Febbraio 4th, 2015 Riccardo Fucile
DENIS ASSISTE IN SILENZIO ALLO SCONTRO IN FORZA ITALIA, PRONTO A SOCCORRERE RENZI SE NECESSARIO
Denis Verdini assiste in silenzio allo sfogatoio sul Nazareno. Non una parola, neanche con chi gli è seduto vicino.
Bretellone sotto la giacca, aria sorniona. Non un sms mandato, non un cenno di distrazione. I nemici del Nazareno sono i suoi nemici.
Ma nessuno ha il coraggio di pronunciare il suo nome, nel parlamentino di Forza Italia, durante l’ufficio di presidenza.
Parla Berlusconi. Parlano la Carfagna, Matteoli, Baldelli, Toti: ognuno, con toni più o meno forti, critica — accusa — Renzi e il Nazareno.
Ma la parola “Verdini”, che di quel patto è il nume tutelare e quindi il principale accusato, non viene nominata.
Maria Rosaria Rossi, la grande accusatrice a nome del “cerchio magico” del “duo tragico” non gli ripete in faccia quello che ha detto ai cronisti e nelle riunioni riservate.
L’Innominato, silente, osserva. “Pareva il Padrino” sussurra un azzurro.
Nel suo silenzio c’è il destino del Nazareno. “Denis sta riflettendo” dice uno dei pochi azzurri che ci ha parlato sinceramente.
Perchè tutto ruota attorno alla “trattativa” tra Verdini e Berlusconi.
È stato durissimo il colloquio di due ore martedì pomeriggio a Grazioli. Avvolto dal reciproco sospetto. Perchè Berlusconi si è fatto l’idea che, se Renzi lo ha fregato, è anche colpa sua, che è stato il principale mediatore.
Non è questa la tesi del mediatore. Che ricorda che il “bischero” ha fregato tutti. Pure Lotti e Guerini gli dicevano di non rompere con Silvio. È tutta di Renzi la mossa, ma per Verdini a quel punto si doveva votare Mattarella.
A tratti i toni di voce di sono alzati. “Stai giocando col fuoco” è la tesi di Denis. Perchè Renzi non è tipo che aspetta le convulsioni di Forza Italia, è uno che manda a quel paese.
Suona così il ragionamento di Verdini: “Con 120 parlamentari abbiamo fatto un miracolo in questo anno, tu sei comunque stato centrale nel gioco delle riforme, chiedilo a quelli del Pd quanto sei stato centrale, visto che stavano diventando matti. Le aziende, il clima sui processi, lo sconto ai servizi sociali… Il Nazareno ha funzionato. E poi, quale è l’alternativa? Rompere? Così quello ricompatta il Pd e fa una legge elettorale con le preferenze?”.
Fin qui la politica. Poi il capitolo odio e faida interna per conquistare ciò che resta di Forza Italia.
Mentre Verdini è a palazzo Grazioli, quelli che hanno chiesto la sua testa sono a San Lorenzo in Lucina.
Maria Rosaria Rossi, Deborah Bergamini, Giovanni Toti convocano una riunione con una trentina di parlamentari, tra cui Maria Stella Gelmini, Jole Santelli, Laura Ravetto.
L’obiettivo è mostrare che i fedelissimi hanno più truppe sia di Fitto sia di Verdini. L’iniziativa pare essere benedetta da Berlusconi: “Il messaggio che vuole lanciare — spiegano i ben informati — è che, se gli rompono le scatole, non potendo cacciare nessuno, fa un gruppo Forza Silvio e arrivederci”.
Più della rottura del Nazareno è la testa dell’Innominato la richiesta del cerchio magico. È il potere interno, l’Organizzazione di quel che resta di Forza Italia l’oggetto della contesa.
Se si vota adesso, le liste (bloccate) le fa Verdini, se salta le fa Toti o Fiori o Bertolaso.
E oltre a questo c’è il ruolo di “chi tratta con Renzi”. Già circolano ipotesi di delegazione senza Verdini, nella faida per le spoglie di Forza Italia.
Toti, Bergamini, Rossi, Romani.
I nemici di Verdini si pongono come nuovi mediatori di un Nazareno “meno supino”. Ammesso che Renzi ci parli, visto che all’ultimo incontro il premier usò parole molto poco lusinghiere sui componenti del cerchio magico.
Tanto che, per carità di patria, il Cavaliere dovette cambiare discorso di fronte ai giudizi sprezzanti del premier.
Difficile, dicono pure i collaboratori del premier, immaginare che uno come Matteo possa rispondere al telefono alla Rossi o a Toti o alla Bergamini.
Non li riconosce come interlocutori.
Il bivio del Nazareno è il bivio del rapporto tra Berlusconi e Verdini. Denis ha in numeri, lo ha dimostrato nel corso dell’elezione del capo dello Stato organizzando i franchi soccorritori. E Denis ha i segreti.
L’uomo della cosiddetta compravendita che fece cadere Prodi o dell’operazione “responsabili” per resistere a Fini, è stato il cuore pulsante del berlusconismo.
Non è un caso che, da mesi, anche uno come Fedele Confalonieri ha rapporti pressochè quotidiani con lui, e non solo con Letta.
Per ora Verdini tace. E Berlusconi in pubblico ribadisce la “fiducia”.
Se si rompe il rapporto tra i due non trema solo il Nazareno.
Trema tutto.
