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ROSA CRISCUOLO: “CON CLAUDIO SCAJOLA CENAMMO IN CAMERA, MA FU UN INCONTRO POLITICO”

Maggio 13th, 2014 Riccardo Fucile

SPUNTA UN’ALTRA DAMA BIONDA: L’ULTIMA CENA PRIMA DELL’ARRESTO

“Mi hanno fatto diventare la Candy Candy di Forza Italia…”.
Si mostra sorpresa Rosa Criscuolo, 34 anni, napoletana, avvocato matrimonialista.
La notorietà  che l’ha raggiunta in queste ore “proprio non se l’aspettava”. È lei la seconda dama bionda dell’affaire Scajola-Matacena, un’altra bellissima donna al pari di Chiara Rizzo, Lady Matacena appunto.
La Criscuolo è la donna con cui l’ex ministro Claudio Scajola ha trascorso la sua ultima serata da uomo libero.
Dove? In una stanza dell’hotel imperiale di via Veneto. Aperitivo, poi cena in camera. Tutto – assicura – “solo per parlare di politica”.
“Ma quale mistero? Claudio Scajola l’ho conosciuto solo un paio di mesi fa e con lui ci siamo visti per parlare delle cose che non vanno all’interno di Forza Italia in Campania”, spiega Criscuolo in un’intervista a Il Messaggero.
Criscuolo è la fondatrice dei forzisti pro Nicola Cosentino, ma la sua passione politica ha radici antiche: prima era militante del Pd, poi per i radicali; infine l’approdo in Forza Italia, “dove ho costituito un gruppo di iscritti che sollecitano maggiore trasparenza nei rapporti interni al partito e rispetto alle decisioni prese in sede centrale”.
È proprio per questo suo ruolo – spiega – che Scajola l’avrebbe contattata.
Dunque l’incontro all’hotel Imperiale. “Avevo prenotato per conto mio una camera, lontana da quella di Scajola. Alle 21 […] mi ha offerto un aperitivo al bar dell’albergo; poi siamo andati a cena in camera sua. Abbiamo deciso così per evitare che qualcuno, vedendoci in un ristorante, montasse una storia… Ci sembrava più opportuno, anche perchè così avremmo potuto parlare meglio delle cose politiche che ci stavano a cuore. Il nostro era e resta solo un rapporto politico e me ne guarderei bene”.
Criscuolo è categorica: “Non ho una relazione con l’ex ministro, potrebbe essere mio nonno… Sa com’è, fino a Cosentino potrei anche arrivare, ma Scajola no, per favore”. “Quando ci siamo visti – ribadisce in un’altra intervista al Corriere della Sera – era già  tardi. Scaloppine al limone, niente vino, sono astemia. E lui guardava un film alla tv, una storia di avvocati, era molto preso […] Lui era alla 2013, io alla 203, non mi alzo di notte per correre da Scjola, non è cosa, è un tipo quieto, serio e un poco andato d’età . E aveva un fortissimo mal di testa”.
“Forse il presentimento” – aggiunge la bella Rosa – di quello che lo avrebbe aspettato la mattina seguente: l’arrivo degli uomini della Dia, l’arresto, le sbarre di Regina Coeli.

(da “Huffingtonpost“)

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LA SCORTA DI SCAJOLA MANDATA AD ACQUISTARE I COLLANT PER LA MOGLIE DI MATACENA

Maggio 13th, 2014 Riccardo Fucile

E NELLE TELEFONATE SCAJOLA SI VANTA DEL SUO “SERVIZIO SEGRETO”

