Gennaio 27th, 2015 Riccardo Fucile
“GIUDIZIO ABBREVIATO E PENE RIDOTTE: COSA NOSTRA NON SUBISCE COLPI”… “NELLE CARCERI POVERI CRISTI COME NEL 1860, COLLETTI BIANCHI “SALVI”
Pubblichiamo un estratto dell’intervento del procuratore generale di Palermo, Roberto Scarpinato,
all’inaugurazione dell’anno giudiziario
Da un recente e documentato studio statistico condotto dal Dipartimento Amministrazione penitenziaria del ministero della Giustizia, pubblicato nella rivista Rassegna Penitenziaria e Criminologica, risulta che l’attuale composizione sociale della popolazione carceraria è per molti versi analoga a quella dell’Italia del 1860.
Oggi come ieri in carcere a espiare la pena finiscono soprattutto esponenti dei ceti popolari e coloro che occupano i gradini più bassi della piramide sociale, oltre che gli esponenti della criminalità organizzata.
La quota di colletti bianchi in espiazione di pena è statisticamente irrilevante (…).
Manca la voce “Reati contro la Pubblica amministrazione” a causa dell’irrilevanza numerica del dato statistico.
Quanto ai detenuti in custodia cautelare, nell’audizione del ministro della Giustizia alla Camera del 13 ottobre 2013 si segnalava che su un numero complessivo di 24.744 unità , le persone in stato di custodia cautelare per reati di corruzione a ottobre 2013 erano 31 (…). La mafia intatta.
L’incessante turn over tra i mafiosi arrestati che entrano in carcere e quelli che ne escono per espiazione pena, continua a garantire la tenuta dell’organizzazione sul territorio. I capi arrestati vengono sostituiti da reggenti in attesa di riprendere il loro posto.
Agli estorsori condannati ne subentrano di nuovi, che talora richiedono le rate arretrate non riscosse a causa degli arresti eseguiti. (…)
Lo sconto di pena derivante dall’accesso quasi generalizzato al giudizio abbreviato, nel sommarsi all’ulteriore sconto di pena derivante dall’applicazione dell’istituto della continuazione della pena in sede di condanna, riduce l’entità delle pene in concreto inflitte in maniera così significativa da perdere in molti casi la loro efficacia deterrente. Dalla relazione della Procura di Palermo, emerge una articolata casistica di capi e di gregari di Cosa Nostra che grazie a tali sconti di pena subiscono condanne minimali non solo per il reato di cui all’art. 416 bis c.p., ma anche per altri gravi reati fine, tra i quali quelli di estorsione aggravata.
Per citare un solo esempio tra i tanti: in esito a un processo su una serie di estorsioni perpetrate dal 2007 al 2013 in danno del presidente di Confindustria di Trapani, uno storico esponente di vertice della famiglia mafiosa di Castellammare del Golfo, grazie al duplice sconto di pena del giudizio abbreviato e della continuazione con altri reati per i quali era stato già condannato, ha subìto una condanna di appena 3 anni e 8 mesi.
Come se non bastasse, le pene così ridotte subiscono un’ulteriore decurtazione grazie all’applicazione in sede esecutiva della liberazione anticipata che prevede, anche per gli esponenti della criminalità mafiosa, lo sconto di pena di 45 giorni ogni semestre.
Così in concreto i 3 anni e 8 mesi si riducono ulteriormente a poco meno di 2 anni, 7 mesi e 15 giorni.
Ma, a parte tali fattori di debolezza giuridica nella risposta repressiva alla criminalità mafiosa, ai quali potrebbe porsi rimedio con una celere e mirata riformulazione delle norme vigenti in materia di reato continuato e di liberazione anticipata, a destare preoccupazione è il mutato clima sociale.
La sfiducia sistemica alla quale prima accennavo, comincia a serpeggiare sottotraccia anche sul terreno della cultura antimafia (…).
La recessione economica e i tagli drastici alla spesa pubblica nel mettere in ginocchio l’economia dell’isola falcidiando posti di lavoro stanno radicando nell’immaginario collettivo di molti la convinzione che la promessa di coniugare legalità e sviluppo sia stata ancora una volta tradita o sia una mera chimera. (…)
Nell’assenza di risposte ai bisogni primari di sussistenza da parte del Welfare state legale, molti tornano a bussare alle porte del Welfare mafioso.
Le intercettazioni ambientali effettuate in taluni procedimenti ritraggono file di questuanti che pregano i boss mafiosi dei quartieri di far loro ottenere una qualsiasi occupazione per sfamare la famiglia.
Corruzione e dintorni.
Tale disillusione delle attese collettive è imputabile solo in parte alle ricadute locali di fattori macroeconomici globali. E in buona misura a un grave tradimento della fiducia collettiva e delle speranze di un intero popoloperpetrato da quei settori delle classi dirigenti che hanno continuato a depredare sistematicamente le risorse pubbliche destinate a creare lavoro e sviluppo.
Le relazioni delle Procure del distretto sui procedimenti per reati di corruzione, di concussione, di abuso del potere pubblico, ricompongono un quadro globale di devastante gravità per il numero dei soggetti coinvolti, per i loro ruoli apicali, per la serialità delle condotte, per la vastità e il radicamento delle reti corruttive, per l’omertà blindata che continua a coprire la pratiche corruttive, quasi superiore a quella mafiosa, per la straordinaria e ingentissima entità dei fondi pubblici depredati e distolti dalle loro finalità istituzionali.
Basti considerare che in uno dei procedimenti in corso, i fondi pubblici depredati ammontano a 100 milioni di euro, e che in tanti altri processi le cifre sono di poco inferiori e, nel loro insieme, assommano a miliardi.
Si tratta di una corruzione le cui ricadute macroeconomiche negative sono molto più gravi rispetto a quelle della Prima Repubblica. (…)
Se in passato la corruzione poteva essere finanziata con l’innalzamento della spesa pubblica, oggi, a causa dei vincoli europei, è finanziata con i tagli lineari alla spesa sociale: 100 milioni in più alla corruzione equivalgono a 100 milioni in meno per i servizi dello Stato sociale.