(da “Huffingtonpost“)
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Febbraio 4th, 2015 Riccardo Fucile
ANDARE CON IL PD O CON IL CENTRODESTRA?
Scena di ieri. In capigruppo si sta definendo il calendario della Camera, quando Nunzia De Girolamo
chiede di dare priorità alla responsabilità civile dei magistrati.
Il ministro Maria Elena Boschi risponde: «Non c’è una scadenza e c’è la riforma costituzionale in sospeso».
Tradotto, la responsabilità civile dei magistrati può attendere. «Così non va» chiosa De Girolamo. Gli alleati di governo sono in disaccordo su tutto, ultimamente.
Ncd è davanti a un bivio esistenziale: morire renziano o strappare.
Sono ore complicate, e i neocentristi tentano di uscire dall’angolo dove li ha costretti la mossa di Matteo Renzi sul Quirinale.
Niente veti o vertici di maggioranza vecchia maniera: ribadisce il premier, ben consapevole che da qui in avanti ogni ddl, ogni decreto potrebbe trasformarsi in una mina.
Basta sentire i senatori di Ncd, agguerritissimi sulla legge che trasforma le banche popolari in Spa. «Se non cambia non la votiamo»: Pippo Pagano, uno di quelli che acceso dall’orgoglio siciliano aveva spinto per Mattarella sin dall’inizio, lo ha messo per iscritto in un comunicato.
Spedito direttamente a Renzi. «Corre, corre, ma ‘ndo corre senza voti…» fa velenoso al premier Carlo Giovanardi che, come memento, stila l’elenco delle cose di cui disfarsi: «Legge sulle banche, indottrinamento gender nelle scuole, riforma del lavoro».
Ecco il terreno minato. Vogliono un segnale, i neocentristi.
Da Renzi, ma anche da Angelino Alfano. Il leader resta dov’è, ma avrà un mandato condizionato per il governo.
Roberto Formigoni la mette così: «Facciamo una verifica. Renzi e Alfano annuncino il programma della seconda fase della legislatura. Punto per punto».
Il tagliando non dovrebbe risparmiare nemmeno la compagine governativa di Ncd, secondo Formigoni: «Sono gli stessi ministri scelti da Berlusconi. Ci farebbe bene cambiare un po’, forse».
Ma toccare Alfano potrebbe essere controproducente, lo indebolirebbe ulteriormente, dopo il pasticcio del Quirinale.
A nessuno è sfuggito che Maurizio Lupi ieri fosse l’unico ministro non seduto tra i banchi del governo, mentre Alfano se la rideva con Renzi.
In vista delle regionali è al ministro dei Trasporti che starebbero pensando in tanti per guidare il partito.
Gaetano Quagliariello gli lascerebbe il posto di coordinatore, per coprire il ruolo di capogruppo in Senato lasciato vacante da Maurizio Sacconi, che potrà così dedicarsi a riempire di spine i decreti attuativi sul Jobs act.
C’è solo un’incognita: il premier guarderà a sinistra?
Nell’agenda ha rimesso ius soli, diritti civili, e quant’altro possa essere indigesto ai cattolici di Area Popolare.
Mentre dagli ex 5 Stelle a Sel, dopo l’asse su Mattarella, si aspetta solo di essere lusingati ancora. Alfano deve imparare da Renzi, e giocare su più tavoli.
Perchè è tempo di fare i conti con se stessi, e con la maturazione di un progetto che rischia di evaporare nell’irrilevanza.
Eppure ancora ieri, alla riunione dei coordinatori di Ncd, non è stata data la risposta alla grande domanda che coinvolge le sette regioni prossime al voto: andare con il Pd o con il centrodestra?
Ilario Lombardo
(da “La Stampa”)
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Febbraio 4th, 2015 Riccardo Fucile
DAL 13 GIUGNO I TRENI SI FERMERANNO A MESSINA E A VILLA SAN GIOVANNI: POI I PASSEGGERI DOVRANNO IMBARCARSI SU TRAGHETTI PRIVATI… DA 14 TRENI A 5 E ORA A UNO SOLO, UNA VERGOGNA DI STATO
A partire dal prossimo 13 giugno i treni per il Continente si fermeranno a Messina.
Da lì i passeggeri si imbarcheranno sui mezzi di Metromare e sbarcheranno a Villa San Giovanni dove saliranno sui treni per il Nord.
Stesso sistema per chi arriva dal Nord: in questo caso i convogli avranno come terminale Villa San Giovanni.
Lo avevamo anticipato una settimana addietro, e la decisione delle Fs è stata confermata dal management delle Ferrovie dello Stato durante il confronto di ieri a Roma con i sindacati.
In sostanza, prima c’erano 14 treni che collegavano la Sicilia con il Continente, con il tempo sono stati ridotti a 5, tre diurni e due notturni.
Ora dal prossimo giugno niente treni di giorno, ne resterà solo uno di notte e dei due traghetti delle Ferrovie attualmente i servizio sullo Stretto ce ne sarà soltanto uno.
Tir, pullmann, auto eccetera si imbarcheranno sui traghetti privati a Tremestieri.
