Gennaio 10th, 2015 Riccardo Fucile
NERVOSISMO PER GLI 81 DIPENDENTI VICINI AL LICENZIAMENTO, ABOLITO ANCHE L’ALBERO DI NATALE IN SEDE
Tutti da Silvio in pullman. Anche se le casse del partito sono vuote, i dipendenti sull’orlo del
licenziamento e l’ordine è tagliare fino all’osso, perchè l’unto dal Signore non unge più.
Nel retropalco di Forza Italia è tempo di ira (silente) per i lavoratori del partito e di imbarazzo per qualche dirigente.
La miccia è l’evento del prossimo 14 gennaio a Roma “SiAmo l’Italia” (grafia dello slogan), in cui Silvio Berlusconi incontrerà i club Forza Silvio della penisola.
Il luogo del raduno sarà l’auditorium del Divino Amore, noto santuario mariano.
E così fervono preparativi, per far sì che il presidente di Forza Italia abbia una platea degna.
Sicchè però sorge un problema: chi paga, visto che per organizzare un singolo autobus bisogna sborsare fino a 2.000 euro?
“La manifestazione del 14 potrebbe costare tra i 60 e i 70 mila euro” riassume un parlamentare forzista di lungo corso.
A disagio, perchè l’evento stride con il rosario di guai del partito: “Non abbiamo più un centesimo in cassa: 43 dipendenti sono in cassa integrazione (tutti ex lavoratori del Pdl, ndr), altre decine di fatto trattano la buonuscita. Come faremo a trovare i soldi per tutti questi pullman? E comunque, perchè non usarli per pagare i lavoratori almeno per qualche mese?”.
Ma i nodi non finiscono qui: “Quello di mercoledì viene dipinto come un incontro tra il presidente e i Club di tutta Italia. Ma a fronte dei 600 ufficiali, i Club con una vera sede saranno meno di 40. Dovremo mobilitare tutti gli iscritti veri, e forse qualcun altro”.
I dubbi del parlamentare si incrociano con le notizie delle ultime settimane sullo stato comatoso dei bilanci forzisti.
“Uccisi” dal taglio dei fondi pubblici ai partiti e dal cambio di linea di Berlusconi, non più disposto a coprire le spese con i fondi di famiglia.
E allora via ai tagli, su tutti e tutto.
Quest’anno nella sede romana di San Lorenzo in Lucina non hanno fatto neppure l’albero di Natale. Aboliti anche i biglietti di auguri.
Un lontano ricordo, i blitz natalizi di Silvio, che negli anni del berlusconismo ruggente si palesava di persona per colmare di doni collaboratori e dipendenti.
Ora gli 81 dipendenti vedono da vicino il baratro del licenziamento. Tanto da aver aperto un apposito e visitatissimo sito, licenziatidasilvio.it  , in cui aggiornano la cittadinanza sulle loro disavventure.
Sul Messaggero del 22 dicembre scorso, l’amministratrice di Forza Italia Mariarosaria Rossi assicurava: “Ho trovato conti per niente buoni, ma non licenzieremo i dipendenti”.
I lavoratori però non si fidano, e l’evento del 14 li avrebbe innervositi ulteriormente.
Il Fatto ne avrebbe parlato volentieri con il coordinatore nazionale dei club Forza Silvio, Marcello Fiori. Ma Fiori, dopo aver chiesto di essere richiamato, ha fatto sapere di essere impossibilitato perchè impegnato nel convegno di Forza Italia “Neve azzurra”.
Luca De Carolis
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Gennaio 10th, 2015 Riccardo Fucile
PIU’ CHE UN COMMANDO “PERFETTAMENTE ADDESTRATO” LA VICENDA FRANCESE HA ASSUNTO CONTORNI DA COMMEDIA DI LOUIS DE FUNES
Vauro immagina i vignettisti di Charlie Hebdo che, appena saliti nel paradiso islamico, si trombano tutte le vergini promesse ai kamikaze.
A noi piace figurarceli affacciati a una nuvoletta mentre sghignazzano rivedendo il raid che li ha portati all’altro mondo.