E a proposito di responsabilità collettive, non posso che ritornare ai guasti prodotti da un politica criminale che nell’ultimo ventennio ha sistematicamente ridotto e quasi azzerato i rischi e i costi penali per tutta la costellazione dei reati legati ai fenomeni corruttivi, creando di fatto una sorta di statuto impunitario.
“Ce lo chiede l’Europa”.
Ciò è avvenuto e continua ad avvenire in contrasto con le direttive europee in materia. L’inderogabile esigenza di adeguarsi alle direttive europee, riassunta nella frase “Ce lo chiede l’Europa”, ripetuta come un mantra quando si tratta di giustificare i tagli lineari alla spesa sociale e il depotenziamento dei diritti del lavoro, viene invece ignorata quando l’Europa ci chiede una efficace legislazione contro la corruzione.
Ben 13 anni è durata l’inerzia del Parlamento prima che venisse finalmente ratificata (…) la Convenzione di Strasburgo contro la corruzione del 1999. Ed è stata necessaria la minaccia di sanzioni europee perchè venisse finalmente emanata (…) una riforma dei reati contro la PA che non solo ha lasciato in buona misura irrisolti molti dei problemi preesistenti, ma anzi ha contribuito a indebolire ulteriormente la risposta repressiva sul fronte cruciale del reato di concussione per induzione prevedendo una riduzione delle pene edittali e la criminalizzazione con la pena della reclusione sino a 3 anni del concusso che denuncia il concussore.
Così, mentre sul fronte antimafia si prevedono provvidenze e sostegni economici per gli imprenditori che denunciano gli estorsori mafiosi rompendo il vincolo di omertà , all’opposto sul fronte della corruzione si minacciano sanzioni penali a chi denuncia gli estorsori in guanti gialli, rafforzando il vincolo di omertà .
Neanche l’incessante susseguirsi di scandali nazionali sembra sufficiente per una riforma legislativa di svolta che incida sui nodi cruciali per restituire efficacia dissuasiva all’azione repressiva.
Nell’elenco dei processi che ai sensi dell’art. 132 bis delle disposizioni di attuazione del c.p.p. devono essere trattati in via prioritaria, sono previsti i processi per i reati in materia di circolazione stradale e di immigrazione, ma significativamente non quelli per i reati contro la PA.
Prescrizione. I progetti di riforma in cantiere continuano a eludere i punti cruciali. In particolare per quello concernente la riforma della prescrizione, va ricordato che la Commissione europea, nella relazione del 2013 sulla corruzione in Italia, ha individuato nella disciplina normativa della prescrizione una delle principali cause dell’inefficacia del contrasto alla corruzione e ha sollecitato lo Stato italiano ad allineare tale fallimentare normativa a quella di tutti gli altri paesi europei.
Non pare coerente con tale sollecitazione il progetto governativo di riforma in cantiere, che invece prevede solo il temporaneo congelamento biennale della prescrizione dopo la sentenza di primo grado e annuale dopo quella di secondo grado.
Si tratta di una soluzione palesemente inadeguata ove solo si consideri che, come dimostrano i dati statistici di questo distretto e quelli nazionali, una percentuale elevatissima di prescrizioni si verifica nel segmento processuale antecedente la sentenza di primo grado a causa del decorrere dei termini di prescrizione non dalla data di accertamento del reato, ma da quello della sua consumazione (in Italia i procedimenti penali estinti per prescrizione sono stati circa l’11,4% nel 2007 e il 10,16% nel 2008, contro una media Ue nello stesso periodo che va dallo 0,1 al 2%).
Eppure una soluzione rapida ed efficace sarebbe a portata di mano.
Tenuto conto che oggi la corruzione costituisce una emergenza nazionale che provoca danni macroeconomici pari se non superiori a quelli della criminalità mafiosa, basterebbe estendere ai più gravi reati di corruzione lo speciale regime di prescrizione previsto dal comma 6 dell’art. 157 c.p. che contempla termini di prescrizione raddoppiati (…). Responsabilità civile.
Non posso concludere senza fare cenno alla ulteriore riforma in cantiere sulla responsabilità civile dei magistrati.
Si tratta di una legge ordinaria, ma di sostanza e portata costituzionale, per la sua idoneità a incidere sul delicatissimo sistema di bilanciamento dei poteri previsto dalla Costituzione, compromettendo le garanzie di indipendenza e autonomia dell’ordine giudiziario.
Non può che destare viva inquietudine in chiunque abbia a cuore l’ordine democratico, che nella relazione di accompagnamento a un progetto di legge che dovrebbe limitarsi a disciplinare le forme risarcitorie previste per i cittadini che hanno subìto un danno da provvedimenti giudiziari, sia invece esplicitamente enunciato che il tema della responsabilità civile dei magistrati merita di essere riesaminato in ragione “della esigenza di un riequilibrio delle posizioni politico-istituzionali coinvolte e del superamento definitivo del conflitto ancora in corso”.
Spiace constatare che trovi legittimazione culturale in una sede istituzionale (…) la falsificazione storico-concettuale secondo cui le condanne definitive per corruzione e accertati rapporti collusivi tra mafia ed esponenti del mondo politico, siano state non doverosa applicazione della legge, ma capitoli di un asserito conflitto tra ordine giudiziario e politica (…).
Viene da chiedersi dove e tra chi si starebbe svolgendo tale asserito conflitto. A noi risulta che nel Paese non vi sia alcun conflitto in corso, ma siano in corso solo doverose inchieste penali su scandali corruttivi come la vicenda Expo di Milano, il Mose di Venezia, Mafia Capitale a Roma, e ancora processi da Milano a Palermo sulle collusioni tra colletti bianchi e mafia; inchieste e processi anche su personaggi che, sebbene già condannati in passato per fatti analoghi, hanno avuto la possibilità di continuare a delinquere come e più di prima perchè rimasti pienamente inseriti in un mondo politico che non ha mai ritenuto di doverli emarginare.
