Febbraio 16th, 2015 Riccardo Fucile
ANNUNCI CIVETTA, BIGLIETTI OFFERTI A “PREZZI SPECIALI” SENZA AVERLI, RIVENDITORI FASULLI: L’ORGANIZZAZIONE METTE IN GUARDIA DAI BIDONI
Le diffide sono già partite. A decine. 
Moniti ufficiali spediti dalla società che sta organizzando Expo per bloccare gli annunci civetta di siti Internet o vere e proprie agenzie e attività commerciali che offrono, senza neppure averli, biglietti scontati o a «prezzi speciali» per entrare all’Esposizione milanese.
Perchè quando mancano due mesi e mezzo al via, sono in tanti quelli che ci hanno già provato. E che per ora sono stati fermati.
Rivenditori fasulli che in Italia si sarebbero limitati a offrire la possibilità di prenotare un ingresso low cost.
Ma che all’estero hanno già tentato di contraffare i ticket.
È accaduto in Cina, dove sono stati segnalati da un tour operator i primi tagliandi riprodotti con una tecnica artigianale e sono stati trovati (è successo anche in Sud America e in alcuni Paesi europei) persino falsi certificati di qualifica per diventare rivenditore ufficiale con tanto di logo e firme copiate.
Ed è proprio per scovare chi prova ad approfittare della scia creata dall’interesse per la manifestazione e fermare l’assalto, che Expo spa non solo aggiorna costantemente le proprie misure anticontraffazione, ma è partita al contrattacco: ha creato una task force incaricata di passare al setaccio la Rete, controllare le segnalazioni che arrivano da ambasciate e consolati, dai cittadini e dai distributori ufficiali.
Perchè nessuno – è il concetto – può vendere sul mercato ai futuri visitatori biglietti con prezzi diversi da quelli stabiliti.
Diffidate dalle imitazioni. «Chi vende i biglietti al di fuori della rete di distribuzione ufficiale e a condizioni non previste dai contratti commette un illecito. Siamo e saremo fermissimi nel far rispettare in maniera rigorosa tutte le regole», dice Piero Galli, il manager di Expo incaricato della gestione dell’evento.
È il rischio della corsa che sta macinando risultati: 8 milioni di tagliandi già venduti (di cui 5 all’estero), un terzo del traguardo fissato a 24 milioni.
Adesso, l’obiettivo è arrivare a 10 milioni prima dell’apertura dei cancelli, il Primo maggio.
La strategia: chi acquista ora e fino al momento del via può contare su uno sconto medio del 20 per cento.
Il costo? Varia a seconda di chi compra (adulto, bambino, famiglie, eccetera), della data (fissa o aperta) e, presto, dell’orario (ci saranno biglietti serali).
Da poco sono partiti i pacchetti per due giorni.
Esiste una rete ufficiale di distribuzione: il sito di Expo, le agenzie turistiche accreditate, i canali tradizionali.
E gli sponsor, dalle filiali di Banca Intesa ai negozi di telefonia Tim fino alla Coop, che sponsorizza anche il padiglione del cibo del futuro e, per ora, è l’unica ammessa da contratto a promuovere (solo per i propri soci) gli ingressi con un ribasso del 30 per cento.
Altra eccezione: la carta riservata agli italiani all’estero, 25 per cento in meno e una serie di facilitazioni per il viaggio. Stop.
Per il resto, i prezzi dei biglietti al pubblico non possono variare da quelli fissati anche perchè Expo paga l’Iva allo Stato in base alle tabelle ufficiali.
Ed è proprio questo il punto.
Sono spuntati già decine di annunci fasulli. Siti internet e agenzie che, in Italia e all’estero, millantano tariffe straordinarie senza avere in tasca i ticket.
Si tratta di pochi euro in meno (da 32 a 25 euro, ad esempio, o da 27 a 21), ma in un periodo di crisi potrebbe bastare.
Specchietti per le allodole per tentare, magari, di piazzare altri prodotti.
Per ora sono stati tutti fermati con le diffide, ma i tentativi continuano.