Una tragedia che solo la pietà e il politically correct ci impediscono di guardare con gli occhi della satira.
Una scena a metà fra I soliti ignoti con Totò, i film dell’ispettore Clouseau con Peter Sellers e quelli di Louis de Funès tipo Tre uomini in fuga, Sei gendarmi in fuga e la serie di Fantomas.
Mentre in Italia i soliti esperti pràªt-à -porter di nonsisachè, assisi h24 nei talk show con le piaghe da decubito, esaltavano il commando “perfettamente addestrato” e “altamente professionale”, il non plus ultra dell’efficienza terroristica e della “geometrica potenza”, si scopriva che i due macellai di boulevard Richard Lenoir avevano, nell’ordine: sbagliato il numero civico dell’obiettivo, perso una scarpa durante la fuga e infine lasciato una carta d’identità sull’auto abbandonata.
Come a dire alla polizia francese: se non ci prendete subito siete proprio una civiltà inferiore; o volete pure un selfie?
I gendarmi, dal canto loro, facevano di tutto per eguagliare e persino superare l’imperizia del commando, buono solo a sparare col kalashnikov su cittadini inermi (e ci mancherebbe pure), infilando una serie di errori da prima elementare del corso di perfetto poliziotto.
In questo aiutati dagli agenti segreti più fantozziani della storia.
Nessun servizio di osservazione sul prode Cherif che già nel 2005 annunciò a France3 l’intenzione di farsi esplodere, poi fu fermato in partenza per la Siria con destinazione Iraq, poi fu condannato a 3 anni e dopo 18 mesi uscì.
Niente camionetta dinanzi al giornale più a rischio di Francia.
Al primo allarme, l’invio di un agente in bicicletta. Poi la scelta di affidare le indagini alla Polizia anzichè all’Antiterrorismo.
Infine la figuraccia mondiale di 88 mila uomini che per un paio di giorni non riescono a stanarne due.
E così abboccano a un vecchio trucco-diversivo da serie tv (vedi Homeland) e lasciano sguarnita Parigi, dove il terzo uomo (con fidanzata) uccide una vigilessa e completa l’opera indisturbato nel market ebraico.
Intanto i servizi segreti del geniale Hollande, affidati a Clouseau o all’ispettore Dreyfus (quello che si pugnala col tagliacarte e si amputa un dito col trinciasigari), danno la colpa alla Cia.
Poi ammazzano tutti e morta lì. Una collezione di cialtronerie che i vignettisti in paradiso staranno immortalando per un numero speciale di Charlie Hebdo.
Se poi Lassù arrivasse il segnale delle tv italiane, ne verrebbe fuori un almanacco extralarge.
Il presunto ministro Alfano che annuncia “una legge per punire quelli che intendono arruolarsi per diventare terroristi” (già al lavoro battaglioni di mentalisti e fattucchieri esperti nella lettura del pensiero).
Giuliano Ferrara che ha la soluzione pronta: “Impiccare quel panzone del califfo e mandare 2-300 mila uomini a bombardare l’Isis” e, si presume, si offre volontario per il primo sgancio.
Il noto islamologo Matteo Salvini che spiega a Sky come l’estremismo musulmano derivi “da un’errata interpretazione della Torah” (il libro sacro degli ebrei che lui confonde col Corano, forse per qualche reminiscenza nibelungica del dio Thor, figlio di Odino, nel cui culto furono maritati da appositi druidi padani il Calderoli e il Castelli).
E poi, meraviglia delle meraviglie, Pigi Battista che sul Corriere addita Vauro (ma pure Saramago, Ellekappa, Chiesa e Ruotolo) come nemico di Charlie Hebdo per aver osato criticarne alcune vignette “islamofobe” che “possono provocare reazioni violente”.
Ergo — ammonisce il Battista — “chi criticò nel 2006 si astenga ora dalla virtuosa identificazione con le vittime del massacro”.
Peccato che nel 2006 anche un giornalista del Corriere invocasse “un supplemento di attenzione per scorgere qualcosa di repellente in quelle vignette”. Indovinate chi era? Pigi Battista. Il bue che dà del cornuto all’asino. Anzi, viceversa.
