Gennaio 28th, 2015 Riccardo Fucile
PIZZAROTTI: “QUANDO SE NE VANNO IN 40, TROPPO FACILE DIRE CHE LO FANNO PER I SOLDI, I PROBLEMI SONO ALTRI”
Nove deputati che abbandonano il Movimento: «aspiravamo alla bellezza, non alla rabbia». 
Una riunione fiume tra Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio — nel quartier generale di Milano — per decidere la linea sul Quirinale.
Poi la decisione: stamattina ci sarà un’assemblea congiunta tra deputati e senatori, subito dopo si faranno le “quirinarie” sul blog.
Con quattro nomi: tra cui quello di Romano Prodi. A corollario, a tarda sera, sputi e urla contro il deputato Walter Rizzetto, uno dei nove fuoriusciti che — con una delegazione — stava andando alla sede del Pd per le consultazioni sul Colle.
Un gruppo di militanti lo accerchia gridandogli: «Venduto, non eri nessuno, ti devi dimettere». Lui tenta di difendersi: «Non vogliamo nè rubare soldi nè portarci a casa più soldi».
Troppo tardi, la delegittimazione è partita già al mattino, con uno degli esponenti del direttorio — Luigi Di Maio che a Radio 2-4dice: «C’è chi sa comprare bene e chi si vende per poco».
Seguito dalla senatrice Paola Taverna: «testoline vuote vendute per quattro soldi».
E da Carla Ruocco: «Gli avranno dato qualcosa, secondo voi lo fanno gratis?».
Così, Rizzetto è costretto a ripiegare verso la Camera, inseguito dagli attivisti e scortato dalla polizia.
Quasi a conferma del clima irrespirabile che gli “scissionisti” avevano denunciato in conferenza stampa.
Leggendo un discorso scritto, con la voce rotta dall’emozione, Mara Mucci aveva parlato di «violenza verbale in un clima cupo fatto di sospetti e intrighi».
A guardarla, tra gli altri, il vicecapogruppo pd Ettore Rosato e il fittiano Rocco Palese, da giorni letteralmente incollato ai 5 stelle.
Oltre a molti senatori già fuoriusciti e al falco Federico D’Incà , fermo sulla porta. «Non accettiamo le decisioni di un direttorio nominato dall’alto e un blog dove si ratificano scelte decise altrove — ha detto la deputata di Imola — tra non capire e rimanere in silenzio abbiamo scelto di ribellarci ancora una volta».
I militanti della sua città chiedono che si dimetta, così come fanno i friulani per Rizzetto e Prodani.
Insieme a loro, sono usciti Tancredi Turco, Samuele Segoni, Eleonora Bechis, Gessica Rostellato, Marco Baldassarre, Sebastiano Barbanti (alla fine in lacrime).
Mentre il senatore Francesco Molinari formalizzerà il suo addio dopo l’elezione del capo dello Stato.
Volevano partecipare in modo trasparente all’elezione del presidente, i deputati di “Alternativa libera” — si chiameranno così — per questo avevano deciso di andare alle consultazioni al Nazareno. Li ha bloccati una rabbia montata in rete e in Parlamento.
Grillo e Casaleggio — da parte loro — lasciano filtrare «sollievo» per i nuovi addii.
Per i diarchi, i fuoriusciti erano solo «una spina nel fianco ».
Carlo Sibilia — altra voce del direttorio spiega a Repubblica: «Io non accuso nessuno, il Movimento è per tanti, ma non per tutti. Devi lavorare di più, per la metà dei soldi, continuamente attaccato dai media. È chiaro che si sono inventati un casus belli, ma avevano il nome, l’invito da Renzi: era già tutto deciso».
Quanto alle motivazioni: «Non reggono. Cos’ha espresso la notte dell’onestà se non bellezza? Il movimento va bene, i sondaggi vanno bene, la deriva autoritaria è pura fantasia».