Nelle centinaia di telefonate tra Claudio Scajola e Vincenzo Speziali, l’uomo che faceva avanti e indietro con Beirut, il nome di Silvio Berlusconi ricorre più di una volta.
Quando si parla della candidatura dell’ex ministro dell’Interno al Parlamento Ue, poi sfumata, ma anche e soprattutto in relazione all’incontro che lo stesso Berlusconi avrebbe dovuto avere con Amin Gemayel: il potente ex presidente del Libano, spacciato da Speziali come zio di sua moglie, nella ricostruzione dell’accusa avrebbe dovuto garantire la latitanza mediorientale sia di Amedeo Matacena che, probabilmente, di Marcello Dell’Utri, i due ex parlamentari di Forza Italia condannati per concorso esterno in associazione mafiosa.
Per Matacena, di cui adesso Berlusconi sostiene di non avere ricordo, Scajola comunica in una telefonata del 7 febbraio di avere già  fatto preparare dagli avvocati una dettagliata richiesta di asilo politico, che Speziali dice di poter agilmente sostenere perchè a Beirut si sta per formare un nuovo governo.
Amin Gemayel
Erano i primi di febbraio, periodo in cui Speziali parlava di continuo con Dell’Utri. Circa 100 telefonate in 10 giorni, in media una decina di conversazioni al dì, e non è difficile immaginare che parlassero della possibile meta libanese del neocondannato per mafia, bloccato proprio a Beirut un mese fa.
Un motivo in più, nei sospetti degli inquirenti, per interessare anche Berlusconi dei contatti con Gemayel, il quale avrebbe dovuto fargli visita in Italia alla fine di febbraio.
Dai discorsi di Scajola e Speziali si capisce che erano loro gli artefici dell’incontro, perchè non appena il secondo dice di aver parlato con l’esponente libanese per fissare la data della visita in Italia (26 febbraio), Scajola risponde che lo riferirà  all’ex Cavaliere.
L’argomento ritorna più volte, e quando a fine mese l’incontro salta perchè Gemayel era a Roma ma Berlusconi pretendeva che lo raggiungesse ad Arcore, l’esponente libanese – racconta Speziali – s’è offeso ed è ripartito senza vederlo. Dell’appuntamento saltato Scajola discute con la moglie di Matacena, aggiungendo però di non preoccuparsi perchè «l’operazione» (verosimile riferimento alla possibilità  di far accogliere in Libano il marito ricercato dalla giustizia italiana) andrà  avanti ugualmente.
Tuttavia, spiega Speziali all’ex ministro, prima della domanda di asilo politico bisognava assicurarsi la «rete di protezione».
Gli 007 privati
Tra gli approfondimenti delegati dalla Procura di Reggio Calabria alla Dia, ci sono le verifiche sugli ordini dati da Scajola ed eseguiti dai poliziotti della scorta.
Per alcuni di loro si sta vagliando l’ipotesi di inquisirli per peculato e abuso d’ufficio, visto l’uso troppo personale che hanno accettato da parte dell’ex ministro; dagli accompagnamenti di Chiara Rizzo all’acquisto di effetti personali destinati alla signora, come un paio di calze che gli agenti di scorta vengono spediti a comprare dalla segretaria dell’ex ministro per la moglie del latitante condannato per complicità  con la ‘ndrangheta.
In quell’occasione, persino la segretaria e il poliziotto della scorta si lamentano delle pretese di Scajola.
Ma dalle intercettazioni dell’ex titolare del Viminale emerge una circostanza considerata più grave e inquietante: informazioni riservate su altre persone, a partire dai loro spostamenti sul territorio nazionale, raccolte attraverso funzionari di Stato a lui fedeli. Scajola riceveva le notizie che aveva chiesto e se ne vantava al telefono con alcuni interlocutori, commentando soddisfatto che il suo «servizio segreto» privato funzionava a dovere
I conti correnti
Dopo gli arresti della scorsa settimana, si passa all’esame dei movimenti sui conti bancari della famiglia Matacena, sia in italia che a Montecarlo e in Lussemburgo, dove hanno sede società  e proprietà  costitute dall’ex parlamentare in fuga.
Anche dell’aspetto economico-finanziario, mentre Matacena era già  a Dubai per evitare il carcere in Italia, si occupavano sua moglie e Scajola.
Il quale faceva intervenire la propria segretaria Roberta Sacco, ora agli arresti domiciliari, per risolvere ogni questione.
Come quando, mentre Scajola è in un’altra stanza con Chiara Rizzo, chiama un funzionario della filiale del Banco di Napoli alla Camera dei deputati – dove l’ex deputato condannato mantiene un conto – per provare a fare in modo che la moglie di Matacena possa muovere il denaro.
Il funzionario spiega che senza una delega bisogna che si presenti l’onorevole, o almeno la signora; la segretaria di Scajola replica che lui «è fuori, non può venire», mentre di lei comunicherà  un numero di telefono per fissare un appuntamento.
Le relazioni
Tra le intercettazioni ci sono pure i messaggi telefonici che Matacena mandava alla moglie per avvisarla di collegarsi via Skype, in modo da evitare spiacevoli interferenze e raccomandarle di intervenire per ottenere o far partire bonifici, tra il Lussemburgo e il principato di Monaco, sui quali i responsabili delle banche fanno resistenza.
L’ipotesi dei pm è che anche per affrontare queste vicende Scajola abbia messo a disposizione della moglie di Matacena il proprio «mondo di relazioni». Nel quale rientrano, tra gli altri, due personaggi seguiti e fotografati con lui in un pedinamento romano dell’11 febbraio scorso, prima di un incontro a Piazza di Spagna con Speziali. Si tratta di Daniele Santucci (socio in affari del figlio dell’ex ministro che la Dia ha verificato essere stato alle Seychelles ad agosto 2013, quando c’era pure Matacena, già  latitante, prima di spostarsi a Dubai) e di Giovanni Morzenti, condannato per corruzione a Torino e indagato a Roma per ricettazione nell’ambito dell’indagine sullo Ior.

