Novembre 13th, 2014 Riccardo Fucile
DALL’OTTAVO INCONTRO TRA IL PREMIER E L’EX CAVALIERE ESCE UN COMUNICATO IN CUI VA TUTTO OK… MA SENZA LA PISTOLA DELLE ELEZIONI CARICA NON SI PROCEDE
L’Ottava del Nazareno. Al buio, ovviamente. Alle cinque della sera a Palazzo Chigi, con sessanta minuti
d’anticipo sull’orario fissato.
Il patto segreto cambia colore dopo la sceneggiata delle dimissioni annunciate di Napolitano nello scorso fine settimana.
Le tinte renziane si sbiadiscono un po’ e Berlusconi riesce a impantanare il tormentone dell’Italicum per allontanare l’incubo delle Politiche nel 2015 e soprattutto a puntellare il suo ruolo di “grande elettore” del prossimo capo dello Stato. Alle fine dell’ottavo vertice tra Matteo Renzi e Silvio Berlusconi c’è persino un comunicato congiunto, in cui si ribadisce “la scadenza naturale della legislatura nel 2018” e il “patto è più solido che mai”. S
crivono Pd e Forza Italia, a proposito della trattativa sulla legge elettorale: “Le differenze registrate sulla soglia minima di ingresso e sulla attribuzione del premio di maggioranza alla lista, anzichè alla coalizione, non impediscono di considerare positivo il lavoro fin qui svolto e di concludere i lavori in aula al Senato dell’Italicum entro il mese di dicembre e della riforma costituzionale entro gennaio 2015”.
In pratica, nel colloquio a sei di Palazzo Chigi, da un lato Renzi, Guerini e Lotti, dall’altro Berlusconi, Gianni Letta e Verdini, non è stata raggiunta l’intesa sulla fatidica soglia di sbarramento, che i “piccoli” vogliono al tre per cento, Forza Italia al cinque e il compromesso della vigilia si assestava al quattro per cento.
Per di più, viene rinviata in Parlamento anche la svolta renziana del premio di lista, alzato comunque al 40 per cento, coalizione o lista che sia.
Al contrario, il fronte berlusconiano incassa il numero dei collegi, 100, e soprattutto i capilista nominati mentre il resto saranno tutte preferenze.
In questo modo, Silvio avrà ancora una volta la possibilità di scegliere i suoi parlamentari, collegio per collegio, considerato che con i suoi voti attuali porterà a casa un centinaio di deputati.
L’ottavo vertice del Nazareno è durato novanta minuti e le colombe forziste riferiscono di “una sintonia totale”, quasidi “un amore ritrovato”.
Appena una settimana fa gli umori erano l’opposto, dopo il settimo incontro tra i due contraenti, sempre di mercoledì.
A detta dei “nazareni” azzurri B. era stato risucchiato dall’antirenzismo del suo cerchio magico e della fronda pugliese di Raffaele Fitto.
A distanza di sette giorni tutti sprizzano gioia dalle parti di Forza Italia.
Sia i “nazareni” di Verdini perchè “il patto è vivo e vegeto e non è stato ammazzato”. Sia i ribelli perchè adesso il patto è stato rimodulato e gli azzurri non subiranno passivamente le offensive renziane.
Questione di punti di vista. Basta aspettare i fatti per sapere chi avrà ragione.
In ogni caso, il comunicato congiunto di ieri, sottoscritto da Forza Italia e Partito democratico, è il preludio ideale alle grandi manovre per la successione di Napolitano. Ovviamente se i forzisti godono, dall’altra parte si registra un indebolimento oggettivo di Renzi, che adesso dovrà affrontare tutte le prove parlamentari, compresa quella dell’Italicum, senza la pistola carica del voto anticipato nel 2015.
È questo il risultato maggiore della settimana, apertasi nel segno della “stanchezza” di Re Giorgio e dal toto-Quirinale.
Non è un caso che, stavolta, pure Angelino Alfano, capofila dei “piccoli” in quanto leader di Ncd, esulta con un tweet: “Ottimo incontro tra Renzi e Berlusconi. Avanti tutta”.
