punto, nella scorsa primavera, la Biancofiore volle togliersi il capriccetto (politico) di nominare come commissario provinciale del Pdl altoatesino un ragazzo. Proprio così.
Un ragazzo di 19 anni: Alessandro Bertoldi detto Berto, all’epoca ancora indaffarato con gli esami di maturità  (frequentava l’istituto «Marie Curie» di Pergine Valsugana) ma anche già  sfrontato e determinato a imitare il suo idolo – «Voglio essere il nuovo Silvio», da un’intervista a Marianna Aprile del settimanale Oggi ) – quindi già  con la giacca blu di una taglia più grande esattamente come le porta Berlusconi e pure lui, in certe foto, con il sorriso un po’ fisso, senza cerone ma stranamente abbronzato.
Il ragazzo si esibì subito in un paio di uscite ragguardevoli. «I tedeschi sono dei pidocchi ripuliti». «Sono da sempre impegnato per la causa della liberazione di Cuba dal castrismo-comunista» (quest’ultima consegnata agli elettori del Pdl sulla sua pagina Facebook e sul suo strepitoso sito: «Aleberto.wordpress.com»).
La «tata» (copyright Gian Antonio Stella) si accorse allora che da sola non sarebbe riuscita a controllare tanto facilmente il baby commissario: meglio perciò affidarlo alle cure di sua sorella, Antonella Biancofiore, preside delle «Marcelline» e anche improvvisamente tutor, qualcosa di simile, scrisse il quotidiano Aldo Adige , «alla signorina Rottenmeier di Heidi»
Intanto, la campagna elettorale del Pdl andava avanti. Con altri incidenti
Il primo: Michaela Biancofiore – appena arrivata come sottosegretario al ministero delle Pari Opportunità  – si esibisce in un paio di dichiarazioni che il suo pupillo Berto avrà  pensato: perchè io con il tutor, e lei no
«I gay sono una casta». «I gay si ghettizzano da soli».
Letta la punisce spostandola al ministero della Pubblica amministrazione, ma l’amazzone rilancia: «Vabbè: comunque anche papa Francesco la pensa come me».
Seguono baruffe varie. Che, però, non distraggono troppo la Biancofiore. Anzi: con la tenacia che le va riconosciuta, batte valli e rifugi, entri in una baita e puoi trovarla che cerca di convincere a votare per il Pdl due pastori.
Il guaio è che il Pdl è nelle condizioni che sappiamo, e lì, poi, ha pure cambiato nome.
«In più – la Biancofiore è di parola ed ecco che a sera arriva qualche sua riflessione sulla sconfitta – dobbiamo tener conto di due cose: il logo Berlusconi non si è visto e sappiamo che lui, da solo, vale dieci punti. Poi c’è da dire che molti elettori mi confessavano di non avere più tanta fiducia in un partito, il Pdl, il cui segretario, cioè Alfano, ha accettato che la sottoscritta fosse destituita da sottosegretario in quanto considerata troppo berlusconiana» (perchè, nel frattempo, è successo pure questo: quando ministri e sottosegretari del Pdl, qualche settimana fa, si sono dimessi dal governo, Letta ha respinto tutte le lettere tranne una: quella, appunto, della Biancofiore).
Meglio chiudere con una foto. L’ha postata, pochi giorni fa, sul suo profilo Facebook
C’è lei, la Biancofiore, con un cerbiatto bianco.
«Questa sono io. Un politico diverso. Che ama le persone, gli animali, la vita vera».

Fabrizio Roncon
(da “il Corriere della Sera”)

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DAL CELESTE FORMIGONI AL GRIGIO MARONI: STESSO SPRECO

Ottobre 29th, 2013 Riccardo Fucile

L’EX GOVERNATORE SI È RICICLATO E NESSUNO RICORDA PIÙ I SUOI GUAI… IL SUCCESSORE LEGHISTA CONCEDE STIPENDI D’ORO A 54 DIRIGENTI E BLINDA I VECCHI DIRETTORI TRA LA NOIA GENERALE