(da “il Corriere della Sera“)

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L’EX MINISTRO USA TIMOTHY GEITHNER RIVELA : “FUNZIONARI UE CI CHIESERO DI FAR CADERE SILVIO”

Maggio 13th, 2014 Riccardo Fucile

NELL’AUTUNNO 2011 PRESSIONI SUGLI STATI UNITI PER FAR CEDERE IL POTERE A BERLUSCONI: “MA NOI DICEMMO NO”

Nell’autunno del 2011, quando la drammatica crisi economica aveva portato l’euro ad un passo dal baratro, alcuni funzionari europei avvicinarono il ministro del Tesoro americano Geithner, proponendo un piano per far cadere il premier italiano Berlusconi.
Lui lo rifiutò, come scrive nel suo libro di memorie appena pubblicato, e puntò invece sull’asse col presidente della Bce Draghi per salvare l’Unione e l’economia globale.
«Ad un certo punto, in quell’autunno, alcuni funzionari europei ci contattarono con una trama per cercare di costringere il premier italiano Berlusconi a cedere il potere; volevano che noi rifiutassimo di sostenere i presti dell’Fmi all’Italia, fino a quando non se ne fosse andato».
Geithner, allora segretario al Tesoro Usa, rivela il complotto nel suo saggio «Stress Test», uscito ieri.
Una testimonianza diretta dei mesi in cui l’euro rischiò di saltare, ma fu salvato dall’impegno del presidente della Bce Mario Draghi a fare «tutto il necessario», dopo diverse conversazioni riservate con lo stesso Geithner.
I ricordi più drammatici cominciano con l’estate del 2010, quando «i mercati stavano scappando dall’Italia e la Spagna, settima e nona economia più grande al mondo». L’ex segretario scrive che aveva consigliato ai colleghi europei di essere prudenti: «Se volevano tenere gli stivali sul collo della Grecia, dovevano anche assicurare i mercati che non avrebbero permesso il default dei paesi e dell’intero sistema bancario».
Ma all’epoca Germania e Francia «rimproveravano ancora al nostro West selvaggio la crisi del 2008», e non accettavano i consigli americani di mobilitare più risorse per prevenire il crollo europeo.
Nell’estate del 2011 la situazione era peggiorata, però «la cancelliera Merkel insisteva sul fatto che il libretto degli assegni della Germania era chiuso», anche perchè «non le piaceva come i ricettori dell’assistenza europea – Spagna, Italia e Grecia – stavano facendo marcia indietro sulle riforme promesse».
A settembre Geithner fu invitato all’Ecofin in Polonia, e suggerì l’adozione di un piano come il Talf americano, cioè un muro di protezione finanziato dal governo e soprattutto dalla banca centrale, per impedire insieme il default dei paesi e delle banche. Fu quasi insultato.
Gli americani, però, ricevevano spesso richieste per «fare pressioni sulla Merkel affinchè fosse meno tirchia, o sugli italiani e spagnoli affinchè fossero più responsabili».
Così arrivò anche la proposta del piano per far cadere Berlusconi: «Parlammo al presidente Obama di questo invito sorprendente, ma per quanto sarebbe stato utile avere una leadership migliore in Europa, non potevamo coinvolgerci in un complotto come quello. “Non possiamo avere il suo sangue sulle nostre mani”, io dissi».
A novembre si tenne il G20 a Cannes, dove secondo il Financial Times l’Fmi aveva proposto all’Italia un piano di salvataggio da 80 miliardi, che però fu rifiutato.
«Non facemmo progressi sul firewall europeo o le riforme della periferia, ma ebbi colloqui promettenti con Draghi sull’uso di una forza schiacciante».
Poco dopo cadde il premier greco Papandreu, Berlusconi fu sostituito da Monti, «un economista che proiettava competenza tecnocratica», e la Spagna elesse Rajoy.
A dicembre Draghi annunciò un massiccio programma di finanziamento per le banche, e gli europei iniziarono a dichiarare che la crisi era finita: «Io non la pensavo così».
Infatti nel giugno del 2012 il continente era di nuovo in fiamme, perchè i suoi leader non erano riusciti a convincere i mercati.
«Io avevo una lunga storia di un buon rapporto con Draghi, e continuavo ad incoraggiarlo ad usare il potere della Bce per alleggerire i rischi.
“Temo che l’Europa e il mondo guarderanno ancora a te per un’altra dose di forza bancaria intelligente e creativa”, gli scrissi a giugno. Draghi sapeva che doveva fare di più, ma aveva bisogno del supporto dei tedeschi, e i rappresentanti della Bundesbank lo combattevano.
Quel luglio, io e lui avemmo molte conversazioni. Gli dissi che non esisteva un piano capace di funzionare, che potesse ricevere il supporto della Bundesbank.
Doveva decidere se era disponbile a consentire il collasso del’Europa. “Li devi mollare”, gli dissi». Così, il 26 luglio, arrivò l’impegno di Draghi a fare «whatever it takes» per salvare l’euro.
«Lui non aveva pianificato di dirlo», non aveva un piano pronto e non aveva consultato la Merkel. A settembre, però, Angela appoggiò il «Draghi Put», cioè il programma per sostenere i bond europei, che evitò il collasso.