Anche questo non era mai accaduto sinora. È la certificazione dell’ammuina in atto sull’Italicum e che sta ingabbiando Renzi.
In fondo, il caos scatenato dalle voci su Napolitano era diretto proprio contro il premier.
Per la serie: “Non sarò io il capo dello Stato che scioglie le Camere, piuttosto me ne vado”.
L’Ottava del Nazareno muta il paesaggio politico del renzismo trionfante.
È come se il premier fosse stato spinto in un angolo. Toccherà a lui uscirne e dimostrare di rispettare la tabella di marcia indicata in maniera ambigua nel comunicato di ieri: “Le differenze non impediscono” l’approvazione entro l’anno della nuova legge elettorale. Il significato da attribuire a quel “non impediscono” variano da soggetto a soggetto e soprattutto indica il nuovo stato delle cose.
Prima Renzi poteva ricattare tutti, sia la minoranza del Pd, sia Berlusconi e Alfano, con l’arma del voto.
Adesso non più.
Fabrizio d’Esposito
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Novembre 13th, 2014 Riccardo Fucile
LA PARTITA E’ STRETTAMENTE LEGATA ALLE DIMISSIONI O MENO A FINE ANNO DI NAPOLITANO
L’accordo c’è, la legge elet to rale no. Il Naza reno è vegeto, ma cosa par to rirà resta oscuro. Dopo due ore di ver tice, con al fianco i soliti Letta e Ver dini per gli azzurri, Lotti e Gue rini per il Pd, Sil vio e Mat teo dira mano una «nota con giunta» che dire ambi gua è niente.
Con fer mano la per fetta sin to nia sui prin cipi gene rali: «Un sistema isti tu zio nale che garan ti sca la gover na bi lità , un vin ci tore certo la sera delle ele zioni, il supe ra mento del bica me ra li smo per fetto, il rispetto tra le forze poli ti che». Solenne impe gno, infine, a far pro se guire la legi sla tura sino a «scadenza natu rale»: «È una grande oppor tu nità per moder niz zare l’Italia».
Se non è pac cot ti glia, poco ci manca.
Nel merito, infatti, l’accordo è solo sull’innalzamento della soglia per acce dere al pre mio dal 37 al 40% e sull’introduzione delle pre fe renze dopo i capolista, che invece restano bloc cati. Quest’ultimo capi tolo però è tutt’altro che chiuso, per chè resta da vedere quanti saranno i
col legi: se reste ranno 100 o ver ranno dimi nuiti per dimi nuire la quota dei nomi nati dalle
segre te rie e alzare quella dei sele zio nati col voto dagli elettori.
Nes suna con clu sione, invece, sui due punti dolenti: la soglia di sbar ra mento, che il ver tice di mag gio ranza avrebbe fis sato al 3% e che Ber lu sconi vuole por tare al 5% e il pre mio di
mag gio ranza, da attri buirsi alla lista secondo don Mat teo e alla coa li zione per il suo
pre de ces sore.
Ma niente paura: que ste «pic cole» divi sioni non tol gono nulla al giu di zio «posi tivo» sul «lavoro fin qui svolto», nè osta co lano il comune intento di varare l’Italicum al senato entro dicem bre e la riforma costi tu zio nale alla camera entro gen naio 2015.
Favole. Dall’ottava pun tata del Naza reno una cosa sola è emersa forte e chiara: che la legge elet to rale non c’è e la si dovrà met tere a punto nella com mis sione affari costi tu zio nali del Senato.
È pos si bile, anzi pro ba bile, che il signore di Arcore abbia assi cu rato al socio che il suo sì al
pre mio di lista ci sarà e che quello abbia resti tuito il favore impe gnan dosi a por tare al 4% la soglia di sbar ra mento.
Ma anche que sti sono impe gni cam pati per aria. Ieri la com mis sione ha nomi nato la pre si dente Finoc chiaro rela trice unica e fis sato il calen da rio, a par tire da mar tedì pros simo, ma è la stessa rela trice a dire che la velo cità dell’iter dipende dalla pre senza o meno di un ampio accordo pre ven tivo sui punti chiave.
