Gennaio 29th, 2015 Riccardo Fucile
NEGLI ULTIMI 11 ANNI IL DIRIGENTE HA GUADAGNATO OLTRE 10 MILIONI DI EURO… SOLO NEL 2014 LA RETRIBUZIONE HA SFIORATO I 2 MILIONI
I bambini sognano di diventare, lo confermano anche i sondaggi, piloti, dottori o astronauti. 
E però, se volessero guadagnare cifre davvero stellari, dovrebbero puntare su un lavoro meno trendy ma assai più redditizio: quello di segretario generale della Coldiretti, l’associazione che raggruppa oltre un milione e mezzo di agricoltori italiani.
Solo negli ultimi 11 anni il segretario generale della Coldiretti ha guadagnato infatti la bellezza di 10 milioni di euro.
È questa la cifra record scoperta da “l’Espresso” spulciando i dati ufficiali dell’Inps: solo nel 2014 Vincenzo Gesmundo ha incassato tra stipendio e buonuscita 1,8 milioni di euro, a cui aggiungere anche il Tfr, circa 200 mila euro.
In tempi di vacche magre per l’economia italiana e per i contadini, la somma fa scalpore.
Il segretario, uno dei dirigenti più influenti della Coldiretti, dopo aver preso il super bonus non ha nemmeno lasciato l’associazione, ma ha cambiato tipo di rapporto di lavoro, passando da un contratto a tempo indeterminato a tempo determinato: ora prenderà 224 mila euro netti l’anno.
Oltre 18 mila euro al mese.
Contadino, ma milionario.
Emiliano Fittipaldi
(da “L’Espresso“)
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Gennaio 29th, 2015 Riccardo Fucile
PRENDE 9 VOTI COME PRODI… IL CAPOGRUPPO DI SEL DELLA QUINTA MUNICIPALITA’ DI NAPOLI COINVOLTO NELL’ELEZIONE DA QUALCHE BUONTEMPONE
Sostiene di non saperne niente e c’è da credergli.
Mauro Morelli, barbuto capogruppo di Sel alla Quinta municipalità del Comune di Napoli, che comprende i quartieri Vomero e Arenella, ha ottenuto nove voti nel primo scrutinio.
Nove, quanti Romano Prodi.
Al punto da indurre il solitamente compassato Enrico Mentana a chiedersi in maniera piuttosto colorita, in un fuori-onda che è già virale sul web e che domina la pagina Facebook dello stesso Morelli, chi mai fosse questo candidato.
Lo stesso candidato a sua insaputa, sempre sul suo profilo Fb, posta lo screen-shot dell’homepage di Repubblica.it con i risultati dello scrutinio e rassicura i suoi amici che gli chiedono notizie: “Sì, sono io”.
Di Morelli a livello nazionale si sa molto poco, praticamente nulla, mentre è piuttosto noto nel suo quartiere per l’impegno a sinistra e la partecipazione alle manifestazioni elettorali del suo partito e della lista Tsipras.
Non si sa chi può averlo votato, visto che il candidato ufficiale di Sel è Luciana Castellina, che infatti ha incassato 37 voti.
Forse uno scherzo, forse un gesto dimostrativo, nato quasi certamente per iniziativa di grandi elettori suoi concittadini, non necessariamente compagni di partito.
Antonio Tricomi
(da “La Repubblica“)
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Gennaio 29th, 2015 Riccardo Fucile
BERLUSCONI CAMBIA IDEA IN POCHE ORE: DAL QUASI SI’ A MATTARELLA ALLA DICHIARAZIONE DI GUERRA A RENZI
“Ci ha tradito, questo Renzi ci ha preso per i fondelli. Noi i patti li abbiamo rispettati, e lui li ha
stracciati”. L’unica certezza è la rabbia, la delusione bruciante.
Silvio Berlusconi per la prima volta pare un pugile suonato. Barcollante. Quasi confuso.
Al punto da passare dalla dichiarazione di resa alla dichiarazione di guerra nello spazio di quattro ore.
A metà mattina, dà ragione a Gianni Letta: “Silvio, se quello va al Quirinale con i nostri voti non farà cose contro di te. Non è dei nostri, ma è uno corretto”.
Solo dinanzi all’insurrezione dei suoi, Romani, Toti, il cerchio magico l’ex premier non prende in mano la cornetta per comunicare a Renzi che è pronto a votare al primo scrutinio Mattarella: “Meglio intestarcelo subito, che subirlo alla quarta” ripete Letta.
La ferita però sanguina.
È nel momento più difficile che una telefonata più delle altre gli fa ritrovare il piglio del combattente.