Paolo Mastrolilli
(da “La Stampa“)

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INTERVISTA A FRECCERO: “GRILLO DA VESPA? VA IN CERCA DI ANZIANI E FAMIGLIE”

Maggio 13th, 2014 Riccardo Fucile

LA NECESSITA’ DI AMPLIARE LA FASCIA DI INTERLOCUTORI HA COSTRETTO GRILLO AD ACCETTARE L’INVITO DEL GIORNALISTA DA LUI DEFINITO “IL PIU’ FAZIOSO DEI FAZIOSI”

“Grillo va da Vespa perchè si sente in finale. Vuole parlare a un pubblico a cui di solito non parla: anziani e famiglie”. Carlo Freccero, autore tv ed ex direttore di varie reti Rai, comprende la “svolta” del fondatore di M5S, che lunedì 19 sarà  ospite di Porta a Porta: “La tv generalista sposta ancora tanti voti”.
Gli avrebbe consigliato di partecipare?
Non ho nulla da consigliargli, perchè Grillo sa come usare i media, dal web alla televisione. Detto questo, la sua scelta è comprensibile: lui ormai non si sente più un outsider, ma un leader che può vincere le Europee. Nella sua lotta mirata contro l’avversario Renzi gli serve anche andare a Porta a Porta.
Perchè potrà  parlare a tutti?
Certo, potrà  rivolgersi a un pubblico che finora ha solo sfiorato: quello di età  medio-alta, che legge quotidiani “pesanti”. E questo sarà  importante anche alla luce degli ultimi fatti giudiziari. La tangentopoli da larghe intese potrebbe veicolare verso il M5S i voti di strati di società  che non ne possono più, ma che qualche settimana fa non l’avrebbero preso in considerazione.
Insomma, Grillo può sfondare anche tra gli anziani.
Sì, e in questo senso andare da Vespa potrebbe essergli molto utile. Nella sua trasmissione potrà  tralasciare i temi di macroeconomia, tipici della sinistra, concentrandosi sulla microeconomia: dai problemi delle piccole e medie imprese, allo sperpero di denaro pubblico sui territori.
Sono argomenti più popolari?
Sì, pagano decisamente più.
Rimane una contraddizione: Grillo ha sempre detto che Vespa era il fazioso dei faziosi.
Certo. Non solo: ha sempre ripetuto che la tv generalista è morta.
Quindi…
La contraddizione è evidente. Ma nella comunicazione non c’è memoria, si può anche dire l’opposto di quello che si affermava poco prima. Grillo sa bene che la tv generalista non è affatto defunta. E allora andrà  da Vespa, magari alternando bastone e carota: parlerà  delle sue proposte e farà  qualche numero da disturbatore. Cercherà  di dimostrare che lui non è solo l’uomo della rabbia.
Vespa però è un cliente difficile. Cosa potrebbe riservargli?
Secondo me userà  molti numeri, con tabelle. Potrebbe presentargli i costi del reddito di cittadinanza, per dimostrare quanto è difficile da realizzare.
Accettando di andare come ospite, Grillo lo legittima.
Ma anche Vespa ospitandolo legittima il leader di 5 Stelle. Nessuno dei due può fare a meno dell’altro: il conduttore sa che la puntata sarà  comunque un evento, mentre Grillo ha bisogno della trasmissione per inseguire qualche punto in più.
Sta di fatto che ormai il leader di M5S ha sdoganato la tv.
Senza dubbio. Da Mentana era andato molto bene, con il 10 per cento di share. Sono convinto che tornerà  su La7, dalla Innocenzi (ad AnnoUno, ndr). E non mi sorprenderei se andasse a Rai Tre.
Nella rincorsa al voto degli anziani , Berlusconi è arrivato a promettere dentiere gratis. Ha ancora un senso?
Ce l’ha, eccome. Ormai questa è la politica delle regalie: Renzi promette gli 80 euro, Berlusconi le dentiere e Grillo vuole alzare le pensioni minime. La gente non vota più i partiti, ma i candidati, quelli più bravi sui media e che fanno promesse economiche.

