Destra di Popolo.net

RODOTA’ SPIAZZA LA SINISTRA ITALIANA: “SEL, PRC E MINORANZA PD SONO ZAVORRE”

Gennaio 25th, 2015 Riccardo Fucile

“NON SI RICOSTRUISCE GUARDANDO A LORO”

Mentre gli occhi sono puntati sul voto in Grecia, sulla tre giorni vendoliana a Milano e sulla “brigata Kalimera” ad Atene, il dibattito a sinistra in Italia ha anche altri protagonisti. Di peso, anche se ora in sordina
La testa pensante è Stefano Rodotà  ma accanto a lui ci sono nomi del calibro di Maurizio Landini, Gino Strada, don Luigi Ciotti.
Mentre i “kalimeriani”, vendoliani, rifondazionisti, “tsiprasiani” più o meno doc, sperano di importare in Italia il soffio di Tsipras e mentre oggi a Human Factor Nichi Vendola, Pippo Civati, Paolo Ferrero, Stefano Fassina spiegheranno la loro idea di sinistra, quegli altri studiano altre strade. Senza strappi o scontri.
Senza divergenze sul ruolo catalizzatore che potrebbe avere la vittoria di Syriza. Ma con altre priorità .
Nichi Vendola, oggi, assicurerà  che non ci sarà  nessuna “ora X”.
Ma l’ora X è nelle cose e la decisione di Sergio Cofferati di abbandonare il Pd ha accelerato l’attesa e il vorticoso rito delle riunioni.
Tutti in cerca di un possibile rimescolamento dei gruppi dirigenti che si conoscono da decenni. Sotto traccia, però, la discussione è più complicata.
Il perchè lo spiega una intervista a Stefano Rodotà , già  parte della “sinistra indipendente” quando c’era il Pci, candidatura illustre, per quanto snobbata, alla presidenza della Repubblica, che su Micromega espone una idea molto diversa dell’ipotesi assemblativa presentata finora.
“La sinistra italiana ha alle spalle due fallimenti” risponde Rodotà : “La lista Arcobaleno e Rivoluzione Civile di Ingroia. Due esperienze inopportune nate per mettere insieme i cespugli esistenti ed offrire una scialuppa a frammenti e a gruppi perdenti della sinistra”.
Qui il giudizio è spietato: “Chi pensa di ricostruire un soggetto di sinistra o socialmente insediato guardando a Sel, Rifondazione, Alba e minoranza Pd sbaglia. Lo dico senza iattanza, ma hanno perduto una capacità  interpretativa e rappresentativa della società . Nulla di nuovo può nascere portandosi dietro queste zavorre”.
Giudizi così sferzanti spiegano, forse, perchè Rodotà  non sia presente alla kermesse milanese.
“Rifondazione è un residuo di una storia – continua l’ex candidato al Quirinale – Sel ha avuto mille vicissitudini, la Lista Tsipras mi pare si sia dilaniata subito dopo il voto alle Europee. Ripeto: cercare di creare una nuova soggettività  assemblando quel che c’è nel mondo propriamente politico secondo me è una via perdente”.
Rodotà  non rinuncia ad avanzare proposte: “Bisogna partire da quel che definisco “coalizione sociale”.
Mettere insieme le forze maggiormente vivaci ed attive: Fiom, Libera, Emergency   – che ha creato ambulatori dal basso – movimenti per i beni comuni, reti civiche e associazionismo diffuso. Da qui, per ridisegnare il nodo della rappresentanza”.
La linea del professore ha un retroterra teorico nel suo ultimo libro, Solidarietà , il cui titolo è già  un programma.
Ma si nutre anche dei rapporti con i soggetti indicati anch’essi assenti dalla tre giorni vendoliana.
La Fiom ha inviato alcuni suoi rappresentanti ma non Maurizio Landini che non vuole più vedere associato il suo nome, e quello del suo sindacato, alla ricostruzione della sinistra politica.
Ma anche Libera di don Ciotti non è presente e così anche molti dei costituzionalisti che avevano lanciato la manifestazione “La via maestra”.
La Fiom, ad esempio, sta riflettendo seriamente sulla tematica del mutuo soccorso quella che ha portato Syriza a realizzare mense autogestite o ambulatori popolari .
Ci sono già  collaborazioni avviate in questo senso tra Libera ed Emergency e la stessa Fiom potrebbe realizzare qualcosa di simile.
Da segnalare, poi, il canale diretto aperto da don Ciotti con Beppe Grillo, incontrato due giorni fa e con il quale l’associazione che si batte contro le mafie, ma anche contro la miseria, sta pensando di predisporre una proposta parlamentare sul reddito di cittadinanza.
C’è quindi un altro racconto a sinistra. Parla più il linguaggio del “sociale” e non si appassiona molto alle riunificazioni di altri tempi.
Anche questa è una novità .