Il presidente Crocetta ha subito spedito una nota di protesta al ministro dei Trasporti Maurizio Lupi per sottolineare come in questo modo «si interrompa la continuità territoriale della Sicilia con il resto del Paese. Non è pensabile che si valuti il problema soltanto in termini economici perchè i siciliani hanno diritto di poter usare i treni per salire in Continente senza dover sbarcare portandosi dietro le valigie. Sarebbe un’immagine desolante, perfino pietosa della Sicilia. Questa terra per sopravvivere deve fare turismo. E come potrebbe farlo se per arrivare in Sicilia e ripartire le aziende dello Stato pongono ostacoli praticamente insormontabili? Da Salerno in su gli italiani si muovono con i treni veloci, da Salerno in giù c’è un’Italia che procede al rallentatore.
La continuità territoriale, quella che lega la Sicilia al resto d’Italia non può essere soppressa da un’azienda dello Stato per risparmiare, ci sono dei diritti che non possono essere violati».
Poi come provocazione aggiunge: «A giugno vogliamo fare arrivare il presidente Mattarella in treno da Roma a Palermo? ».
Il sindacato dell’Orsa spiega in un comunicato che «il rappresentante delle Ferrovie, ing. Savino, ha precisato che il ministero dei Trasporti già dal 23 dicembre aveva autorizzato la soppressione dei treni e che al momento non sono disponibili neanche i 30 milioni per sovvenzionare il servizio Metromare perchè bloccati nell’iter burocratico. E in ogni caso, quando sbloccati, dovranno servire anche per il traghettamento dei viaggiatori a piedi per prendere i treni sulla sponda opposta».
Insomma, dovremo fare come Mosè che attraversò il Mar Rosso a piedi.
Solo che lui aveva Dio alle spalle, noi abbiamo Crocetta.
I sindacati stimano che con questa «compressione si registrano da subito 102 esuberi soltanto nel settore navigazione e la fine degli imbarchi periodici per circa 70 precari che ruotano nella flotta di Stato con contratto a tempo determinato. Con le ricadute sulla manovra, manutenzione e personale mobile di ferrovie, aggiunte al personale dell’indotto, la perdita di posti di lavoro si attesta intorno alle 700 unità ».
Per precari e indotto l’azienda ferroviaria non ha alcun obbligo di ricollocazione, significa che automaticamente andranno a ingrossare e file dei disoccupati.
I ferrovieri in esubero sarebbero invece impiegati nell’assistenza ai passeggeri del treno che dalla stazione centrale dovranno raggiungere i mezzi veloci per attraversare lo Stretto.
Insomma i ferrovieri diventerebbero «badanti» dei passeggeri, con un servizio che umilierebbe sia i ferrovieri che i passeggeri.
Sarebbe stato promesso dalle Ferrovie che per il faticoso trasporto dei bagagli sarebbe stato realizzato un lungo nastro trasportatore dalla stazione centrale sino all’imbarcadero, ma i sindacati credono che non ci sarà nemmeno questo da parte delle Ferrovie.
In tutto questo discorso non è stato tenuto conto di un fattore variabile, e cioè l’imbarcadero di Tremestieri si insabbia almeno una volta ogni dieci giorni.
Ora hanno fatto dei lavori per renderlo agibile con un’azienda del Nord che ha portato i suoi escavatori (ma in Sicilia non ce n’erano?).
Che accadrà il giorno in cui l’approdo dovesse insabbiarsi nuovamente a causa del gioco delle correnti?
Il trasporto dei prodotti siciliani resterà bloccato o Messina sarà nuovamente invasa? E chi pagherà i danni? Non certo le ferrovie dello Stato.
Diciamolo francamente, le ferrovie hanno abbandonato la Sicilia.
Stanno per migliorare il servizio interno di collegamento fra le tre città più grandi, Palermo, Catania e Messina mettendo in esercizio dei treni moderni, e così si stanno lavando la coscienza.
Ci sono stati stanziamenti per la tratta Catania-Palermo passando per Enna-Caltanissetta, ma ci vorranno circa 3 miliardi e quasi dieci anni di lavori.
Mi dicono anche che al momento non ci sarebbero nemmeno i progetti cantierabili.
Alla resa dei conti, la Sicilia continua ad avere il peggior servizio ferroviario del Continente europeo.
E non resta quindi che affidarci agli aerei, che però non tutti se lo possono permettere. Ho visto in Sudafrica e anche nei Paesi andini passeggeri che si portavano dappresso le galline e che sembravano veramente della povera gente, quindi è da presumere che i biglietti aerei lì siano alla portata di tutte le tasche.
Come possiamo aiutare dunque la mobilità dei siciliani?
In Sardegna la Regione stanzia ogni anno 50 milioni per la continuità territoriale, per cui un sardo spende 130 euro andata e ritorno per Roma e 150 per Milano. Sono tariffe fisse.
Un siciliano se a Roma prende un aereo all’ultimo momento e rientra all’ultimo momento senza avere il tempo di prenotare deve pagare qualcosa come 800 euro. Insomma, siamo emarginati e torchiati.
Che qualcuno si muova quindi, altrimenti questa terra resterà prigioniera di se stessa.
Tony Zermo
(da “La Sicilia.it“)
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Febbraio 4th, 2015 Riccardo Fucile
ALTA VELOCITA’, I COSTI AUMENTANO COME AL SOLITO: IN SOLI QUATTRO MESI PREZZI ALLE STELLE
L’esplosione dei costi è certificata ora anche dalla Camera dei deputati. 
«I finanziamenti per la linea» alta velocità Torino-Lione fanno registrare «una variazione in aumento» di 2 miliardi 358 milioni di euro.
Di conseguenza, il costo complessivo della quota italiana dell’opera sale a 7 miliardi 789 milioni, «con un fabbisogno ancora da finanziare di 4 miliardi 514 milioni di euro».