La realtà è oppo sta. Sulle pre fe renze la mino ranza Pd non potrà che dare bat ta glia.
I «civa tiani», una ven tina, hanno diser tato ieri sera la dire zione con vo cata quasi sui due piedi da Renzi per par lare di lavoro ma anche molto di Ita li cum. I ber sa niani si sono riu niti nel tardo pome rig gio: un vero «ver tice di mino ranza» che lascia chia ra mente inten dere la scelta di non arren dersi senza combattere.
Sulle pre fe renze Ber lu sconi ha pro messo ai suoi di tenere duris simo.
Sulla sponda oppo sta l’Ncd già stre pita. «Qui tutto si tiene – sbraita Sac coni – e il pre mio di lista ha come corol la rio neces sa rio la soglia al 3%». Non basta.
L’ex mini stro Mauro sta rebbe per lasciare con altri tre sena tori il gruppo dei Popo lari per l’Italia ade rendo al Gal, il che alte re rebbe, pur senza ancora rove sciarli, i rap porti di forza in commissione.
In con clu sione sarà una sto ria lunga, e si con clu derà in con tem po ra nea con l’elezione del nuovo pre si dente, il vero capi tolo segreto del sum mit di ieri.
I due tavoli si incro ce ranno in un gioco di scambi e minacce dal quale, pro ba bil mente ma non più cer ta mente, ver ranno fuori un capo dello Stato tar gato Naza reno e una legge elet to rale
cen trata su pre mio di lista con soglia di sbarramento al 4%.
Il capi tolo pre fe renze, che è in realtà il più spi noso, è invece ancora tutto da defi nirsi, per chè la mino ranza Pd non intende in nes sun caso andare oltre la pro por zione del 70% di eletti con le pre fe renze.
Sem pre che Renzi non rie sca a con vin cere Napo li tano a rin viare le dimis sioni fino a mag gio.
Il pres sing sull’uomo del Colle è for tis simo e non è dovuto solo a beghe interne. È chiaro che il pre mier pre fe ri rebbe affron tare gli esami di pri ma vera euro pei, meno facil mente sor mon ta bili di quelli del mese scorso, con le spalle coperte da un capo dello stato che l’Europa con si dera di mas sima garan zia.
Ma il riflesso sulle vicende interne è for tis simo.
Se Napo li tano rin viasse le dimis sioni, i lavori della com mis sione, cioè la vera scrit tura della legge elet to rale, si svolge reb bero sotto il ricatto delle ele zioni anti ci pate con il con sul tel lum: dun que in un con te sto ben diverso da quello dell’elezione del nuovo pre si dente.
Con Napo li tano al suo posto, Renzi avrebbe in mano tutti gli assi. Con Napo li tano
dimis sio na rio, senza poter minac ciare il ricorso alle urne, le carte vin centi sareb bero equa mente distri buite tra lui e Berlusconi.
Andrea Colombo
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Novembre 13th, 2014 Riccardo Fucile
O CERCA UNA VASTA ALLEANZA O CERCA DI RILANCIARE FORZA ITALIA
La prova decisiva sarà il passaggio parlamentare, e fino ad allora nulla potrà darsi per scontato. 
Ma se davvero la legge elettorale andrà in porto secondo lo schema e la tempistica voluti da Renzi, non c’è dubbio che da quel momento sarà finita un’epoca, e che la Seconda Repubblica finirà in soffitta.
Sarà un passaggio di sistema, insomma, che va oltre il dettaglio del vertice di ieri tra il premier e il Cavaliere.
Era chiaro come sarebbe andata a finire, era impossibile per Berlusconi evitare la sconfitta: il patto del Nazareno si diluisce nell’intesa siglata da Renzi e Alfano, senza le variazioni richieste dal Cavaliere.
Se il patto formalmente regge è per reciproca convenienza: per un verso il segretario democratico toglie così margini a quanti nel Pd mirano a sabotare il suo progetto riformatore; per l’altro verso il leader di Forza Italia resta a quel tavolo dove – Renzi gliel’ha garantito – sarà «a pieno titolo» quando dovrà scegliersi il futuro capo dello Stato.