Solo due giorni fa, per dire, gli uffici hanno girato agli avvocati tre segnalazioni. L’attenzione rimane alta e, per evitare biglietti falsi e fotocopie, esiste un codice a barre sul tagliando che verrà bruciato una volta letto dai sensori agli ingressi.
Alessia Gallione
(da “la Repubblica”)
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Febbraio 16th, 2015 Riccardo Fucile
FRANCIA CHIEDE IMMEDIATA RIUNIONE ONU
Aerei dell’esercito egiziano hanno colpito obiettivi dell’Is in Libia in risposta all’uccisione dei 21 copti e sono tornati indenni alle loro basi.
Lo riferisce la radio egiziana citando un comunicato dell’esercito.
Anche i caccia dell’aviazione militare libica, fedele al generale Khalifa Haftar che si è detto pronto a collaborare con l’Egitto, hanno partecipato ai raid aerei compiuti all’alba dall’aviazione egiziana contro le postazioni dello Stato islamico in Libia.
Lo riferisce l’emittente televisiva al Arabiya, citando un funzionario libico della difesa: “Egitto e Libia stanno combattendo una guerra”, ha detto il funzionario.
Gli attacchi aerei hanno colpito le basi del gruppo jihadista a Derna. Secondo il comandante dell’Aviazione libica, Saqer al-Joroushi, sarebbero stati “40-50” i terroristi dell’Is uccisi finora nei raid su Derna.
Il presidente francese, Franà§ois Hollande, è concorde con il presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi sul fatto che il Consiglio di Sicurezza dell’Onu dovrebbe riunirsi con urgenza sulla situazione in Libia e adottare nuove misure, come si legge in una nota dell’Eliseo.
Per Matteo Renzi “questo non è il tempo dell’intervento miliare”, bisogna aspettare la proposta dell’Onu.
“La visione del governo è una sola – ha detto il premier in un’intervista al Tg5 – ossia attendere che il Consiglio di sicurezza Onu lavori un po’ più convintamente sulla Libia. La comunità internazionale se vuole ha tutti gli strumenti per poter intervenire. La forza delle Nazioni Inite è decisamente superiore a quello delle milizie radicali”.
Mentre, Abdullah al Thani, il premier del governo libico riconosciuto dalla comunità internazionale, chiede all’Occidente di sferrare un’offensiva aerea per stanare i jihadisti che controllano Tripoli, “altrimenti -avverte- la minaccia dilagherà nei Paesi europei e specialmente in Italia”.
Dal Cairo non si cita alcuna collaborazione delle forze regolari libiche: “Confermiamo che la vendetta per il sangue degli egiziani” è “un diritto assoluto e sarà applicato”, afferma il comunicato delle forze armate egiziane che annuncia i raid aerei compiuti all’alba in Libia.
I raid sono stati portati in base “al diritto dell’Egitto di difendere la propria sicurezza e stabilità e per vendetta e risposta agli atti criminali di elementi e formazioni terroriste all’interno e all’esterno del paese”, si afferma nel comunicato.
Vittime civili nei bombardamenti.
I raid aerei egiziani hanno colpito accampamenti dell’Is a Bengasi e Sirte. Secondo una fonte della sicurezza della città di Bengasi sotto i bombardamenti sono morti almeno cinque civili. Tre delle vittime sarebbero bambini e due donne, tutte abitanti della città di Derna, situata a 1.300 chilometri a est di Tripoli. La tv satellitare al Jazeera parla invece di almeno di sette morti e 17 feriti a Derna.
(da “la Repubblica”)
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Febbraio 16th, 2015 Riccardo Fucile
“NON E’ IL MOMENTO DELL’AZIONE” E BACCHETTA GENTILONI E LA PINOTTI
“Sulla Libia ci si era spinti troppo avanti, quasi a briglie sciolte a dichiarare che l’Italia è pronta a
“combattere”, come ha detto il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni già venerdì scorso, o addirittura a quantificare già il numero di soldati da inviare, “cinquemila”, diceva il ministro della Difesa Roberta Pinotti in un’intervista ieri al Messaggero.