Ecco l’ultima puntata della folle corsa all’aumento di spesa della tratta dell’alta velocità più discussa d’Italia.
Finito nei mesi scorsi al centro di roventi polemiche, il rialzo dei prezzi è adesso certificato in una scheda predisposta dal Centro studi di Montecitorio in vista del parere che, entro il 12 febbraio, la commissione Trasporti dovrà esprimere sullo schema di decreto ministeriale che recepisce il contratto di programma 2012-2016 tra Rete ferroviaria Italiana (Rfi) e il ministero delle Infrastrutture.
COSTI BALLERINI
Come si è arrivati a queste cifre? In pratica, la stima del costo complessivo (quota italiana più quella francese) dell’opera al 2012 ammontava a 9,9 miliardi di euro, dei quali il 58% (cioè 5 miliardi 676 miliardi) a carico dell’Italia e il restante 42% della Francia.
Su queste cifre, però, vista anche la durata dei lavori di realizzazione, è stato previsto un meccanismo di adeguamento della copertura dei costi nel tempo.
Un meccanismo, come chiarì Michele Elia, amministratore delegato di Ferrovie dello Stato (controllore di Rfi) lo scorso novembre in Senato, modulato sulla base delle regole francesi e recepito nel contratto di programma prendendo come riferimento un indice di rivalutazione del 3,5%.
Sempre a novembre, il presidente di Fs, Marcello Messori, spiegò che il costo definitivo della Torino-Lione «non è ancora determinabile con precisione».
Quel che è certo è che, qualora dovesse profilarsi lo scenario più avverso sul fronte delle previsioni di spesa, i costi dell’opera potrebbero salire dai 9,9 miliardi stimati nel 2012 ad un massimo di quasi 13 miliardi.
La quota a carico dell’Italia (il 58%), quindi, potrebbe lievitare dai 5 miliardi 676 milioni, indicati nell’accordo di programma del 5 dicembre 2014 tra ministero e Rfi, proprio ai 7 miliardi 789 milioni della versione finale del contratto recepito dal decreto ministeriale adesso al vaglio della commissione Trasporti della Camera.
PREVISIONI AVVERSE
Dunque, pur non essendo stimabile al momento a quanto ammonterà alla fine il costo reale dell’opera, il contratto di programma ha fatto propria la previsione più negativa. Un particolare che non è sfuggito all’opposizione.
Il capogruppo dei deputati di Sinistra ecologia e libertà (Sel), Arturo Scotto, chiede «l’immediata calendarizzazione della proposta di Sel per l’istituzione di una commissione parlamentare di inchiesta sul sistema dell’alta velocità ».
Unico modo, spiega a il fattoquotidiano.it «per fare finalmente chiarezza sui costi complessivi che lo Stato dovrà sostenere per la linea Torino-Lione».
Scotto chiede inoltre l’audizione dell’ad di Fs, Michele Elia: «Vogliamo capire perchè i costi recepiti nel contratto di programma corrispondano esattamente a quelli dello scenario più avverso delineato dallo stesso Elia solo qualche mese fa».
Vista anche «la drammatica crisi economica in cui versa il Paese», aggiunge il capogruppo, «la realizzazione di un progetto faraonico così impegnativo per le finanze dello Stato è del tutto incompatibile con l’ordine di priorità di destinazione delle risorse». Che dovrebbero piuttosto essere investite, prosegue, in «politiche occupazionali”.
DOMANDE SENZA RISPOSTE
Nel romanzo delle cifre, Scotto fa notare inoltre che c’è anche un altro capitolo da tenere presente. «Ricordo al riguardo che l’allegato infrastrutture alla nota di aggiornamento al Def (Documento di economia e finanza) presentato solo a settembre 2014 indicava il costo complessivo della tratta italiana della linea Torino Lione in 4 miliardi 455 milioni di euro. Come è possibile che in quattro mesi le cifre si siano innalzate in questo modo?».
Bella domanda. Ora manca solo la risposta.
Antonio Pitoni
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Febbraio 4th, 2015 Riccardo Fucile
E’ LITE ANCHE NEL PD, L’EX SINDACO ACCUSA: “LO BLOCCAI NONOSTANTE INTIMIDAZIONI E RESISTENZE INTERNE”
“Avviso per i ‪#‎codardicretinicomplici: con me cascate male perchè non vi riuscirà mai di trascinarmi nel vostro fango. Sodano (sindaco di Mantova, ndr) stamattina ha parlato a nome vostro, ma cari noti la storia è scritta: voi avete voluto e votato Lagocastello, io l’ho bloccato nonostante le vostre intimidazioni”.
Sfogo pesantissimo, affidato a Facebook e confermato a voce a ilfattoquotidiano.it, quello dell’ex sindaco di Mantova Fiorenza Brioni, del Pd.
Con chi ce l’ha? Con chi adesso cerca di attribuirle responsabilità per una vicenda che lei ha avversato.
“Fra questi molti del Pd, che allora fecero finta di non vedere e che oggi sono reticenti e continuano a far finta che il problema mafia, da noi, sia di poco conto”.
La parola chiave è Lagocastello, lottizzazione che proprio la Brioni contribuì ad annullare e attorno alla quale si stanno concentrando le indagini dell’operazione Pesci, che la Direzione distrettuale Antimafia di Brescia sta portando avanti in questi giorni per accertare infiltrazioni di una cosca di ‘ndrangheta nel tessuto economico di Mantova e Cremona e negli apparati istituzionali del Comune di Mantova.