Marina, la primogenita, è durissima con Renzi. Gli fa capire che il “partito Mediaset” non ha nulla da temere dal nuovo capo dello Stato che si dimise ai tempi dell’approvazione della Mammì.
E di fronte allo schiaffo non si può porgere l’altra guancia.
Ecco perchè alla riunione dei grandi elettori la voce provata pronuncia un urlo di guerra: “Il patto del Nazareno si è rotto, perchè lo ha rotto Renzi. Ora avrà problemi a far passare le riforme”.
E per la prima volta invoca il voto sul Consultellum.
Forza Italia, spiega, voterà scheda bianca alle prime tre votazioni, ma anche alla quarta: “Se lo eleggano loro”.
Anche se sia Berlusconi sia tutto lo stato maggiore spiegano che non è un segno di ostilità verso il nuovo capo dello Stato il cui profilo e la cui storia sono meritevoli di rispetto, ma un atto politico verso un “metodo che si è rotto”.
Tanto che Berlusconi chiama Mattarella, per comunicarlo con garbo istituzionale.
Parlando con i big di Forza Italia è difficile capire se Berlusconi sarà davvero conseguente bocciando i provvedimenti da lui stesso votati o se si tratta solo di un urlo di dolore.
È chiaro che Forza Italia pare un fortino espugnato.
L’odio scorre sui volti del gruppo dirigente. E soprattutto verso Verdini, il nume del Nazareno. Perchè è saltata l’essenza stessa del patto.
Il Quirinale “condiviso” era la clausola numero uno in base alla quale l’ex premier ha dato tutto.
Questa: “Tutti tranne Prodi e nome da scegliere assieme”. E non solo non è arrivato il dividendo ma ora la Ditta azzurra va in perdita: “Abbiamo ceduto su tutto — ripete l’ex premier – su legge elettorale, riforme, tutto o ora non incassiamo niente?
Durissimi gli strali indirizzati verso il “ragazzo”. Prepotente. Un “giocatore d’azzardo”.
Una fonte di palazzo Grazioli spiega così la cruda verità : “Il Nazareno prevedeva al Colle uno scelto anche da Berlusconi. Ora Renzi lo mette lui. E con questa mossa Renzi dice a Berlusconi. Io ti tengo per le p…e, sono io che decido sulla salva Silvio e su quello che ti riguarda, quindi se vuoi il patto lo fai con me, non con uno al Colle. Altrimenti arrangiati”.
Pare che anche Verdini sia rimasto basito di fronte alla mossa di Renzi.
Perchè il ragazzo gioca pesante. Ma fino alla fine ha difeso le ragioni del Nazareno, chiedendo di votare Mattarella.
Alfano racconta a Berlusconi che i suoi hanno ricevuto telefonate fino a tarda notte, direttamente dal premier. Con l’obiettivo di fare pressione su Mattarella.
Nella Waterloo berlusconiana, l’unico elemento che regge è l’asse con Alfano.
Il “patto di unità d’azione” tiene. Angelino sente Renzi e caccia il quid: “Te l’ho già detto, Mattarella mai. Non usciremo dal governo, ma non lo votiamo”.
Pochi minuti dopo l’inizio delle votazioni Nunzia De Girolamo e Paolo Romani sembrano essere tornati nello stesso partito annunciando “conseguenze sulle riforme”. E tutto il gruppo ciellino di Lupi è scatenato contro “un cattolico di sinistra” al Colle. Parlano con i parlamentari, verificano la tenuta delle truppe.
Anche perchè adesso nel fortino espugnato è partita la resa dei conti. Il tam tam che i fittiani potrebbero dare sottobanco voti a Mattarella per sancire la capitolazione del Cavaliere si fa sempre più insistente: “Fitto lo aveva detto — dicono — che Berlusconi si è svenduto senza niente in cambio e questi sono i risultati. Andare alla trattativa sul Colle con la legge elettorale e le riforme approvate è stato demenziale”.
Pare un guerriero col coltello tra i denti Raffaele Fitto che a metà pomeriggio invoca “l’azzeramento totale del gruppo dirigente di Forza Italia nel partito e nei gruppi”. Dichiarazione che a palazzo Grazioli viene classificata alla voce “sciacallaggio”. Questo è il clima.
In Transatlantico gli azzurri si dicono certi che a questo punto il voto in primavera è inevitabile.
Qualcuno fa notare che difficilmente il primo atto di Mattarella possa essere lo scioglimento delle Camere che lo hanno eletto.
Resa, confusione dentro Forza Italia. Nel frattempo nel segreto dell’urna a Mattarella arriveranno voti da destra.