Mentre a Parigi si spara al grido di “Allah akbar”, Roma risponde e pie’ fermo: “Annamo ar bar”.
Marco Travaglio
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Gennaio 10th, 2015 Riccardo Fucile
L’AGENZIA INDIANA SUL TERRORISMO RIBADISCE LA SUA TESI… OGGI A NEW DELHI ARRIVA BAN KI-MOON
Il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon arriva in India per tre giorni e vi giunge
«preoccupato» per la crisi legata ai fucilieri di Marina Massimiliano Latorre e Salvatore Girone che da ormai quasi tre anni ha messo in sofferenza le relazioni italo-indiane.
Solo qualche giorno fa, il portavoce dell’Onu Stephane Dujarric aveva sottolineato che Ban ritiene «importante per entrambe le parti cercare di raggiungere una soluzione ragionevole e reciprocamente accettabile» in quanto teme fortemente che «la questione potrebbe danneggiare gli sforzi per la pace e la sicurezza internazionale».
La tesi della Nia indiana
Il ministero dell’Interno dell’India, però, attraverso la Nia, Agenzia investigativa nazionale, insiste nella sua tesi: i due marò italiani, Latorre e Girone, spararono al peschereccio indiano St Anthony «senza aver subito alcuna provocazione, senza aver lanciato prima alcun segnale di avvertimento e quando ormai l’imbarcazione era a 125 metri di distanza e dunque non poteva certo esser confusa con una lancia di pirati».
Tesi che al momento non sono state recapitate alla Corte suprema indiana, in quanto l’Italia ha contestato la giurisdizione stessa dell’Agenzia poichè l’incidente accadde in acque internazionali e non nazionali.
Detto per inciso, la Nia è l’organo antiterrorismo per eccellenza dell’India, e se mai la Corte suprema riconoscesse la sua competenza, per Latorre e Girone si spalancherebbero le porte a un’accusa da pena di morte
«Fu omicidio
Secondo quanto riferisce il quotidiano «The Economic Times», la Nia è pronta a sostenere davanti alla Corte che i due marò italiani avrebbero commesso un omicidio vero e proprio. «Spararono al peschereccio senza alcuna provocazione e senza alcuna indicazione che potesse fare pensare a una nave pirata. Non furono lanciati colpi di avvertimento nè mini-razzi per mettere in guardia i pescatori. E furono sparati 20 colpi da armi automatiche».
Il rapporto finale della Nia, comunque, non è stato ancora depositato.
Il rapporto – scrive il quotidiano – contiene anche riferimenti alle presunte violazioni di Latorre e Girone alla linee-guida comportamentali delineate dall’Organizzazione internazionale marittima in materia di lotta alla pirateria, che indicano come si riconosce un’imbarcazione di pirati. «E il peschereccio non aveva quelle caratteristiche».
La fonte interpellata dal quotidiano di New Delhi sostiene anche che i due marò fossero alla loro prima missione a bordo della Enrica Lexie, «apparentemente non ben addestrati per fronteggiare questo tipo di emergenze».
La Nia lamenta pure le fasi dell’interrogatorio di Latorre e Girone: «Poichè erano stati istruiti a non parlare, non ci hanno dato alcuna risposta»
Ieri Latorre, dopo l’intervento al cuore di lunedì scorso, è stato trasferito in un’altra struttura sanitaria di Milano per proseguire gli accertamenti clinici, mentre si avvicina la data (12 gennaio) in cui dovrebbe far rientro in India.
Francesco Grignetti
(da “La Stampa“)
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Gennaio 10th, 2015 Riccardo Fucile
EX TROMBATI PDL E DC, AMICI DI LOMBARDO E CUFFARO E RAS LOCALI
Ci sono i militanti di Casa Pound, convinti di aver trovato il loro messia, e gli ex giovani del Pdl, ormai delusi dal mito decaduto di Silvio Berlusconi, più una serie di politicanti di lungo corso che hanno cavalcato l’onda recente dei movimenti indipendentisti e adesso cercano un nuovo cavallo vincente per mantenersi a galla. Tutti insieme, radunati sotto le bandiere di Matteo Salvini, il leader della Lega Nord, l’uomo nuovo della destra italiana.