Reazioni del tutto diverse dall’autocritica che auspica un esponente di spicco del Movimento come il sindaco di Parma Federico Pizzarotti.
Il primo cittadino — parlando con i suoi — chiarisce di non aver fomentato alcuna scissione: «Sono persone con cui parlo, non li ho incitati a fare alcunchè».
E però: «Se continua a uscire della gente è perchè a Roma non si risolvono i problemi. Questa continua emorragia va fermata».
Il ragionamento è semplice: non si può più dire che sia una questione di soldi, può valere per qualche persona, non per 40.
«Se se ne vanno è chiaro che il tema è più ampio, che ci sono dei problemi che è ora di affrontare ».
Per ora, l’unico modo in cui i vertici intendono farlo è la strategia. Non è un caso che abbiano deciso proprio ieri di fare congiunta e quirinarie (passaggi la cui mancanza era stata criticata dai dissidenti).
Sul nome di Prodi restano divisi, ma ieri i contatti con Sel erano frenetici e ormai ostentati (il grillino Cecconi che parla con il loro capogruppo Scotto, Nichi Vendola che chiama Pier Luigi Bersani).
Alla mail inviata ai parlamentari pd da Grillo e Casaleggio hanno risposto solo in sei (per paradosso molti non l’hanno neanche vista, «la mail della Camera è piena di spam», racconta un democratico).
Quattro di questi — pubblicati sul blog — hanno scelto Prodi.
Il nome del professore resta in campo, insieme ad altri tre la cui scelta — forse — sarà lasciata all’assemblea.
Annalisa Cuzzocrea
(da “La Repubblica“)
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Gennaio 28th, 2015 Riccardo Fucile
LE DOPPIE MORALI DELLA SINISTRA ITALIANA
È curioso l’atteggiamento della sinistra italiana di fronte alla scelta tsiprasiana di governare con i greci indipendentisti.
L’Anel è una forza conservatrice, nata da una costola di Nd.
Una specie di Ncd ellenico, però più sveglia (ci vuol poco) e meno europeista.
Un po’ come se, in Italia, Nichi Vendola governasse con Angelino Alfano: esempio forse sbagliato, perchè Vendola ha già intrattenuto rapporti non proprio conflittuali con gente al cui confronto Alfano è Engels (Don Verzè, Archinà ), ma che fa capire la situazione.
Dopo aver vinto le elezioni senza maggioranza assoluta, Syriza ha subito stretto l’alleanza rosso-nera con Panos Kammenos.
Suona bizzarro cantare Bella Ciao e poi governare con un leader noto per gaffe sugli ebrei, incitamenti al linciaggio, teorie complottistiche, antipatie per i tedeschi, posizioni anti-immigrati e allergie a divorzio e aborto.
Ricorda qualcuno? Sì, Nigel Farage.
Con il quale, dopo le Europee, il M5S strinse una criticatissima — anche da questo giornale — “alleanza tattica”.
Grillo ripetè che non si poteva fare altro, che i Verdi non erano disponibili, che se non fai gruppo a Bruxelles non conti nulla e che appartenere a quella macedonia euroscettica non avrebbe significato votare come Ukip.
A dire il vero si spinsero oltre, ricoprendo di insulti chiunque osasse sostenere che Farage non era Gandhi, ma il talebanismo di certi 5 Stelle è noto.
Quelle critiche erano giuste, come hanno testimoniato gli attriti tra M5S e Ukip (vedi voto sulla Palestina) o gli smottamenti interni al gruppo.
Va però anche riconosciuto che, a Bruxelles, i 5 Stelle votano effettivamente senza vincoli nei confronti di Farage . Oltretutto, non essendo “nè di destra nè di sinistra”, potrebbero flirtare con chiunque.
Diverso il caso di Syriza, dichiaratamente di sinistra radicale, anche se poi Tsipras un giorno fa Marx, l’altro è in sintonia con Matteo Renzi e quello dopo si allea con Kammenos.