Altro non poteva ottenere Berlusconi, ma tanto gli basta.
Quantomeno per garantirsi un ruolo nella sfida per il Colle, ruolo che – senza accordi sugli equilibri interni di partito con Fitto – potrebbe perdere quando si inizierà a votare a scrutinio segreto.
È sicuro che il tema del successore di Napolitano sia stato affrontato durante il colloquio, ma non si sa se – nel corso della conversazione – Renzi ha ripetuto la battuta con cui di solito introduce l’argomento: «Dovete capirmi, mi trovo assediato. Ho già tutto il vecchio politburo del mio partito che si sente candidato in pectore per la presidenza della Repubblica».
E giù, a quel punto, con la lista delle telefonate a cui deve rispondere: dalla A di Amato alla V di Veltroni, senza che manchi mai Casini.
Ovviamente il premier vuole finire i suoi «compiti» prima che la partita del Quirinale abbia inizio. E non è solo per scongiurare pericolosi incroci tra temi diversi ed evitare imboscate.
Il fatto è che Renzi vuol togliersi di dosso «l’etichetta dell’annuncite che mi hanno appiccicato», in Italia e in Europa, se è vero che il capogruppo del Ppe Weber lo definisce un «chiacchierone».
Perciò, oltre ad aver stretto i tempi sulla delega fiscale e sul Jobs act, vuole chiudere sull’Italicum e sulla modifica del Senato, perchè – a suo modo di vedere – «varare le riforme, anche quelle non economiche, nei tempi programmati, fa crescere la credibilità dell’Italia».
I problemi del premier sono altri, e più del vertice serale con Berlusconi è stato complicato l’incontro mattutino con Padoan, a causa di quei numeri che non lo fanno star sereno: l’Italia non riparte e le previsioni non sono incoraggianti se persino la Germania – come gli hanno spiegato i vertici dell’Economia – nelle previsioni del prossimo anno rischia una crescita vicina allo zero.
Per certi versi, quindi, il colloquio con il capo forzista è stato defatigante: preso atto che sulla legge elettorale il Cavaliere – pur volendo – non poteva accettare ufficialmente il premio di maggioranza alla lista «altrimenti tornerei ad avere problemi nel partito», e avuto dal suo interlocutore «l’impegno formale» che «non faremo ostruzionismo nè faremo imboscate in Parlamento», Renzi ha chiuso la pratica.
Un’altra pratica si apre invece per Berlusconi, posto ora davanti a un bivio.
Se il nuovo modello di Italicum diverrà legge, dovrà decidere come intervenire per dare un futuro al centrodestra nel nuovo assetto di sistema.
Si vedrà se le elezioni saranno davvero nel 2018. In ogni caso, quando arriverà il tempo delle urne, cercherà un accordo tattico con la Lega per varare un listone unico? E cosa e quanto a quel punto dovrebbe cedere al «populista» Salvini?
Oppure, per giocare d’anticipo e mantenere il ruolo del federatore, salirà su un nuovo predellino per ricomporre ciò che è stato diviso con la fine del Pdl, proponendosi come padre nobile di un nuovo inizio?
Certo, il Cavaliere ha un’altra opzione: tenere viva Forza Italia e misurare ancora la sua capacità di attrarre consenso.
Ma nel ’94 il Ppi prese il 17% alle elezioni, prima di tramontare insieme alla Prima Repubblica.
Francesco Verderami
(da “il Corriere della Sera”)
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Novembre 13th, 2014 Riccardo Fucile
SILENZI E TITOLI INFAMI: L’ISOLAMENTO DEI GIUDICI ANTIMAFIA, LO STESSO COPIONE DI FALCONE E BORSELLINO
Matteo di qua, Matteo di là , anche perchè i Matteo sono due: Renzi e Salvini.
Parlano dappertutto e ne parlano tutti.
