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SONDAGGIO DEMOPOLIS: SCENDE IL PD 36,3%, SALGONO M5S 19,7% E FORZA ITALIA 15,8%, CALANO LA LEGA 13% E FRATELLI D’ITALIA 3,3%

Gennaio 25th, 2015 Riccardo Fucile

SCENDE DI ALTRI 4 PUNTI LA FIDUCIA NEL PREMIER RENZI

Viviamo tempi tragici, segnati dal sanguinoso assalto a Charlie Hebdo, due settimane fa. Mentre in Italia ci attendono scelte meno drammatiche ma, comunque, determinanti per il nostro futuro. Anzitutto, l’elezione del Presidente della Repubblica e l’approvazione della nuova legge elettorale.
Eppure il clima d’opinione, rilevato dal sondaggio di Demos per l’Atlante Politico, non fa emergere eccessivi turbamenti.
Semmai, alcuni cambiamenti, non del tutto prevedibili. E solo in parte coerenti con la fase recente.
Il Pd, nelle stime di voto, pur perdendo qualcosa rispetto a un mese fa, resta sopra il 36%. Tutti gli altri seguono a grande distanza.
Per primo, il M5s. Nonostante le tensioni e le divisioni interne, è risalito, di poco. E sfiora il 20%.
Ma le maggiori novità  si osservano nel centro-destra.
Forza Italia, dopo il declino degli ultimi mesi, è risalita di oltre due punti. Ora è vicina al 16% (15,8%).
Ma, soprattutto, lascia indietro la Lega di Salvini. Sembrava in corsia di sorpasso. Inarrestabile. E invece si ferma al 13%. Un po’ meno di un mese fa.
Tutte le altre forze (e aree politiche) stazionano, sulle posizioni precedenti.
Ad eccezione di Sel e della Sinistra, che arretrano di oltre 2 punti. Attestandosi sul 4%
Si tratta, ripeto, di tendenze in parte inattese.
Partiamo dalla Lega. L’ondata emotiva sollevata dall’eccidio di Parigi e dalle tensioni intorno ai flussi migratori non sembra averne alimentato i consensi. Anche se, in effetti, nell’ultimo anno, sono aumentati i timori suscitati dagli sbarchi.
E dalla presenza degli immigrati. Percepiti come una minaccia all’ordine pubblico (34%), all’identità  religiosa (30%), ma soprattutto all’occupazione (36%).
A conferma che le preoccupazioni maggiori, per i cittadini, vengono dalla crisi economica. Dalla disoccupazione.
Mentre la “minaccia islamica”, il terrorismo non sembrano spaventare troppo. Almeno per ora. Così, la Destra le penista di Salvini lascia spazio alla Destra filogovernativa.
Che oggi non si limita più al Ncd. Ma comprende, appunto, Forza Italia. Silvio Berlusconi. Che, nei giorni scorsi, al Senato, ha garantito i voti necessari alla riforma elettorale.
Berlusconi, d’altronde, ha ripetuto, anche di recente, l’auspicio di poter guidare la corrente azzurra del Partito della Nazione.
Traduzione politica dell’accordo stretto, giusto un anno fa, da Renzi e Berlusconi.
Il Patto del Nazareno: PdN. La stessa sigla del “Partito della Nazione”.
Una prospettiva che sembra avere restituito fiato a Berlusconi e a Fi.
Mentre sta sollevando qualche problema di consenso al governo e al premier. E qualche dubbio fra gli elettori del Pd.