Salvatore Cannavò
(da “il Fatto Quotidiano”)

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IL “FINTO LAVORO” DELLA PAITA: DOPO LE PRIMARIE CONTINUANO LE POLEMICHE

Gennaio 25th, 2015 Riccardo Fucile

E IL PD A GENOVA LE DETTA LE CONDIZIONI

Con fatica il Pd ligure sta cercando di superare le lacerazioni aperte dalle primarie vinte da Raffaella Paita contro Sergio Cofferati ma il percorso sembra disseminato di piccoli ordigni: l’ultimo a esplodere è relativo all’assunzione nel 2007 di Paita da parte di un’azienda di archiviazione dati molto vicina al partito, come riportato da alcuni giornali.
L’11 giugno 2007, un giorno prima di essere nominata assessore nella giunta del neosindaco di La Spezia, Massimo Federici, Paita viene assunta come impiegata dalla Sti spa, non lavora nemmeno un giorno e non percepisce alcuno stipendio ma da quel momento i contributi (5.000 euro) vengono – come previsto per legge – versati dal Comune.
Paita dopo nove mesi si licenzierà .
Le assunzioni di comodo per avere una copertura previdenziale a spese della comunità  non sono una novità  fra i pubblici amministratori ma Paita respinge questo sospetto: «Non avevo neanche trent’anni, quando ho visto che l’incarico di assessore era l’inizio di una carriera politica duratura ho dato le dimissioni – spiega –. Il mio è un esempio di onestà  e coerenza».
Tuttavia la notizia intorbida un clima non ancora sereno. Non solo alcuni circoli genovesi hanno chiesto l’annullamento delle primarie dopo le accertate irregolarità  ma i civatiani sono usciti dalla segreteria del Pd a La Spezia e ieri non hanno partecipato alla direzione del partito a Genova.
Direzione che si è conclusa con un documento votato all’unanimità  la cui sintesi è un appoggio unitario ma condizionato a Paita.
Tutto il Pd con lei, quindi, ma impegnandola su una serie di punti, primo fra tutti «nessuna alleanza con forze e/o esponenti politici di centrodestra» e «condivisione nelle direzioni provinciali dei criteri per la composizione di eventuali liste civiche in coalizione col Pd».
Tradotto: non vogliamo ex Pdl mascherati in liste civiche.
Paita incassa l’appoggio e risponde con un più sfumato «no a partiti che si richiamino nel nome e nei valori alla destra».
La direzione genovese ricorda alla candidata che a Genova non ha vinto (il 35% contro il 65% di Cofferati) e che si deve «recuperare un rapporto di fiducia con l’elettorato».
Alla fine, l’abbraccio del Pd (civatiani esclusi) con Paita c’è stato anche se non molto affettuoso.
Resta sempre più isolato Cofferati: ieri al suo nome il Guardasigilli Andrea Orlando, che lo aveva sostenuto, ha letteralmente voltato le spalle.

Erika Dellacasa
(da “il Corriere della Sera”)

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GRECIA: TO POTAMI (IL FIUME) POSSIBILE AGO DELLA BILANCIA

Gennaio 25th, 2015 Riccardo Fucile

CHI E’ IL SUO LEADER STAVROS THEODORAKIS

Alleandosi con Syriza, il partito di centro sinistra To Potà mi (il Fiume), marcatamente europeista, potrebbe rappresentare l’ago della bilancia nelle elezioni greche di oggi che hanno visto la vittoria del partito della sinistra radicale di Alexis Tsipras sul filo della maggioranza assoluta dei seggi.
Secondo gli exit poll, To Potà mi si è aggiudicato fra il 5,73% ed il 6% dei voti, diventando il terzo o il quarto partito del paese dopo Syriza (tra il 35,5% e il 39,5%) e Nea Dimokratia (centro-destra, tra il 23 e il 27%).
Il Fiume sarebbe così destinato a divenire il classico “ago della bilancia” per la costituzione di un governo di coalizione in questo cruciale momento della politica greca.
To Potà mi non ha neanche un anno di vita ma ha già  bruciato importanti tappe: fondato il 26 febbraio del 2014 da Stavros Theodorakis, 52 anni, noto giornalista investigativo (divenuto popolarissimo con la trasmissione ‘Protagonisti’ condotta prima sulla Tv statale greca e poi sull’emittente privata Mega), alle europee ha ricevuto a sorpresa il 6,61% delle preferenze e ottenuto due eurodeputati aderendo poi al gruppo dell’Alleanza Progressista dei Socialisti e dei Democratici.
Sin dalla sua nascita, To Potà mi si è presentato senza una netta caratterizzazione ideologica chiamandosi fuori dalla casta dei partiti tradizionali ed è apprezzato soprattutto dagli strati sociali più colti.
Il partito piace anche ai delusi del partito socialista Pasok che non si fidano più delle promesse di Alexis Tsipras, il leader di Syriza.
La piattaforma politica di To Potà mi propone la riduzione del numero dei parlamentari (che sono 300), lo snellimento della burocrazia e del sistema giudiziario, la promozione della cultura e del turismo, e il diritto di voto per gli immigrati nelle amministrative.
Tra le proposte di Theodorakis: rimanere nell’euro, fine del clientelismo e degli sprechi, incentivi fiscali per creare posti di lavoro.