Poi c’è Di Matteo, nel senso di Nino, il pm di Palermo condannato a morte da Totò Riina, il quale — intercettato nell’ora d’aria con il boss pugliese Alberto Lorusso — non s’è limitato a “minacciarlo”, come scrive la stampa corazziera, ma ha ordinato una strage come a Capaci e in via D’Amelio: “Questo Di Matteo non se ne va, gli hanno rinforzato la scorta, e allora se fosse possibile ucciderlo, un’esecuzione come a quel tempo a Palermo. Organizziamola questa cosa, facciamola grossa e non parliamone più”.
Era il 16 novembre 2013.
In 12 mesi il capo dello Stato, pur così ciarliero fra esternazioni e moniti, non ha trovato due parole di solidarietà per questo servitore dello Stato.
Nemmeno quando se l’è ritrovato davanti per testimoniare sulla trattativa Stato-mafia, e ha ricordato quando Cosa Nostra voleva far la pelle a lui e a Spadolini.
Nemmeno ieri, quando Repubblica ha rivelato che una fonte “molto attendibile” ha raccontato (con le stesse parole di un’altra fonte che nel giugno ’92 preannunciò la strage di via D’Amelio) che “a Palermo è già arrivato il tritolo per Di Matteo”.
Due mesi fa anche il Pg Roberto Scarpinato, che sostiene l’accusa nel processo d’appello al gen. Mori per la mancata cattura di Provenzano, ha subìto minacce gravissime: uomini del cosiddetto “Stato” si sono introdotti nel suo ufficio e nel corridoio antistante per lasciare una lettera di avvertimenti sulla sua scrivania e la scritta “Accura” (attento) sulla porta di fronte alla sua stanza, nella certezza di non essere ripresi dalle telecamere di sorveglianza.
Diversamente dai due marò, questi magistrati non hanno diritto alla solidarietà del capo dello Stato, forse perchè non sono accusati di duplice omicidio.
Le tv perlopiù ignorano queste notizie e i giornali, quando ne parlano, le trattano come normale routine.
Anzi, su Libero si leggono articoli infami che irridono a quei magistrati in pericolo come se le minacce e le condanne a morte se le inventassero loro.
E sul Foglio, già noto per aver beatificato gli Squillante e i Carnevale, è partita un’ignobile campagna perchè a Palermo arrivi un nuovo procuratore che assicuri l’isolamento dei pm della Trattativa più ancora di quanto già non facciano molti loro colleghi.
A luglio il vecchio Csm si accingeva a nominare l’attuale procuratore di Messina Guido Lo Forte, già braccio destro di Caselli ai tempi d’oro degli arresti di centinaia di boss e dei processi Andreotti, Dell’Utri, Contrada, che in commissione si era imposto con tre voti su Sergio Lari, procuratore di Caltanissetta, e Franco Lo Voi, ex rappresentante italiano a Eurojust, che avevano raccolto un solo voto a testa perchè meno titolati (soprattutto Lo Voi, che ha 9 anni meno degli altri due e non ha mai diretto un ufficio giudiziario).
Ma intervenne a gamba tesa il Quirinale con un’incredibile lettera del segretario Donato Marra, che bloccò la nomina imponendo — fatto mai accaduto — di dare la precedenza ad altre 25 sedi giudiziarie vacanti: cioè di seguire un inedito “ordine cronologico”, partendo dal fondamentale Tribunale dei minori di Caltanissetta.
Ora il Foglio — non smentito da nessuno — rivela che il vicepresidente del nuovo Csm, l’ex sottosegretario di Renzi Giovanni Legnini, “deve interpretare un indirizzo che arriva da Palazzo Chigi” e dal Colle: “imporre discontinuità con l’attuale gestione di matrice ingroiana” con “l’affermazione di uno degli ultimi due candidati (Lari, grande critico dell’impostazione data alla trattativa Stato-mafia, è favorito ma la partita è aperta)”.
Lo chiedono “i figli del Nazareno”.
Quindi: il governo vuole scegliersi il procuratore di Palermo in barba alla Costituzione e alla divisione dei poteri; pretende che sia il più lontano possibile dai pm che rischiano la pelle col processo sulla Trattativa; e il Csm, che dovrebbe tutelarli, deve isolarli vieppiù.
Come accadde a Falcone prima dell’Addaura e di Capaci e a Borsellino prima di via D’Amelio.