Lagocastello: 180mila metri cubi di cemento in riva al lago, di fronte al castello di San Giorgio; duecento villette e un albergo per un totale di 1200 persone insediate.
Lagocastello, come il nome della società che avrebbe dovuto costruire in quell’area e che come socio unico aveva l’imprenditore edile calabrese Antonio Muto, coinvolto nell’indagine della Dda di Brescia e attualmente agli arresti domiciliari con accuse pesanti a cui rispondere, come quella di estorsione.
Nella stessa indagine è entrato anche il sindaco di Mantova, Nicola Sodano, che si dichiara estraneo e innocente, ma che dovrà rispondere di accuse quali corruzione in atti giudiziari. E tutto, si diceva, ruota attorno sempre alla lottizzazione Lagocastello
Questo nome compare per la prima volta a fine 2004 quando l’immobiliare di Antonio Muto presenta all’amministrazione comunale un progetto edilizio importante, che avrebbe sconvolto uno degli ingressi più pittoreschi d’Italia, quello dal ponte di San Giorgio conduce al castello dei Gonzaga.
Un progetto che avrebbe, fra le atre cose, necessitato di una variante urbanistica al Piano Regolatore.
“Era la prima volta — spiega Fiorenza Brioni — che veniva resa edificabile la sponda di un lago e per fare ciò serviva una variante al Pgt, che venne approvata in fretta e furia. L’amministrazione Burchiellaro era a fine mandato, le elezioni erano vicine e si voleva evitare che la pratica rimanesse impantanata. Inoltre, cosa inusuale, anche lo schema di convenzione urbanistica venne approvato alla velocità della luce”.
La giunta dell’allora sindaco diessino, Gianfranco Burchiellaro, approva il progetto in toto e concede le autorizzazioni a costruire.
Il cantiere parte, e la società di Muto inizia le opere di urbanizzazione primaria.
Nell’aprile del 2005 le elezioni le vince Fiorenza Brioni, pasionaria del Pd che fra i punti del suo programma ha proprio lo stop alla lottizzazione in riva al lago.
Appena eletta cerca subito di bloccare Lagocastello, ma si accorge che non tutto il suo partito la segue: “Ci fu una profonda spaccatura — spiega l’ex sindaco — e alcuni dei Ds per ricompattare lo schieramento mi chiesero continuità con la giunta Burchiellaro e per continuità intendevano anche non bloccare Lagocastello”.
Nella pratica della lottizzazione, però, manca la Valutazione di Impatto Ambientale e il sindaco ne approfitta per fermarla. La società costruttrice fa ricorso al Tar.
Fra un ricorso e l’altro si arriva nel 2009.
Anno chiave, perchè la Sovrintendenza, quattro anni dopo le concessioni edilizie, pone un vincolo di inedificabilità sull’area, da considerarsi alla stregua di un bene culturale.
Il Tar nel 2011 conferma i vincoli di inedificabilità . I legali di Muto fanno ricorso al Consiglio di Stato contro la decisione del Tribunale amministrativo. Il costruttore cutrese non ci sta, ha già venduto case e investito soldi.
Minaccia di chiedere danni al Comune per 80 milioni di euro. Nel luglio 2012 arriva anche la sentenza di ultimo grado amministrativo, che conferma quella del Tar.
La lottizzazione Lagocastello non s’ha da fare e quell’area dovrà rimanere verde.
Nel frattempo l’amministrazione comunale è cambiata e al posto di Fiorenza Brioni, nel 2010, si insedia Nicola Sodano, sostenuto da una coalizione di centrodestra.
Sulla questione Lagocastello il sindaco attualmente in carica è meno radicale del suo predecessore e cerca la mediazione.
Il resto è storia di questi giorni, con i carabinieri che notificano al sindaco un avviso di garanzia nell’ambito dell’indagine Pesci — collegata all’inchiesta Aemilia della Dda di Bologna — e stanno un giorno intero in Comune a prelevare documenti su quella lottizzazione.
In un’intervista a un quotidiano locale di qualche giorno fa il sindaco in carica ha attaccato i suoi predecessori dicendo che la magistratura dovrebbe fare indagini su di loro.
E a quel punto ecco il post al veleno di Fiorenza Brioni: “Non è un sfogo — dice — ma una riflessione lucida. I codardi, cretini e complici sono tutti coloro che, a ogni livello istituzionale e politico, hanno fatto finta che a Mantova il problema mafia non ci fosse. Mi hanno fatta passare per una visionaria. A deludermi maggiormente i vertici locali del mio partito, il Pd. Non hanno reagito. La città è travolta da un’indagine sulla mafia e loro non fanno nulla. Hanno convocato due incontri nei prossimi giorni e all’ordine del giorno non si fa cenno al problema delle infiltrazioni mafiose nel nostro territorio. Si tratta di un gruppo dirigente inadeguato che deride e mette all’angolo chi denuncia situazioni di illegalità ”.
Emanuele Salvato
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Febbraio 4th, 2015 Riccardo Fucile
“ASSASSINI, MERITANO DI ESSERE CROCIFISSI”… MANIFESTAZIONI DI PIAZZA E LA DURA PRESA DI POSIZIONE DELL’ATENEO AL AZHAR, ALTA AUTORITA’ MUSULMANA
Una condanna a morte per rispondere ad un assassinio. 