I fatti dicono che ha preferito i 13 seggi dell’Anel ai 15 dei comunisti e ai 17 del centrosinistra.
I novelli esperti di politica greca, in una continua arrampicata sugli specchi, ripetono che non si poteva fare altro perchè per i comunisti “Tsipras non rappresenta nessun cambio” e il centrosinistra sarebbe entrato solo a patto di venerare la Troika.
Tsipras ha scelto Kammenos perchè è l’unico fortemente contrario al Memorandum tra Troika e precedente governo e perchè anche in Grecia non mancano i Bertinotti e Turigliatto: meglio un fascistello fedele di un comunista bizzoso.
Il rischio — così ragionando — è giustificare qualsiasi Patto del Nazareno, ma forse Tsipras ha fatto bene.
Come forse fece bene il M5S.
Del resto, almeno in Italia, il centrosinistra è più di destra della destra. E magari la scelta di Tsipras dimostra che gli steccati ideologici sono davvero superati e “il nemico del mio nemico è mio amico”.
Sarebbe però bello se ci fosse uniformità di giudizio.
Se sbagliava il M5S a stare con Farage, sbaglia ancora di più l’ideologico Tsipras a stare con Kommenos, visto che lui ci governa pure: sai che idillio, quando si tratterà di votare su immigrazione e temi etici.
Eppure i 5 Stelle hanno sempre la rogna mentre la sinistra ha sempre ragione.
Ai tempi di Grillo-Farage, Vendola tuonò: “È un disvelamento, o, come direbbero i teologi, un’epifania. Si è dimostrato, per chi non l’aveva capito, che Grillo è quella roba lì”.
Ecco, compagno Nichi: onestà intellettuale minima imporrebbe che, se Grillo era “quella roba lì” (sciocchezza), anche Tsipras è “quella roba lì” (sciocchezza).
E invece, dagli stessi statisti che giustamente provarono imbarazzo per la mossa dei 5 Stelle, non si odono ora analoghi j’accuse.
Toh, che strano.
Andrea Scanzi
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Gennaio 28th, 2015 Riccardo Fucile
OGGI BERLUSCONI PRANZA A PALAZZO CHIGI CON VERDINI E LETTA E RILANCIA GIULIANO AMATO E ANNA FINOCCHIARO
Berlusconi dixit: “Io non posso mettermi in coda con tutti gli altri e fare questo teatrino in cui non si
decide nulla, stasera non vado al Nazareno, da Renzi vanno i capigruppo”.
Il gioco inizia a farsi duro e Silvio Berlusconi ridiventa il Caimano. Quando c’è una trattativa in ballo, l’ex Cavaliere non è secondo a nessuno.
E così il tanto atteso ritorno al Nazareno, nella sede nazionale del Pd, salta che è ancora mattina. Con i suoi, B. ne fa una questione di metodo e non solo: “Io sono un socio del Nazareno, non subalterno. Renzi non può venire da me e impormi un nome.
Il presidente lo scegliamo insieme. Io non voglio un altro Napolitano, che si nega al telefono”.
Eccolo qua Berlusconi. Alla Camera regnano caos e panico attorno ai depistaggi renziani (Chiamparino, Fassino, Delrio) e lui fa recapitare dai suoi ambasciatori un messaggio chiaro e ambiguo allo stesso tempo.
In ogni caso criptico: “Tu vuoi un nome che io non voglio. Io ne voglio uno che tu non vuoi”.
In questo scioglilingua nazareno risiede la soluzione dell’enigma Quirinale.
Ed è per questo che oggi a pranzo, nella sede del governo a Palazzo Chigi, Renzi e Berlusconi mangeranno insieme e parleranno del futuro capo dello Stato.
Con loro, i soliti Lotti e Guerini per Renzi, i soliti Verdini e Gianni Letta per Berlusconi.