Luca De Carolis

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“SILVIO, VOGLIO 540 MILIONI”: E’ LA RICHIESTA DI VERONICA PER IL DIVORZIO

Maggio 13th, 2014 Riccardo Fucile

SALTATE LE TRATTATIVE, ORA TOCCA AI GIUDICI STABILIRE IL VALORE DELL’ADDIO

Tornato in campo da padrone per rilanciare Forza Italia a colpi di video-messaggi, comizi, attacchi e interviste televisive, Silvio Berlusconi sta usando tutto il suo proverbiale carisma pubblicitario per delegittimare la condanna per frode fiscale e ripresentarsi agli elettori con l’aureola del perseguitato dalla giustizia.
Eppure basta scavare dentro una delle sue più famose cause giudiziarie, quella che lui stesso ha avviato contro l’ex moglie, per ritrovargli cucito addosso il marchio verace del privilegiato.
Già , perchè il divorzio da Veronica Lario è il perno di una vertenza che pochissimi in Italia potrebbero permettersi: un problema da mezzo miliardo.
La cifra, mai ufficializzata finora, è stata al centro di una trattativa che si è interrotta circa un anno fa, in un clima di assoluta riservatezza.
In quel periodo Silvio Berlusconi e la sua ex moglie, dopo mesi di veleni, erano tornati anche a vedersi e a parlarsi a tu per tu.
Le loro squadre di avvocati civilisti puntavano a chiudere tutte le cause incrociate di separazione e divorzio con un accordo globale: un maxi-assegno definitivo, da versare una volta per tutte.
La fine delle liti con Veronica, madre di tre dei suoi cinque figli, avrebbe consentito al leader di Forza Italia di riportare la pace nelle sue famiglie e concentrarsi sulle sue preoccupazioni di sempre: politica, affari e giustizia.
Invece l’accordo è naufragato. E finora, nonostante il ruolo dei protagonisti nella vita pubblica, non si sapeva nulla nè della trattativa, nè del perchè fosse fallita.
Ora “l’Espresso” può ricostruire i fatti fondamentali.
L’accordo è saltato per una questione di cifre: Veronica Lario voleva più di mezzo miliardo. Per l’esattezza, 540 milioni di euro.
Una richiesta che Silvio Berlusconi ha bollato come esagerata, sproporzionata, ingiustificabile.
Tra denaro e proprietà , il padrone della Fininvest sarebbe stato disposto a liquidarla con più di 200 milioni. Meno della metà  della somma rivendicata da lei.
Visto il patrimonio accumulato da Berlusconi, accreditato di una fortuna superiore ai sei miliardi di dollari, l’ex moglie si è sentita presa in giro.
A quel punto i contatti tra ex coniugi si sono interrotti. E la partita è tornata in mano agli agguerriti staff legali, che sono tuttora impegnati nelle due cause in corso: quella di separazione, che è in fase d’appello a Milano, e il processo di divorzio, avviato dallo stesso Berlusconi in primo grado a Monza.
Gli ex coniugi, beninteso, hanno sempre la possibilità  di riaprire la trattativa e arrivare a un accordo soddisfacente per entrambi. Ma almeno fino a questo momento l’ipotesi di un lieto fine viene considerata molto improbabile.
Di fatto, in questi ultimi mesi, gli avvocati stanno lavorando solo per rendere più vantaggiosa possibile la decisione finale che spetterà  ai giudici.
La sentenza più importante riguarda il contenuto economico del divorzio: il verdetto di primo grado è previsto tra circa un anno.