La vita, e la morte, della Sajida Al Rishawi opposta alla barbara uccisione di Muath al-Kasaesbeh. Sangue su sangue.
La Giordania ha risposto con l’impiccagione della terrorista di cui lo Stato Islamico aveva chiesto la liberazione alla messa a morte del suo pilota militare, mentre il mondo arabo è attraversato da un’onda tellurica.
Le reazioni al rogo inscenato per uccidere l’ostaggio giordano vanno dalla condanna della “disumana uccisione” arrivata da Teheran a quella pronunciata dall’università Al Azhar del Cairo: “Gli assassini meritano di essere uccisi, crocifissi o anche di avere i loro arti amputati”.
Per tutta la giornata la tv di Stato giordana ha deciso di trasmettere i propri programmi tenendo in sovrimpressione, in alto a sinistra sullo schermo, l’immagine fissa di Muath al-Kasaesbeh.
Re Abdallah ha interrotto la sua visita negli Stati Uniti ed è tornato precipitosamente ad Amman, non prima di aver chiuso un nuovo accordo di collaborazione con Washington: gli Usa verseranno nelle casse del Paese un miliardo di dollari l’anno per i prossimi tre anni, aumentando un budget che era di 660 milioni l’anno per 5 anni. Mentre è ipotizzabile aumenti il peso di Amman all’interno della coalizione internazionale che bombarda da mesi l’Isis, da Damasco arriva alle autorità giordane una nuova offerta di collaborazione: il regime di Bashar al-Assad ha invitato la Giordania a “cooperare nella lotta contro il terrorismo rappresentato dallo Stato islamico e dal Fronte al-Nusra (il braccio di Al Qaeda in Siria, ndr)”.
Le immagini di al-Kasaesbeh che arde tra le fiamme ha scosso il Paese.
Safi al-Kassasbeh, padre del pilota, ha chiesto”vendetta” per il figlio, invitando le tribù giordane a fare fronte comune contro lo Stato islamico e la Coalizione internazionale a guida americana, di cui Amman fa parte, a “distruggere” i jihadisti. A Karak, città natale del pilota, manifestanti hanno marciato per le strade chiedendo anch’essi “vendetta” e gridando slogan di sostegno al re Abdallah.
Ma oggi è tutta la Giordania che sembra unita nella reazione di shock e di sdegno contro l’Isis, dopo che nei mesi precedenti il Paese era parso diviso sull’opportunità di partecipare ai raid aerei della Coalizione.
Anche Murad al Adayleh, uno dei leader dei Fratelli Musulmani giordani, movimento che con le autorità di Amman ha rapporti tesi, ha condannato l’uccisione del pilota: “Questa non è la morale dell’Islam, e non ha niente a che fare con i musulmani”, ha affermato Adayleh.
La rabbia si diffonde anche attraverso i social network.
Un imprenditore giordano ha annunciato via Facebook di aver messo una taglia da un milione di dollari sulla testa di Abu Bakr al-Baghdadi, autoproclamato califfo dell’Is. Lo scrivono i media di Amman, precisando che la taglia vale se al-Baghdadi viene consegnato vivo, mentre scende a 100.000 dollari per chi riesce a ucciderlo.
“Sono Hani Abu Asfar, presidente del consiglio di amministrazione della holding del gruppo Asfar — si legge sulla pagina dell’imprenditore — annuncio un premio di 100.000 dollari per chi riesce a portarci la testa di quello che viene chiamato al-Baghdadi. Annuncio inoltre un premio da un milione di dollari a chi riesce a consegnare vivo quest’uomo malvagio”.
Già in precedenza, il governo statunitense ha offerto per la cattura di al-Baghdadi una taglia da 10 milioni di dollari.
La reazione più dura, destinata ad avere strascichi nel dibattito che si è aperto nel mondo arabo, è arrivata dall’università di al-Azhar del Cairo, alta autorità musulmana riverita dai sunniti nel mondo, ha emesso un comunicato esprimendo rabbia profonda. L’università ha definito i militanti “un gruppo satanico, terrorista”.
Il grande sceicco di al-Azhar, Ahmed al-Tayeb, ha detto che gli assassini stessi meritando di essere “uccisi, crocifissi o anche di avere i loro arti amputati”.
Il portavoce del governo ha annunciato che “la Giordania farà tremare la terra” sotto lo Stato Islamico.
E in serata account Twitter vicini ai peshmerga curfi hanno riferito che “la Giordania ha bombardato Mosul uccidendo 55 membri dell’Isis tra cui un loro leader, Abu-Obida AL-Tunisian”.
Altre fonti, sempre vicine ai curdi, parlano di 37 uccisi in raid condotti su “al-Kesk” una località nella zona ovest di Mosul.
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Febbraio 4th, 2015 Riccardo Fucile
LA SOCIETA’ NON DOVRA’ PAGARE I 30 MILIARDI RICHIESTI DALLE PARTI CIVILI … BONELLI: “E’ LA MORTE DEL DIRITTO E DELLA DEMOCRAZIA”
Il decreto Renzi salva l’Ilva anche dal pagamento dei risarcimento.
È la notizia emersa nel corso dell’udienza preliminare dinanzi al giudice Vilma Gilli che accogliendo l’istanza dei legali dell’azienda ha escluso l’Ilva dai responsabili civili del processo nato dall’inchiesta denominata “Ambiente svenduto”.