Secondo l’Atlante Politico di Demos, infatti, il gradimento del governo sarebbe sceso al 42% e la fiducia nei confronti di Matteo Renzi al 46%. In entrambi i casi, si tratterebbe di un calo di 4 punti in un mese. Ma di oltre 10, rispetto a settembre e di quasi 30% rispetto a giugno.   All’indomani della vittoria alle Europee. Il momento di massimo consenso per Renzi e il suo governo. I quali, evidentemente, soffrono le conseguenze della crisi.
Il Jobs Act, la principale riforma avviata per dare risposta ai problemi dell’occupazione e del mercato del lavoro, non ha ancora prodotto effetti visibili. Ma ha, invece, aperto divisioni profonde, nella società  e nei rapporti con il sindacato.
Così, dopo tante attese, questo è il tempo della delusione e del dissenso.
Che appannano l’immagine di Renzi e del suo governo. E alimentano la base elettorale del M5s. Megafono e amplificatore del disagio. Politico e sociale.
Renzi, peraltro, appare incalzato dal dissenso che sale dalla sinistra del Pd.
Dove il malessere verso il PdN e, soprattutto, verso il leader della corrente azzurra risulta ampio e visibile. Il gradimento di Berlusconi fra gli elettori del Pd è, infatti, limitato al 12%.
Fra gli altri leader   –   per grado di “sfiducia”   –   lo supera solo Grillo. Semmai, è interessante osservare come lo stesso Nichi Vendola disponga, nella base democratica, di un consenso ridotto: 23%. Simile a quello di Giorgia Meloni e Matteo Salvini.
Anche se il leader di Sel è tra i riferimenti del nuovo soggetto politico di sinistra a cui guardano i parlamentari e i militanti del Pd in polemica e dissenso con Renzi   –   e il suo PD (R).
Il sondaggio di Demos, però, suggerisce che, per ora, queste divisioni interne non abbiano indebolito il Pd.
Che mantiene un livello di consensi molto elevato. Nettamente superiore agli altri partiti.
Lo stesso Renzi, il segretario-premier, ha visto il proprio consenso personale indebolirsi sensibilmente, negli ultimi mesi. Ma resta ancora nettamente al di sopra di tutti gli altri leader. “Inseguito” (a distanza) solo da Salvini. Mentre, sul piano politico ed elettorale, l’opposizione al Pd è condotta, principalmente, dal M5s e dalla Ligue Nationale, di Salvini.
A sinistra, invece, l’attuale offerta politica non appare ancora in grado di attrarre   –   e allargare   –   il dissenso interno al Pd. Così, per quanto indeboliti, Renzi e il Pd (R) sembrano ancora senza alternativa. E senza opposizione.
O meglio, sfidati da un’opposizione anti-europea e/o xenofoba (nel caso della Lega) che, per questo, difficilmente possono presentarsi come alternativa “di governo”. In Italia e, ovviamente, in Europa.
D’altro canto, Renzi guida una maggioranza a “geometria variabile”. Che gli permette di surrogare le defezioni interne con il sostegno di altri soggetti politici, per ora, esterni al Pd. Come Berlusconi. Appunto.
Insomma, Renzi governa questo “Paese impreciso” (come lo ha definito Edmondo Berselli) sfruttando le altrui debolezze.
Ma ciò rischia di indebolire anche lui. Perchè gli offre un consenso senza fiducia, fondato sulla sfiducia negli altri.
D’altronde, è il segno del nostro tempo. Il tempo della sfiducia.