Finora i tribunali hanno quantificato solo l’assegno mensile provvisorio: i giudici di Monza, all’inizio di quest’anno, l’hanno ridotto a un milione e 400 mila euro, con un taglio notevole rispetto ai circa tre milioni (ovvero centomila euro al giorno) che erano stati fissati a Milano nel quadro ormai superato della separazione iniziale. Questa cifra mensile può fornire una prima indicazione sul valore di un ipotetico accordo finale: gli esperti di diritto ricordano, a titolo di esempio, che una regola-base del vecchio codice prevedeva di moltiplicare per 20 la rendita annua.
Applicando questo semplice parametro all’assegno che Berlusconi è già  ora tenuto a versare a Veronica, dunque, si raggiungerebbe un capitale di 336 milioni.
Un valore che si colloca più o meno a metà  strada fra l’offerta di lui e la richiesta di lei. E che di certo rappresenta un tesoro irraggiungibile per i cittadini normali.
In Italia, secondo l’Istat, il reddito medio per abitante si ferma a meno di 18 mila euro all’anno (per l’esattezza, 17.979). Per poter liquidare l’ex coniuge con la stessa cifra, dunque, l’italiano medio dovrebbe lavorare (risparmiando tutto) per 18 mila e 688 anni.
Per i giudici non sarà  facile decidere il cosiddetto «divorzio del secolo», anche perchè la legge fissa solo principi generali, da applicare al caso concreto con molte variabili: il tenore di vita durante il matrimonio, la sua durata, i bisogni dei figli, l’età , la salute e altri dati tutti da interpretare.
Rispetto alla separazione (provvisoria), il divorzio fa cessare gli effetti del
Ma anche dopo il taglio della somma mensile, Silvio e l’ex moglie hanno continuato a dividersi, ad esempio, sulla durata dell’assegno: lui ha 77 anni, ma gli avvocati di Veronica puntavano a un accordo calcolato sull’aspettativa di vita di lei, che ha vent’anni di meno.
I possibili riflessi pubblici di questa lite privata sono ben noti a Berlusconi.
Il proprietario della Fininvest ha sposato Miriam Bartolini, conosciuta con il nome da attrice di Veronica Lario, il 15 dicembre 1990.
La crisi fu ufficializzata da lei nel 2007 con una famosa lettera a “Repubblica”: Veronica gli chiedeva «pubbliche scuse» dopo le galanterie di Silvio con Mara Carfagna alla serata dei Telegatti.
Ma precisava anche di essergli stata «al fianco» fin dal 1980. Cioè da quando Berlusconi era ancora sposato con Carla Dall’Oglio, la madre di Marina e Piersilvio, che si era accontentata di un assegno molto inferiore.
Nel 2009, dopo l’apparizione di Berlusconi al diciottesimo compleanno di Noemi Letizia, è sempre Veronica a preannunciare la causa di separazione con una lettera all’”Ansa”.
Dove non solo definisce «ciarpame» le candidature di «veline», ma allude anche, in anticipo ai processi per il caso Ruby e l’affare Tarantini, a «vergini che si offrono al drago per rincorrere il successo, la notorietà  e la crescita economica».
Gli avvocati civilisti di Berlusconi, d’altro canto, hanno già  incamerato due ottimi risultati.
Gli ex coniugi hanno rinunciato a rinfacciarsi «l’addebito per colpa», per cui restano fuori dal processo di divorzio tutte le storie di sesso e soldi documentate dalle indagini di Milano e Bari.
Inoltre il tribunale di Monza ha ormai ratificato lo status di divorziati: una sentenza “parziale” che toglie a Veronica il diritto di rivendicare il 25 per cento del patrimonio di Silvio nella futura eredità  ormai riservata solo ai figli.
Ma se è vero che Berlusconi è un uomo con molti segreti, il riconoscente silenzio di un’ex moglie può ancora valere un tesoro.