Non è più la Regione di una volta.
Non c’è più Roberto Formigoni con le sue giacche colorate.
Non c’è più Nicole Minetti con le sue cene eleganti.
Non c’è più il Trota con il Gatorade a spese nostre.
Spariti anche Filippo Penati e gran parte degli indagati (non tutti) dell’era formigoniana. Resta Roberto Maroni, presidente della Regione Lombardia nell’era della politica che torna noiosa.
Lui, Formigoni, il grande sconfitto, dopo le dimissioni date a Milano si è riciclato a Roma. Niente più “vacanze di gruppo”, niente cravatte fucsia.
Abiti sobri e aria da statista, in attesa dei processi per i milioni in benefit ottenuti dai faccendieri della sanità  lombarda.
Si atteggia a protagonista della politica, ala colombe, pronto a rifondare una specie di Dc o almeno la corrente ciellina del centrodestra.
Il suo successore Maroni, intanto, cerca di governare la Regione più ricca d’Italia e quasi quasi è soddisfatto di essere un po’ uscito di scena: con Formigoni e il Trota la politica lombarda diventava quasi ogni giorno cronaca nazionale, con Maroni resta per lo più confinata nelle pagine locali dei quotidiani.
Segno che finora grandi scandali non lo hanno toccato.
Quanto alla politica, Umberto Bossi ormai lo tratta da traditore e minaccia di candidarsi alla segreteria della Lega “per sistemare le cose”. Maroni risponde sornione: “Sono contento, chiunque può partecipare. Ma questa volta non ci saranno giochini, il segretario sarà  eletto dalla base. Io vorrei un giovane”.
Intanto, però, gli arriva il primo colpo: si chiama Lombardia verde.
È una rivista mensile che dovrebbe informare i cittadini su campi e culture, stalle e concimi: organo dell’assessorato regionale all’Agricoltura.
Peccato che sia diventata un foglio di propaganda leghista e di celebrazione del presidente Maroni.
Il verde, del resto, è il colore del Carroccio; così colpisce vedere la copertina dell’ultimo numero: il faccione sorridente di Bobo con cravatta verde (come la testata) e la scritta: “Dal programma ai fatti”.
All’interno, intervista “a tu per tu con il presidente della Regione Lombardia”.
In 48 pagine, Maroni compare in foto ben nove volte. Otto volte l’assessore regionale all’Agricoltura, Gianni Fava, anche lui leghista.
Dopo il pezzo forte, c’è un servizio dedicato alla “Macroregione a difesa della nostra produzione”, con foto di Maroni (ancora) attorniato dai colleghi governatori Luca Zaia (Veneto) e Roberto Cota (Piemonte).
Neanche fossero le pagine della Padania.
Seguono articoli che inneggiano alla Giunta verde e alla tradizione contadina lombarda. Più innovativo un servizio sull’allevamento dei visoni: attività  “semplice, ecocompatibile e remunerativa” (ma questo è scritto in una pubblicità ).
Il tutto per la modica cifra di 1 milione di euro: è quanto sono costati due anni di Lombardiaverde, 500 mila euro l’anno di fondi regionali.
La cifra compare in una delibera regionale che stanzia i soldini per pagare la rivista.
Le cose ora dovrebbero cambiare: non sappiamo se ci saranno meno foto di Maroni e meno propaganda della Lega, ma ci saranno meno soldi.
La rivista diventerà  bimestrale e lo stanziamento sarà  di 280 mila euro per sei numeri l’anno: ma solo a partire dalla metà  del 2014.
Protesta l’opposizione di centrosinistra: “L’amministrazione leghista mostra di non aver capito bene i confini tra l’informazione istituzionale e la propaganda”, ha dichiarato Fabio Pizzul del Pd.
“Siamo al marketing padano pagato dai contribuenti. E neanche tanto efficace”.
Più efficace una delibera di giunta varata in silenzio nel luglio scorso: premia 54 manager regionali concedendo loro compensi d’oro. In tempi di crisi, gli stipendi dei dipendenti pubblici sono bloccati dal 2009.
Ma per i dirigenti del Pirellone cari a Maroni si fa un’eccezione. La bella cifra di 20 milioni di euro è messa sul piatto per gli emolumenti dei superdirigenti lombardi.
Più che nell’era Formigoni, quando aveva toccato il tetto di 19 milioni.
In tutto, i direttori e dirigenti in servizio sono 218 (erano 213 negli ultimi mesi del Celeste).
Ora un quarto di essi sarà  premiato con un aumento.
Il più fortunato è Andrea Gibelli, ex assessore leghista, che è diventato segretario generale della Regione e braccio destro di Maroni: prende 223 mila euro l’anno.
Patrizia Carrarini, invece, è la leghista che ha ideato la campagna elettorale di Bobo, con lo slogan “La Lombardia in testa”: oggi è direttore della comunicazione regionale e incassa 144 mila euro l’anno.
Premiati anche gli uomini di Formigoni rimasti al Pirellone. Michele Camisasca, per esempio, nipote di Massimo Camisasca vescovo ciellino e storiografo ufficiale del movimento, è vicesegretario generale vicario, con stipendio di 155 mila euro (12 mila in più dell’anno scorso).
Luca Merlino è il direttore dell’assessorato alla Sanità  che firmava i provvedimenti d’oro per il San Raffaele e le cliniche Maugeri: anche lui premiato con un bell’aumento di 5 mila euro.
Maroni dunque garantisce la continuità  a Milano del-l’apparato di Formigoni che ora, dismesse le cravatte più agghiaccianti, è impegnato a Roma a “rinnovare” la politica nazionale.