Il cavallo di Troia.
Se questo è l’animus del legislatore o quantomeno di larghe componenti del mondo politico, resta forte il pericolo che, come ha evidenziato il Csm nella suo parere al disegno di legge, tale riforma possa divenire un occulto cavallo di Troia per ridisegnare gli equilibri costituzionali mediante la costruzione di una trama normativa che nelle pieghe di sofisticate tecnicalità giuridiche, incomprensibili alla pubblica opinione, metta nelle mani dei poteri forti, tra i quali anche quelli criminali, obliqui strumenti di condizionamento dell’indipendenza dei magistrati.
Non resta che fare appello e affidamento al senso di responsabilità collettivo e istituzionale.
Compromettere oggi l’indipendenza e l’autonomia dell’ordine giudiziario rivelatosi alla luce della lezione della storia come il più efficace, se non l’unico anticorpo, contro il dilagare pervasivo dell’illegalità , dell’uso distorto del potere pubblico, come ultima spiaggia per la difesa dei diritti, non sarebbe solo un vulnus inferto allo Stato democratico di diritto, ma una ferita forse mortale inferta nel corpo vivo della Nazione.
Roberto Scarpinato
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Gennaio 27th, 2015 Riccardo Fucile
NO ALL’ESTENSIONE DELL’INVERSIONE CONTABILE DELL’IVA AI FORNITORI DELLA GRANDE DISTRIBUZIONE…. SCATTANO LE CLAUSOLE DI SALVAGUARDIA: SALGONO LE IMPOSTE SUI CARBURANTI
Sono arrivati — annunciati — mentre il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan era a Bruxelles per la riunione dell’Eurogruppo e dell’Ecofin sull’esito delle elezioni in Grecia.
Ma, insieme ai tecnici della Commissione Ue e della Bce, a Roma è arrivata l’anticipazione di una bocciatura che costringerà il governo di Matteo Renzi a trovare in pochi mesi 730 milioni di euro sui 4,5 miliardi necessari per finanziare quella riduzione aggiuntiva dell’indebitamento che l’esecutivo ha promesso alle istituzioni europee a fine ottobre.
In caso contrario scatteranno le famigerate “clausole di salvaguardia“, nella forma di una stangata sulle accise su benzina e gasolio,
I tecnici europei, 38 persone in tutto guidate dal direttore degli Affari economici e finanziari Istvà¡n P. Szèkely, sono in Italia da lunedì e ci rimarranno fino a mercoledì per verificare, in vista del verdetto finale sulla legge di Stabilità atteso per marzo, il progresso delle riforme strutturali e degli interventi realizzati per ridurre i cosiddetti “squilibri macroeconomici”.
Cioè non solo l’eccesso di debito pubblico ma anche la bassa competitività e produttività , la rigidità del mercato del lavoro, le inefficienze di pubblica amministrazione e giustizia.
Obiettivo finale dell’analisi, condotta parlando con i funzionari dei principali ministeri — a partire da quello del Tesoro — ma anche con tecnici di Bankitalia e Confindustria, è valutare se Roma ha diritto agli “sconti” previsti dalle nuove linee guida di Bruxelles sull’interpretazione flessibile del Patto di stabilità .
I tecnici valuteranno se Roma ha diritto agli sconti previsti dalle nuove linee guida di Bruxelles sull’interpretazione flessibile del Patto di stabilit�
Quel documento stabilisce che ai Paesi in crisi economica venga concesso più tempo per rispettare gli obiettivi di bilancio fissati dal Fiscal compact: quelli che registrano una crescita reale negativa o una differenza significativa tra la crescita “potenziale” e quella effettivamente realizzata (il cosiddetto “output gap”) dovranno ridurre nel corso dell’anno il deficit strutturale solo dello 0,25% del Pil e non dello 0,5% richiesto in precedenza.
E ulteriori sconti sono previsti a fronte di riforme strutturali con effetti positivi di lungo termine e di investimenti in progetti cofinanziati dalla Ue o nel nuovo Fondo europeo per gli investimenti strategici (Efsi) previsto dal piano Juncker.
I tecnici Ue “misureranno” gli effetti previsti del Jobs Act e dei piccoli interventi fatti finora sulla giustizia e decideranno se concedere all’Italia l’attivazione di quelle clausole, in vista appunto del giudizio definitivo sulla manovra economica del governo.
Se il no di Bruxelles si allargherà allo “split payment”, le risorse da recuperare con aumenti delle imposte arriveranno a 1,7 miliardi
Dopo il via libera alle linee guida, la strada appariva in discesa visto che Roma ha già garantito che taglierà il deficit dello 0,3% del Pil.
Ma, stando a quanto riporta Il Sole 24 Ore, proprio in questi giorni su Palazzo Chigi è arrivata da Bruxelles una tegola che potrebbe riaprire la partita: la Commissione, secondo il quotidiano di Confindustria, ha fatto sapere al governo che dirà no alla possibilità di estendere la reverse charge, l’inversione contabile per cui l’Iva viene pagata allo Stato direttamente all’acquirente e non dal venditore, ai fornitori della grande distribuzione.
Una misura pensata per ridurre l’evasione dell’imposta sul valore aggiunto, ma che ha subito provocato le proteste di Federalimentare, secondo cui in questo modo lo Stato esige dalle imprese un “prestito forzoso” che non si sa in che tempi sarà restituito. Poco importa, perchè, appunto, l’Europa ha già espresso la propria opposizione. D’altro canto nel 2006 anche Germania e Austria hanno incassato un rifiuto all’inversione, che confligge con la direttiva europea sull’Iva.
Peccato che l’Italia abbia già “usato” i 730 milioni di entrate aggiuntive previste per finanziare la riduzione aggiuntiva del deficit (dal 2,9 al 2,6% del Pil) decisa a fine ottobre.