Parole un bel po’ sopra le righe, pericolosamente affrettate.
Tanto che il premier Matteo Renzi da ieri si è messo al lavoro per raddrizzare la rotta del governo: ieri sera con un’intervista al Tg1 e ancora oggi con un’altra intervista al Tg5. “Non è il momento per un intervento militare”, scandisce Renzi in una insolita versione estremamente diplomatica e cauta.
Bisogna “aspettare l’Onu”.
Le parole d’ordine sono “prudenza e attenzione: non si passi dall’indifferenza all’isteria o a reazioni irragionevoli”.
Magari sarà stata anche colpa del caos sulle riforme costituzionali alla Camera, che ha assorbito l’attenzione del presidente del Consiglio da quando è tornato dal consiglio europeo giovedì notte.
Però la situazione è un po’ sfuggita di mano: è questa la sensazione al quartiere generale del capo del governo. Te la confidano a denti stretti.
Pare sia finita nel mirino anche l’intervista dell’eurodeputata renziana Simona Bonafè oggi al Corriere della Sera, con quel titolo: “Intervenire o no? Nessuna alternativa all’uso della forza, ma sotto l’egida dell’Onu”.
Una specifica, quella riferita alle Nazioni Unite, che non basta, per come la vede Renzi, impegnato da ieri ad invitare i suoi — ministri e parlamentari — alla cautela.
Non basta perchè bisognerebbe fermarsi prima, lasciar perdere toni che quasi dichiarano la guerra, unilaterale da parte del Belpaese che si sente minacciato.
L’affare Libia è materia delicatissima, la prima minaccia di guerra così ravvicinata per il giovane governo Renzi e — in tempi recenti — per l’Italia.
Va trattata con i guanti, nel rispetto delle trattative diplomatiche in corso e in attesa che le Nazioni Unite trattino la questione. E’ un test, una prova ad alto rischio per le arti diplomatiche dell’esecutivo italiano.
E’ per questo che il capo del governo corre ai ripari, mette in ordine la comunicazione.
La linea è: “Aspettare che il Consiglio di Sicurezza dell’Onu lavori un po’ più convintamente sulla Libia, anche se è comprensibile che ci siano altre questioni: l’Ucraina, la Siria e l’Iraq, il Medio Oriente… In Libia non c’è un’invasione dello Stato islamico, ma alcune milizie che combattevano in Libia hanno iniziato a fare riferimento allo Stato islamico, che sta lavorando con una capillare opera di comunicazione e persuasione in Africa e Medio Oriente”.
E ancora: “Da tre anni in Libia la situazione è fuori controllo, lo abbiamo detto in tutte le sedi e continueremo a farlo. Ma la comunità internazionale se vuole ha tutti gli strumenti per poter intervenire. La proposta è di aspettare il consiglio di sicurezza Onu. La forza dell’Onu è decisamente superiore alle milizie radicali”.
Dichiarazioni decisamente meno ultimative che riacciuffano un’Italia spinta sul baratro della guerra nel giro di tre giorni.
(da “Huffingtonpost“)
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Febbraio 16th, 2015 Riccardo Fucile
IL DEPUTATO CINQUESTELLE VINCE LA SPECIALE CLASSIFICA DELLA TESTATA AMERICANA
Una citazione del New York Times non è cosa di ogni giorno.
Certo, quello guadagnato dal deputato M5s Alessandro Di Battista non è proprio un riferimento lusinghiero.
In un articolo firmato da Bill Adair e Maxime Fischer-Zernin dedicato alle più inverosimili bugie dai politici nel 2014 il membro del direttorio pentastellato si è guadagnato il primo posto.
Sotto accusa, le parole pronunciate da Di Battista alla manifestazione del Circo Massimo, il 13 ottobre scorso.
Rispondendo al ministro della Salute Beatrice Lorenzin che aveva definito la Nigeria un “paese tranquillo”, Di Battista aveva replicato: “il 60% è in mano agli estremisti islamici di Boko Haram, il resto del paese è in mano ad Ebola”.