Gianni Barbacetto

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DECADENZA BERLUSCONI, DOMANI MATTINA IL VOTO PALESE PASSERA’ 7 A 6, LA LANZILLOTTA SI SCHIERA CON LE INDICAZIONI DI SCELTA CIVICA

Ottobre 29th, 2013 Riccardo Fucile

DOPO UN POMERIGGIO DI FEROCI POLEMICHE E DI PRETESTI, DOMANI SI VA AVANTI AD OLTRANZA FINO AL VOTO

La Giunta per il regolamento del Senato è tornata a riunirsi oggi   per decidere con quali modalità  dovrà  tenersi in Aula il voto sulla decadenza di Silvio Berlusconi. Ovvero, se confermare la prassi del voto segreto o modificare il regolamento introducendo il voto palese, ipotesi questa caldeggiata da Movimento 5 Stelle e Partito democratico.
Poco dopo l’apertura, i lavori sono stati sospesi su richiesta del Pdl in quanto le motivazioni della sentenza di interdizione diffuse oggi dalla Corte d’appello di Milano conterrebero delle novità . “La corte d’Appello di Milano ha appena detto che l’incandidabilità  è una sanzione amministrativa, e pertanto non è retroattiva. Quindi dà  ragione a noi e non c’è motivo di andare avanti”, ha detto il senatore del Pdl Francesco Nitto Palma.
L’obiezione avanzata al partito del Cavaliere non è però stata accolta e la Giunta ha deciso di procedere, anche se i lavori sono stati subito nuovamente sospesi per dare la precedenza ai lavori dell’Aula.
“La corte di appello di Milano non ha ascritto la sanzione dell’incandidabilità  nel rango delle sanzioni amministrative ai sensi della legge 689 dell’81, bensì ha parlato semplicemente della procedura di incandidabilità , che segue un percorso autonomo rispetto alle sanzioni penali vere e proprie”, ha ricordato Danilo Leva, responsabile Giustizia del Pd.
“Dunque nulla di nuovo rispetto a quanto sostenuto da tutti coloro che ritengono applicabile la legge Severino al caso di specie. In buona sostanza la legge Severino è applicabile a Berlusconi, come già  avvenuto nel caso di altri 37 cittadini italiani. Sono tentativi patetici visto che tra l’altro hanno votato anche loro la legge Severino. Basta stravolgimenti ad personam”, ha concluso.
Giunta per il regolamento convocata a oltranza, finchè non arriverà  al voto sulle modalità  per decidere in aula sulla decadenza di Silvio Berlusconi.
Questa, secondo quanto riferiscono fonti del senato, la decisione del presidente Pietro Grasso comunicati ai membri della giunta.
Dopo l’arrivo (in ritardo) di Zeller, iniziano a delinearsi gli schieramenti in giunta e gli orientamenti di voto.
A parte Grasso, i componenti della giunta sono 13.
A favore del voto segreto sarebbero, al momento, in sei (3 del Pdl, 1 della Lega, 1 di Gal e Zeller).
Per il voto palese, invece, sono in sette: 3 del pd, 2 m5s, 1 di sel. A cui si aggiunge, secondo quanto trapela da ambienti della giunta, anche Linda Lanzillotta (Sc), che si sarebbe detta incline a questo orientamento. Va rilevato che Renzi si è espresso per il voto palese proprio oggi e, la parte di Scelta civica cui la Lanzillotta fa riferimento (quella non solo filo-montiana, ma anche pro-alleanza con il Pd di Renzi) ha dato indicazione per il voto palese.

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NON ERANO 14 EURO MA 10: IL CALCOLO DELL’ISTAT SU QUANTO ARRIVERA’ IN BUSTA PAGA CON IL CUNEO FISCALE

Ottobre 29th, 2013 Riccardo Fucile

IN 5 ANNI RADDOPPIATI I POVERI, OGGI SONO QUASI 5 MILIONI…. IN TRE ANNI TAGLIO DI 5,8 MILIARDI SUGLI STIPENDI DEI DIPENDENTI PUBBLICI