Ilvo Diamanti
(Da “La Repubblica”)

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UN UOMO SOLO SUL VIDEO: RENZI VA IN TV PIU’ DI BERLUSCONI QUANDO ERA PREMIER

Gennaio 25th, 2015 Riccardo Fucile

CERTIFICATO DALL’AGMCOM… E AGLI ALTRI SOLTANTO BRICIOLE

Su cento minuti dedicati alla politica dalle reti Rai nell’ultimo mese (dicembre), 20,36 sono stati occupati dal presidente del Consiglio, 18,83 da esponenti del suo governo e 22,89 da esponenti del suo partito ma non ministri.
Totale: più del 62 per cento.
Mettendo insieme tutte le opposizioni (Movimento 5 Stelle, Forza Italia, Lega, Sel, Fratelli d’Italia etc) non si arriva al 22 per cento.
Sono alcuni dati sul cosiddetto “tempo di antenna” forniti dall’Agcom, che tengono conto anche dei minuti dedicati alle istituzioni e alle altre cariche dello Stato.
Ma, seppur abbastanza impressionanti, i dati di un solo mese possono sembrare insufficienti, sicchè vale la pena di allargare lo sguardo.
Così ad esempio si scopre che nei suoi primi otto mesi di governo (marzo-ottobre 2014) Renzi ha goduto sulla Rai di uno spazio del 50 per cento superiore a quello che si era accaparrato Berlusconi nello stesso periodo, appena tornato premier (giugno 2008-gennaio 2009): nell’occupazione della tivù di Stato quindi il premier attuale ha surclassato l’ex Cavaliere.
Tuttavia Berlusconi non sembra risentirsene, visto che anche sulle reti Mediaset — sempre negli ultimi otto mesi — Renzi ha ottenuto una copertura superiore a quella di tutta Forza Italia, leader compreso.
Regina del renzismo è però La7, che nelle sue news batte tutte le concorrenti per tempo dedicato al premier.
E il 14 gennaio scorso, la rete di Urbano Cairo ha celebrato il primato con l’ospitata nordcoreana dell’ex rottamatore nel salotto di Daria Bignardi, in una puntata in cui la domanda politicamente più incalzante è stata: «Quando aveva vent’anni, come pensava che avrebbe trascorso il suo quarantesimo compleanno?».
Le curiosità  che può destare questo quadro di azzerbinamento catodico sono almeno tre.
La prima riguarda la mutazione avvenuta in Rai.
Una volta nella tivù di Stato era in vigore lo spoil system: ogni nuovo premier metteva i suoi fedeli ai posti di comando, silurando i precedenti. A questo giro non ce n’è stato bisogno: sono diventati tutti renziani all’improvviso, facendo sfigurare anche Paolo di Tarso nella pratica della folgorazione.
La seconda curiosità  riguarda l’interessante gestione della comunicazione implementata dallo spin-doctor Fillipo Sensi, strategia che si potrebbe sintetizzare con lo slogan “non si butta via niente”.
Se infatti pensavamo a Renzi come uomo- Twitter (il che è), Sensi lo ha imposto anche come uomo tivù (ovunque) e pure come uomo carta stampata (con svariate copertine di settimanali popolari). Se ci fossero ancora aedi e cantastorie di strada, Sensi spingerebbe anche con loro.
L’ultima (più dolorosa) curiosità  è la diminuita capacità  reattiva di quella parte del Paese che ai tempi di Berlusconi protestava contro il conflitto di interessi, temendone gli effetti omologanti, e ora invece ritiene accettabile un’omologazione mediatica maggiore.
Viene il dubbio che molti, ai tempi del Cavaliere, non difendessero il principio laico e “categorico” della pluralità  d’informazione, ma volessero solo prendere il suo posto nella colonizzazione del piccolo schermo.

Alessandro Gilioli

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QUEL REGALO ALLA BANCA DI PAPA’ BOSCHI: LA CONSOB INDAGA

Gennaio 25th, 2015 Riccardo Fucile

LA RIFORMA DELLE BANCHE POPOLARI FA GUADAGNARE SOPRATTUTTO QUELLA DELL’ETRURIA …IL VICEPRESIDENTE E’ IL PADRE DELLA MINISTRA CHE NON SI E’ ASTENUTA

