MATTARELLA? NO, GRAZIE. CHI ACCETTA TRE MILIONI DI CONTRIBUTO ELETTORALE DA UN BOSS VICINO A RIINA NON E’ IL NOSTRO PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
IL PADRE ACCUSATO DI ESSERE VICINO ALLA MAFIA, UN FRATELLO E UN NIPOTE INDAGATI
Sergio Mattarella non è solo ricordato per alcuni effetti della sua legge.
Lo si capisce adesso che il nome del professore palermitano, cresciuto a pane e Democrazia Cristiana, circola come uno dei più accreditati, se non quello più quotato, nella corsa all’elezione del nuovo presidente della Repubblica.
Una tradizione familiare che inizia con il padre Bernardo, tra i fondatori della Dc, vicesegretario nazionale del partito nel 1945, eletto nel 1946 nell’Assemblea costituente, ministro e più volte sottosegretario nei governi De Gasperi.
Un cursus honorum macchiato dai sospetti sui rapporti con gli esponenti della vecchia mafia siciliana da lui traghettati, secondo alcuni storici, dalla militanza monarchica e separatista sotto le insegne della Dc lanciata nell’occupazione del potere e nella conquista delle istituzioni.
Sospetti terribili che nei decenni successivi hanno consentito a gente come Claudio Martelli di accusare il capostipite di collusione con la mafia.
Una storia di famiglia continuata con l’ascesa di Piersanti che in pochi anni brucia tappe e scala il potere: deputato dell’Assemblea regionale siciliana, poi assessore. Fino al 1980 quando, presidente della Regione, venne ucciso sotto gli occhi del fratello.
Ma proprio dalla tragedia di Piersanti comincia la rincorsa di Sergio, professore di diritto parlamentare all’università di Palermo.
Milita nella corrente di Aldo Moro, entra in Parlamento la prima volta nel 1983. Quattro anni dopo, il balzo nel governo alla guida del ministero dei Rapporti con il Parlamento, prima nell’esecutivo De Mita poi in quello Goria.
Un’esperienza che rivelerà il suo carattere freddo al punto da far sembrare Arnaldo Forlani “un movimentista”, sentenzierà Ciriaco De Mita.
Cambiano i governi, Mattarella resta in sella.
Con il sesto esecutivo Andreotti trasloca al ministero della Pubblica istruzione. Incarico che rivestirà fino alle dimissioni, clamorose, rassegnate insieme ad altri ministri della sinistra Dc per protestare contro l’approvazione della legge Mammì, proprio la legge voluta da Bettino Craxi, Andreotti e Arnaldo Forlani (il famoso Caf) che ha gettato le fondamenta sulle quali Silvio Berlusconi ha edificato il suo impero televisivo.
Direttore de Il Popolo, organo della Democrazia cristiana (dal 1992 al 1994), tra i traghettatori della Dc verso il Partito Popolare, fu proprio nei primi anni Novanta che Mattarella rimase coinvolto nella vicenda che gli costerà un procedimento penale per finanziamento illecito.
Per una busta contenente tre milioni di vecchie lire in buoni benzina recapitatagli dall’imprenditore agrigentino Filippo Salamone, considerato dalla magistratura siciliana l’erede di Angelo Siino, il “ministro” dei lavori di Totò Riina.
Mattarella si difese dalle accuse sostenendo di aver accettato quel regalo di “modesto valore” e di aver distribuito i buoni carburante ai suoi collaboratori.
Il processo è andato avanti per un decennio e si è concluso con l’assoluzione (perchè il fatto non sussiste).
Alcune disavventure giudiziarie toccano anche alcuni familiari.
Il fratello Antonio finisce indagato negli anni Novanta a Venezia per riciclaggio di denaro sporco e associazione mafiosa con Enrico Nicoletti (componente della Banda della Magliana) per una speculazione edilizia a Cortina.
L’inchiesta fu poi archiviata per mancanza di prove.
Il nipote (il figlio di Piersanti, Bernardo) deputato regionale in Sicilia, è invece indagato — come molti colleghi in tutta Italia — per peculato in relazione ai rimborsi ai gruppi consiliari della Regione.
Nel frattempo, Sergio ha il tempo per inanellare una carriera invidiabile che ne fa uno degli esponenti più in vista della classe dirigente post-democristiana: battezza il Mattarellum, torna al governo con D’Alema nel 1998 assumendo la carica di vicepresidente del Consiglio e poi quella di ministro della Difesa.
E’ tra i fondatori della Margherita e resta in Parlamento fino al 2008.
Alle successive elezioni non si ricandida, sembra eclissarsi anche se nel 2009 l’allora segretario del Pd Dario Franceschini lo ripesca come possibile presidente della Rai.
Sono anni di apparente silenzio per Mattarella.
Nel 2011 l’ultimo scatto (almeno per adesso) della sua carriera: spinto dagli amici del Partito democratico viene eletto alla Corte costituzionale.
E, ironia della sorte, come giudice della Consulta il 4 dicembre 2013 dichiara incostituzionale quel Porcellum che il centrodestra aveva imposto cancellando, dopo oltre un decennio di applicazione, il suo Mattarellum.
Vedremo se ci saranno i numeri necessari per riportare al Quirinale, dopo un ex comunista come Napolitano, anche un altro vecchio ex democristiano.
Primo Di Nicola e Antonio Pitoni
(da “il Fatto Quotidiano”)
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