E peccato che quelle entrate, se verranno meno, saranno sostituite da un ulteriore aumento delle imposte sui carburanti pronto a scattare fin dall’1 luglio.
Per di più, se a questa decisione dovesse aggiungersi anche un no allo split payment – altro meccanismo contabile anti-evasione in forza del quale dall’1 gennaio la pubblica amministrazione paga l’Iva direttamente all’erario e non alle imprese fornitrici — le risorse da recuperare saliranno a oltre 1,7 miliardi.
E le accise schizzeranno alle stelle.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Gennaio 27th, 2015 Riccardo Fucile
IL PREMIER SE LA PRENDE CON I TALK SHOW… PROPRIO LUI CHE E’ SEMPRE IN TV A SPARARLE GROSSE
“Trame, segreti, finti scoop, balle spaziali e retropensieri: basta una sera alla Tv e finalmente capisci la
crisi dei talk show in Italia”.
Lo scrive Matteo Renzi su Twitter.
“È una cosa seria”, aggiunge Renzi rispondendo a un follower: “Dobbiamo cambiare modo di raccontare l’Italia e la politica. Non siamo quella roba lì”, conclude il premier.
Renzi non fa riferimento a una trasmissione, ma molta è stata la politica in tv nella serata di ieri.
Su Raiuno il tradizionale salotto di Porta a Porta, su Raitre Linea Notte, su Rete4 Quinta Colonna, su La7 Otto e mezzo e Piazzapulita.
Non mancano le risposte critiche dei suoi follower: come chi gli fa notare che sia “ospite SEMPRE presente in questa tv in crisi come la definisci”, oppure chi lo invita a cercare un film da vedere, oppure ancora chi ironizza sulla sua delusione per la trasmissione interrotta dell’Isola dei Famosi a causa di una tempesta tropicale in Honduras.
Forse era meglio che, anche questa volta, stesse zitto…
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Gennaio 27th, 2015 Riccardo Fucile
SONO NOVE DEPUTATI E UN SENATORE: SI UNIRANNO AI COLLEGHI USCITI IN PRECEDENZA IN UNA COMPONENTE DEL GRUPPO MISTO
“Noi vogliamo cambiare l’Italia e farlo con coerenza e responsabilità . Il M5s è nato per cambiare le cose e per questo oggi abbiamo rassegnato le dimissioni dal gruppo M5s. Tra non capire e rimanere in silenzio abbiamo scelto di ribellarci ancora una volta, siamo un cantiere aperto”.
Con queste parole, Mara Mucci in conferenza stampa alla Camera motiva l’abbandono del movimento da parte di 10 parlamentari, nove deputati e un senatore.
Si tratta, oltre che della stessa Mucci, dei dissidenti ‘storici’ di M5S: i deputati Tancredi Turco, Walter Rizzetto, Aris Prodani, Samuele Segoni, Eleonora Bechis, Marco Baldassarre, Sebastiano Barbanti, Gessica Rostellato, e il senatore Francesco Molinari.
I 10 di oggi si uniranno agli altri già fuoriusciti dal Movimento, in una componente del gruppo Misto non avendo i numeri necessari (servono 20 deputati) per costituire un gruppo autonomo.
Anche gli ex parlamentari del Movimento 5 Stelle parteciperanno alle consultazioni al Nazareno per l’elezione del presidente della Repubblica.
Lo annuncia il vice segretario Dem, Lorenzo Guerini, arrivando nella sede del partito, spiegando che l’appuntamento è fissato per questa sera alle 21.00.
(da “La Repubblica”)
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Gennaio 27th, 2015 Riccardo Fucile
LETTERA AI DEPUTATI PD PER CHIEDERE NOMI PER IL QUIRINALE DA FAR VOTARE SUL SITO… INTANTO NUOVA FUGA DA M5S: IN 10 (TRA CUI RIZZETTO E MOLINARI) OGGI TRATTANO AL NAZARENO
La mossa del cavallo, a 5 Stelle. 
Una email a tutti i parlamentari del Pd, per snidare Renzi ma anche la minoranza dem: perfino su Prodi, nome non più tabù.
Una svolta, alla vigilia dell’ennesimo smottamento interno, perchè questa mattina dal Movimento se ne andranno almeno dieci parlamentari: dissidenti, che già questa sera saranno al Nazareno per trattare sul Colle con Renzi.
Altri punti per il premier e un’altra emorragia per il M5S che ha già perso per strada 26 parlamentari: eppure voglioso di giocarsi la partita del Quirinale fino in fondo.
Lo hanno confermato Grillo e Casaleggio, scrivendo a tutti i parlamentari democratici una mail in cui chiedono una rosa di nomi per il Colle, da votare sul blog.
“Visto che Renzie non ci dà i nomi li chiediamo al Partito Democratico” aveva twittato sabato sera Grillo, a Festa dell’Onestà appena conclusa.
Ovvero, noi allarghiamo il campo alle minoranze dem, e vediamo chi ci sta.
Detto, e rilanciato ieri, quando a ogni parlamentare dem è arrivata la missiva dei diarchi: “Le chiediamo, dopo averlo chiesto al presidente del suo partito, di esprimere le sue preferenze per i candidati alla presidenza della Repubblica. I nomi proposti dai parlamentari del Pd saranno votati dagli iscritti al M5S on li-ne nei prossimi giorni”.
Non solo. Grillo e Casaleggio auspicano un voto a larghissime intese, già nei primi tre scrutini: “Un’elezione nei primi tre turni con la partecipazione delle forze di opposizione e alla luce del sole è un modo per dare autorevolezza al prossimo presidente della Repubblica come rappresentante di tutta la Nazione e per non confinarlo alla qualifica di nominato”.
Insomma, dall’autarchia delle Quirinarie 2013 a una richiesta di intesa istituzionale.