Per il governo è un uno-due micidiale.
Il taglio del costo del lavoro, misura cardine della legge di stabilità  ora al vaglio del Parlamento potrebbe valere per i lavoratori soltanto 10 euro al mese.
La doccia fredda arriva dalle audizioni in Senato di Istat e Banca d’Italia, dopo che nei giorni scorsi il premier aveva contestato la stima inizialmente circolata di un beneficio di circa 14 euro parlando di “cifra inventata”.
E paradossalmente le ultime proiezioni indicano scenari ancora meno incoraggianti Per l’Istituto Nazionale di Statistica “Il taglio medio del cuneo fiscale, grazie all’aumento delle detrazioni irpef sui redditi da lavoro dipendente, sarà  sulle buste paga meno di 10 euro al mese”.
Cifre confermate, e peggiorate anche dalla relazione della Banca d’Italia, secondo cui il beneficio sarebbe anche inferiore. : “Per un lavoratore senza familiari a carico, il risparmio massimo di imposta e’ di 182 euro l’anno in corrispondenza di un reddito annuo di circa 15.000 euro. Nel caso di una retribuzione lorda pari a quella media di contabilità  nazionale (circa 29.000 euro), nel 2014 si determina un risparmio di poco meno di 100 euro”.
Si tratta, quindi, di meno di dieci euro al mese.
Brutte notizie che vanno ad aggiungersi al quadro drammatico dipinto dall’Istat. Secondo l’Istituto di Statistica, infatti, dal 2007 al 2012 il numero degli italiani in povertà  assoluta è raddoppiato, passando da 2,4 a 4,8 milioni.
Lo ha affermato il presidente dell’Istat, Antonio Golini, aggiungendo che quasi la metà  (2,347 milioni di persone) risiede al sud (erano 1,828 mln nel 2011).
Di questi, oltre un milione (1,058 mln) sono minori (erano 723 mila nel 2011) con un’incidenza in salita in un anno dal 7 al 10,3%.
“La recessione – ha detto – ha determinato gravi conseguenze sulla diffusione e sull’intensità  del disagio economico del nostro paese”.
Poco prima in compenso una possibile buona notizia era arrivata dalla Corte dei Conti, che ha messo in evidenza un possibile “tesoretto” a disposizione del governo derivato dalla sottostima della spesa per interessi dovuta all’andamento dei tassi. 1,2 miliardi nel 2014 in crescita fino al 2016 (3,3 miliardi).
Dal presidente della Corte Raffaele Squitieri è arrivato però anche un allarme. Secondo Squitieri, il taglio delle tasse sul lavoro ha un perimetro “limitato” e comporta “problemi distributivi e di equità ” poichè esclude dal beneficio 25 milioni di persone.
“Oltre ai lavoratori autonomi – spiega Squitieri – sono esclusi dal beneficio gli incapienti e i pensionati, ossia circa 25 milioni di soggetti che comprendono evidentemente anche le categorie in maggiori difficoltà  economiche. Ciò comporta evidenti problemi distributivi e di equità “.

(da “Huffington post”)

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DECADENZA BERLUSCONI, IL SENATORE ZELLER PERDE L’AEREO, ORA IN GIUNTA E’ THRILLING

Ottobre 29th, 2013 Riccardo Fucile

“MI HANNO CANCELLATO IL VOLO”…SE NON ARRIVASSE IN TEMPO RISCHIO PARITA’….ZELLER E’ ARRIVATO ALLE 16, ANCORA IN TEMPO

È molto probabile che il senatore Karl Zeller (Svp) non sarà  presente ai lavori della Giunta per il Regolamento che dovrebbe riunirsi verso le 15 per decidere se sulla decadenza di Berlusconi si voterà  o meno con scrutinio palese
«Guardi ora non posso rispondere perchè sto correndo alla stazione di Bologna per prendere almeno il treno delle 13 – risponde al telefono Zeller all’Ansa – se ce la faccio sarò a Roma per le 15 e 30. Altrimenti, molto dopo. Non so che dire, mi hanno cancellato il volo».
LE CONSEGUENZE
Se Karl Zeller non dovesse arrivare a Roma in tempo per il voto, lo scenario potrebbe cambiare rispetto alle previsioni. Se il presidente del Senato Piero Grasso non dovesse votare, così come aveva ribadito nei giorni scorsi, si potrebbe prospettare alla fine anche un caso di parità .
In tutto i componenti della Giunta sono 14, compreso il presidente.
Se Zeller non arriva diventano 13. Togliendo il voto di Grasso si arriva a 12.
In questo caso quelli sicuramente a favore del voto segreto potrebbero arrivare a 5 (3 Pdl, 1 della Lega e 1 di Gal).
Mentre i fautori della trasparenza sarebbero sicuramente 6 (3 Pd, 2 M5S, 1 Sel).
Linda Lanzillotta (SC) sarebbe a questo punto più che mai decisiva.
Se propendera’ per il voto palese saranno 5 a 7 e la proposta prevarrà .
Ma se si troveranno 6 a 6, tutto dipenderà  da cosa Grasso metterà  ai voti visto che la parità  assoluta significa rifiuto (reiezione) della proposta.
Se si chiederà  di votare per il voto segreto e si dovesse arrivare al 6 a 6, questo sarebbe respinto e passerebbe la tesi dello scrutinio palese.
A meno che Grasso non decida di votare. Precedenti di presidenti che votano in Giunta per il Regolamento non ce ne sono.
Ci fu solo il caso di Fausto Bertinotti alla Camera, che fu determinante nell’Ufficio di presidenza.
E l’Ufficio di presidenza è un organismo per molti versi paragonabile alla Giunta per il Regolamento.
Aggiornamento delle 16.14
La giunta per il Regolamento del Senato, al contrario di quanto affermato da Francesco Nitto Palma, sta proseguendo il suo lavoro.
Ne danno notizia componenti Pd della giunta.
E’ vero che il Pdl ha chiesto di sospendere i lavori per via delle motivazioni della sentenza di Milano sulla pena accessoria dell’interdizione che definisce la decadenza una sanzione amministrativa, ma la giunta è ancora riunita per esaminare il caso e decidere il da farsi.
Nel frattempo è arrivato al Senato Karl Zeller in ritardo per colpa dello sciopero degli aerei.