Una manina da Londra ha gettato una rete a Piazza Affari e pescato a strascico le Popolari con un tempismo perfetto: giorni prima dell’approvazione della riforma voluta da Matteo Renzi che abolisce il cosiddetto voto capitario e le trasforma in società  per azioni.
Un tempismo che ha già  svegliato la Consob, ora impegnata a ricostruire gli scambi. Un’operazione di verifica non certo semplice, perchè dalla piazza inglese si stendono anche le reti dai paradisi fiscali, e che rischia di causare guai decisamente seri all’esecutivo Renzi nel caso tra i vari investitori internazionali attivi sul mercato individuasse il fondo Algebris di Davide Serra, amico, foraggiatore nonchè guru finanziario del premier.
Il fondo speculativo dell’ex manager Morgan Stanley ha infatti base a Londra. La banca che ha maggiormente beneficiato dello strascico anglosassone è la Popolare dell’Etruria e del Lazio, di cui vicepresidente è Pier Luigi Boschi.
Sì, il papà  di Maria Elena, ministro delle Riforme nonchè direttore generale della fondazione Open che negli ultimi anni ha ricevuto 150 mila euro proprio da Serra.
I cerchi, spesso, si chiudono
Il ministro ha partecipato alla seduta del 20 gennaio in cui è stato approvato il testo del decreto legge sulle popolari, mostrando il fianco a polemiche su un evidente conflitto di interessi.
Caso vuole che pochi giorni prima Movimento 5 Stelle, Sel e una parte del Pd abbiano ritirato fuori e riproposto una legge presentata nel novembre 2013 che all’epoca piaceva tanto anche a Matteo Renzi.
Una proposta di legge avanzata da Pippo Civati per introdurre il conflitto di interessi e il conseguente divieto di partecipare al voto “qualora il coniuge, la persona stabilmente convivente, un parente o un affine entro il secondo grado sia preposto alla cura ai sensi del comma 4 (in qualità  di rappresentante, amministratore, curatore, gestore, procuratore, consulente o in altra posizione analoga, ndr) di un interesse economico privato tale da poter condizionare l’esercizio delle funzioni pubbliche inerenti alla carica ricoperta”.
La proposta, come nel novembre 2013, è stata messa in un cassetto.
Intanto da Londra compravano. Salvando la popolare dell’Etruria, dove oltre al padre lavora anche il fratello di Maria Elena, Emanuele.
Gli acquisti sono iniziati il 15 gennaio. Il decreto, battezzato “investment compact”, è stato annunciato a mercati chiusi il 20 gennaio ma le indiscrezioni erano iniziate a circolare sin dal 16 e il 19 l’agenzia di stampa Reuters ha anticipato il piano nei dettagli.
In quattro giorni la Banca Popolare dell’Etruria ha registrato un balzo del 66 per cento, nonostante i ripetuti stop alla negoziazione per eccesso di rialzo, mettendo fine così ad anni di profonde difficoltà  che l’hanno portata sull’orlo del commissariamento.
Nel gennaio 2010, un’azione valeva 10,69 euro, mentre il 12 gennaio scorso ha registrato il minimo storico: 0,358 euro.
Non che i vertici non abbiano tentato di rivitalizzare l’istituto, anzi: le hanno provate tutte. Un aumento di capitale da 100 milioni appena un anno fa, poi il tentativo (fallito) di fusione con la popolare di Vicenza, la ricerca (andata a vuoto) di nuovi soci di peso per trasformarsi in Spa. Tutto inutile.
Tanto che il Cda a novembre ha approvato i conti consolidati dei primi 9 mesi chiusi con una perdita netta di 126,1 milioni.
E appena un mese dopo la pop ha presentato un durissimo piano di ristrutturazione, annunciando 410 esuberi e tagli al personale per 32 milioni di euro, oltre alla creazione di una bad bank nel tentativo di liberarsi dei crediti deteriorati.
Non solo, dal 2012 la banca è stata al centro di due ispezioni della Banca d’Italia che si sono concluse nel novembre 2014 con una multa complessiva di 2,54 milioni di euro.
La maxi sanzione è a carico di 18 tra componenti ex componenti del collegio sindacale e del cda, tra cui Pier Luigi Boschi.
A lui gli ispettori di via Nazionalehanno comminato una sanzione di 144 mila euro per “violazioni di disposizioni sulla governance, carenze nell’organizzazione, nei controlli interni e nella gestione nel controllo del credito e omesse e inesatte segnalazioni alla vigilanza”.
Da inizio 2013, inoltre, la sua posizione, come quella degli altri amministratori dell’istituto, è al vaglio delle procure di Arezzo e Firenze.
Londra dunque, ma anche Palazzo Chigi.
Sarebbe importante sapere come si è sviluppato l’iter del decreto.
Ieri il Corriere della Sera ha ricostruito che inizialmente il provvedimento era contenuto nel ddl Concorrenza, parcheggiato al ministero per lo Sviluppo economico e in attesa di seguire il normale iter parlamentare.
Renzi ne ha prelevato a sorpresa l’articolo sul voto capitario e l’ha inserito nel decreto Investment compact.
Chi era al corrente di quanto stava facendo il premier? Mario Gerevini ieri dal Corriere ha chiesto “per quante mani è passato il testo?”.
Ma soprattutto: in quali è finito?