Paolo Biondani
(da “l’Espresso“)

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L’ALZHEIMER È CONTAGIOSO

Maggio 13th, 2014 Riccardo Fucile

EXPO E MAZZETTE: “MA I PARTITI NON C’ENTRANO”

Dunque i partiti non c’entrano. Sono puri e immacolati come acqua di fonte.
L’ha detto D’Alema, l’ha ribadito B.: “Forza Italia con gli scandali non c’entra. E questo signor Matacena io non me lo ricordo. Sarà  stato deputato di Forza Italia vent’anni fa”.
E pensare che han mandato proprio lui ad assistere i malati di Alzheimer.
Per la cronaca Amedeo Matacena, figlio dell’omonimo armatore dei traghetti “Caronte” sullo Stretto, fu tra i fondatori di FI in Calabria, deputato dal ’94 al 2001, salvato dall’arresto per ‘ndrangheta da destra e sinistra nel ’99.
Non ricandidato, lanciò oscuri messaggi a B.: “mi ha chiesto di testimoniare a Caltanissetta contro la Procura di Palermo” e “io mi trascinai dietro altri testimoni che avevano perplessità  a raccontare i fatti”; poi spiegò che Dell’Utri e Previti, anch’essi nei guai con la giustizia, erano stati ricandidati perchè “nascondono delle verità ”.
Condannato per mafia, fuggì per tempo a Dubai, ma si accingeva a raggiungere Dell’Utri a Beirut con l’aiuto di Scajola, già  coordinatore nazionale di FI.
E chissà  se B. ricorda questo signor Frigerio, tre volte pregiudicato (6 anni e 8 mesi definitivi di galera, ovviamente mai scontati in carcere ma ai servizi sociali) e dunque deputato di FI dal 2001 al 2006, attualmente di nuovo al gabbio; e questo signor Grillo (Luigi), che nel ’94 fu eletto col Ppi, ma passò subito a FI per garantire al governo B. la maggioranza al Senato in cambio di un posto di sottosegretario, fu parlamentare per 6 legislature dal 1987 al 2008 e ora si trova al fresco per le mazzette Expo.
Però, sia chiaro, “Forza Italia non c’entra”.
A maggior ragione non c’entra il Pd. Primo Greganti, tre volte pregiudicato per tangenti, è figlio di NN: è nato sotto un cavolo e lo porta sempre la cicogna. Ieri, alla chetichella, il Pd l’ha “sospeso” in quanto detenuto perchè “in caso di arresto o di dubbia condotta le regole sono molto precise”.
Così precise che le sue tre condanne a 3 anni e 6 mesi per corruzione e finanziamento illecito al partito (non a se stesso) non costituivano una condotta sufficientemente dubbia per negargli la tessera, nè perchè Fassino e Chiamparino, renziani anche loro, lo tenessero lontano dalle proprie campagne elettorali, cui partecipava in prima fila.
“È vero — dichiara, restando serio, il segretario renziano del Pd torinese Fabrizio Morri — non potevamo certo negargli di avere contatti con il mondo del Pd o di partecipare agli eventi, ma a quanto ne so non aveva rapporti con i dirigenti. Mi dispiace molto a livello umano, Greganti cercava di risollevarsi dal punto di vista professionale. Ma certamente faceva tutto per sè, non per il partito”.
Ecco, cercava di risollevarsi, tutto per sè. Purtroppo, dalle carte dell’inchiesta di Milano, risulta che grazie a lui la cupola di Frigerio&C. arrivava ai “sindaci comunisti”, cioè Pd, contattava i vertici Pd e il commissario di Expo Giuseppe Sala (un altro che non c’entra mai) per piazzare “un amico” nella commissione aggiudicatrice.
“Bisogna parlare con Primo — diceva Frigerio — perchè il comune è di sinistra… Sala è un uomo di sinistra, non di Pisapia, è più legato alla gente che Primo conosce… al Pd”. Greganti confermava: “Devo scendere a Roma a parlare con gli amici miei”.
Saranno stati amici di bisbocce, perchè il Pd non c’entra, ci mancherebbe.
Per Frigerio, Greganti era “convinto che si potesse ancora correre su Nucci (ex Ad di Sogin, ndr) perchè Pier Luigi Bersani ha detto ‘sono d’accordissimo’”.
Ma questo signor Bersani dev’essere un omonimo.
Come Burlando (omonimo del governatore ligure), Guerini (omonimo del vicesegretario di Renzi), Pittella (omonimo dell’eurodeputato Pd) e Quagliotti (omonimo del braccio destro di Fassino, condannato — insieme a Greganti — per una tangente Fiat all’ex Pci).
Alla fine si scoprirà  che anche Greganti è un omonimo. Finiamola di chiamarlo Primo. Chiamiamolo Secondo.
Dopodichè bisognerà  trasferire i malati di Alzheimer in Parlamento, o i parlamentari a Cesano Boscone: il vero servizio sociale è quello lì.

Marco Travaglio
(da “il Fatto Quotidiano“)

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QUELLA PAURA NEGLI OCCHI DELLE RAGAZZE RAPITE

Maggio 13th, 2014 Riccardo Fucile

QUEI VOLTI SENZA SORRISO E L’IMPOTENZA DEL NOSTRO MONDO… LA LIBERTA’ DELLE DONNE E’ ORMAI IL NOCCIOLO DURO DELLA PAROLA OCCIDENTE