Ma il messaggio politico è innanzitutto un altro, ed è duplice.
I Cinque Stelle provano per l’ennesima volta a smuovere Renzi, spingendolo a dare almeno un nome potabile.
Ma soprattutto invocano segnali concreti dalla minoranza bersaniana. Un impegno a fare asse su un candidato anti Nazareno, “perchè finora non ci hanno detto nulla neppure a voce” assicura un maggiorente grillino. Che aggiunge: “Ora siamo pronti a valutare anche Romano Prodi”.
Anche se è l’uomo che ha portato l’Italia nell’euro, il fondatore dell’Ulivo, il premier di due governi di centrosinistra.
I 5 Stelle sono consapevoli che è l’unico nome su cui potrebbero davvero convergere con Sel, Civati e appunto bersaniani, se Renzi non uscirà dal recinto del Nazareno.
Il solo che potrebbe complicare i piani del segretario del Pd.
Ma sanno anche che appoggiarlo costerà un prezzo, innanzitutto con tanti attivisti impegnati nella raccolta di firme contro l’euro.
Ieri i cinque del Direttorio ne hanno discusso in una riunione alla Camera.
Raccontano che Alessandro Di Battista e Carlo Sibilia si siano detti favorevoli al Professore, mentre Roberto Fico e Carla Ruocco abbiano manifestato forti dubbi.
Sospeso tra le due posizioni, Luigi Di Maio.
A dire la parola decisiva sarebbero comunque gli iscritti al blog di Grillo.
Proprio il portale dove due anni fa Prodi arrivò settimo nelle Quirinarie, a conferma che una parte del mondo M5S non rifiuta (o non rifiutava) l’ex premier.
Ieri Casaleggio ha sentito più volte Di Battista e Di Maio.
E prima di giovedì l’intero direttorio potrebbe andare a Milano dal “guru”. L’unica certezza, tra mille variabili, è che il M5S ripudia la scheda bianca.
Se non si dovesse arrivare ad alleanze, presenterà comunque un proprio candidato, probabilmente scelto con Quirinarie lampo.
In cui il nome di Prodi potrebbe comunque essere in lizza.
A margine però cresce il nervosismo di diversi tra parlamentari e senatori, che invocano un’assemblea congiunta sul Colle. Per ora non convocata, perchè la linea di Casaleggio è disegnare la rotta con il Direttorio e con i capigruppo Cecconi e Cioffi, evitando una riunione che potrebbe trasformarsi in una polveriera.
Ieri, più di una faccia tirata anche alla Camera, dove nel pomeriggio Renzi incrocia alla buvette i grillini Giulia Sarti e Alfonso Bonafede.
E parte uno scambio di battute. “Voi non venite al Nazareno (per le consultazioni, ndr)? Se volete, noi ci siamo”. La Sarti è pugnace: “Ma se avete già un accordo”. Si va avanti così, fino ai 5 Stelle che profetizzano: “Non ce la fate a fare il presidente”. E Renzi che replica: “Non ce la fate voi”. Il premier se ne va.
Ma oggi “incasserà ” altri esodi dal Movimento. A lasciare il M5S saranno almeno dieci parlamentari, sancendo l’addio con una conferenza stampa alla Camera.
Tra gli uscenti sicuri il senatore Francesco Molinari e i deputati Walter Rizzetto, Tancredi Turco, Aris Prodani e Gessica Rostellato, che ieri ha prenotato la sala per la conferenza. Si dovrebbero aggiungere deputati vicini all’espulso Massimo Artini, forse una senatrice. Dissidenti che minacciavano di uscire da mesi, e che oggi si scaglieranno contro il Movimento “dove si decide tutto dall’alto”.
Oggi potrebbero lanciare tre nomi per il Colle già dai microfoni.
In serata saranno al Nazareno, per le consultazioni.
Luca De Carolis
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Gennaio 27th, 2015 Riccardo Fucile
TUTTI SUL CARRO: NON SOLO RIFONDAZIONE E VENDOLA, MA FANNO FESTA PURE I RENZIANI, SALVINI E GIORGIA MELONI
Tutti Tsipras col voto degli altri”.
Una battuta che circolava ieri in Rete, a firma Michela Calledda, e che spiega bene il tentativo spasmodico — da destra, da sinistra e da niente, cioè dal renzismo — di salire sul carro del vincitore.
Breve rassegna in merito, quasi sempre da Twitter.
Nigel Farage: “La vittoria di Syriza è un grido di aiuto da parte di chi è stato impoverito dall’euro. Inizia il poker con la Merkel. La Bce è senza potere”.
Marine Le Pen si affida al suo vice Florian Philippot per cinguettare giubilo: “Uno schiaffo alla casta neogollista e socialista europeista e una bella speranza perchè i veri dibattiti potranno moltiplicarsi: sull’austerità , sull’euro, sull’Ue!”.
Su di giri anche Giorgia Meloni: “Il risultato delle elezioni in Grecia racconta fallimento politiche Troika e voglia di libertà dei popoli europei”.
Non si sottrae Matteo Salvini: “Elezioni in Grecia, un bello schiaffone all’Europa di Euro, disoccupazione e banche. Adesso tocca a noi!”.
Scontato il giubilo di Nichi Vendola, che in cuor suo si sente più Tsipras di Tsipras: “La vittoria di Tsipras apre uno spiraglio in Ue e darà scossa a Italia. Ridicoli quei Pd che festeggiano il suo successo”.
Instancabile, in effetti, il tentativo renziano di appropriarsi della vittoria. Commovente, in particolare, il bacio della morte di Debora Serracchiani: “Tsipras consolidi il lavoro di Renzi in Ue, congratulazioni per una vittoria netta”.
Gennaro Migliore, che di cambiamenti s’intende, grida: “Vai Alexis Tsipras! C’è da cambiare l’Europa!”.
Di fronte alle critiche, l’uomo con il cognome meno meritato della storia ha replicato: “Non si tratta di essere uguali, ma di poter convergere nel Consiglio Europeo. È la politica”.