Non siamo a Pontida, e non è un raduno del Carroccio, non ci sono costumi celtici e Alberto da Giussano da queste parti è praticamente un carneade: siamo in Sicilia. Archiviati gli slogan contro i meridionali, sostituiti da quelli anti immigrati, il leader leghista sta disperatamente cercando di ampliare la sua base elettorale. Un’operazione che sembrava impossibile solo pochi anni fa, quando la Sicilia era il simbolo additato nei comizi secessionisti di Umberto Bossi.
Si chiama Noi con Salvini, è la costola siciliana della Lega Nord e da settimane rimbalza un po’ ovunque sui social network.
A guidarlo c’è un democristiano di lungo corso: Angelo Attaguile.
Ex presidente del Catania calcio negli anni ’80, figlio dello storico senatore democristiano Gioacchino Attaguile, andreottiano di lunga data e due volte sottosegretario alle Finanze nei governi Rumor e Colombo, Attaguille junior è legato a doppio filo con l’ex governatore della Sicilia Raffaele Lombardo, condannato in primo grado a sei anni e otto mesi per concorso esterno.
Come l’ex presidente, Attaguile è nato a Grammichele: ed è sempre insieme a Lombardo che inizia a militare nella Dc sin da quando aveva i pantaloncini corti.
Poi nel 2013 l’approdo alla Camera, nascosto nella lista Pdl in Campania, ma indicato dal Mpa dell’amico Lombardo.
Sbarcato a Montecitorio, Attaguile apre subito una linea di credito con la Lega: è infatti il ventesimo deputato che garantisce al Carroccio di mantenere un gruppo autonomo alla Camera.
Ora, il deputato etneo è passato alla cassa, rivendicando per sè il ruolo di leader del neonato movimento Noi con Salvini.
E le spara grosse_ “Potenzialmente potremmo andare oltre il 10 per cento, anche il 15, o forse anche più su” dice, preparando la prima convention siciliana del neonato movimento filo leghista: l’appuntamento è per sabato pomeriggio al Grand Hotel delle Palme di Palermo.
A serrare le fila dei Salviniani di Sicilia arriveranno i giovani di Casa Pound, attivi sia nel capoluogo che nella parte orientale dell’isola, ma anche alcuni ex esponenti dei movimenti giovanili del Pdl. Primo tra tutti Felice D’Angelo, consigliere comunale a Trapani.
“Che ci fa un siciliano con la Lega Nord? In effetti detta così è paradossale” si schernisce il diretto interessato, che poi diventa esilarante quando afferma che “Salvini è un grande leader moderato”.
Non ci sono, però, soltanto i giovani di Casa Pound e gli ex supporter di Berlusconi pronti a gettarsi in campagna elettorale per Salvini.
Osservano con interesse il nuovo movimento filo leghista anche alcuni vecchi tromboni della politica siciliana.
Come Pippo Gennuso, tre legislature da deputato all’Assemblea regionale siciliana sotto le bandiere del Movimento per l’Autonomia, già indagato dalla procura di Palermo per concorso in falso, “trombato” alle ultime elezioni, e poi rieletto nel turno supplettivo di Pachino e Rosolini, ordinato dopo che si erano perse le schede votate nel 2012.
“Il movimento Salvini? Sono molto interessato, è un bel progetto e ci vuole un partito nuovo. Le parole di Bossi? Tempi che furono: e poi Attaguile è un amico” dice il deputato di Siracusa.
“Il suo progetto interessa tra l’altro a diversi altri deputati”. Chi? “Colleghi — spiega — che hanno condiviso l’esperienza del Movimento per l’Autonomia”.
Un nome su tutti: l’ex deputato nazionale Giuseppe Arena. Come dire che a breve tra i leghisti di Sicilia potrebbero materializzarsi gli stessi rà s delle preferenze che fecero la fortuna di Lombardo e ancora prima di Totò Cuffaro.
Tutti insieme sotto il sole delle Alpi e l’effige di Alberto da Giussano, addentando un cannolo e cantando Va Pensiero con strettissimo accento siciliano.