(da “Huffingtonpost“)

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CONFLITTO DI INTERESSE PER LA BOSCHI: POSSIEDE 1.557 AZIONI DELLA BANCA DELL’ETRURIA

Gennaio 25th, 2015 Riccardo Fucile

NON SOLO IL PADRE VICEPRESIDENTE, MA ANCHE LEI INTERESSATA ALLE QUOTAZIONI DELLLA BANCA…DOVEVA ASTENERSI, NON VOTARE LA RIFORMA DELLE BANCHE POPOLARI

Spunta un altro elemento nella brutta storia delle speculazioni che potrebbero avere accompagnato il varo del decreto governativo sulla riforma delle banche popolari, il brutto affaire sul quale ora ha aperto gli occhi anche la Consob.
Una non secondaria curiosità  che va a braccetto con le polemiche che hanno visto beneficiare di rialzi eccezionali anche la Popolare dell’Etruria e del Lazio, amministrata in qualità  di vicepresidente da Pier Luigi Boschi, padre di Maria Elena, ministro per le Riforme in carica.
Riguarda non il conflitto di interesse che vede coinvolta la Boschi per via dei suoi rapporti di parentela, ma quello che la chiama in causa direttamente come socio della banca e che, in quanto tale, avrebbe dovuto consigliarle di non partecipare alla riunione del Consiglio dei ministri che ha varato la riforma.
BUONE AZIONI
Il conflitto diretto della Boschi è contenuto nelle sue dichiarazioni dei redditi che ilfattoquotidiano.it è andato a spulciare.
Nella documentazione patrimoniale che il ministro ha depositato in Parlamento risulta infatti che è proprietaria di un pacchetto di azioni della stessa banca amministrata dal padre.
Si tratta di una piccola quota, ma che almeno sotto il piano dello stile (chi non ricorda le polemiche che accompagnarono i conflitti di interesse di Silvio Berlusconi?) avrebbe dovuto indurla ad astenersi dalla partecipazione alla riunione del governo del 20 gennaio scorso.
Vediamo cosa dicono le carte della Boschi.
L’ONORE DEL MINISTRO
Nella documentazione patrimoniale depositata il 4 giugno 2013 presso la Camera dei deputati e relativa agli introiti del 2012, «sul mio onore», insieme a un reddito complessivo lordo di 90 mila 031 euro e una «Mercedes classe B di 180 cv» immatricolata nel 2011, la Boschi dichiara di avere 10 azioni «Bcc Valdarn» e 10 azioni «Banca Etruria», la banca del padre. Questo per il 2012.
Nella denuncia di variazione datata 13 luglio 2014, quando per il 2013 dichiara 107 mila 734 euro lordi, si scopre che il numero delle azioni detenute dal ministro hanno fatto un balzo notevole: la Boschi, sempre sul suo onore, dichiara che «alla data odierna sono titolare di numero 1.557 azioni di Banca Etruria soc coop, per un valore complessivo pari a circa 1.100 euro».
Ilfattoquotidiano.it ha provato a raggiungere telefonicamente il ministro per chiederle un commento e per sapere se nel frattempo, dalla dichiarazione depositata alla Camera nel luglio 2014 e il famoso Consiglio dei ministri del 20 gennaio scorso, il suo pacchetto di azioni della “Banca Etruria” ha subito variazioni. Non è stato possibile. Ha risposto invece il suo staff: «Le azioni quelle erano e quelle sono rimaste. Come si può appunto vedere online, si tratta di 1.500 azioni da 0,74 per azione».