Alfano torna delfino e punta sul dottor Sottile
In realtà il primo messaggio berlusconiano a Renzi è stato consegnato ieri mattina da Angelino Alfano, il delfino ritrovato del Condannato.
Nell’incontro tra Pd e Ncd, Alfano ha tratteggiato il profilo del candidato ideale per il centrodestra riunito (compreso Casini): “Non deve essere un tecnico, nè fare parte del governo”. In un colpo solo, presi due nomi che girano da giorni: quello di Pier Carlo Padoan, ministro dell’Economia, e quello di Graziano Delrio, sottosegretario a Palazzo Chigi.
All’uscita Alfano fa pure una battuta che calza a perfezione al prediletto di Forza Italia e affini: “Noi dobbiamo fare un ace, non un doppio fallo”.
La metafora tennistica conduce diritto a Giuliano Amato, noto amatore di questo sport.
Il candidato ideale e quella che può farcela
Ufficiosamente, almeno a parole, l’ex craxiano poi premier e tante altre cose resta il candidato ideale di Silvio.
Di fronte poi alle nebbie renziane della giornata di ieri, la linea Amato è stata l’unico modo per alzare il prezzo e costringere l’amico “Matteo” a venire allo scoperto. Quando Berlusconi fa sapere che vuole un “nome autorevole” la scrematura dei nomi porta a un ballottaggio per il pranzo di oggi, tra Amato e la rediviva Anna Finocchiaro, risalita di parecchio nelle ultime ore.
Così in questa fase, persino i veti diventano mera tattica. Dicono infatti a tarda sera dal cerchio magico berlusconiano: “La Finocchiaro? Non passerà mai”.
Ma la questione, appunto, è il metodo.
Berlusconi vuole sentirsi azionista del Nazareno a pari titolo di Renzi. Come ha dimostrato il voto di ieri al Senato sull’approvazione dell’Italicum.
Un’evidenza che la Boschi ha addirittura negato, “siamo autosufficienti”, facendo irritare non poco i renzusconiani di Forza Italia.
Anche Giuseppe Stalin se desse garanzie a Silvio
Il metodo contemplato da B. è alquanto pignolo ed esclusivo. Due anni fa, per esempio, quando Bersani informò riservatamente Berlusconi della rosa Pd con dentro Mattarella e Marini, Berlusconi pretese e ottenne di parlare e incontrare i due ex democristiani.
Questione di garanzie, che con l’ex Cavaliere non sono mai solo politiche.
Il nodo dell’agibilità elettorale e la tutela dell’eterno conflitto d’interessi sono imprescindibili.
A Palazzo Grazioli da settimane regna un motto di spirito: “Se candidassero Giuseppe Stalin e Stalin garantisse il presidente in modo totale, allora Berlusconi voterebbe Giuseppe Stalin al Quirinale”.
Il resto appartiene alla sfera dell’ignoto e dell’azzardo. I bersaniani di ogni ordine e grado sono convinti che “Renzi farà un nome che alla fine spiazzerà tutti”.
Ma quel nome deve essere condiviso con B. altrimenti il Nazareno salterebbe. Su questo Verdini e i suoi sono ottimisti: “Matteo rispetterà gli accordi e riusciremo a eleggere insieme il capo dello Stato alla quarta votazione”.
Ma chi? Oggi il nome del giorno potrebbe essere quello di Anna Finocchiaro, già dalemiana poi ultrà renziana sulle riforme, stando ai fatti.
Conterebbe soprattutto la suggestione di eleggere per la prima volta una donna al Quirinale, madrina siciliana del Partito della Nazione che avanza.
Altro che Casta.
Fabrizio d’Esposito
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Gennaio 28th, 2015 Riccardo Fucile
LA CARTA PRODI POTREBBE AZZOPPARE IL NAZARENO E RICOMPATTARE IL PD
Può darsi che, come dice Renzi senza precisare la settimana esatta, “sabato avremo il presidente”.