Il New York Times cita a sua volta il premio “Balla dell’anno” assegnato dal sito italiano Pagella politica, che ha spiegato come il gruppo terroristico controlli una parte molto esigua del territorio.
Quanto alla diffusione del virus Ebola, i casi registrati nel Paese sarebbero stati soltanto 20, e il 20 ottobre scorso l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha giudicato la Nigeria Paese “Ebola-free”.
(da “Huffingtonpost“)
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Febbraio 16th, 2015 Riccardo Fucile
LA GEOGRAFIA DEL POTERE CHE HA TRASLOCATO A PALAZZO CHIGI E DINTORNI NASCE TUTTA IN TERRA DI TOSCANA…. NON A CASO LI CHIAMANO IL GIGLIO MAGICO
Dalla Leopolda al Governo. Chi è rimasto al fianco di Matteo è stato premiato. 
Da uomini del rottamatore, sono poi diventati normalizzatori di un Pd che è sempre molto più Margherita, molto più centro che sinistra.
Ma di rivoluzionario c’è rimasta la vecchia stazione Leopolda, i panel e le slide. Insomma, l’impressione di essere proiettati in un mondo politico del futuro e che nella realtà è molto attaccato al passato.
Molto governativo. Ma con accento fiorentino.
Tanto che le persone al suo fianco sono state ribattezzate “giglio magico”.
Ma quasi nessuno è del capoluogo: arrivano tutti dalla provincia. Come lo stesso Matteo da Rignano sull’Arno, paesello alle porte di Firenze Sud che guarda la provicnia di Arezzo.
Giannizzeri e nani Il consigliere più fedele di Renzi è Luca Lotti.
Siede nel cda della fondazione Open, cassaforte personale di Renzi, e nei palazzi cura i rapporti più delicati: forze dell’ordine, servizi segreti e il livello riservato degli uffici romani.
Oltre ad avere la delega fondamentale per chi ha fatto della comunicazione la sua fortuna: quella all’editoria.
La professione riconosciuta è infatti quella di sottosegretario alla presidenza del consiglio con delega all’editoria.
Vuol dire tenere in pugno i giornali: è lui, e il suo dipartimento, che aprono o chiudono i finanziamenti pubblici agli editori.
Nato il 20 giugno 1982 a Empoli, vive a Montelupo Fiorentino, una cittadina di 13.000 abitanti a 22 chilometri da Firenze. Figlio del primo direttore della banca di Cambiano Marco Lotti e nipote del terracottaio Gelasio, Luca è cresciuto a Samminiatello, piccola frazione di Montelupo.
Il nonno prima e il padre poi hanno dedicato buona parte della vita alla tutela della terracotta. Luca si è fatto affascinare prima dal calcio, allenando la squadra femminile del paese, e poi da Renzi.
Le grandi passioni della sua vita sono queste. Altre non se ne conoscono pubblicamente.
Nel 2004, quando Matteo sbarca in Provincia, lo porta con sè come capo del suo staff. Nel giugno del 2009 Lotti è eletto in consiglio comunale a Montelupo, ma in quella stessa tornata elettorale Renzi diventa sindaco di Firenze e lui lo segue di nuovo.
Il 1° luglio 2009 è assunto a chiamata come responsabile della segreteria del sindaco, e nove giorni dopo, il 10 luglio, lo segue la moglie Cristina Mordini, impiegata nello stesso ufficio.
Quando Renzi conquista il Pd, Lotti lo segue nella segreteria nazionale, diventando responsabile dell’organizzazione e coordinatore.
Renzi premier? Lotti sottosegretario.
La sua carriera politica è dunque interamente scandita dalla benevolenza dell’amico Matteo. Non è l’unico.
Altro protetto, cresciuto a pane e Renzi è Maria Elena Boschi.
Anche lei inserita nel cda della fondazione Open, di cui è ancora oggi direttore generale.