Primo Di Nicola e Antonio Pitoni
(da “il Fatto Quotidiano“)

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EXIT POLL GRECIA, STRAVINCE SYRIZA: TRA IL 36 E IL 38%, POSSIBILE MAGGIORANZA ASSOLUTA

Gennaio 25th, 2015 Riccardo Fucile

A TSIPRAS ANDREBBERO TRA 146 E 158 SEGGI (PER GOVERNARE NE SERVONO 151)… NUOVA DEMOCRAZIA TRA IL 26 E IL 28%… TERZO TO POTAMI, SOLO QUARTA ALBA DORATA

Syriza verso la maggioranza assoluta, seconda la Nuova Democrazia del premier uscente Antonis Samaras e Alba Dorata quarto partito.
I primi exit poll delle elezioni in Grecia consegnano la vittoria al partito di Alexis Tsipras.
“Ha vinto la speranza”, è il primo messaggio su Twitter dello staff mentre al quartier generale dello schieramento sono iniziati i primi festeggiamenti.
Dati ancora provvisori, ma la prima reazione è arrivata dal presidente della Bundesbank: “E’ nell’interesse del governo greco”, ha detto Jens Weidmann alla tv tedesca, “fare le riforme necessarie per risolvere i suoi problemi strutturali. La Grecia deve aderire alle condizioni del salvataggio”, ha aggiunto.
Alle 19.30 sono stati diffusi i secondi exit poll: Syriza, il partito di Tsipras, è in testa con il 36-38% .
Dimokratia sarebbe al 26-28% e al terzo posto “To Potami” (centrosinistra) e Alba Dorata (estrema destra) con il 6-7%.
Seguono il partito comunista Kke 5-6%,   i socialisti del Pasok 4,2-5,2%; Greci Indipendenti 4-5%; Kinima 2,2-3,2%.
“E’ una vittoria storica. E’ la vittoria del popolo che si è mobilitato contro l’austerità ”, hanno commentato i responsabili di Syriza al quartier generale del partito.
Atene è tornata alle urne per un voto che potrebbe avere forti ripercussioni politiche ed economiche su tutta l’Unione Europea.
Syriza ha affermato con forza la sua intenzione di ridiscutere il debito greco e ha già  annunciato che un suo eventuale governo riconoscerà  gli obiettivi fiscali fissati dai trattati europei ma non le misure previste dagli accordi firmati dal governo precedente con i creditori della troika (composta da Bce, Commissione Ue, e Fmi).
“Oggi — ha detto Tsipras dopo aver votato — è un giorno storico. I greci devono decidere se domani la troika deve ritornare in Grecia per proseguire ciò che ha fatto con il governo Samaras, ovvero tagliare ancora stipendi e pensioni. Il popolo deve votare per difendere la propria dignità  e per un governo che proseguirà  dure trattative con i creditori internazionali”.

(da agenzie)