Molti,ahi lui,gli hanno però risposto: “Ma convergere dove, Migliore, se sei sceso dal carro di Tsipras per salire su quello di Renzi?”.
Dettagli: l’entusiasmo renziano si è rivelato tracimante.
Pina Picierno: “Congratulazioni Tsipras! E auguri alla Grecia di continuare a crescere e lavorare per Ue più vicina alle nostre aspettative” (speriamo di no).
Contagioso il trasporto di Andrea Romano, mediano di seconda fila del trasformismo. Prima retwitta una frase di Tsipras (“Io in sintonia con Renzi, cambieremo verso all’Europa”) e poi plaude Il Foglio per un’analisi che ribadisce quanto segue: “Dal partito oligarchico al partito liberale di sinistra: ancora più efficace dopo Tsipras”.
A proposito di Foglio, è pro-Syriza anche lui e dunque Giuliano Ferrara: “Quello che farà Alexis Tsipras è in braccio agli dei (..) Non lo so nemmeno io (..) È un conservatore un po’ incendiario, facciamogli posto”.
Intellettualmente onesta, e dunque eversiva, la deputata Pd Anna Ascani: “Segnalo agli entusiasti che il PSE, il nostro partito insomma, ha perso. Di brutto. Congratulazioni e buon lavoro a Tsipras”.
Luigi Di Maio, M5S, si esprime in merito su Facebook: “La forza politica greca ‘Syriza’ nel 2007 si è presentata alle elezioni parlamentari ottenendo circa il 5%, dopo 5 anni il 16% e dopo pochi mesi il 26%. Nonostante l’exploit ottenuto, ha deciso di restare coerentemente all’opposizione, prendendosi le solite critiche sui voti ‘congelati’. Con loro non ci accomunano certamente la forte ideologizzazione di sinistra (…) e le posizioni troppo indecise sull’Euro. Ma sicuramente abbiamo in comune alcune scelte nel nostro percorso politico (…) Oggi Syriza è stata premiata dai cittadini greci (…) Adesso spero che passino dalle parole ai fatti e in questa giornata vorrei dare un consiglio non richiesto ad Alexis Tsipras: stai lontano da Matteo Renzi, la sua ipocrisia è pericolosa”.
Persino il compagno Paolo Ferrero ha ritrovato la grinta dei bei tempi: “Il popolo greco vince le elezioni contro l’austerità e dà il governo a Syriza. Adesso rovesciamo quest’Europa come un calzino!“.
Più pensoso Fausto Bertinotti: “Tsipras insegna che la sinistra non può rinascere da una sua costola”.
L’entusiasmo si è rivelato così trasversale da intaccare persino Gianni Alemanno.
Il quale, forse non lucidissimo, ha twittato: “Vittoria di Tsipras in Grecia dimostra che i popoli europei sono stanchi dei vincoli dell’euro”.
Poi però è tornato in sè e ha aggiunto: “Anche se la sinistra sbaglia sempre”.
Amen.
Andrea Scanzi
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Gennaio 27th, 2015 Riccardo Fucile
LA LOGICA DE “IL NEMICO DEL MIO NEMICO E’ MIO AMICO”
Il compagno Tsipras ha festeggiato la vittoria cantando «Bella ciao», ma poi ha formato il governo con
Anel, un partito di destra che guarda storto gli immigrati e gli omosessuali.
Nichi Vendola a Palazzo Chigi sotto braccio a Ignazio La Russa.
Inconcepibile in Italia, dove al massimo ci si accorda più o meno di nascosto con i moderati dell’altro schieramento, come accaduto a Renzi e Berlusconi nel patto del Nazareno. Concepibile, e infatti concepito, in Grecia.
Dove, da quando è scoppiata la guerra contro l’appetito, la contrapposizione tra destra e sinistra ha ceduto il passo a un’altra, più urgente, tra stomaco pieno e stomaco vuoto.
Di stupefacente, per noi, c’è anche la velocità con cui i greci hanno formato il governo. Fin dal giorno successivo alla chiusura delle urne, senza i formalismi al rallentatore che in Italia trasformano la costruzione di una maggioranza in un rito quasi esoterico.
Non avendo ottenuto quella assoluta, il vincitore delle elezioni elleniche avrebbe potuto chiedere i voti mancanti a To Potami, il Fiume, un partito progressista certamente più in sintonia con la sinistra radicale sui diritti civili, ma per nulla disposto a rompere l’assedio dei creditori internazionali capeggiati dalle banche tedesche.
Invece Tsipras ha preferito allearsi con una forza quasi xenofoba da cui tutto lo divide, tranne la volontà di ribellarsi a questa Europa.
Il nemico del mio nemico è mio amico. La stessa logica dei comitati di liberazione che, durante la seconda guerra mondiale, indusse monarchici e comunisti a combattere fianco a fianco «l’invasor» evocato da «Bella ciao».
L’alleanza rosso-nera di Atene è il frutto proibito e forse avvelenato della politica, o meglio della non-politica, europea.
Lo Stato Sociale è stata la più straordinaria creatura dell’era postbellica. La sua completa distruzione, avvenuta per ora soltanto in Grecia, riduce il ceto medio alla miseria e crea condizioni sociali pre-rivoluzionarie, lasciando a fronteggiarsi sul terreno una èlite di privilegiati e un popolo di disperati.
Mettere la maggioranza dei cittadini nelle condizioni di avere qualcosa da perdere fu la straordinaria intuizione della politica occidentale del secolo scorso, il vaccino contro ogni populismo estremista.
Date a qualcuno una casa e una rata da pagare, e ne avrete fatto un potenziale conservatore. L’Italia, persino quella scalcagnata degli ultimi anni, resta un Paese di piccoli proprietari e accaniti risparmiatori che sulla bandiera, oltre al «Tengo famiglia» di Leo Longanesi, potrebbe scrivere «Tengo un mutuo».