Nel 2009 lei sosteneva, insieme a Francesco Bonifazi, l’avversario alle primarie di Matteo: il dalemiano Michele Ventura.
Ma poi, con Bonifazi, è salita sul carro del vincitore. Oggi è più realista del reuccio.
E Renzi l’ha premiata. Prima nominandola in una controllata del Comune, poi ministro. Una fulminante carriera.
Anche lei, comunque, ha un suo gruppo di potere ben strutturato. Uomo cardine della sfera Boschi è l’avvocato Umberto Tombari, il professionista che ha battezzato verso la pratica legale una giovane Maria Elena ancor non folgorata dalla politica.
Nel suo studio la ragazza, appena laureata, svolse la pratica.
E Tombari, nei giorni del massimo splendore renziano, lo scorso maggio, è diventato presidente dell’Ente Cassa di risparmio di Firenze.
Un ruolo che, nel capoluogo toscano, vuol dire dirigere il potere come un vigile urbano fa col traffico.
Classe 1966 Tombari è legato anche a Renzi: fu l’attuale presidente del consiglio che gli chiese di guidare la partecipata del Comune Firenze mobilità .
Una società chiave nella gestione delle casse fiorentine pari alla Firenze Parcheggi che aveva come amministratore delegato Marco Carrai, oggi anche lui nel cda dell’Ente cassa dove guida il comitato d’indirizzo.
L’avvocato ha cresciuto un’altra stella del firmamento renziano, Anna Genovese che è diventata commissario della Consob.
Nelle fila dei giovani e forti (e renziani) milita Filippo Bonaccorsi a cui il premier ha affidato la cabina di regia del Miur per ristruttura 21.230 scuole italiane e un pacchetto da un miliardo di euro da gestire.
Fratello della deputata renziana e componente del consiglio di vigilanza Rai Lorenza Bonaccorsi, il 46enne Filippo, dirigente in Provincia e poi ex assessore della giunta Renzi, è un avvocato un po’ ragioniere e un po’ sceriffo a cui piace lo scontro frontale.
Nel 2011 Bonaccorsi mostrava i denti ai sindacati confederali riuscendo a privatizzare l’Ataf, l’azienda del trasporto pubblico fiorentino.
Altra pedina fondamentale del giglio magico è Antonella Manzione.
Da capo dei vigili di Firenze e direttore generale del Comune toscano a responsabile del dipartimento degli affari giuridici di palazzo Chigi.
In passato aveva ricorperto lo stesso ruolo di capo dei vigili anche a Livorno, ma in quel caso la sua stella non è che brillasse come oggi. La ricordano come un’onesta impiegata. Nulla di più.
Sorella di Domenico Manzione, ex magistrato e oggi sottosegretario agli Interni, per essere portata nel Palazzo Renzi ha dovuto imporla alla Corte dei Conti: la magistratura contabile, infatti, aveva bocciato l’incarico di Manzione a capo del dipartimento affari giuridici e legali di Palazzo Chigi perchè non aveva i requisiti. L’incarico quindi è stato “congelato” ma Renzi, in risposta, lo ha confermato mandando un nuovo contratto alla Corte dei Conti.
Imposta dunque nel cuore normativo del Governo, Manzione è uno dei dirigenti di massima fiducia dell’ex sindaco.
Meno traumatico lo sbarco di Tiberio Barchielli, fotografo di fiducia del premier nonchè originario di Rignano sull’Arno, alla presidenza del Consiglio, insieme a Filippo Sensi, ex vicedirettore di Europa e massimo esperto di comunicazione politica, fine stratega che adora agire dall’ombra da quando era assistente di Francesco Rutelli. Sensi è l’unico a non essere renziano dalla prima ora nè toscano.
Per il resto, anche le nomine, sono tutte dirette sul nucleo del giglio magico. L’avvocato del premier, per dire, Alberto Bianchi, tesoriere della fondazione Open, è stato nominato nel Cda di Eni.