La trattativa è viva e lotta insieme a loro.
Se il Csm non avrà uno scatto d’orgoglio per respingere queste ributtanti pressioni, ci sarà solo da vomitare.
Marco Travaglio
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Novembre 13th, 2014 Riccardo Fucile
LE RIVELAZIONI DEL BOSS: “TRITOLO A PALERMO O BAZOOKA A ROMA”… TENSIONE IN PROCURA SUL RISCHIO ATTENTATO
Un mafioso di rango, da qualche mese detenuto, ha svelato il progetto di attentato nei confronti del sostituto
procuratore Nino Di Matteo.
È lui il confidente d’eccezione che nei giorni scorsi ha fatto scattare l’ultima allerta nell’antimafia, rivelata ieri da Repubblica.
Ha spiegato di volersi togliere un peso dalla coscienza. Perchè anche lui è stato parte di quel progetto, così dice. E parla di un summit fra i boss più in vista di Cosa nostra, in cui si sarebbe discusso delle modalità operative dell’attentato.
Secondo la fonte, i mafiosi avrebbero preso in considerazione due opzioni per colpire Di Matteo: esplosivo a Palermo o bazooka e kalashnikov a Roma.
Adesso, i magistrati hanno chiesto agli investigatori della Dia di approfondire tutti gli spunti offerti dalle nuove inaspettate dichiarazioni.
Non è facile, soprattutto perchè il boss continua a rifiutare qualsiasi prospettiva di collaborazione ufficiale con la giustizia. E, dunque, non vuole svelare i nomi dei suoi complici. Qualche indicazione arriva però dall’ultimo pentito di mafia, Antonino Zarcone: ha spiegato che «già nel 2008 era arrivato un ordine di morte dal carcere per Di Matteo, ma il capomafia di Bagheria Pino Scaduto si rifiutò di eseguire l’attentato nel suo territorio, dove il pm trascorreva le vacanze»
Non usa mezzi termini il procuratore aggiunto Vittorio Teresi: «Abbiamo paura, sì. Lo ammetto. E siamo preoccupati. Si dice che il tritolo sia pronto, mettetevi nei nostri panni. Queste notizie creano tensione e ansia anche nei nostri familiari. Ma raccogliamo la sfida a continuare ».
Il coordinatore del pool trattativa si dice «soddisfatto» per l’attenzione manifestata dal Viminale nei confronti dell’ultima allerta sicurezza: a Palermo, sono arrivati gli esperti delle teste di cuoio di polizia e carabinieri.
Teresi parla però di «isolamento » dei pm del pool trattativa, e chiama in causa «saggi e commentatori ». Dice: «Veniamo dipinti come dei pazzi visionari. Le dichiarazioni di taluni opinion makers ci isolano. Io accetto tutte le critiche, ma devono essere in buona fede e informate».
E se la prende con l’ex componente del pool antimafia, Giuseppe Di Lello, anche lui poco tenero con il processo di Palermo: «Forse, non legge il codice da tanto tempo», dice Teresi.
Ma le critiche al pool arrivano anche da altri pm di Palermo.
«Pure questo clima interno mi preoccupa», aggiunge Teresi, che auspica al più presto la nomina del procuratore capo e invita il Csm a scegliere un candidato che condivida fini e strumenti del processo trattativa.
Intanto, in procura, continua ad esserci tensione attorno ai pm del caso Stato-mafia.
Ogni questione che li riguarda diventa terreno di divisioni piccole e grandi. L’ultima polemica è proprio sul rischio attentato per Di Matteo. Il procuratore reggente Leonardo Agueci prima lo smentisce, poi qualche ora dopo corregge: «Rischio attuale e intenso, lo seguiamo con grande apprensione e determinazione».
A Di Matteo è arrivata la solidarietà del presidente della commissione antimafia Bindi e del Csm.
Da New York, il ministro della Giustizia Orlando ha telefonato al procuratore Scarpinato per verificare lo stato delle misure di sicurezza attorno ai magistrati di Palermo.
Salvo Palazzolo
(da “il Fatto Quotidiano”)
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