Alla base della decisione, infatti, vi sarebbe la norma voluta dal Governo che ha traghettato lo stabilimento siderurgico di Taranto in amministrazione straordinaria consentendo così ai legali di Pietro Gnudi di chiedere l’estromissione dell’Ilva dal processo e anche di Riva Fire — cassaforte della famiglia lombarda — e Riva Forni elettrici perchè queste ultime due non erano costituite come parti nell’incidente probatorio svolto tra febbraio e marzo 2012.
Gli avvocati dell’Ilva, a cui si era associato il legale delle altre due società , hanno chiesto l’applicazione delle regole del decreto Marzano con l’eventuale presentazione delle richieste risarcitorie nel calderone dei contenziosi al cospetto del Tribunale fallimentare di Milano.
In caso di condanna nel processo penale, quindi, l’azienda che in questi anni ha consentito alla famiglia Riva di accumulare tesori da portare all’estero non dovrà risarcire nessuna delle parti tanti civili.
Parenti di operai morti, allevatori a cui sono state abbattute greggi di pecore, miticoltori che hanno visto distruggere tonnellate di cozze avvelenate dalla grande industria, abitanti del quartiere Tamburi e gli stessi operai della fabbrica non riceveranno dall’Ilva neppure un centesimo.
Non solo. Anche alle istituzioni come il ministero per l’Ambiente, la Regione Puglia, la Provincia e il Comune di Taranto — oltre che di tanti piccoli comuni a due passi dalle ciminiere — l’azienda non dovrà pagare nulla per il disastro ambientale compiuto nei decenni scorsi.
Era di poco superiore ai 30 miliardi di euro la richiesta formulata dalle centinaia di parti civili ammesse nel processo tra le quali anche il partito dei Verdi, delle associazioni ambientaliste Legambiente, Altamarea, Peacelink e Wwf, i sindacati, Cittadinanza Attiva e Confagricoltura.
“È la morte del diritto e della democrazia — ha tuonato Angelo Bonelli, coportavoce nazionale dei Verdi — È una vergogna: la città e i suoi cittadini sono massacrati per l’ennesima volta. Negare i risarcimenti ai parenti delle vittime e tutte le altre parti civili significa condannarli ancora a morte. Inoltre — ha aggiunto Bonelli — questa norma consente alle aziende che hanno realizzato enormi profitti sulla salute di operai e cittadini di poter conservare i propri tesori nei conti correnti bancari. È stato distrutto il principio chi inquina paga e la beffa maggiore è che questo è avvenuto grazie a un provvedimento dello Stato italiano”. In conclusione Bonelli ha annunciato un’immediata denuncia al tribunale dei diritti dell’uomo a Strasburgo.
Francesco Casula
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Febbraio 4th, 2015 Riccardo Fucile
LA PROCURA DI ROMA HA ACCERTATO CHE IL GENIALE FISICO DEL TEAM DI ENRICO FERMI ERA VIVO, IN VENEZUELA, 20 ANNI DOPO LA SCOMPARSA AVVOLTA NEL MISTERO
Ettore Majorana, il geniale fisico catanese cresciuto in via Panisperna e che alcuni esperti collocano tra
Newton ed Einstein, scomparso misteriosamente nel 1938, era vivo nel periodo 1955-1959 e si trovava volontariamente nella città venezuelana di Valencia.
Lo ha accertato la procura di Roma indagando sulla scomparsa.
Ora la procura, dopo aver aperto un fascicolo nel 2011 sulla scomparsa dello scienziato, ha chiesto l’archiviazione.
Quindi nessuna scomparsa dovuta a omicidio, o suicidio o riparo in un convento da parte di Majorana come indicato da parenti e conoscenti.
Probabile che lo scienziato, spaventato dalle sue scoperte sull’atomo, abbia deciso di sparire senza lasciare tracce.
Il procuratore aggiunto Pierfilippo Laviani, in particolare, ha accertato la fondatezza di quanto ipotizzato già alcuni anni fa: ossia che in una foto scattata in Venezuela nel ’55, analizzata dal Ris, Majorana, conosciuto con il cognome Bini, appare insieme con un emigrato italiano, Francesco Fasani, meccanico, subito dopo aver ricevuto un prestito.
L’uomo che appare insieme con Fasani risulta compatibile con i tratti somatici del fisico catanese.
“I risultati della comparazione – scrive Laviani nella richiesta di archiviazione – hanno portato alla perfetta sovrapponibilità ” dei particolari anatomici di Majorana (fronte, naso zigomi, mento ed orecchio) con quelle del padre.
A conferma di quanto accertato, anche una cartolina che Quirino Majorana, zio di Ettore ed altro fisico di fama mondiale, scrisse nel 1920 ad un americano, W.G. Conklin, trovata dallo stesso Fasani nella vettura di Bini-Majorana.
Un fatto, per Laviani, che conferma la “vera identità di costui come Ettore Majorana, stante il rapporto di parentela con Quirino, la medesima attività di docenti di fisica e il frequente rapporto epistolare già intrattenuto tra gli stessi, avente spesso contenuto scientifico”.
Dopo aver accertato che Majorana era vivo tra il 1955 e il 1959, per la procura di Roma è stato impossibile stabilire che fine abbia fatto poi il fisico italiano.