Ieri, grazie all’imprudenza dei loro persecutori, le abbiamo viste “le nostre ragazze” rapite, rivestite e velate al gusto di quelli, con gli occhi sbarrati dallo spavento, addestrate a pregare con le palme aperte ma non abbastanza da simulare un solo sorriso.
Il mondo è ubriaco di petrolio, acqua, traffici di droga e armi, minerali rari, giochi della finanza.
Che si combatta una guerra planetaria la cui vera posta è il controllo e la riconquista delle donne può sembrare una boutade, o un’iperbole.
I signori di Boko Haram si sono premurati di renderlo evidente, come in un Manifesto.
Centinaia di ragazze rapite dal dormitorio della loro scuola, una delle poche ancora aperte nello stato di Borno, subito dopo aver sostenuto gli esami di fine anno; e poi il capobanda che annuncia che le venderà  a quattro soldi per farle schiave o mogli forzate (è la stessa cosa) fuori dai confini; e poi ancora il capobanda — vanesio, come tutti questi epici farabutti — che si dichiara magnanimamente disposto a scambiarle con i suoi adepti detenuti dal governo federale nigeriano, quelle che non si sono convertite, e mostra le altre, quelle «che si sono sottomesse». «Anzi, le abbiamo liberate», dice.
C’è una difficoltà , abbiamo imparato, a tradurre adeguatamente il titolo mezzo hausa mezzo arabo della banda, Boko Haram — vuol dire, più o meno, che ciò che è occidentale è peccaminoso, e vietato.
Qualche etimologista inclina a pensare che il Boko storpi l’inglese book , libro — l’inglese è lingua ufficiale in Nigeria: così, questi fanatici del libro sacro da prendere alla lettera, sarebbero i vietatori del libro.
L’occidente che aborrono — il loro fondatore, Mohammed Yusuf, guidava una Mercedes e negava sdegnato che la terra fosse rotonda — era arrivato in Nigeria con il colonialismo e ci è rimasto con le multinazionali del petrolio, ma anche col cristianesimo delle scuole e la bella storia sulla lapidazione mancata dell’adultera.
Il governo corrotto e inetto di Abuja ha trattato per anni le stragi di Boko Haram come affare di musulmani che si ammazzavano fra loro: un po’ come facevano i nostri governi con le guerre di mafia.
Quando, ogni tanto, decidevano di esibire la propria repressione, emulavano la ferocia dei terroristi. Anche questa volta, ad Abuja per un po’ hanno fatto finta di niente, e anzi denunciato l’allarme sulle ragazze come un diversivo al loro balletto elettorale, come ha scritto Wole Soyinka. Poi hanno chiesto aiuto agli occidenti, quello che trepida e prega per le ragazze violate, e quello che prega, Cina compresa, per il colossale serbatoio di petrolio e gas che la Nigeria possiede, ma molto lontano dal nordest.
Per i Taliban di Boko Haram le bambine non devono andare a scuola, come per i loro colleghi afgani. Devono tornare a chiudersi dentro una galera domestica, o dentro la galera portatile del burka o del velo imposto.
Comunque lo si traduca, l’occidente che Boko Haram vieta, maledice e condanna ha la sua essenza nella libertà  civile e sessuale della donna, cui tutte le altre libertà  sono debitrici: anche la Conchita Wurst che scandalizza i governanti russi.
Il ratto delle ragazze nel nordest della Nigeria è così vistoso ed esemplare che ha scosso il mondo, e ha suscitato una reazione commossa.
Americani, inglesi, francesi, hanno offerto collaborazione. Israele ha proposto di partecipare alle ricerche delle ragazza sequestrate, e il presidente Goodluck Jonathan ha accettato.
Ma ancora una volta ci si chiede, di fronte a questa volonterosa impotenza, per così chiamarla, come possa il mondo fare a meno di una polizia capace di prevenire o punire la malavita, quando la malavita lavori all’ingrosso.
Negli stessi giorni in cui dura il sequestro, i suoi autori vanno avanti con gli attentati suicidi e le aggressioni armate, ben armate, distruggendo chiese, moschee, scuole, villaggi interi, ammazzando centinaia di persone alla volta, come a Gamboru Ngala lo scorso 5 maggio.
In questi giorni, alla gara di persone comuni e personaggi famosi fotografati con l’appello “ Bring Back Our Girls ”, hanno fatto da contrappunto voci di malcontenti: per l’esibizionismo o l’ipocrisia supposta della campagna, perchè “ben altro”, perchè la guerra di Boko Haram ha fatto più di 12mila vittime, per il silenzio sulla devastazione del delta del Niger, per il silenzio o le complicità  con la spietata tratta di ragazze prostitute dalla Nigeria del sud, quella cristiana e voodoo, che riempie i campi della Campania o i marciapiedi di Genova.
E’ vero, tutto vero, e però inutile e fatuamente anticonformista.
Fra i milioni che si commuovono per le ragazze del villaggio di Chibok, molti si saranno informati e interrogati per la prima volta su una quantità  di cose.
Sulla Nigeria, così grande da contenere un quarto di tutti gli africani, così ricca da eccitare gli appetiti di occidente e oriente e così povera da regalare a una banda di fanatici i pretesti per proclamarsi paladini della gente.
E sul mondo, in cui si combatte una guerra di liberazione delle donne, con le armi più diverse, come il Facebook delle donne iraniane che si fotografano con il vento fra i capelli.
Boko Haram ha avuto tempo sufficiente a trasformarsi da una banda efferata di cialtroni in una banda di cialtroni che spadroneggia a cavallo dei confini di Nigeria, Ciad, Camerun, Niger. L’islamismo jihadista africano si associa già , e più si associerà , con quello maghrebino, e la loro alleanza si salderà  sull’odio per l’occidente, parola sempre più difficile da tradurre, se non per quel nocciolo duro, quella quintessenza, la libertà  delle donne.

Adriano Sofri
(da “La Repubblica”)

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