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SPESE PAZZE LIGURIA, SI DIMETTE IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO REGIONALE MONTELEONE

Ottobre 29th, 2013 Riccardo Fucile

IL POLITICO UDC E’ INDAGATO PER PECULATO: AVREBBE PRELEVATO 189.000 IN CONTANTI DALLA CASSA DEL GRUPPO, GIUSTIFICANDONE SOLO LA META’

«Sono stato pugnalato alle spalle»: travolto dall’inchiesta sulle “spese pazze” , il presidente del Consiglio Regionale, Rosario Monteleone (Udc), ha annunciato poco prima delle 12 l’intenzione di dimettersi. «Sono consapevole di non avere fatto nulla di male, l’inchiesta è stata enfatizzata», ha detto seduto in aula, confermando di essere pronto a consegnare la lettera di dimissioni «nella mani del vicepresidente Boffa.
Monteleone, accusato di avere presentato richieste di rimborsi senza i relativi giustificativi, ha aggiunto di essere «amareggiato e deluso» perchè, appunto, «qualcuno mi ha pugnalato alle spalle immaginando di fare una furbata», ma «il tempo è signore».
Monteleone, protagonista insieme con il governatore Claudio Burlando dell’alleanza politica che sostiene in Regione Liguria la maggioranza di centrosinistra, era presidente del consiglio Regionale dal 2010.
Monteleone è indagato per peculato dalla procura di Genova nell’ambito dell’inchiesta sulle “spese pazze” dei gruppi regionali: secondo quanto riportato dal Secolo XIX, l’esponente Udc avrebbe prelevato 189mila euro in contanti dai depositi del suo gruppo consiliare dell’Unione di centro, tra 2010 e 2011, giustificandone soltanto la metà .
Nella tarda mattinata del 28 ottobre, lo stesso governatore della Liguria aveva incontrato Monteleone per chiedergli di fare un passo indietro.
Nominato Cavaliere della Repubblica da Giorgio Napolitano nel 2011, Monteleone figurava tra i grandi elettori che hanno votato il secondo mandato dell’attuale Capo dello Stato.
La scelta del Consiglio regionale di mandare il suo presidente a Roma aveva suscitato non poche polemiche, legate ai suoi rapporti poco chiari con esponenti della ‘ndrangheta locale. L’inchiesta “spese pazze”, infatti, è solo l’ultima di una serie di vicende giudiziare che vedono coinvolto l’ormai ex presidente del Consiglio regionale ligure.
Il nome di Rosario Monteleone compare infatti in tre fascicoli, anche se non risulta mai indagato nè viene accertata alcuna sua responsabilità  penale.
Nelle carte dell’inchiesta Crimine (2010), secondo la ricostruzione dei magistrati, nel 2005 Monteleone figura come beneficiario dei voti delle ‘ndrine.
Nel fascicolo Maglio 3, si parla di contatti con il boss locale Mimmo Gangemi: i capiclan, riferendosi a lui come “lardo”, lo accusano di “non avere mantenuto le promesse”.
In un’intercettazione disposta nell’ambito dell’inchiesta Pandora, Monteleone chiede a Gino Mamone, un imprenditore in odor di mafia, un appoggio elettorale in favore di un ex assessore della giunta di Marta Vincenzi.

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BLITZ DI GRILLO IN SENATO: “SE PERDIAMO ME NE VADO”

Ottobre 29th, 2013 Riccardo Fucile

MALUMORE TRA GLI ELETTI: “È IL SOLITO SHOW, NON CI HA DATO RISPOSTE”