Davide Vecchi
(da “Il Fatto Quotidiano“)

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SOTTO ACCUSA LA “GIUSTIZIA” DI RENZI

Gennaio 25th, 2015 Riccardo Fucile

UNITI NELLE CRITICHE

Nei discorsi inaugurali dell’anno giudiziario, a Milano ma anche in tante altre sedi giudiziarie, non sono mancati gli accenni polemici nei confronti della riforma della giustizia avviata dal governo di Matteo Renzi.
Duro l’intervento dell’Avvocato generale dello Stato di Milano, Laura Bertolè Viale, contro la norma salva-Berlusconi, proposta e poi “congelata” da Renzi, che stabilisce delle percentuali di evasione fiscale sotto le quali non scatta la punibilità : “La clausola chiamata giornalisticamente anche ‘licenza a delinquere’ avrebbe quale effetto principale quello di creare una sostanziale differenza di trattamento tra i contribuenti di minori e quelli di maggiori dimensioni, aumentando in maniera abnorme la forbice di tolleranza”.
Bertolè Viale ha criticato anche la scelta del governo Renzi di aumentare le pene per la corruzione, lasciando però come stanno le norme su “concussione, corruzione specifica, corruzione in atti giudiziari e induzione indebita.
E che fine ha fatto la tanto pubblicizzata riduzione di pena per chi collabora alla scoperta del reato e la riparazione pecuniaria a favore della pubblica amministrazione pari alla somma illecitamente corrisposta?”.
È “un ben misero condensato” rispetto ai “propositi iniziali” anche il disegno di legge sulla prescrizione.
Quanto all’introduzione del nuovo reato di autoriciclaggio, “trionfalmente approdato nel nostro sistema penale e preceduto da un vero e proprio battage pubblicitario”, Bertolè Viale afferma che “un piccolo comma, il quarto del nuovo articolo, vanifica tutti i primi tre commi, laddove dichiara che non sono punibili le condotte per cui il denaro i beni o altre utilità  vengono destinate alla mera utilizzazione o al godimento personale”.
A Torino, il procuratore generale Marcello Maddalena ha citato George Orwell, l’autore della Fattoria degli animali: “Il presidente del Consiglio non ha trovato niente di meglio che ispirarsi al personaggio di Napoleone della Fattoria degli animali di orwelliana memoria, che aveva scoperto il grande rimedio per tutti i problemi della vita: far lavorare gli altri fino a farli crepare dalla fatica, come il cavallo Gondrano”.
Così la prima riforma del governo Renzi nel campo della giustizia “è stata quella che ha brutalmente e malamente ridotto le ferie dei magistrati: una riforma che non solo per i contenuti, ma anche per il modo in cui è stata attuata, addirittura con decreto legge, e per i commenti sprezzanti che l’hanno accompagnata, ancor ci offende”.
Il primo grande rimedio del nuovo governo”, ha aggiunto Maddalena, “è consistito nel costringere i magistrati a lavorare di più, magari nella prospettiva, sicuramente non nell’auspicio, che facciano la stessa fine di Gondrano. Come se la colpa principale del dissesto dell’amministrazione della giustizia dipendesse dalla scarsa operosità  dei magistrati, quando invece è da anni pacifico che la produttività  della giustizia italiana è fra le più alte d’Europa”.     Critiche al governo anche dal presidente della Corte d’appello di Bologna Giuliano Lucentini: “Sconsolante accostamento” quello tra lentezza della giustizia italiana e ferie dei giudici. Del resto, è un Paese in pericolo “quello in cui i suoi giudici sono delegittimati”.
Sono cambiate le cose — si è poi chiesto, senza nominarlo — dai tempi di Silvio Berlusconi? “Certo, non siamo più additati come disturbati mentali, non si dice più che taluni di noi, quelli impegnati in ben noti processi, sono mafiosi, criminali, irresponsabili, però le cose sono sostanzialmente rimaste quelle di prima: è cambiato solo il metodo, diventato mediaticamente più sottile”.
Boccia le proposte del governo anche il presidente dell’Anm, Rodolfo Sabelli, intervenuto a Milano: “Sulla corruzione, l’aumento delle sanzioni è la soluzione più facile, ma non la più efficace. Possono infatti scoraggiare i propositi di collaborazione, se non ci saranno anche strumenti più efficaci d’indagine e incentivi che rompano il patto tra corrotto e corruttore”.