Nel qual caso il premier avrà vinto la partita, chiunque sia il nome del prescelto.
Che, comunque, sarebbe frutto del Patto del Nazareno, dunque un impresentabile: Amato (e ho detto tutto), o Fassino (quello del giro Quagliotti-Greganti e del “siamo padroni di una banca?”), o Finocchiaro (zarina di tutti gli inciuci, con marito imputato), o Chiamparino (che negli anni pari fa il politico e nei dispari il banchiere), roba così.
Se invece, al quarto scrutinio, il Renzusconi non superasse il quorum, inizierebbe il massacro. Renzi, a quel punto, potrebbe giocare un’altra carta, sempre con B.
Oppure rivolgersi ai 5Stelle. I quali, questa volta, non avranno un candidato di bandiera, come nel 2013 fu Rodotà per la proterva insipienza del vertice Pd.
Per non ridursi al ruolo di spettatori e giocare fino in fondo la partita, Grillo, Casaleggio e il direttorio chiedono al Pd una rosa di nomi da sottoporre agli iscritti.
Renzi non li degna neppure di risposta, confermando ciò che abbiamo sempre sostenuto: è lui, non loro, a rifiutare il dialogo.
Però alcuni spiriti liberi del Pd alla email hanno risposto col nome di Prodi.
È probabile che il Prof — sebbene sia un padre dell’euro — risulti, agli occhi della loro base, il meglio o il meno peggio della compagnia cantante (è quel che non capiscono i nove sciocchini che ieri si sono sfilati per andare a chiedere, bel belli, a Renzi “un presidente fuori dal Nazareno”: roba da perizia psichiatrica).
A quel punto, per Renzi, sarebbe un bel problema: come potrebbe giustificare dinanzi alla sua base un No al padre del Pd per non dispiacere al Caimano?
L’uomo è capace di tutto, ma a tutto c’è un limite. E quel limite potrebbe essere Prodi, molto più popolare o meno impopolare delle suddette muffe.
Se alla fine il Prof salisse al Quirinale, Renzi potrebbe comunque intestarsi la vittoria, si riconcilierebbe con gli elettori del Pd che da mesi ingoiano guano, ricompatterebbe il Pd e il centrosinistra, metterebbe in sicurezza la maggioranza del suo governo e relegherebbe B. nell’angolo. Per sempre.
Il Caimano fiuta il pericolo: infatti ieri ha fatto il ritrosetto, non certo per rompere, ma per alzare la posta del ricatto.
Se Renzi invece perseverasse col Nazareno, la resurrezione di Lazzaro sarebbe completa.
E tutti capirebbero finalmente che il Patto è ben più inossidabile e inconfessabile di quel che si racconta in giro.
Un patto di mutuo soccorso, ma anche di mutuo governo e mutui affari (condono fiscale con salvacondotto a B., regali a Mediaset sulle frequenze, legge-regalo a Banca Etruria & famiglia Boschi).
Ai tempi di D’Alema, Guido Rossi paragonò Palazzo Chigi a una “merchant bank dove non si parla inglese”.
Stavolta l’inglese lo si parla eccome, viste certe fughe di notizie in quel di Londra.
Così, alla fine, potrebbe chiudersi questa partita cruciale: B. che, di nuovo a piede libero (i servizi sociali scadono a marzo), entra ufficialmente nella maggioranza e forse nel governo in attesa dell’“agibilità politica” (salvacondotto fiscale o grazia dal nuovo presidente scelto anche da lui).
E intanto regolare i conti a destra. L’orrendo Italicum votato ieri al Senato, checchè se ne dica, gli sta a pennello: il premio di maggioranza alla lista che arriva al 40% costringerà i partitini, Ncd in testa, a rientrare precipitosamente all’ovile di Arcore per non sparire; e gli consentirà , se arriverà secondo, di nominarsi tutti i deputati (i capilista bloccati, a cui solo chi arriverà primo aggiungerà qualche decina di eletti con le preferenze).