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RENZI FA UN REGALO A MEDIASET: IL DIGITALE PUO’ ATTENDERE

Gennaio 25th, 2015 Riccardo Fucile

IL BISCIONE PUO’ TENERSI TUTTE LE FREQUENZE

Periodo di manine, la settimana che va da Natale a Capodanno: oltre al goffo tentativo di ripulire la fedina penale di Silvio Berlusconi con la norma del 3%, il governo ha consegnato un bel regalo a Mediaset.
Per adesso, s’accontenta la proprietà , e non direttamente il proprietario.
Con una postilla inserita nel decreto milleproroghe (adesso in Parlamento), un calderone che certifica le inefficienze italiane, Palazzo Chigi ha rinviato di un anno e mezzo l’immissione sul mercato di televisori (o impianti esterni) che ricevono trasmissioni in tecnologia Dvb T2, il digitale terrestre di ultima generazione.
Ha detto sì a una proposta di Federica Guidi, ministro dello Sviluppo economico. Poi nessuno se n’è accorto.
E pazienza se una legge di Mario Monti, che recepiva le indicazioni della Conferenza di Ginevra, avesse fissato la partenza per gennaio 2015.
La questione non è commerciale, ma puramente televisiva, e riguarda con prepotenza il Biscione.
Perchè l’esordio del Dvb T2 è necessario per avviare la riorganizzazione di un gruzzolo di frequenze, che Cologno Monzese utilizza, collocate su banda 700, una ridotta che l’azienda difende con qualsiasi mezzo e che va assegnata agli operatori telefonici.
Il passaggio a Dvb T2, che amplifica la capacità  di trasmissione, è in grado di provocare un brutto danno al Biscione: i concorrenti potrebbero aumentare i canali e Mediaset li potrebbe perdere, un guaio per l’offerta a pagamento che occupa tantissimo spazio.
Fu proprio il governo di Berlusconi a spingere per il trasloco dal vecchio analogico al nuovo digitale per incassare una plusvalenza di reti e ottenere due risultati ancora preziosi: arginare i rivali del satellite e indurre la Rai a investire 500 milioni di euro senza apportare benefici agli indici d’ascolto.
Il digitale interessava al Biscione, non a Viale Mazzini, che sopravvive con la logica dei tre grossi riferimenti generalisti, Rai1, Rai2 e Rai3.
Più di una volta, i vertici di Cologno Monzese hanno intimato ai governi di non toccare la banda 700. I motivi: centinaia di milioni di euro sperperati; Canale 5 & C. non avrebbero l’agio di un vasto spettro e, detto senza perifrasi, a Mediaset conviene che il precario equilibrio televisivo rimanga immutabile.
“Almeno sino al 2030” ha suggerito Gina Nieri, consigliere d’amministrazione di Mediaset e dirigente di fiducia di Fedele Confalonieri.
La banda 700, destinata agli imprenditori telefonici, non deve essere sottratta agli editori televisivi per ritorsione o per penalizzare Mediaset, non è un provvedimento calibrato su misura contro Berlusconi: è vitale per incentivare internet veloce. Lo prevede la Commissione Europea e lo ripete la Conferenza di Ginevra.
Il giovane Matteo Renzi, campione di selfie, riprende massime che l’anziano ex Cavaliere ha ormai abbandonato: vuole la burocrazia espletata a casa, vuole che si dialoghi con la posta elettronica, vuole che internet sia accessibile ovunque, dai sobborghi di periferia ai più sperduti paesini di provincia.
Allora perchè Renzi ha accolto il comma Guidi, un ministro non immune alle costanti pressioni dell’Autorità  di Garanzia Agcom sempre sensibile a Mediaset?
Il posticipo di un anno e mezzo imposto al Dvb T2 può benissimo ripetersi oppure no. L’ex Cavaliere è un uomo che va tenuto in sospeso, e il fiorentino l’ha capito.
Per Mediaset il favore è perfetto, dà  margine per pianificare il futuro senza assilli.
Il momento è confuso, c’è da vendere Mediaset Premium, da recuperare un po’ di denaro per assorbire i 700 milioni spesi per la Champions League.
Ci sono i destini che s’incrociano con l’ex nemico Rupert Murdoch e l’agognata Telecom da sedurre.
E il governo smentisce se stesso: internet veloce non è una priorità .
Forse perchè non fu sottoscritta al Nazareno.

Carlo Tecce
(da “Il Fatto Quotidiano”)

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SONDAGGIO DEMOPOLIS: SCENDE IL PD 36,3%, SALGONO M5S 19,7% E FORZA ITALIA 15,8%, CALANO LA LEGA 13% E FRATELLI D’ITALIA 3,3%