Quelli di Mario Mauro che ha fatto votare Gabriele Albertini, e anche parecchi azzurri.
Mai Berlusconi è stato così debole. Dentro e fuori il suo partito.
(da “Huffingtonpost”)
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Gennaio 29th, 2015 Riccardo Fucile
RENZI SU MATTARELLA CONTA SU CIRCA 580 VOTI, MA SE SPUNTANO 80 FRANCHI TIRATORI SALTA TUTTO
I grandi elettori del Pd hanno votato all’unanimità la candidatura di Sergio Mattarella alla presidenza della Repubblica. All’annuncio di Matteo Renzi si è levato un lungo applauso.
Non c’è l’accordo nè con Forza Italia nè con Area popolare, cioè l’unione del Nuovo Centrodestra di Angelino Alfano e dell’Udc. Silvio Berlusconi, nonostante il pressing di Gianni Letta e Fedele Confalonieri, non ce l’ha fatta ad accettare: “Questioni ideologiche, non personali” ha spiegato Francesco Paolo Sisto.
E’ saltato il metodo che avrebbe dovuto portare a una scelta condivisa, ha aggiunto Paolo Romani.
Il nome di Mattarella sarà speso al quarto scrutinio (in programma sabato 31) e incassa il sostegno di Sel, Scelta Civica e Popolari per l’Italia dopo che ieri c’era stata una esplicita apertura da parte di 25 parlamentari ex del Movimento Cinque Stelle.
In questo momento dunque Mattarella avrebbe dalla sua circa 580 voti, con un margine di 75 voti sul quorum necessario per l’elezione nella quarta votazione (505). A questi si starebbero aggiungendo anche 15 senatori del Gal, eletti con il centrodestra.
Così Berlusconi, riunendo i suoi grandi elettori, ha lanciato la sfida: “Voteremo scheda bianca anche dal quarto scrutinio in poi”.
Questo per vedere se Renzi ce la fa da solo, ma anche “un segno di rispetto”, ha sottolineato Berlusconi riferendo di una telefonata a Mattarella.
Ma la decisione su Mattarella è un altolà al patto del Nazareno.
E minaccia: “Vedrete — dice rivolgendosi ai suoi parlamentari — che ci saranno delle sorprese sulla legge elettorale e le riforme costituzionali… Vedrete che sia l’una che le altre non vedranno mai la luce come leggi della Repubblica…”.
Dura presa di posizione da parte della minoranza di Fitto.
“Azzeramento totale nel partito e nei gruppi parlamentari dopo il totale fallimento politico del Nazareno. E’ impensabile che i cultori del Nazareno pretendano ora di travestirsi da oppositori di Renzi”: così Raffaele Fitto europarlamentare di Fi in una nota.
“Se vogliamo fare una commedia, possiamo dire che va tutto bene in Forza Italia. Se invece vogliamo fare una cosa seria, occorre l’azzeramento totale nel partito e nei gruppi parlamentari”, sottolinea Fitto.
Alfano: “Patto di governo tiene”
“Ogni valutazione sul governo” fatta in relazione al voto per l’elezione del presidente della Repubblica “è fuori luogo. Per noi il patto di governo tiene ed è estraneo a questa giornata”. Lo ha detto, secondo quanto si apprende, Angelino Alfano ai gruppi di Area popolare.
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Gennaio 29th, 2015 Riccardo Fucile
IL PADRE ACCUSATO DI ESSERE VICINO ALLA MAFIA, UN FRATELLO E UN NIPOTE INDAGATI
Sergio Mattarella non è solo ricordato per alcuni effetti della sua legge. 
Lo si capisce adesso che il nome del professore palermitano, cresciuto a pane e Democrazia Cristiana, circola come uno dei più accreditati, se non quello più quotato, nella corsa all’elezione del nuovo presidente della Repubblica.
Una tradizione familiare che inizia con il padre Bernardo, tra i fondatori della Dc, vicesegretario nazionale del partito nel 1945, eletto nel 1946 nell’Assemblea costituente, ministro e più volte sottosegretario nei governi De Gasperi.
Un cursus honorum macchiato dai sospetti sui rapporti con gli esponenti della vecchia mafia siciliana da lui traghettati, secondo alcuni storici, dalla militanza monarchica e separatista sotto le insegne della Dc lanciata nell’occupazione del potere e nella conquista delle istituzioni.
Sospetti terribili che nei decenni successivi hanno consentito a gente come Claudio Martelli di accusare il capostipite di collusione con la mafia.
Una storia di famiglia continuata con l’ascesa di Piersanti che in pochi anni brucia tappe e scala il potere: deputato dell’Assemblea regionale siciliana, poi assessore. Fino al 1980 quando, presidente della Regione, venne ucciso sotto gli occhi del fratello.