Ma, di questo passo, non è neppure escluso che arrivi primo.
Pare un film horror, della saga Il ritorno dei morti viventi, ma è così.
Complimenti al regista.
Marco Travaglio
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Gennaio 28th, 2015 Riccardo Fucile
IL CAPO DELLA COMUNITA’ EBRAICA E IL GIORNALISTA RESTANO BLOCCATI DENTRO IL CAMPO DI CONCENTRAMENTO…E PER LIBERARLI DEVE INTERVENIRE LA FARNESINA
Sono rimasti chiusi dentro per diverse ore ad Auschwitz. 
Hanno provato ad uscire da una finestra, l’allarme è suonato. E la Polizia polacca li ha fermati. Il presidente della Comunità ebraica romana Riccardo Pacifici, il portavoce della Comunità Fabio Perugia e il giornalista di Matrix David Parenzo con la sua troupe sono rimasti chiusi all’interno del campo di concentramento ieri sera dopo che avevano girato un servizio in occasione delle celebrazioni per il settantesimo anniversario della liberazione del campo nazista.
Pacifici e Parenzo hanno tentato di uscire dalla finestra e sono stati fermati dalla polizia polacca e poi portati in commissariato.
Dopo diverse ore sono stati rilasciati.
“Siamo stati sequestrati da un’ora dalla polizia polacca dentro Auschwitz dopo trasmissione di Matrix – scrive in un tweet Riccardo Pacifici – Una vergogna”.
“Il Campo era abbandonato e senza sicurezza – si legge in un altro tweet di Pacifici – Il reato mio e di David Parenzo è stato quello di provare ad uscire da una finestra”.
Con un ultimo tweet Pacifici annuncia: “Usciti tutti ora dal commissariato. Una follia”.
“Finalmente stiamo per ripartire dalla Polonia dopo essere stati sequestrati follemente dalle autorità polacche”, scrive Fabio Perugia su twitter.
Pacifici e Parenzo, che avevano l’autorizzazione per collegarsi in diretta dal campo di Auschwitz, sono stati poi portati nel commissariato locale, insieme a Fabio Perugia, portavoce della Comunità ebraica di Roma, Gaetano Mazzarella e Matteo Raimondi, della troupe di Matrix.
È dovuto intervenire il consolato, l’ambasciata ed anche l’unità di crisi della Farnesina per risolvere una vicenda dai contorni surreali.
Pacifici e Parenzo hanno definito la vicenda kafkiana. “Certamente non si tratta di un’azione antisemita ma piuttosto – ha spiegato Pacifici all’ANSA – di una falla nel campo. Chiaramente la struttura non è protetta, come dimostrano le finestre aperte”.
I cinque italiani sono stati di fatto accusati di effrazione ma stanno già facendo rientro a Roma dopo la brutta nottata.
“Non è stato un episodio piacevole – ha detto ancora Pacifici – anche perchè accaduto nel luogo in cui sono morti mio nonno e mia nonna. Mi ha dato fastidio emotivamente tanto che ho detto ai poliziotti: ‘O mi arrestate o mi lasciate libero perchè sono profondamente turbato’. Una storia surreale.
(da “Huffingtonpost”)
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Gennaio 28th, 2015 Riccardo Fucile
GIUSEPPE PAGLIANI E’ TRA I 117 ARRESTATI…NEL 2012 L’INCONTRO CON PERSONAGGI DEL CLAN GRANDE ARACRI
C’è anche un consigliere comunale e provinciale di Reggio Emilia, Giuseppe Pagliani, eletto tra le file di Forza Italia, tra i 117 arrestati nella maxi operazione “Aemilia” contro la ‘ndrangheta in Emilia, coordinata dalla Dda di Bologna.