Gennaio 25th, 2015 Riccardo Fucile

SCENDE DI ALTRI 4 PUNTI LA FIDUCIA NEL PREMIER RENZI

Viviamo tempi tragici, segnati dal sanguinoso assalto a Charlie Hebdo, due settimane fa. Mentre in Italia ci attendono scelte meno drammatiche ma, comunque, determinanti per il nostro futuro. Anzitutto, l’elezione del Presidente della Repubblica e l’approvazione della nuova legge elettorale.
Eppure il clima d’opinione, rilevato dal sondaggio di Demos per l’Atlante Politico, non fa emergere eccessivi turbamenti.
Semmai, alcuni cambiamenti, non del tutto prevedibili. E solo in parte coerenti con la fase recente.
Il Pd, nelle stime di voto, pur perdendo qualcosa rispetto a un mese fa, resta sopra il 36%. Tutti gli altri seguono a grande distanza.
Per primo, il M5s. Nonostante le tensioni e le divisioni interne, è risalito, di poco. E sfiora il 20%.
Ma le maggiori novità  si osservano nel centro-destra.
Forza Italia, dopo il declino degli ultimi mesi, è risalita di oltre due punti. Ora è vicina al 16% (15,8%).
Ma, soprattutto, lascia indietro la Lega di Salvini. Sembrava in corsia di sorpasso. Inarrestabile. E invece si ferma al 13%. Un po’ meno di un mese fa.
Tutte le altre forze (e aree politiche) stazionano, sulle posizioni precedenti.
Ad eccezione di Sel e della Sinistra, che arretrano di oltre 2 punti. Attestandosi sul 4%
Si tratta, ripeto, di tendenze in parte inattese.
Partiamo dalla Lega. L’ondata emotiva sollevata dall’eccidio di Parigi e dalle tensioni intorno ai flussi migratori non sembra averne alimentato i consensi. Anche se, in effetti, nell’ultimo anno, sono aumentati i timori suscitati dagli sbarchi.
E dalla presenza degli immigrati. Percepiti come una minaccia all’ordine pubblico (34%), all’identità  religiosa (30%), ma soprattutto all’occupazione (36%).
A conferma che le preoccupazioni maggiori, per i cittadini, vengono dalla crisi economica. Dalla disoccupazione.
Mentre la “minaccia islamica”, il terrorismo non sembrano spaventare troppo. Almeno per ora. Così, la Destra le penista di Salvini lascia spazio alla Destra filogovernativa.
Che oggi non si limita più al Ncd. Ma comprende, appunto, Forza Italia. Silvio Berlusconi. Che, nei giorni scorsi, al Senato, ha garantito i voti necessari alla riforma elettorale.
Berlusconi, d’altronde, ha ripetuto, anche di recente, l’auspicio di poter guidare la corrente azzurra del Partito della Nazione.
Traduzione politica dell’accordo stretto, giusto un anno fa, da Renzi e Berlusconi.
Il Patto del Nazareno: PdN. La stessa sigla del “Partito della Nazione”.
Una prospettiva che sembra avere restituito fiato a Berlusconi e a Fi.
Mentre sta sollevando qualche problema di consenso al governo e al premier. E qualche dubbio fra gli elettori del Pd.
Secondo l’Atlante Politico di Demos, infatti, il gradimento del governo sarebbe sceso al 42% e la fiducia nei confronti di Matteo Renzi al 46%. In entrambi i casi, si tratterebbe di un calo di 4 punti in un mese. Ma di oltre 10, rispetto a settembre e di quasi 30% rispetto a giugno.   All’indomani della vittoria alle Europee. Il momento di massimo consenso per Renzi e il suo governo. I quali, evidentemente, soffrono le conseguenze della crisi.
Il Jobs Act, la principale riforma avviata per dare risposta ai problemi dell’occupazione e del mercato del lavoro, non ha ancora prodotto effetti visibili. Ma ha, invece, aperto divisioni profonde, nella società  e nei rapporti con il sindacato.
Così, dopo tante attese, questo è il tempo della delusione e del dissenso.
Che appannano l’immagine di Renzi e del suo governo. E alimentano la base elettorale del M5s. Megafono e amplificatore del disagio. Politico e sociale.
Renzi, peraltro, appare incalzato dal dissenso che sale dalla sinistra del Pd.
Dove il malessere verso il PdN e, soprattutto, verso il leader della corrente azzurra risulta ampio e visibile. Il gradimento di Berlusconi fra gli elettori del Pd è, infatti, limitato al 12%.
Fra gli altri leader   –   per grado di “sfiducia”   –   lo supera solo Grillo. Semmai, è interessante osservare come lo stesso Nichi Vendola disponga, nella base democratica, di un consenso ridotto: 23%. Simile a quello di Giorgia Meloni e Matteo Salvini.
Anche se il leader di Sel è tra i riferimenti del nuovo soggetto politico di sinistra a cui guardano i parlamentari e i militanti del Pd in polemica e dissenso con Renzi   –   e il suo PD (R).
Il sondaggio di Demos, però, suggerisce che, per ora, queste divisioni interne non abbiano indebolito il Pd.
Che mantiene un livello di consensi molto elevato. Nettamente superiore agli altri partiti.
Lo stesso Renzi, il segretario-premier, ha visto il proprio consenso personale indebolirsi sensibilmente, negli ultimi mesi. Ma resta ancora nettamente al di sopra di tutti gli altri leader. “Inseguito” (a distanza) solo da Salvini. Mentre, sul piano politico ed elettorale, l’opposizione al Pd è condotta, principalmente, dal M5s e dalla Ligue Nationale, di Salvini.
A sinistra, invece, l’attuale offerta politica non appare ancora in grado di attrarre   –   e allargare   –   il dissenso interno al Pd. Così, per quanto indeboliti, Renzi e il Pd (R) sembrano ancora senza alternativa. E senza opposizione.
O meglio, sfidati da un’opposizione anti-europea e/o xenofoba (nel caso della Lega) che, per questo, difficilmente possono presentarsi come alternativa “di governo”. In Italia e, ovviamente, in Europa.
D’altro canto, Renzi guida una maggioranza a “geometria variabile”. Che gli permette di surrogare le defezioni interne con il sostegno di altri soggetti politici, per ora, esterni al Pd. Come Berlusconi. Appunto.
Insomma, Renzi governa questo “Paese impreciso” (come lo ha definito Edmondo Berselli) sfruttando le altrui debolezze.
Ma ciò rischia di indebolire anche lui. Perchè gli offre un consenso senza fiducia, fondato sulla sfiducia negli altri.
D’altronde, è il segno del nostro tempo. Il tempo della sfiducia.