L’italiano medio detesta l’euro, ma se lo fa piacere perchè teme che la sua scomparsa determinerebbe un’impennata dei tassi di interesse.
Così finisce per farsi piacere anche uno come Renzi, che alza la voce in Europa, ma si guarda bene dal litigare davvero.
Invece il problema dei greci non è il mutuo.
Sono le medicine per gli anziani e per i bambini, che l’alleanza rosso-nera vuole tornare a distribuire gratuitamente in barba ai tagli di bilancio imposti dalla troika.
Lo scontro, di cui il nuovo governo di Atene rappresenta l’avvisaglia, non è tra chi vuole l’Europa e chi ne farebbe volentieri a meno.
Semmai tra chi si accontenta di questa Europa economica e chi si ostina a pretenderne una politica, memore delle parole terribili ma altamente profetiche del sociologo Zygmunt Bauman: «In un mondo senza regole dettate dalla politica, sopravvivono soltanto in due. La criminalità e la finanza».
Massimo Gramellini
(da “La Stampa”)
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Gennaio 26th, 2015 Riccardo Fucile
PERDONO QUOTA PADOAN E MATTARELLA
Matteo Renzi sgranocchia una mandorla tostata. Una, due, mandorle, tre mandorle alla bouvette della Camera. Le considerano irresistibili.
Selva di cronisti. Il premier incrocia Alfonso Bonafede, grillino: “Ehi, biondino… Come è andata col Csm?”.
Il biondino si gira, assieme alla moretta Giulia Sarti: “Sul Quirinale — prosegue Renzi – se volete venire, venite. Ma dire che non volete metterci piede…”.
Tocca al biondino: “Noi proponiamo un metodo di trasparenza, voi potete proporci il nome. Se accetti il nostro metodo possiamo arrivare ad avere il Presidente della Repubblica già al primo voto”.
Il premier sorride attento a farsi ascoltare dai cronisti: “No, al primo voto non ce la facciamo”. Lo show prosegue in Transatlantico, con i giornalisti: “Siete un po’ paraguri”. Arriva pure Renato Brunetta, battute.
È comparso verso le sei Renzi, per una breve riunione alla sala del governo con Guerini, Speranza e Maria Elena Boschi.
Senza cravatta, qualche stretta di mano: “Pare un candidato in campagna elettorale permanente” sussurrano nel Palazzo.
La partita per il Presidente è uno spettacolo su come conduce il gioco.
Al Nazareno inteso come sede del Pd arrivano tutti domani, ma non è il giorno in cui si fanno nomi.
Si è capito che il “nome” uscirà sabato mattina: prendere o lasciare.
Con Berlusconi i contatti sono costanti, diretti e attraverso gli ambasciatori, ma pure il Cavaliere è preoccupato: “La mia richiesta — ha detto ai suoi — è un nome in modo da avere una notte per pensarci su”.
Per carità , non è che finora si sia parlato di massimi sistemi. Più di un nome è stato fatto tra palazzo Chigi e Arcore, ma non quello su cui puntare.
Perchè “Matteo” ha capito che l’altro non sa tenersi, come si dice a Roma, “un cecio in bocca”.
Meglio non correre rischi. E tenerlo appeso, magari parlando solo con Verdini.
“Ma quale è il nome vero di Matteo?”: l’interrogativo è un tormentone, pure tra quelli che contano.
Oggi il premier ha testato il gradimento ad Arcore di Padoan e, di nuovo, di Mattarella.
Ovviamente alla quarta votazione. I contatti ci sono stati. E la risposta dei Berlusconi è che va bene arrivare alla quarta votando scheda bianca (ancora una volta si conferma l’intesa nazarenica) ma Mattarella è indigeribile: “Quello — ha detto l’ex premier ai suoi – diventa il nuovo Scalfaro”.
E poi non piace neanche ad Alfano. Duro da digerire anche Padoan, perchè è un tecnico.
Anche se, raccontano in ambienti berlusconiani, i suoi rapporti con Gianni Letta sono diventati ottimi negli ultimi tempi.
I più smaliziati ci vedono un gioco delle parti, con Renzi che non vuole Mattarella, giurista pignolo, amico di D’Alema e fa porre il veto da Berlusconi.
E Renzi che sonda su Padoan, ma non è convinto fino in fondo.
Già , Renzi sonda, valuta, solletica le aspettative.
Fa i complimenti a Grasso per come sta lavorando, in modo che qualche presente ciarliero glielo riferisca: “Il suo è un nome che tengo in considerazione”.
Parla benissimo di Veltroni, tanto che i suoi assicurano: “Su Walter il problema è la minoranza del Pd, non Matteo”.
E così il gioco resta nelle mani del premier, fino al “prendere o lasciare” di sabato mattina.
Come in una partita di poker: oggi “parola” per stanare gli altri, sabato “piatto” e vedo.
Punto fisso del gioco, l’asse con Berlusconi. Andare alla quarta votazione questo significa: far capire alla minoranza che Renzi mette in conto una rottura a sinistra come sull’Italicum e considera irrinunciabile l’asse con Berlusconi.
Ricordate quando Bersani disse: perchè non partiamo dalla prima?
Lo spettacolo, come sul tavolo verde, è nel gioco, nella capacità del premier di alimentarlo.
I riflettori domani saranno sul Nazareno, dove arriverà Silvio Berlusconi e prima le delegazioni degli altri partiti, ma non è domani la giornata del “nome”.
È il giorno di un altro giro: “Non c’è che dire — dice un oppositore — è un fuoriclasse della comunicazione, prima la Merkel, poi il Nazareno, poi chissà . Peccato che non mette la testa su un dossier per più di mezz’ora”.
Epperò nel gioco di simulazione, dissimulazione, bluff c’è un nome che ad Arcore gira da un po’, da quando Renzi ha chiesto al Cavaliere, attraverso i suoi, di rifletterci. E chissà se è un caso ma, per non essere “bruciato” non è mai comparso nè su un giornale di famiglia nè in televisione.