Gianni Barbacetto
(da “Il Fatto Quotidiano“)

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IL PIANO TSIPRAS CHE SPAVENTA LA TROIKA: TAGLIO DEL DEBITO, INVESTIMENTI, RIALZO DI STIPENDI E PENSIONI

Gennaio 25th, 2015 Riccardo Fucile

I CINQUE “CIRCOLETTI ROSSI” CHE HANNO MESSO IN ALLARME LE CANCELLERIE DEI FALCHI EUROPEI

C’è il nodo del taglio al debito, ma non solo.
A Francoforte e a Bruxelles l’allarme è già  altissimo da giorni. Il destino della moneta unica – salvo clamorosi ribaltoni nelle urne – si giocherà  da domani (e in pochissime settimane) in un braccio di ferro molto delicato con Alexis Tsipras. Eurotower e i funzionari della Ue hanno letto e riletto mille volte il programma economico di Syriza.
Scoprendo e cerchiando in rosso cinque punti su cui le parti sono distanti anni luce e che rischiano di far saltare, qualcuno teme in tempi brevissimi, ogni ipotesi di accordo: il rialzo di stipendi e pensioni, gli interventi sullo stato sociale, i tagli alle tasse, i nuovi investimenti e, ovviamente, la richiesta di una sforbiciata all’esposizione del Paese.
«Si tratta di emergenze umanitarie su cui prenderemo decisioni importanti un minuto dopo la formazione del governo Syriza – ripetono da giorni i vertici del partito – abbiamo promesso l’addio all’austerity e lo faremo subito, con o senza l’ok dei creditori ».
Pena la rapida fine della luna di miele con un elettorato molto liquido che si aspetta esattamente questo.
Il rischio, ammettono a Bruxelles, è che queste mosse unilaterali possano far saltare il tavolo dei negoziati prima ancora della sua apertura. Spingendo la Grecia verso il default, mandando in fibrillazione i mercati e rimettendo in discussione i fragilissimi equilibri dell’area euro.
STIPENDI E PENSIONI
Le finanziarie imposte dalla Troika hanno ridotto del 40% il potere d’acquisto dei greci. Il reddito medio era di 24mila euro nel 2008.
Oggi è sceso a 19mila.
I salari pubblici sono calati del 31% dal 2009, quelli privati del 22%. Syriza vuole alzare da 586 euro al mese a 751 lo stipendio minimo e si è impegnata a ripristinare la tredicesima (istituto cancellato dall’austerity) a tutti gli 1,2 milioni di pensionati che guadagnano meno di 700 euro al mese.
Il capitolo più delicato però è il progetto di ripristinare i contratti collettivi di lavoro e l’abolizione delle norme che consentono i licenziamenti di massa, un altro dei fiori all’occhiello dei creditori.
Dove troverà  i soldi Tsipras? Chiedono loro. «Dalla lotta agli evasori e dal fondo salva-banche», dice lui. Ma mantenere queste promesse – dicono a Berlino – costerà  molto più delle sue stime, visto che solo l’operazione tredicesima vale più di 500 milioni.
LO STATO SOCIALE
A inizio 2009, calcola Eurostat, 3,04 milioni di greci (su 11 milioni) erano a rischio povertà . A fine 2013 erano 3,9 milioni.