Ma proprio dalla tragedia di Piersanti comincia la rincorsa di Sergio, professore di diritto parlamentare all’università di Palermo.
Milita nella corrente di Aldo Moro, entra in Parlamento la prima volta nel 1983. Quattro anni dopo, il balzo nel governo alla guida del ministero dei Rapporti con il Parlamento, prima nell’esecutivo De Mita poi in quello Goria.
Un’esperienza che rivelerà il suo carattere freddo al punto da far sembrare Arnaldo Forlani “un movimentista”, sentenzierà Ciriaco De Mita.
Cambiano i governi, Mattarella resta in sella.
Con il sesto esecutivo Andreotti trasloca al ministero della Pubblica istruzione. Incarico che rivestirà fino alle dimissioni, clamorose, rassegnate insieme ad altri ministri della sinistra Dc per protestare contro l’approvazione della legge Mammì, proprio la legge voluta da Bettino Craxi, Andreotti e Arnaldo Forlani (il famoso Caf) che ha gettato le fondamenta sulle quali Silvio Berlusconi ha edificato il suo impero televisivo.
Direttore de Il Popolo, organo della Democrazia cristiana (dal 1992 al 1994), tra i traghettatori della Dc verso il Partito Popolare, fu proprio nei primi anni Novanta che Mattarella rimase coinvolto nella vicenda che gli costerà un procedimento penale per finanziamento illecito.
Per una busta contenente tre milioni di vecchie lire in buoni benzina recapitatagli dall’imprenditore agrigentino Filippo Salamone, considerato dalla magistratura siciliana l’erede di Angelo Siino, il “ministro” dei lavori di Totò Riina.
Mattarella si difese dalle accuse sostenendo di aver accettato quel regalo di “modesto valore” e di aver distribuito i buoni carburante ai suoi collaboratori.
Il processo è andato avanti per un decennio e si è concluso con l’assoluzione (perchè il fatto non sussiste).
Alcune disavventure giudiziarie toccano anche alcuni familiari.
Il fratello Antonio finisce indagato negli anni Novanta a Venezia per riciclaggio di denaro sporco e associazione mafiosa con Enrico Nicoletti (componente della Banda della Magliana) per una speculazione edilizia a Cortina.
L’inchiesta fu poi archiviata per mancanza di prove.
Il nipote (il figlio di Piersanti, Bernardo) deputato regionale in Sicilia, è invece indagato — come molti colleghi in tutta Italia — per peculato in relazione ai rimborsi ai gruppi consiliari della Regione.
Nel frattempo, Sergio ha il tempo per inanellare una carriera invidiabile che ne fa uno degli esponenti più in vista della classe dirigente post-democristiana: battezza il Mattarellum, torna al governo con D’Alema nel 1998 assumendo la carica di vicepresidente del Consiglio e poi quella di ministro della Difesa.
E’ tra i fondatori della Margherita e resta in Parlamento fino al 2008.
Alle successive elezioni non si ricandida, sembra eclissarsi anche se nel 2009 l’allora segretario del Pd Dario Franceschini lo ripesca come possibile presidente della Rai.
Sono anni di apparente silenzio per Mattarella.
Nel 2011 l’ultimo scatto (almeno per adesso) della sua carriera: spinto dagli amici del Partito democratico viene eletto alla Corte costituzionale.
E, ironia della sorte, come giudice della Consulta il 4 dicembre 2013 dichiara incostituzionale quel Porcellum che il centrodestra aveva imposto cancellando, dopo oltre un decennio di applicazione, il suo Mattarellum.
Vedremo se ci saranno i numeri necessari per riportare al Quirinale, dopo un ex comunista come Napolitano, anche un altro vecchio ex democristiano.
Primo Di Nicola e Antonio Pitoni
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Gennaio 29th, 2015 Riccardo Fucile
I GRILLINI SI RISERVANO MANO LIBERA AL QUARTO SCRUTINIO
Le votazioni per il candidato Presidente della Repubblica del M5S si sono concluse alle 14. Hanno partecipato alla votazione 51.677 iscritti certificati.
Il primo è risultato Ferdinando Imposimato con il 32%, secondo Romano Prodi con il 20%, terzo Nino Di Matteo con il 13%.
Il dettaglio dei risultati:
1) Ferdinando Imposimato, 16.653 voti
2) Romano Prodi, 10.288
3) Nino Di Matteo, 6.693
4) Pierluigi Bersani, 5.787
5) Gustavo Zagrebelsky, 5.547
6) Raffaele Cantone, 3.341
7) Elio Lannutti, 1.528
8 ) Salvatore Settis, 1.51
9) Paolo Maddalena, 323
Ferdinando Imposimato sarà votato dal gruppo parlamentare sin dal primo scrutinio.