Per lui l’accusa è di concorso esterno in associazione mafiosa.
I carabinieri lo hanno prelevato all’alba, dalla sua abitazione di Arceto di Scandiano. Oltre a essere un esponente di punta del centrodestra locale, nella primavera del 2012 il suo nome era finito nella bufera, per una cena con imprenditori edili e dei trasporti di origine calabrese e uomini sospettati di vicinanza alla malavita.
Classe 1973, Pagliani è originario di Reggio Emilia dove ha sempre vissuto, studiato e lavorato.
Avvocato, con un passato nel settore delle ceramiche e delle “carni bovine”, si dice specializzato in “diritto societario, finanziario e penale”.
Sul suo sito si definisce anche “appassionato di politica da sempre” e “animatore da anni del centrodestra reggiano”.
E infatti la sua prima corsa alle amministrative con la bandiera azzurra risale a molti anni fa, al 1999: alle comunali di Scandiano, comune in provincia di Reggio Emilia, raccoglie 300 preferenze. Un record.
La sua carriera politica va avanti sempre nel solco del partito di Silvio Berlusconi, che non tradisce mai.
Nel 2012, quando è consigliere provinciale e comunale, finisce al centro delle cronache per essersi seduto al tavolo insieme a politici del Pdl, professionisti e a un gruppo di imprenditori considerato vicino al clan dei Grande Aracri, tra cui alcuni personaggi coinvolti in indagini antimafia.
Il ristorante teatro della cena è nella periferia di Reggio Emilia, si chiama “Antichi Sapori” ed è di proprietà di un crotonese, il 45enne, Pasquale Brescia.
Incontro che finirà sotto la lente della magistratura e della prefettura. E per il quale vengono ascoltate come persone informate sui fatti l’allora ex sindaco di Reggio Emilia e attuale sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Graziano Delrio, il presidente della Provincia Sonia Masini e il consigliere regionale del Pdl Fabio Filippi.
Nell’autunno scorso Pagliani viene riconfermato consigliere provinciale e capogruppo in Comune a Reggio Emilia.
Non solo: a novembre viene messo in lista anche per le regionali dell’Emilia Romagna, senza però riuscire a essere eletto.
Il suo nome viene inserito all’ultimo, e va a sostituire quello di Vivaldo Ghizzoni, altro esponente di centrodestra.
Pagliani viene “imposto da Roma e Bologna”, è scritto in una nota di Forza Italia, dal momento che, “il capogruppo in consiglio comunale è espressione forte del partito a Reggio Emilia e non può non far parte di questa compagine dei candidati azzurri”.
Giulia Zaccariello
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Gennaio 28th, 2015 Riccardo Fucile
117 ARRESTI, PRIMA GRANDE OPERAZIONE DELLA PROCURA DI BOLOGNA… COINVOLTO LO STORICO CLAN GRANDE ARACRI
Scacco alla ‘ndrangheta in Emilia Romagna. La Direzione distrettuale antimafia di Bologna ha disposto
117 arresti: dando vita all’inchiesta “Aemilia“, la prima maxi operazione che ha smascherato le infiltrazioni della criminalità organizzata nella regione del nord, così come già avvenuto in Lombardia (Crimine-Infinito), Piemonte (Minotauro) e Liguria (Maglio).
Altri 46 provvedimenti sono stati emessi dalle procure di Catanzaro e Brescia — in inchieste collegate — per un totale di oltre 160 arresti.
In manette anche il consigliere comunale di Reggio Emilia Giuseppe Pagliani (Forza Italia). I carabinieri lo hanno prelevato dalla sua abitazione di Arceto di Scandiano. L’operazione, oltre all’Emilia, ha interessato la Lombardia, il Piemonte, il Veneto, la Calabria e la Sicilia. Migliaia i carabinieri impiegati, appartenenti ai Comandi Provinciali di Modena, Parma, Piacenza e Reggio Emilia.