Il Trentino? Mah, lui è tutto contento. Dice che è un risultato straordinario: ‘Perfino la ‘ndrangheta ha avuto paura del Sudtiroler Volks Partei. E noi, in un posto dove mi chiamano Krillo, abbiamo preso un consigliere’”.
Sguardi perplessi, a palazzo Madama. Devono ancora riprendersi dallo shock dell’arrivo a sorpresa di Beppe Grillo.
E poi non contraddirlo mentre reagisce festeggiando al crollo elettorale in Trentino Alto Adige (5,7 per cento a Trento contro il 20,7 delle politiche; 2,5 per cento a Bolzano contro l’8,3 di febbraio).
Ma in questa giornata di “conforto”, come la chiama il leader, non c’è spazio per le lamentazioni.
Si rimettono in fila le cose. Si racconta qualche favola.
Si guarda avanti, “oltre”, come lo slogan del V-day del 1 dicembre.
La capogruppo e gli “allenamenti” interrotti sul Colle
Sono passate da poco le 15 quando bussano alla porta della capogruppo al Senato Paola Taverna. Lei è dentro, con il suo assistente, ad “allenarsi” sul discorso contro il Capo dello Stato, prossimo alla messa in stato d’accusa da parte dei Cinque Stelle.
“Esci, c’è qui Beppe”. “Ma che me state a pija…?”, risponde la verace capogruppo. Invece è già  lì, al secondo piano, a dare un’occhiata agli uffici parlamentari del Movimento.
Sta già  parlando a ruota libera. E messo il bollino sulla materia di studio della Taverna: “Ci ho parlato due volte con questo signore qua: ha quasi 90 anni ed è da 60 anni in politica, è una persona furba e molto scaltra. Il rapporto con me ormai è compromesso. L’impeachment non passerà  mai, ma è un atto dovuto”. Il premier Enrico Letta, più tardi, parlerà  di attacco “assurdo”, Grillo replica: “Se vuole, mi denunci”.
L’ascensore, la Finocchiaro e la statua di Mazzin
Ha deciso di venire a Roma solo ieri mattina. Una telefonata al capo della comunicazione Claudio Messora e stop: massimo riserbo, non vuole il caos.
È così che riesce a ritagliarsi una mezz’ora quasi senza assedio: prende l’ascensore, incontra Anna Finocchiaro.
Scherza: “Dobbiamo fare una legge per cancellare il Pd”. Lei sta al gioco: “Figuriamoci, non siamo riusciti noi a fare una legge per cancellare il M5S!”.
Passeggiata nel Transatlantico, carrellata sulle statue lungo il corridoio. C’è anche quella di Giuseppe Mazzini. Grillo lo compatisce: “Vede tutti i giorni Giovanardi, avrà  voglia di buttarsi giù”. Giro in Aula, poi sale al terzo piano per la riunione con i senatori.
Telefonate, monologhi, corse e gambe a penzoloni
La corsa per arrivare all’appuntamento tanto atteso è frenetica.
Fuggi fuggi dalle commissioni, riunioni annullate, fughe in auto: Maurizio Buccarella sta rientrando da Lecce, la notizia gli arriva quando è all’altezza di Cassino.
Accelera più che può, vuole arrivare in tempo per spiegargli cos’è quell’emendamento per l’abolizione del reato di clandestinità  che ha firmato (e fatto approvare).
Niente da fare. I colleghi lo anticipano, spiegano a Beppe che la prossima volta, anzichè scomunicarlo via blog, sarebbe meglio facesse una telefonata.
Lui — seduto su un banco dell’aula della commissione, colletto sbottonato e gambe a penzoloni — replica: “Ma sì, era una cosa tra amici..”. “Insomma”, rispondono in coro. Buccarella alla fine arriva, ma il tempo per parlare da solo con lui, Grillo non ce l’ha.
Ci riproverà  oggi, in una pausa della visita in programma alla Camera.
Ma in conferenza stampa, ieri, il leader ha già  chiarito che “la mia opinione personale è che il reato di immigrazione clandestina debba rimanere”.
Perchè “quando si fanno battaglie per i diritti di alcuni, si rischia di calpestare quelli degli altri”.
Illustra la piattaforma (pardon, “l’applicazione”) con cui gli attivisti d’ora in poi potranno partecipare alla formazione delle proposte di legge.
Ma su come finirà  la faccenda di quell’emendamento (approvato per acclamazione da tutti i senatori) non dice una parola.
Tanto che i senatori scuotono la testa: “È il solito show, non ha detto niente di più di quello che ci aspettavamo”.
La raccolta fondi per doppiare San Giovanni
Prima di andare in albergo a riposare, si concede ai giornalisti. Un “comizio stampa”, più che una conferenza. Un fiume in piena per quasi due ore.
Dice che qualche “defaillance” c’è stata, accusa i partiti che “ci hanno messo nell’angolo”.
Si prepara all’appuntamento del mese prossimo: 1 dicembre, Genova, terzo V-day. “La raccolta (fondi, ndr) sta andando bene — dice — tutto quello che è in più lo mettiamo per le europee. Dobbiamo fare il botto lì. La piazza è enorme, il doppio di San Giovanni in lunghezza. Non c’è nessun tipo di lamentela, però bisogna stare uniti, bisogna che ci attiviamo tutti”. Sarà  la prima prova di forza. Poi ci sono le elezioni. “Se perdiamo — confessa — io non ho più voglia di continuare. Vuol dire che non siamo adatti a questo Paese”.