Ma il voto a Imposimato potrebbe essere limitato solo ai primi tre scrutini, infatti poi si precisa: “Ti informiamo che, in ogni caso, se dal quarto scrutinio i cambi di maggioranza dovessero portare ad un nome condiviso tra più forze politiche in Parlamento si deciderà come meglio muoverci con una votazione lampo sul blog”.
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Gennaio 29th, 2015 Riccardo Fucile
UN VOTO OGGI, DUE DOMANI E SABATO LA QUARTA… BERSANI APPOGGIA MATTARELLA
Si parte. 
Alle ore 15 a Montecitorio si comincia a votare per eleggere il nuovo Presidente della Repubblica. Matteo Renzi farà , a quanto si apprende, il nome di Sergio Mattarella all’assemblea dei grandi elettori del Pd che si riunirà alle 13.
In ogni caso il premier darà indicazione di votare scheda bianca ai primi tre scrutini. Anche Forza Italia al primo scrutinio voterà scheda bianca, Lega e Fratelli d’Italia Vittorio Feltri.
Il Movimento 5 stelle sceglierà sul web il proprio candidato su una rosa di nove nomi: fra loro anche Romani Prodi e Bersani.
Lo stesso Prodi però, a proposito della corsa al Colle, afferma in una nota: “Io posso essere un segno di contraddizione ma non voglio essere uno strumento di divisione”.
Uno scrutinio oggi, alle 15; due scrutini domani, il primo alle 9,30 e il secondo alle 15,30.
Questo il calendario delle votazioni per l’elezione del Capo dello Stato deciso dalla conferenza dei capigruppo della Camera.
“Se tutti sono responsabili ce la facciamo comunque”. Così Pierluigi Bersani, parlando con i giornalisti a Montecitorio, commenta la candidatura di Sergio Mattarella al Quirinale.
Lei si sarebbe aspettato una scelta così da Renzi? “Sì, è una scelta che tiene unito il partito” afferma l’ex segretario.
Ma si tiene duro anche senza i voti di Berlusconi? “Sì, se tutti sono responsabili ce la facciamo comunque. Quanto a Berlusconi, abbiamo già abbastanza problemi noi, farà quello che vorrà ”
L’assemblea dei grandi elettori del Pd, prevista alle ore 13, sul Quirinale, sarà trasmessa in streaming.
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Gennaio 29th, 2015 Riccardo Fucile
IL COMPAGNO GRISSINO: IL BERLINGUERIANO CHE AMA I CONDANNATI
Il minimo che si dovrebbe fare, prima di lanciare la candidatura di Tizio o Caio alla più alta carica dello Stato, è informarsi bene sul suo curriculum, i suoi trascorsi e quelli della sua famiglia, onde evitare di ritrovarsi un presidente imbarazzante, o addirittura ricattabile, per i più svariati motivi.
Non solo penali, ma anche morali, politici o semplicemente di inopportunità .
La logica che invece sembra ispirare il caravanserraglio delle consultazioni e delle candidature usa e getta di questi giorni è esattamente quella opposta: non si butta via niente.
Di Amato abbiamo già detto tutto: il fatto che continui a essere tra i favoriti la dice lunga sulla scriteriata superficialità dei politici che contano e che la memoria storica o non ce l’hanno o l’hanno azzerata con un clic sul Reset.
Per la Finocchiaro, a parte tutto il resto, dovrebbe bastare il marito sotto processo per truffa e abuso d’ufficio.
Del giudice costituzionale Sergio Mattarella abbiamo ricordato la fama di persona perbene (come quella del fratello Piersanti, assassinato da Cosa Nostra) e l’assoluzione per finanziamento illecito, ma anche la confessione di aver accettato un contributo elettorale da Filippo Salamone, universalmente noto in Sicilia come il costruttore di Cosa Nostra.
Siccome poi, per il capo dello Stato,conta anche la reputazione della famiglia (ne sa qualcosa la buonanima di Leone), non si possono dimenticare le ombre sul defunto padre Bernardo, ras della Dc siciliana nel Dopoguerra; e neppure quelle più recenti che hanno coinvolto il fratello Antonino, indagato negli anni 90 a Venezia per riciclaggio di denaro sporco e associazione mafiosa col cassiere della banda della Magliana Enrico Nicoletti, per una speculazione su una decina di alberghi a Cortina: inchiesta poi archiviata nel 1996 per mancanza di prove sulla provenienza illecita del denaro, con coda di polemiche anche in Parlamento.