La Troika ha cerchiato in rosso – tema: carenza di fondi – le mosse previste da Tsipras nei primi giorni di governo a favore di queste fasce sociali: i buoni pasto e l’elettricità  gratis alle 300mila famiglie più povere del paese (costo stimato da Syriza circa 800 milioni), gli affitti sociali a 3 euro al metro quadro per i senza casa e l’assistenza sanitaria garantita ai disoccupati che oggi – dopo un anno che hanno perso il lavoro – restano senza diritto alla salute.
Oltre a una carta per il trasporto pubblico gratuito.
Tutti provvedimenti su cui Ue, Bce e Fmi pretendono di negoziare senza trovarsi di fronte tra pochi giorni al fatto compiuto.
I TAGLI ALLE TASSE
L’austerity, sostiene il Wall Street Journal, ha moltiplicato per nove le tasse sulle spalle dei greci. E, forse non a caso, i cittadini hanno smesso di pagarle.
Quelle arretrate sono a quota 77 miliardi.
La Troika pretende una task force che vada all’attacco di questa montagna d’oro. Tsipras nominerà  una squadra speciale per stanare i grandi evasori che riporterà  a lui. Ma ha promesso una serie di sgravi al resto del Paese, sconfessando le intese con Bruxelles & C..
La soglia di reddito esentasse dovrebbe salire da 5 a 12 mila euro.
L’imposta unica sulla casa sarà  sostituita da una patrimoniale sugli immobili di lusso. E chi è in ritardo con i pagamenti potrà  rateizzare anche in 100 mesi i suoi obblighi verso lo stato. Altro cerchietto rosso, altra area di potenziale rottura tra le parti.
I NUOVI INVESTIMENTI
Quarto tasto dolente. Tsipras si è impegnato con i creditori a «mantenere un bilancio in equilibrio ».
Il suo programma prevede però da subito investimenti pubblici importanti. Obiettivo: creare 300mila posti di lavoro.
Varando pure una banca pubblica per crediti agevolati ad artigiani e piccole e medie imprese. Syriza vorrebbe finanziare questi provvedimenti in parte con fondi Ue, ma soprattutto eliminando l’obbligo di generare un attivo annuo di bilancio pari al 4,5% del Pil imposto dai creditori.
Un cappio – dicono – che soffoca il Paese. La Troika naturalmente non è d’accordo e specie sugli obiettivi di budget prefissati sembra pronta a vendere cara la pelle.
IL TAGLIO DEL DEBITO
È il punto più discusso. Syriza chiede una taglio dei 314 miliardi di esposizione (il 174% del Pil) come è stato fatto per la Germania nel dopoguerra alla Conferenza di Londra. Schauble e i falchi hanno risposto picche in tutte e 29 le lingue della Ue.
Per assurdo, però, è forse uno dei nodi più facili da sciogliere.
In primis perchè ci potrebbe essere più tempo a disposizione visto che i creditori starebbero studiando un’estensione fino a luglio del termine per negoziare un’intesa.
E con un po’ di finanza creativa (leggi allungamento delle scadenze, taglio ai tassi e bond legati alla crescita dell’economia) si potrebbe trovare la quadra.
La miracolosa soluzione sui debiti rischia però di arrivare troppo tardi. E non a caso i cinque cerchi rossi della Troika sul programma di Tsipras saranno già  al centro della discussione del tavolo dell’Eurogruppo di domani.

Ettore Livini
(da “La Repubblica”)

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