Quello di Graziano Delrio, lo spot perfetto di Renzi: fedelissimo, 55 anni il prossimo 27 aprile, sarebbe il presidente della Repubblica più giovane della storia d’Italia nell’era del presidente del Consiglio più giovane della storia d’Italia: “Santità — disse Renzi a papa Francesco presentandolo — questo è il sottosegretario Delrio, lei è la moglie. Hanno 9 figli: hanno vinto il campionato e anche la Champion League?”. Perfetto, nella campagna elettorale di Renzi.
Perfetto alla quarta, o magari alla quinta votazione.
Ovviamente con Berlusconi. Il quale, scommettono i suoi, potrebbe dire di sì pure a uno come Delrio, superando — se si sente garantito — il fatto che è nel governo. Anzi, potrebbe essere meglio di un tecnico.
(da “Huffingtonpost“)
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Gennaio 26th, 2015 Riccardo Fucile
GRILLO CERCA DI INSINUARSI NELLE DIVISIONI DEL PD, MA PERDE ALTRI PARLAMENTARI
“Cara/Caro parlamentare del Partito Democratico, le chiediamo, dopo averlo chiesto al presidente del
suo partito, di esprimere le sue preferenze per i candidati alla presidenza della Repubblica. I nomi proposti dai parlamentari del Pd saranno votati dagli iscritti al M5S on line nei prossimi giorni”.
La mail, inviata da Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio utilizzando l’indirizzo parlamentari@beppegrillo.it, piomba nelle caselle degli onorevoli Democratici alle 16.50.
In calce, il link al blog che ne certifica l’autenticità . Una mossa in qualche modo anticipata dall’ex comico sul palco della Notte dell’onestà , quando ha chiesto al Pd, e non più a Renzi come da hashtag di un paio di giorni prima, di offrire una rosa di nomi per il Quirinale.
Il Movimento 5 stelle non può arrivare alle prime tre votazioni e infilare nell’urna una scheda bianca.
“Ma ti pare? Certificheremmo il fatto che partecipiamo anche noi a questa guerra fra bande”.
C’è un problema di opportunità . Che comprende le modalità tecniche del voto, ma anche il fatto che in qualche modo la rete venga consultata.
Scartate, almeno per il momento, le primarie aperte stile 2013, per timore di un “effetto Magalli” che potrebbe trasformarle in barzelletta.
Ma poi c’è anche una questione politica.
La spiega un membro del Direttorio: “C’è un fronte anti-Nazareno nel Pd? Se sì ci faccia dei nomi, altrimenti dimostrano di essere ancora una volta un partito unico con Berlusconi. Noi le proposte le chiediamo al Pd, non a Renzi. Poi consulteremo la rete”.
Sono ore convulse tra i 5 stelle, perchè lo stesso Direttorio, che pure ha mantenuto in queste ore un filo costante con Genova e Milano e che stamattina si era riunito per fare il punto, non conosceva il dettaglio e la tempistica della missiva dei due leader. Una lettera che ha spazzato via dal tavolo le notizie che si erano rincorse per tutta la giornata, prima di un’assemblea congiunta di deputati e senatori, poi di una riunione del Direttorio e dei capigruppo con Grillo e Casaleggio.
Quest’ultima rimane un’ipotesi in ballo, ma è probabile che alla fine il confronto sarà solamente telefonico.
Alla fine, mercoledì e giovedì, gli attivisti verranno coinvolti in una votazione.
Ed è qui che la strategia 5 stelle, che pure evolve, si mescola e si modifica ogni ora che passa, prova a infilare una staffa nelle crepe dell’alleanza del Nazareno.
“Segui il ragionamento – spiega un parlamentare ortodosso – Supponendo che difficilmente arriverà una risposta univoca dalla minoranza, qual è l’unico nome possibile per sparigliare il patto Renzi-Berlusconi? Quello di Romano Prodi”. E in effetti quello del professore è l’unico nome finora avanzato pubblicamente da un Dem, nella fattispecie Pippo Civati.
Con i voti dei 5 stelle, sommati a quelli del Pd, Prodi avrebbe i numeri per passare dal quarto scrutinio in poi.
Giustificare il rifiuto di un’offerta del genere sarebbe quantomeno complicato per il premier.
“L’idea è quella”, conferma secco uno dei pontieri della minoranza Dem.
Il rovescio della medaglia è che la decisione unilaterale di non procedere a Quirinarie aperte e non condividere la strategia ha accelerato la scissione.
Un gruppetto di parlamentari dissidenti guidati da Walter Rizzetto domani alle 10.00 ufficializzerà l’addio al gruppo.
Nove deputati e due senatori, secondo il pallottoliere degli ultimi minuti.
Perchè nella serata si sta tenendo una riunione convulsa, nella quale ripensamenti e aggiunte dell’ultimo istante sono all’ordine del giorno.
Nel pomeriggio in Transatlantico sono girati con insistenza i nomi di Prodani, Turco, Barbanti, Molinari, Segoni, Baldassarre, Bechis, Rostellato e Molinari.
Qualcuno domani sarà seduto dietro il banco della sala stampa della Camera, qualcun altro darà forfait.
Ma la mossa è stata studiata nel dettaglio. Almeno a partire da dicembre, quando Rizzetto, insieme a due colleghi, ha chiesto lumi sui passi da fare per iscriversi al gruppo Misto.
La pattuglia dei fuoriusciti raggiungerà Tommaso Currò e Massimo Artini proprio tra i non iscritti.
L’ambizione è quella di non replicare il flop del Senato, e di riuscire in tempi brevi a formare un gruppo a Montecitorio.
Intanto c’è da giocare la partita del Quirinale. Nella quale Renzi potrà contare su una tanto numerosa quanto composita pattuglia di grillini che al momento del voto saranno “usciti dal blog”.
(da “Huffingtonpost”)
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