Completano il quadretto famigliare il nipote Bernardo, figlio di Piersanti, deputato regionale in Sicilia, ora indagato per peculato sui rimborsi regionali; e il figlio di Sergio, Bernardo Giorgio, allievo di Sabino Cassese, docente di Diritto amministrativo a Siena e alla Luiss nonchè capo dell’ufficio legislativo della Funzione pubblica al ministero della PA, accanto a Marianna Madia: il suo compenso di 125 mila euro l’anno ha sollevato qualche malignità .
La sindrome della memoria corta contagia anche i 5Stelle, che presentano una serie di candidati di prim’ordine alle Quirinarie. Ma portano in palmo di mano Ferdinando Imposimato. Che, per carità , è una persona simpatica e onesta, un ex giudice valoroso, un ex parlamentare Pci-Pds molto vicino anche al Psi, ma anche protagonista di incredibili attacchi contro il pool di Milano ogni volta che metteva le mani su qualche ladro socialista.
Quando Borrelli, il 30-4-1993, annunciò il conflitto d’attribuzioni contro la Camera che aveva negato l’autorizzazione a procedere su Craxi, Imposimato disse che non poteva farlo e tuonò: “Borrelli continui a fare il magistrato, non faccia politica, non interferisca sulla volontà del Parlamento”.
Nel ’96, tornato in Cassazione, difese il pm romano Ciccio Misiani che dava consigli a Renato Squillante poco prima dell’arresto di quest’ultimo (era sul libro paga di Previti): “Ho apprezzato molto Misiani, anch’io avrei dato quei consigli a Squillante, un uomo dal quale ho imparato molto” (Corriere, 14-3-1996).
E nove giorni dopo, non contento, si fece intervistare dal Giornale per chiedere la scarcerazione di Squillante e accusò il pm di violare la legge sulla custodia cautelare: “Di questo passo la gente penserà che le inchieste abbiano scopi politici”.
L’11-7 aggiunse: “Le cose fatte da Di Pietro meritavano il trasferimento per incompatibilità ambientale, ma c’era timore reverenziale verso tutto il pool”.
Poi si ricandidò con gli ex craxiani dello Sdi.
Ma che ci azzecca Imposimato con i 5Stelle e il Quirinale?
A proposito di amnesie selettive, si parla persino di Fassino: 66 anni, deputato per 5 legislature, dirigente del Pci-Pds-Ds, fu sottosegretario agli Esteri nel governo Prodi-1, ministro del Commercio estero nel governo D’Alema e della Giustizia nel governo Amato-2, quando abolisce di fatto i pentiti di mafia e propone la depenalizzazione di tutti i reati finanziari.
Roba che non era venuta in mente nemmeno a B.
Nel 2001 è candidato a vicepremier di Rutelli, tanto vince B.
Lui, per premio, diventa segretario Ds. Fino al 2007, quando nasce il Pd. Non è mai stato indagato, ma il suo nome è comparso spesso in atti giudiziari, anche piuttosto imbarazzanti.
La prima volta nel ’93: il presidente di Euromercato Carlo Orlandini racconta ai pm di Torino di aver incontrato nel 1989 Fassino, allora segretario provinciale del Pds, per parlare del progetto dell’ipermercato Le Gru di Grugliasco (poi finito in uno scandalo di mazzette rosse); e, subito dopo l’interrogatorio, inviò un fax a Fassino per rivelargli quel che aveva dichiarato ai magistrati.
Che bisogno aveva di spedire quel fax, violando il segreto investigativo? E che c’entrava Fassino con un centro commerciale? Mistero.
Nel 2005 l’ex governatore di Bankitalia Antonio Fazio racconta al pm Francesco Greco: “A fine 2004-inizio 2005 sono venuti da me Fassino e Bersani a chiedere se si poteva fare una grande fusione Unipol-Bnl-Montepaschi. Io li ho ascoltati”.
A che titolo il segretario Ds si occupava di fusioni bancarie? Mistero.
Nell’estate 2005, il Compagno Grissino (come lo chiamano a Torino) ci ricasca. L’Unipol di Giovanni Consorte, la compagnia assicurativa delle coop rosse, si svena per scalare la Bnl.
Giornalisti, imprenditori e politici della sinistra segnalano i rischi dell’operazione e l’impresentabilità dei compagni di avventura: il banchiere Fiorani, gli immobiliaristi Ricucci e Coppola.
Ma Fassino li difende a spada tratta: “Considero incomprensibile la puzza sotto il naso che li circonda. Bisogna solo capire se un imprenditore fa bene o meno il suo mestiere” (22-6-2005).