Ilvo Diamanti
(Da “La Repubblica”)

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UN UOMO SOLO SUL VIDEO: RENZI VA IN TV PIU’ DI BERLUSCONI QUANDO ERA PREMIER

Gennaio 25th, 2015 Riccardo Fucile

CERTIFICATO DALL’AGMCOM… E AGLI ALTRI SOLTANTO BRICIOLE

Su cento minuti dedicati alla politica dalle reti Rai nell’ultimo mese (dicembre), 20,36 sono stati occupati dal presidente del Consiglio, 18,83 da esponenti del suo governo e 22,89 da esponenti del suo partito ma non ministri.
Totale: più del 62 per cento.
Mettendo insieme tutte le opposizioni (Movimento 5 Stelle, Forza Italia, Lega, Sel, Fratelli d’Italia etc) non si arriva al 22 per cento.
Sono alcuni dati sul cosiddetto “tempo di antenna” forniti dall’Agcom, che tengono conto anche dei minuti dedicati alle istituzioni e alle altre cariche dello Stato.
Ma, seppur abbastanza impressionanti, i dati di un solo mese possono sembrare insufficienti, sicchè vale la pena di allargare lo sguardo.
Così ad esempio si scopre che nei suoi primi otto mesi di governo (marzo-ottobre 2014) Renzi ha goduto sulla Rai di uno spazio del 50 per cento superiore a quello che si era accaparrato Berlusconi nello stesso periodo, appena tornato premier (giugno 2008-gennaio 2009): nell’occupazione della tivù di Stato quindi il premier attuale ha surclassato l’ex Cavaliere.
Tuttavia Berlusconi non sembra risentirsene, visto che anche sulle reti Mediaset — sempre negli ultimi otto mesi — Renzi ha ottenuto una copertura superiore a quella di tutta Forza Italia, leader compreso.
Regina del renzismo è però La7, che nelle sue news batte tutte le concorrenti per tempo dedicato al premier.
E il 14 gennaio scorso, la rete di Urbano Cairo ha celebrato il primato con l’ospitata nordcoreana dell’ex rottamatore nel salotto di Daria Bignardi, in una puntata in cui la domanda politicamente più incalzante è stata: «Quando aveva vent’anni, come pensava che avrebbe trascorso il suo quarantesimo compleanno?».
Le curiosità  che può destare questo quadro di azzerbinamento catodico sono almeno tre.
La prima riguarda la mutazione avvenuta in Rai.
Una volta nella tivù di Stato era in vigore lo spoil system: ogni nuovo premier metteva i suoi fedeli ai posti di comando, silurando i precedenti. A questo giro non ce n’è stato bisogno: sono diventati tutti renziani all’improvviso, facendo sfigurare anche Paolo di Tarso nella pratica della folgorazione.
La seconda curiosità  riguarda l’interessante gestione della comunicazione implementata dallo spin-doctor Fillipo Sensi, strategia che si potrebbe sintetizzare con lo slogan “non si butta via niente”.
Se infatti pensavamo a Renzi come uomo- Twitter (il che è), Sensi lo ha imposto anche come uomo tivù (ovunque) e pure come uomo carta stampata (con svariate copertine di settimanali popolari). Se ci fossero ancora aedi e cantastorie di strada, Sensi spingerebbe anche con loro.
L’ultima (più dolorosa) curiosità  è la diminuita capacità  reattiva di quella parte del Paese che ai tempi di Berlusconi protestava contro il conflitto di interessi, temendone gli effetti omologanti, e ora invece ritiene accettabile un’omologazione mediatica maggiore.
Viene il dubbio che molti, ai tempi del Cavaliere, non difendessero il principio laico e “categorico” della pluralità  d’informazione, ma volessero solo prendere il suo posto nella colonizzazione del piccolo schermo.

Alessandro Gilioli

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QUEL REGALO ALLA BANCA DI PAPA’ BOSCHI: LA CONSOB INDAGA

Gennaio 25th, 2015 Riccardo Fucile

LA RIFORMA DELLE BANCHE POPOLARI FA GUADAGNARE SOPRATTUTTO QUELLA DELL’ETRURIA …IL VICEPRESIDENTE E’ IL PADRE DELLA MINISTRA CHE NON SI E’ ASTENUTA