Paolo Zanca

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LA MARCIA INDIETRO DI ALFANO. MA SILVIO NON SI FIDA PIÙ

Ottobre 29th, 2013 Riccardo Fucile

“ORA IN PIAZZA CONTRO LA DECADENZA”

«Ci riconosciamo nella leadership di Silvio Berlusconi». Ha tutto il sapore di un outing inatteso. E della retromarcia, rispetto allo strappo del 2 ottobre.
Il vicepremier Angelino Alfano si lancia in un attestato di fedeltà  al leader, lo fa nell’anticipazione dell’ultimo libro di Vespa: «I sottoscritti consiglieri nazionali si riconoscono nella leadership di Silvio Berlusconi, ovviamente a cominciare da me. Questo sarebbe il primo rigo di ogni documento che io dovessi sottoscrivere» afferma. Per poi smentire la raccolta di firme in sostegno dell’ala governativa: «Non è vero che circola un documento degli “innovatori” da far sottoscrivere per il prossimo consiglio nazionale».
E il ministro Maurizio Lupi a confermare: «Nessuno di noi ha mai messo in discussione la leadership del presidente Berlusconi, lui è votato ancora da milioni di italiani».
Un uno-due che per qualche ora getta nello sconforto gli alfaniani, da Cicchitto a Formigoni a Sacconi e tutti coloro che sono già  al lavoro per i gruppi autonomi. L’indiscrezione alimentata dagli avversari “lealisti” è che proprio la raccolta di firme non stia riscuotendo successo.
Cosa è successo dunque? I ministri Pdl sono compatti, si sono visti e sentiti a più riprese in giornata.
Alfano ha spiegato a tutti che il suo è stato un atto «di rispetto» nei confronti di Berlusconi, col quale dovrebbe rivedersi oggi o al più domani, al rientro del leader a Roma.
Occorreva fermare l’escalation che stava precipitando il partito verso la scissione.
Ha voluto solo chiarire che non è in atto una contrapposizione tra lui e il Cavaliere, la cui leadership è riconosciuta, che il nome di Forza Italia va bene.
E ancora, intende rilanciare il progetto primarie e far sapere che lui e gli “innovatori” non parteciperanno a operazioni neocentriste con Casini e altri. In soldoni, comunque, per ora non scatta la scissione.
Silvio Berlusconi osserva con distacco. Ha trascorso la giornata ad Arcore, consueto pranzo con i figli dopo la riunione coi vertici delle aziende e i direttori di giornali e tv. Il presunto «ritorno del figliol prodigo» raccontano che non lo abbia scaldato più di tanto.
«Resta lo sfregio del 2 ottobre, ormai non mi bastano più le parole, occorrono i fatti – sarebbe stato il commento con gli interlocutori, tra i quali alcuni falchi ospitati a cena – Attendo Angelino e i ministri alla prova del voto di decadenza ».
Aspetta le dimissioni un minuto dopo l’apertura di una crisi. Tutto il resto non conta. Di più, sta pianificando con Verdini e Santanchè una grande manifestazione di piazza per il giorno in cui il Senato voterà  la sua espulsione dal Parlamento.
Ma ieri è stato anche il giorno delle sortite delle figlie Marina e Barbara.
La primogenita intervenuta in mattinata per smentire ancora la sua discesa in campo. «Non ho mai avuto e non ho alcuna intenzione di impegnarmi in politica. Per la politica ho grande rispetto – afferma la presidente Fininvest – ma amo moltissimo il mio lavoro e le aziende nelle quali sono impegnata da ormai oltre vent’anni. Questo è il mio passato e il mio presente, e questo sarà  anche il mio futuro».
Smentita dovuta, spiegano per evitare di indebolire ulteriormente la leadership del padre aprendo il “dopo Berlusconi” proprio alla vigilia della decadenza.
Ma c’è anche l’esigenza ad Arcore di capire quando realmente si andrà  alle urne.
Con un’intervista all’Huffington Post Italia si fa sentire, eccome, anche Barbara.
Per negare anche lei un impegno in politica, ma soprattutto per affondare sul partito.
E sembra sentir parlare il padre: «Ci sono tanti che hanno finto di sposare le sue idee, ma che in realtà  agivano per interesse personale. Per le poltrone e per il potere. Il loro interesse privato, unito a una palese inadeguatezza, oggi si manifesta in una totale assenza di contenuti politici. Mio padre non si cospargerà  la testa di cenere per dare a qualcuno la soddisfazione dello spettacolo che sostituisce la ghigliottina».

Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica“)

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DECADENZA, IL VOTO PALESE GUADAGNA TERRENO

Ottobre 29th, 2013 Riccardo Fucile

SE ZELLER NON CI RIPENSA, DECISIVO IL VOTO DELLA LANZILLOTTA… IN AZIONE I “PERSUASORI” DI ENTRAMBI GLI SCHIERAMENTI

L’ora “x” sul voto segreto o palese per la decadenza di Berlusconi scatta oggi.
Alle 15 si terrà  la giunta per il Regolamento del Senato.
Mentre da palazzo Grazioli arriva la conferma che Berlusconi ha deciso di presentare comunque il ricorso in Cassazione contro l’interdizione dai pubblici uffici di due anni decisa dalla Corte di appello di Milano, sono in corso frenetiche trattative tra Pd e Pdl per strappare il sì decisivo sul tipo di voto.
Ovviamente il passo del Cavaliere significa che ha rinunciato all’idea di fare una battaglia per bloccare la decadenza e premere per mandare avanti l’interdizione, aprendo uno scontro durissimo con il Pd.
A questo punto il voto sulla legge Severino dovrebbe tenersi non oltre il 17 novembre, quando al Senato si aprirà  la finestra della legge di stabilità .
Ma stiamo a oggi, alla querelle tra scrutinio palese o segreto.
Il Pd si batte per il primo con M5S e Sel, il Pdl con la Lega e Gal è per il secondo. Così voterebbe anche l’altoatesino Karl Zeller che però oggi vedrà  il capogruppo Pd Luigi Zanda.
Ancora ieri sera Zeller, che fa i conti con una casella di posta intasata di messaggi pro voto palese, come quella della Svp di Bolzano («Non mi era mai capitato, sono stupefatto»), diceva: «Io non voglio certo aiutare Berlusconi, e voterò per la decadenza, ma voglio anche rispettare le regole».
Zanda, carte alla mano, potrebbe convincerlo che ci sono gli elementi tecnici per schierarsi sul palese.
Ovviamente Zanda vedrà  anche Lanzillotta, contesa con Zeller tra i due schieramenti.
Sul 6 a 6, se Zeller conferma la sua scelta, resta decisivo il parere della montiana Linda Lanzillota, che sarebbe intenzionata a schierarsi con il fronte del voto palese. Ufficialmente ieri sera continuava a dichiarare che deciderà  solo oggi, dopo aver ascoltato le relazioni del Pd Francesco Russo e della Pdl lealista Anna Maria Bernini. Ma il tam tam di palazzo Madama, dopo contatti incrociati all’interno del suo gruppo, la dà  pronta a schierarsi col Pd, il suo ex partito in cui era confluita in arrivo alla Margherita.
Ma non è detto che oggi, alla fine, si riesca effettivamente a votare.
E su questo rischia di innestarsi l’ennesima lite Pd-Pdl.
Succede che in mattina l’aula di palazzo Madama vota su un decreto legge in materia di pubblica amministrazione.
I lavori potrebbero anche slittare al pomeriggio.
A quel punto la giunta per il Regolamento si ritroverebbe stretta in una sola ora, tra le 15 e le 16.
Tempi troppo stretti per le due relazioni, il dibattito, il voto.
Il Pd è già  pronto ad andare avanti domani, il Pdl all’opposto è per i soliti tempi lunghi.
Perchè più si allunga in giunta, più slitta in avanti il voto in aula. Per certo si sa che il presidente del Senato e della giunta per il Regolamento Pietro Grasso sarebbe intenzionato a chiudere la discussione sul regolamento in tempi stretti.
A questo punto la sfida è a colpi di carte e di precedenti giuridici.
L’interrogativo è semplice: il voto sulla decadenza riguarda la persona o l’istituzione? Il costituzionalista Valerio Onida non ha dubbi: voto palese perchè in discussione non c’è la “persona” di Berlusconi, ma la sua causa di ineleggibilità  che riguarda la regolare composizione dell’assemblea.
Onida aggiunge però che «non si devono cambiare le regole per questo caso», visto che il Senato ha precedenti sul voto segreto.
La modifica del regolamento però è già  stata accantonata, in ballo c’è solo un’interpretazione autentica.
La Pdl Bernini non ha dubbi, voto segreto perchè riguarda una persona. Cambiare le regole adesso significherebbe solo una manovra contro Berlusconi.
Il pd Russo, all’opposto, vede un voto sulla composizione dell’organo, che prescinde del tutto dalla persona.
Dal ’93 a oggi, cioè dal voto palese sull’autorizzazione a procedere per Andreotti (da lui però condivisa, mentre Berlusconi sarebbe per il segreto), Russo documenta «un progressivo restringimento dell’area dello scrutinio riservato che porta la Camera a decidere che su questa materia si vota in chiaro».
Anche al Senato, sulle dimissioni, l’orientamento è identico.
Un fatto è certo: se la giunta vota, sulla decisione non si potrà  più tornare indietro. Anche se il diretto interessato, Berlusconi, dovesse cambiare idea.

Liana Milella
(da “La Repubblica”)

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