“È tanto nobile costruire automobili o essere concessionario di telefonia, quanto operare nel mondo finanziario o immobiliare” (7-7-2005).
Quando le telefonate di Fassino, intercettate sulle utenze di Consorte, diventano pubbliche, il conflitto d’interessi tra Unipol e i vertici Ds dà un duro colpo alla credibilità del partito.
Senza contare la figuraccia del segretario tenuto all’oscuro fino all’ultimo momento da Consorte & C., convinti che sia meglio non informarlo perchè “tanto non capisce un cazzo”.
Solo il 18 luglio, vigilia dell’Opa taroccata, Consorte gli svela i retroscena della cordata occulta che rastrella azioni Bnl in barba al mercato e alla legge. Fassino, anzichè fargli notare la scorrettezza dell’operazione, prende appunti ed esulta: “Allora, siamo padroni della banca?… Portiamo a casa tutto… Bravo, bene, congratulazioni, bravo bravo, auguri!”.
La telefonata uscirà il 2 gennaio 2006 sul Giornale di B. e costerà all’Unione di Prodi diversi punti alle elezioni, portando al sostanziale pareggio.
A che titolo il leader Ds sponsorizzava scalate bancario-assicurative? Mistero.
Lui, anzichè spiegare, grida al complotto contro la sinistra e le coop. Denuncia la fuga di notizie, per cui B. sarà condannato in primo grado e prescritto in appello (anche a risarcire subito Fassino con 80 mila euro, che però il buon Piero non ha mai chiesto: non si sa mai…).
E soprattutto si proclama “fedele alla lezione che ci ha lasciato Enrico Berlinguer”. Strano, perchè due anni dopo riabilita Craxi come padre della “sinistra riformista” e addirittura lo issa nel “Pantheon del Pd con De Martino, Lombardi, Pertini e Nenni”. Nel 2011 si candida a sindaco di Torino.
E chi sceglie come coordinatore della sua campagna? Un compagno pregiudicato: Giancarlo Quagliotti. Che, dopo la sua elezione, diventa il suo braccio destro.
Nel 1983 Quagliotti è capogruppo al Comune e viene coinvolto negli scandali Zampini e “semafori intelligenti” (sarà poi prosciolto).
Nel ’93 è di nuovo indagato per una tangente di 260 milioni di lire dalla Fiat al Pds. E stavolta viene condannato in via definitiva a 6 mesi per finanziamento illecito con il suo sodale Primo Greganti.
La mazzetta riguarda l’appalto per il depuratore del consorzio Po-Sangone: è stata versata su due conti cifrati a Lugano, “Idea” e “Sorgente”, aperti rispettivamente da Quagliotti e Greganti.
Quelle vecchie mazzette rosse tornano d’attualità nel 2014, quando nel frattempo Fassino è trasvolato dalla Ditta al fronte renziano.
A Milano viene riarrestato Greganti per le tangenti Expo. Uno degli imprenditori pagatori è Giandomenico Maltauro, anche lui arrestato, che dichiara a verbale: “Greganti si consultava con Bersani e Fassino”.
Bersani smentisce di aver “mai in vita mia incontrato o parlato con Greganti”. Fassino invece smentisce ciò che Maltauro non ha mai detto (“in vita mia non mi sono mai occupato di appalti”), ma non ciò che ha detto sui presunti referenti del Compagno G. Il quale, nel Pd torinese dei fassinian-renziani, ha riottenuto la tessera del partito nonostante le due condanne definitive per Tangentopoli.
Pochi mesi dopo, scandalo del Mose a Venezia. Viene arrestato il sindaco pd Luigi Orsoni e Fassino mette subito la mano sul fuoco: “Chi lo conosce non può dubitare della sua onestà e correttezza. I magistrati appurino presto la sua innocenza per consentirgli di tornare sindaco”.
Poi Orsoni confessa e si dimette.
La scena si ripete con Vasco Errani, condannato in appello per falso, e per Vincenzo De Luca, condannato in primo grado per abuso.
Fassino li difende entrambi, diventando il santo protettore dei pidini condannati.
Nei secoli “fedele alla lezione di Berlinguer”, ci mancherebbe.
Marco Travaglio
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Gennaio 29th, 2015 Riccardo Fucile
RITORNANO I FANTASMI DC… L’ACCORDO SAREBBE QUELLO DI “BRUCIARE MATTARELLA” E ALLA SESTA VOTAZIONE ELEGGERE IL CENTRISTA
E se lo stallo nascondesse il pacco del Nazareno? 