Mentre il suo commercialista, Marco Seracini, fondatore della prima associazione che si è occupata di raccogliere fondi per finanziare l’ascesa renziana (la Link, creata nel 2007 e tra i cui fondatori figura anche Simona Bonafè) è stato inserito nel Cda dell’Enel.
L’elenco sarebbe realmente infinito. Disegnando l’intero sistema di potere renziano con incarichi e nomine assegnate ad honorem per amicizia e rapporti personali, emerge una sorta di albero genealogico in stile nobiliare al cui vertice c’è ovviamente il novello principe Mattteo e scendendo si trovano i suoi fedelissimi, parenti, amici, e parenti e amici dei fedelissimi. Come Lotti e la moglie.
Intrecci economici
Questo per quanto riguarda le poltrone politiche. Poi ci sono gli intrecci economici e finanziari.
E di questi se ne occupa per conto del principe il fidato Marco Carrai.
Basti dire che lo scorso settembre al suo blindatissimo matrimonio, con Matteo testimone di nozze, tra gli invitati c’era Michale Leeden, l’uomo dei servizi segreti americani già consigliere di Reagan, e Fabrizio Viola, ad di Monte dei Paschi di Siena. E molti altri. Carrai porta a Renzi i finanziatori.
“Gli si dice: c’è uno bravo che ha bisogno di aiuto”, ha spiegato al Fatto mesi fa Carrai ricostruendo come è riuscito a raccogliere in pochi anni 4 milioni di euro per sostenere negli anni le campagne elettorali di Renzi.
Quattro milioni di cui meno della metà si conosce la reale provenienza. Perchè la trasparenza è come la meritocrazia: concetti da usare come slogan ma a cui poi si preferisce la fedeltà e l’amicizia.
Tra gli imprenditori amici del premier c’è anche Nerio Alessandri, patron di Technogym, fabbrica per attrezzi da palestra, l’ideologo e proprietario della catena di ristoranti Eataly, Oscar Farinetti e l’amministratore delegato della Fiat Sergio Marchionne.
Emiliano Liuzzi e Davide Vecchi
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Febbraio 16th, 2015 Riccardo Fucile
GLI AFFARI DELLA PREMIATA DITTA RENZI- CARRAI
“Useremo solo finanziamenti privati”. È scritto nero su bianco su una delibera della Regione Toscana, l’hanno detto e ripetuto per anni sindaci, assessori, amministratori: la realizzazione della seconda pista dell’aeroporto di Firenze sarà pagata senza usare fondi pubblici.
Ma le intenzioni cambiano. Come i Governi.
E così una volta arrivato a Palazzo Chigi, Matteo Renzi, ha inserito nello Sblocca Italia 50 milioni di euro da spedire alla Adf, la società che gestisce Peretola e che, guarda caso, è guidata da Marco Carrai, il fedele amico e fund raiser del premier.
Ma visto che l’Enac aveva sollevato dubbi sulla necessità di creare una nuova pista per voli internazionali perchè una identica esiste già ed è nella vicina Pisa, l’ostacolo è stato aggirato: gli aeroporti sono stati interamente privatizzati e uniti in un polo unico.
E soprattutto Roma ha stanziato altri 150 milioni di euro. E c’è chi sostiene che Renzi non faccia nulla.
Il via libera alla fusione tra Adf e Sat, società di gestione dell’aeroporto Galileo di Pisa, è stato votato lunedì 9 febbraio.
I soci hanno votato ad ampia maggioranza: il sì è arrivato dai principali, quindi Comune e Provincia di Pisa, Fondazione Pisa e Camara di Commercio pisana.
Mentre i piccoli azionisti di Sat hanno espresso voto contrario.
La società dello scalo pisano cambia anche la propria denominazione in Toscana Aeroporti Spa, società quotata con sede legale a Firenze e sarà guidata, con ogni probabilità , da Carrai.
Come ha riportato Carlotta Scozzari su Repubblica, da più di un anno le due società , Adf e Sat, hanno come prima azionista la Corporacion America, holding che fa capo alla famiglia Eurnekian e a Eduardo Eurnekian, noto in Italia per essere stato socio di riferimento della compagnia aerea Volare, fallita a inizio millennio.