Le misure cautelari sono state richieste dal sostituto procuratore Marco Mescolini e firmate dal gip Alberto Ziroldi.
Le 117 persone finite in carcere sono accusate, a vario titolo, di associazione di tipo mafioso, estorsione, usura, porto e detenzione illegali di armi, intestazione fittizia di beni, reimpiego di capitali di illecita provenienza, emissione di fatture per operazioni inesistenti ed altro.
Tutti reati commessi con l’aggravante di aver favorito l’attività dell’associazione mafiosa.
Tra le persone coinvolte ci sono anche i fratelli del boss già detenuto dal 2013 Nicolino Grande Aracri, Domenico ed Ernesto. Domenico Grande Aracri, avvocato penalista, è stato arrestato nell’ambito delle misure emesse dall’antimafia bolognese. Mentre Ernesto Grande Aracri è uno dei destinatari dei 37 provvedimenti di fermo emessi dalla Dda di Catanzaro.
I Grande Aracri sono uno storico clan originario di Cutro (Catanzaro), da anni radicato nella provincia di Reggio Emilia, con infiltrazioni in molteplici settori economici ed imprenditoriali, soprattutto nel business dell’edilizia.
Dall’inchiesta, secondo quanto si è appreso, è emersa la diffusione capillare in Emilia Romagna, e in parte della Lombardia e del Veneto, delle attività della cosca di ‘ndrangheta dei Grande Aracri sotto il diretto controllo e la guida di Nicolino Grande Aracri.
In manette anche diversi imprenditori calabresi, alcuni già noti alle forze dell’ordine, tra cui Nicolino Sarcone, considerato anche da indagini precedenti il reggente della cosca su Reggio Emilia.
Sarcone, già condannato in primo grado per associazione mafiosa, è stato recentemente destinatario di una misura di prevenzione patrimoniale che gli aveva bloccato beni per 5 milioni di euro.
Nell’ambito dell’inchiesta, nel 2012, venne ascoltato come persona informata sui fatti Graziano Delrio, attuale sottosegretario alla presidenza del Consiglio e all’epoca ex sindaco di Reggio Emilia.
Assieme all’allora presidente della Provincia Sonia Masini e al consigliere regionale del Pdl Fabio Filippi (nessuno dei tre è coinvolto nelle indagini).
Sotto la lente dell’antimafia di Bologna era finita una cena del 21 marzo 2012 tra alcuni politici reggiani — fra cui l’allora capogruppo in Provincia del Pdl Giuseppe Pagliani, oggi arrestato, e il consigliere comunale Rocco Gualtieri — e personaggi ritenuti vicini alla criminalità organizzata.
Pagliani spiegò di essere stato invitato alla cena da alcuni imprenditori calabresi per discutere della crisi e delle difficoltà nel settore dell’edilizia e dei trasporti.
Tra i presenti Alfonso Diletto, i fratelli Nicolino, Gianluigi e Giuseppe Sarcone Grande ritenuti vicini al clan Grande Aracri, Gianni Floro Vito, Michele Colacino: tutte persone considerate vicine al clan ‘ndranghetista.
Ma gli inquirenti, nel 2012, avrebbero chiesto chiarimenti a Delrio, Masini e Filippi anche sulla processione del Cristo a Cutro datata 2009, quando scesero in Calabria l’ex sindaco Antonella Spaggiari, lo stesso Delrio e Fabio Filippi: la terna dei candidati sindaci che proprio quell’anno dovevano sfidarsi alle elezioni comunali.
Dall’inchiesta di oggi, sottolineano gli investigatori, emerge che la ‘ndrangheta in Emilia ha assunto una nuova veste, grazie all’appoggio degli imprenditori locali. I dettagli dell’operazione saranno resi noti in una conferenza stampa in programma alle 10:45 presso la procura di Bologna, alla presenza del procuratore nazionale antimafia, Franco Roberti.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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