Giuseppe Pipitone
(da “il Fatto Quotidiano)
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Gennaio 10th, 2015 Riccardo Fucile
CORRE IN SUO AIUTO ANCHE LA PINOTTI, MA BERSANI E FASSINA SI SCHIERANO CON COFFERATI
A quarantott’ore dalla proclamazione del vincitore, le primarie del Partito democratico il Liguria
continuano a lacerare gli uomini del Nazareno.
La miccia è stata innescata dalla decisione di Raffaella Paita, candidata sostenuta dal mondo renziano, Claudio Burlando in primis, di non rifiutare il sostegno palese di esponenti del Nuovo centrodestra e del mondo legato all’ex plenipotenziario locale di Forza Italia Claudio Scajola
È proprio il governatore uscente a gettare benzina sul fuoco: “Ci siamo sempre lamentati quando scappavano gli elettori – ha spiegato Burlando – e ora ci lamentiamo perchè ne vengono di nuovi? Francamente non lo capisco”.
Il fronte che sostiene il principale candidato avversario della Paita, Sergio Cofferati, contesta vivacemente questa impostazione: “Il punto non è allargare l’elettorato – spiega uno dei grandi elettori dell’ex segretario della Cgil – ma fare accordi organici con la destra nell’ambito di primarie che sono del centrosinistra”.
Il Cinese continua a picchiare duro: ieri i toni durante il confronto televisivo trasmesso dall’emittente locale Primocanale si sono accesi sfiorando la rissa verbale. Ma ha smentito le voci che si stavano diffondendo ieri tra i suoi sostenitori: “Non chiederò l’annullamento, non lo farò in nessun caso”.
Tentativi di non portare lo scontro fin sopra il livello di guardia.
Così come ha cercato anche di fare l’altra candidata. “Se Lella dovesse essere presidente, rinuncerò a qualsiasi incarico in Liguria”, ha spiegato Luigi Merlo in un’intervista al Secolo XIX.
Cercando di disinnescare un’altra polemica che ha scaldato gli animi, quella del conflitto d’interesse che lo riguarderebbe in quanto contemporaneamente presidente del porto di Genova e marito della Paita.
Ma oggi è stata soprattutto la giornata in cui “la ditta” è scesa in campo al fianco di Cofferati.
“Quando ho lasciato la segreteria del Partito democratico ho detto che dovevamo stabilire se il Pd voleva essere un soggetto politico autonomo o uno spazio politico aperto alle incursioni di chiunque”, ha scritto Pierluigi Bersani sul suo profilo Facebook.
“Quello che sta succedendo attorno alle primarie liguri di domenica prossima – ha aggiunto – fa temere che stia avanzando la peggior soluzione possibile a quel dilemma. C’è da augurarsi che, salvaguardando l’apertura e la partecipazione, ci siano ancora il tempo e la forza per reagire a una deriva che farebbe del Pd uno spazio indistinto e senza un profilo proprio e autonomo”.
Stessa linea per Stefano Fassina: “È davvero preoccupante per il futuro del Pd e della Liguria la disinvoltura con la quale si tenta una virata a destra del governo della Regione attraverso l’utilizzo improprio di uno strumento a disposizione degli elettori del centrosinistra o di cittadini convinti di votare per il centrosinistra”.
È proprio l’ex viceministro all’Economia che rilancia l’ipotesi di un intervento forte da parte della segreteria nazionale per scongiurare l’annullamento della consultazione: “Il rischio di inquinamento delle primarie della Liguria ha rilievo nazionale e la segreteria nazionale del Pd deve intervenire per evitare di compromettere la legittimità del passaggio”.
I sondaggi interni danno la Paita in vantaggio in tutte le province, con una maggiore incertezza a Genova.
Proprio sotto la Lanterna Cofferati terrà uno degli eventi conclusivi della campagna elettorale. Al suo fianco l’eurodeputata lettiana Alessia Mosca.
Ma il piatto forte dovrebbe arrivare alle 21.00 a La Spezia, quando è atteso l’arrivo di Andrea Orlando.