Il procuratore aggiunto Laviani sottolinea “l’inerzia degli organi diplomatici venezuelani” in merito alla richiesta di notizie circa “il possesso di una patente di guida o di titoli di proprietà di un’auto” da parte di Majorana e, in ogni caso, sottolinea che la testimonianza di Francesco Fasani, morto recentemente, appare fondata anche perchè “pur privo di conoscenze di natura psichiatrica” fornisce “anche sotto il profilo caratteriale e comportamentale una ulteriore prova della identità tra il Bini ed Ettore Majorana”.
(da “Huffingtonpost”)
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Febbraio 4th, 2015 Riccardo Fucile
LA PRESUNTA CONTIGUITA’ DEL PADRE DEL NEO-PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA CON LA REALTA’ MAFIOSA
“La verità è che la penna per scrivere la storia, la impugnano sempre i vincitori”.
Inizia con l’amarezza il colloquio con Giuseppe Casarrubea, storico siciliano, di quel particolare periodo della vita nazionale che fu il dopoguerra nell’Isola, il ruolo degli americani, e soprattutto quel passaggio di campo della mafia dal fronte monarchico, eversivo e separatista, alla nascente Democrazia cristiana.
Temi tornati di attualità in questi giorni con l’elezione di Sergio Mattarella alla Presidenza della Repubblica.
Mattarella, una dinastia politica che è parte importante della storia della Sicilia, cognome caro all’antimafia per la morte tragica di Piersanti, cognome che arrovella la mente di quanti, storici e giornalisti, hanno ancora voglia di scavare nel passato dei rapporti tra mafia e politica.
Casarrubea nel suo blog lancia un appello al nuovo capo dello Stato: “Un gesto di magnanimità verso un grande uomo, Danilo Dolci, che siciliano non era, veniva da Trieste, e che dedicò tutta la vita a lottare per il riscatto della Sicilia”
In un dossier denunciò, e fu tra i primi, i rapporti tra Bernardo Mattarella e una parte della mafia, per questo venne querelato e condannato
Lo so bene, ma so anche che il lavoro di Danilo fu scrupoloso, dettagliato, cinque anni di fatica, ai giudici e alla commissione Antimafia consegnò nomi e cognomi, finanche testimonianze firmate. Mise tutto nero su bianco. In alcuni paesi certe relazioni, certe mani strette per avere voti, erano sotto gli occhi di tutti. E fu anche un lavoro rischioso, un giorno gli spararono e Danilo si salvò grazie al fatto che Franco Alasia lo spinse via portandolo fuori dalla traiettoria del proiettile
Però i giudici, fino alla Cassazione, condannarono Dolci.
Questo riguarda la coscienza dei giudici di allora. Sì, allora, anni Sessanta del secolo passato, quando la parola mafia nei tribunali non aveva accesso. Non tutto quello che è nelle sentenze dei tribunali è espressione di verità . Spesso è il contrario, perchè i tribunali sono espressione dei momenti della vita di un popolo, ma sono al di sotto del giudizio storico
E allora veniamo alla storia, professore
Dolci voleva capire come funzionava il sistema delle clientele politico-mafiose e quali erano le ragioni dello strapotere della Dc. Era un sociologo, non un carabiniere o un poliziotto. In quegli anni non c’era molta divaricazione tra le norme sociali e le norme criminali, coincidevano quasi.
Da studioso che ha approfondito il dopoguerra in Sicilia e la nascita dell’autonomismo, anche avendo accesso a documenti riservati americani, ci dica chi era Bernardo Mattarella e che ruolo svolse nel passaggio di alcuni settori legati al separatismo e alla stessa mafia dentro l’alveo della nascente Dc
Rispondo in modo sereno: era un grande personaggio della Democrazia cristiana, nel 1944, mentre la Sicilia era allo sbando, con uomini come Restivo, Scelba, don Luigi Sturzo, esiliato negli Stati Uniti, pensò di rimettere su il Partito popolare e di dare vita a una Italia democratica fondata sul sistema dei partiti. Fu un repubblicano di ferro e lottò contro i monarchici e contro i separatisti
Detti i meriti parliamo dei limiti e anche dei demeriti, sempre alla luce di una lettura storica.
Mettiamola così, il demerito fu quello di essere cresciuto in un contesto nel quale la distinzione tra sistema criminale mafioso e sistema sociale non era netta. Era la mafia che dettava legge sui comportamenti sociali. Che poi Bernardo Mattarella si sia imbattuto in certi personaggi, è cosa che definirei del tutto naturale, l’ambiente induceva ad avere relazioni anche di tipo familistico con persone equivoche, ma questo non significa che Mattarella fosse compromesso. Nessuna prova indica che sia stato compromesso. Pisciotta lo accusò di essere uno dei mandanti della strage di Portella assieme a Cusumano Geloso, Leone Marchesano, il principe Alliata, ma questi erano dei monarchici che facevano parte di una scuola politica molto diversa da quella di Mattarella. Erano in due campi diversi
La storia della famiglia Mattarella è parte della storia tragica della Sicilia.
Certo, e la morte di Piersanti segna lo spartiacque tra una Sicilia ancora feudale nella gestione dei rapporti di potere e la Sicilia più moderna degli anni successivi. Penso a Falcone, Borsellino, al risveglio della magistratura e della societ�
Sarà accolto il suo appello?
Il presidente Mattarella faccia un gesto di magnanimità , sarebbe un atto di lungimiranza politica. Se ciò non avverrà rimarranno queste due posizioni storicamente ancora da spiegare.
E la storia non si scrive nelle aule di tribunale.
Enrico Fierro
(da “il Fatto Quotidiano”)
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