Una manina da Londra ha gettato una rete a Piazza Affari e pescato a strascico le Popolari con un tempismo perfetto: giorni prima dell’approvazione della riforma voluta da Matteo Renzi che abolisce il cosiddetto voto capitario e le trasforma in società  per azioni.
Un tempismo che ha già  svegliato la Consob, ora impegnata a ricostruire gli scambi. Un’operazione di verifica non certo semplice, perchè dalla piazza inglese si stendono anche le reti dai paradisi fiscali, e che rischia di causare guai decisamente seri all’esecutivo Renzi nel caso tra i vari investitori internazionali attivi sul mercato individuasse il fondo Algebris di Davide Serra, amico, foraggiatore nonchè guru finanziario del premier.
Il fondo speculativo dell’ex manager Morgan Stanley ha infatti base a Londra. La banca che ha maggiormente beneficiato dello strascico anglosassone è la Popolare dell’Etruria e del Lazio, di cui vicepresidente è Pier Luigi Boschi.
Sì, il papà  di Maria Elena, ministro delle Riforme nonchè direttore generale della fondazione Open che negli ultimi anni ha ricevuto 150 mila euro proprio da Serra.
I cerchi, spesso, si chiudono
Il ministro ha partecipato alla seduta del 20 gennaio in cui è stato approvato il testo del decreto legge sulle popolari, mostrando il fianco a polemiche su un evidente conflitto di interessi.
Caso vuole che pochi giorni prima Movimento 5 Stelle, Sel e una parte del Pd abbiano ritirato fuori e riproposto una legge presentata nel novembre 2013 che all’epoca piaceva tanto anche a Matteo Renzi.
Una proposta di legge avanzata da Pippo Civati per introdurre il conflitto di interessi e il conseguente divieto di partecipare al voto “qualora il coniuge, la persona stabilmente convivente, un parente o un affine entro il secondo grado sia preposto alla cura ai sensi del comma 4 (in qualità  di rappresentante, amministratore, curatore, gestore, procuratore, consulente o in altra posizione analoga, ndr) di un interesse economico privato tale da poter condizionare l’esercizio delle funzioni pubbliche inerenti alla carica ricoperta”.
La proposta, come nel novembre 2013, è stata messa in un cassetto.
Intanto da Londra compravano. Salvando la popolare dell’Etruria, dove oltre al padre lavora anche il fratello di Maria Elena, Emanuele.
Gli acquisti sono iniziati il 15 gennaio. Il decreto, battezzato “investment compact”, è stato annunciato a mercati chiusi il 20 gennaio ma le indiscrezioni erano iniziate a circolare sin dal 16 e il 19 l’agenzia di stampa Reuters ha anticipato il piano nei dettagli.
In quattro giorni la Banca Popolare dell’Etruria ha registrato un balzo del 66 per cento, nonostante i ripetuti stop alla negoziazione per eccesso di rialzo, mettendo fine così ad anni di profonde difficoltà  che l’hanno portata sull’orlo del commissariamento.
Nel gennaio 2010, un’azione valeva 10,69 euro, mentre il 12 gennaio scorso ha registrato il minimo storico: 0,358 euro.
Non che i vertici non abbiano tentato di rivitalizzare l’istituto, anzi: le hanno provate tutte. Un aumento di capitale da 100 milioni appena un anno fa, poi il tentativo (fallito) di fusione con la popolare di Vicenza, la ricerca (andata a vuoto) di nuovi soci di peso per trasformarsi in Spa. Tutto inutile.
Tanto che il Cda a novembre ha approvato i conti consolidati dei primi 9 mesi chiusi con una perdita netta di 126,1 milioni.
E appena un mese dopo la pop ha presentato un durissimo piano di ristrutturazione, annunciando 410 esuberi e tagli al personale per 32 milioni di euro, oltre alla creazione di una bad bank nel tentativo di liberarsi dei crediti deteriorati.
Non solo, dal 2012 la banca è stata al centro di due ispezioni della Banca d’Italia che si sono concluse nel novembre 2014 con una multa complessiva di 2,54 milioni di euro.
La maxi sanzione è a carico di 18 tra componenti ex componenti del collegio sindacale e del cda, tra cui Pier Luigi Boschi.
A lui gli ispettori di via Nazionalehanno comminato una sanzione di 144 mila euro per “violazioni di disposizioni sulla governance, carenze nell’organizzazione, nei controlli interni e nella gestione nel controllo del credito e omesse e inesatte segnalazioni alla vigilanza”.
Da inizio 2013, inoltre, la sua posizione, come quella degli altri amministratori dell’istituto, è al vaglio delle procure di Arezzo e Firenze.
Londra dunque, ma anche Palazzo Chigi.
Sarebbe importante sapere come si è sviluppato l’iter del decreto.
Ieri il Corriere della Sera ha ricostruito che inizialmente il provvedimento era contenuto nel ddl Concorrenza, parcheggiato al ministero per lo Sviluppo economico e in attesa di seguire il normale iter parlamentare.
Renzi ne ha prelevato a sorpresa l’articolo sul voto capitario e l’ha inserito nel decreto Investment compact.
Chi era al corrente di quanto stava facendo il premier? Mario Gerevini ieri dal Corriere ha chiesto “per quante mani è passato il testo?”.
Ma soprattutto: in quali è finito?

Davide Vecchi
(da “Il Fatto Quotidiano“)

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