La presenza del ministro, che oggi ha preso posizione nella contesa, spiegando che “far diventare le primarie un momento in cui definire scenari politici di valenza nazionale non aiuta”, sarebbe la risposta a quella di Roberta Pinotti, in città l’altro ieri per sostenere la Paita.
Ma potrebbe non bastare.
I cofferatiani continuano a parlare di “appoggio decisivo della destra, soprattutto a Imperia (storico feudo di Scajola n.d.r.) ma non solo”.
E criticano “la toppa” che oggi ha provato a mettere l’Ufficio amministrativo locale, che ha stabilito che “i dirigenti nazionali, regionali, provinciali e locali, compresi gli amministratori, che ricoprono incarichi riconosciuti in partiti che non appartengono alla coalizione di centrosinistra” non potranno partecipare al voto.
“Staranno a casa e manderanno i loro elettori, la sostanza non cambia”, spiegano. Prefigurando un weekend tutt’altro che tranquillo.
(da “Huffingtonpost“)
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Gennaio 10th, 2015 Riccardo Fucile
IL PIANO DEL RIORDINO DEFINITO “IRRAZIONALE, INCOMPLETO E CONTRADDITTORIO”…”TROPPE RIDUZIONI INDIFFERENZIATE SENZA VALUTARE I RAPPORTI COSTI-BENEFICI”
Altri tagli alla pubblica amministrazione si tradurranno in meno servizi per i cittadini. A segnalarlo è la Corte dei Conti, che in una relazione avverte che, nel caso di ulteriori interventi, la scarsità di risorse umane potrebbe “non consentire una adeguata cura dei servizi, circostanza peraltro già segnalata da alcune strutture amministrative”. Il risultato del controllo svolto dai magistrati contabili sui risultati della revisione della spesa e della riorganizzazione della P.A. — avviata nel 2008 con la riforma Brunetta e proseguita con il governo Monti – arriva proprio mentre in Commissione Affari Costituzionali del Senato, dopo quasi due mesi di stop, riparte l’esame del ddl di riorganizzazione firmato dal ministro Marianna Madia, su cui la Corte aveva già espresso diverse perplessità .
Da un lato, evidenzia la relazione, “la ridefinizione degli assetti organizzativi” prevista da diverse norme di legge deve ancora essere completata perchè mancano molti decreti ministeriali e “il succedersi dei governi non ha consentito di impartire tempestive indicazioni in merito alla ripartizione dei tagli sulle articolazioni dei Ministeri”.
Dall’altro quanto fatto finora è all’insegna della “irrazionalità “.
Infatti la riorganizzazione dei ministeri ha prodotto prima di tutto tagli “indifferenziati” a cui sono seguiti (anzichè viceversa, come auspicabile) gli adattamenti delle strutture, allontanando l’obiettivo di razionalizzazione.
Tanto che il piano complessivo risulta a oggi caotico, “incompleto” e “contraddittorio“. Improntato a “irrazionalità ”, appunto.
Soprattutto se in futuro saranno adottate proposte che “vanificano il risultato finora raggiunto in materia di assetti organizzativi o adottano istituti e criteri già sperimentati, come nel caso del ruolo unico dirigenziale“.
La Corte ricorda poi le continue modifiche alla normativa, anche per decreto legge, e “le conseguenti incertezze e i ritardi attuativi”.
In più “la razionalizzazione dell’organizzazione dei Ministeri attraverso la revisione della spesa è di fatto stata ‘vanificata’ dall’introduzione di riduzioni indifferenziate, adottate cioè a prescindere dal contesto di un’adeguata valutazione del rapporto tra attribuzioni intestate, risorse impiegate e servizi da rendere”.
I famosi “tagli lineari”, opposti a una oculata revisione della spesa come quella proposta dall’ex commissario Carlo Cottarelli e mai attuata.
Serve “stabilità “, scrive la Corte, per ridefinire l’assetto della Pa “in linea con i principi costituzionali“.
Infine i magistrati presieduti da Raffaele Squitieri raccomandano che alla definizione del processo di riassetto “si affianchi l’adozione delle misure necessarie per adeguare il sistema di contabilità economico-finanziaria alla mutata riorganizzazione”.
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