Il sospetto diventa feroce con il passare dei minuti. Matteo Renzi sta incontrando i capigruppo del Pd e alla Camera è l’ora del surplace.
Amato e Mattarella sono appaiati, in un tempo sospeso, entrambi votati alla sconfitta. Ed è a questo punto che un ex ministro berlusconiano decide di vivacizzare il deserto dei tartari di Montecitorio e racconta una storia.
“Adesso vi spiego come stanno le cose”. È infervorato, impaziente, incazzato. La notizia che Pierferdinando Casini, imbolsito leader del piccolo centro, marito di Azzurra Caltagirone, è stato ricevuto a Palazzo Chigi è passata quasi inosservata.
Perchè è Casini il protagonista della storia.
Il senatore democristiano, sotto le insegne di Udc più Ncd, fa tuttora parte della rosa che piace a Berlusconi. Non solo Amato, quindi.
Di più, il candidato moderato è lui. “Non fatevi depistare da quei due, hanno un accordo di massima su Casini ed è solo questione di tempo, dopo la quarta votazione”. Casini? Possibile? E tutti gli altri?
Le rivelazioni dell’ex ministro sembrano marziane, cioè provenienti da Marte.
“A dicembre si sono incontrati Lotti, Guerini e Romani. Tutto è cominciato lì. Nella loro discussione Casini ha avuto da subito il profilo migliore, il più affidabile e solido per il patto del Nazareno e di tutto quel che ne consegue”.
Ossia garantire l’agibilità politica a Silvio decaduto dal Parlamento.
Oggi tutti i riflettori, le telecamere, i registratori, gli smarphone sono puntati sul catafalco di Montecitorio, come viene chiamata la cabina elettorale per i grandi elettori del capo dello Stato.
Ma è proprio in questi momenti, con lucidità e calma, che bisogna appuntarsi una data: 20 febbraio.
Il giorno in cui il governo riprenderà la delega fiscale con il decreto che salva Berlusconi con la fatidica norma del 3 per cento per condonare gli evasori fiscali. Ecco, il punto.
Al Quirinale chi avrà il quintale di peli sullo stomaco necessario per firmare una robaccia del genere? Risposta dell’ex ministro: “Casini è l’unico”.
Continua: “Renzi ha chiarito con Berlusconi che Pier non può essere però digeribile alla quarta votazione. Il Pd non capirebbe mai. Prima bisogna creare le condizioni per lo stallo e poi aspettare”.
In questa chiave, la candidatura di Casini diventa più di una suggestione. Del resto, i due soci del patto del Nazareno hanno sinora depistato e creato solo confusione.
Così lo stallo di ieri diventa una pantomima per far finta di piegarsi a vicenda con il gioco dei veti.
Poi il nome di Casini potrebbe essere gettato sul tavolo nella fase decisiva. Forse sabato. Addirittura all’inizio della prossima settimana.
Diciamo dal sesto scrutinio in poi, dopo aver impallinato Mattarella, al quarto e al quinto.
Tutto dipende dalla tenuta di Berlusconi nella trattativa.
Al punto che, in Transatlantico, si appalesa Fabrizio Cicchitto, oggi alfaniano, e sornione confida: “Pare che Berlusconi stavolta faccia sul serio”.
Casini è la via centrista al Nazareno, garante per B. e Renzi e di tutto il sistema che contiene il giannilettismo, dal faccendiere Bisignani in su.
Un ulteriore segnale per quel Partito della Nazione che devasta i sogni delle minoranze di Pd e Forza Italia.
Non a caso il mostro dal volto moderato dovrebbe emergere dalla palude dello stallo, con la scusa di riportare un cattolico al Quirinale dopo i tre lustri dei due laici, Ciampi e Napolitano.
Fantapolitica? Vista la fonte, no.
Ma il Pd, seppur sfiancato dai giochini di Renzi, reggerebbe un’operazione del genere? C’è solo da attendere.
Quel che è certo è che da mesi Casini è andato a Canossa da Silvio Berlusconi proprio in funzione della successione a Giorgio Napolitano.
Hanno fatto pace a Palazzo Grazioli e il leader dell’Udc si è sdraiato sulle condizioni poste da Berlusconi.
Attualmente il suo nome è il meno esposto di tutti e questo favorisce colloqui e conversazioni riservate.
Lotti e Guerini, per conto di Renzi, custodiscono in segreto il ricorso all’opzione “Pier”.
Sul Quirinale si sta giocando una partita strana e pesante, mai vista prima.
Su Montecitorio cade il buio e passa uno sconsolato deputato di sinistra: “Peggio di Amato c’è solo di Casini”.
Fabrizio d’Esposito
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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