Corporacion possiede il 53% di Sat e il 48,9% di Adf. A dare il via libera, alla fusione, al suo fianco, si sono schierati anche gli altri azionisti di peso.
A partire dall’Ente cassa di risparmio di Firenze, in Adf al 13%, la Regione Toscana guidata da Enrico Rossi (5%) e il Comune di Firenze (2,18 per cento) oggi affidato al sindaco ereditiere Dario Nardella.
Un’operazione prettamente renziana
Mentre a Firenze e Pisa la fusione andava in porto, a Roma il Palazzo si muoveva per stanziare fondi.
Il fedelissimo Luca Lotti è riuscito a far passare (per ammissione del viceministro alle infrastrutture, Riccardo Nencini) i nuovi fondi e la mattina del nove febbraio il ministro Maurizio Lupi firmava il via libera a “porre in essere ogni azione utile per sostenere l’attuazione degli interventi infrastrutturali programmati da Aeroporto di Firenze fino a un massimo di 150 milioni di euro”.
Inoltre si è impegnato a firmare e inviare “al ministero dell’Economia il decreto per l’intervento pubblico di 50 milioni per l’adeguamento infrastrutturale dell’aeroporto” tra cui la nuova pista da 2400 metri.
Quella che nessuno voleva. Neanche lo stesso Enrico Rossi: “Ci metto la faccia”, disse nell’ottobre 2013 esprimendosi contro l’ipotesi di una pista di lunghezza superiore ai due mila metri.
E aveva minacciato di andare “tutti a casa” se non fosse passata, in Regione, la variante per la pista dell’aeroporto.
Le prime ripercussioni si sono registrate sul piano politico.
La giunta di Pisa ha visto un assessore dimettersi e ventilare l’ipotesi di rimpasto, mentre in Regione si è aperto il fronte contro Rossi che fra l’altro è ricandidato presidente.
A dare battaglia per primi gli uomini del Prc. Il segretario Paolo Ferrero e la consigliera Monica Sgherri hanno sintetizzato facilmente: “Renzi spadroneggia e Rossi impara velocemente, il risultato sono soldi pubblici per l’ennesima opera inutile, dannosa e costosissima”.
Ancora: “Renzi continua a spadroneggiare in Toscana e il Governatore Rossi ad adeguarsi, sempre più a suo agio per altro. Parliamo di un vero e proprio nuovo aeroporto, l’opposto di quanto già adottato dal Consiglio Regionale. Tutto appare funzionale solo alla sua ricandidatura”.
Ma certo è che Rossi nulla poteva per fermare o opporsi alla fusione.
Un progetto fortemente voluto da Renzi e realizzato dall’amico Carrai.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Febbraio 16th, 2015 Riccardo Fucile
DALLA LEOPOLDA ALLE PARTECIPAZIONI STATALI
Si sprecano le nomine di matrice toscana nei consigli d’amministrazione delle grandi partecipate statali:
Rossella Orlandi, empolese, si è trovata dalla sera alla mattina l’Agenzia delle Entrate, Alberto Bianchi sta all’Enel, Fabrizio Landi a Finmeccanica, Elisabetta Fabri alle Poste, Marco Seracini all’Eni.
All’Eni è arrivata anche Diva Moriana, aretina trapiantata a Firenze vicepresidente di Intek la società di Vincenzo Manes finanziatore di Renzi.
In Ferrovie c’è Gioia Ghezzi che ha in passato ha aiutato Renzi a Firenze a scrivere un progetto di legge sull’omicidio stradale.
E pure Federico Lovadina, 32 anni, tributarista fiorentino legatissimo a Boschi e Bonifazi.
Nel 2001 Renzi lo aveva nominato nel Cda di Mercafir, il mercato ortofrutticolo.
Ora sta nel Cda delle Ferrovie.
Toscano è anche Ferdinando Nelli Feroci, ambasciatore in pensione: è il commissario italiano in Europa al posto di Antonio Tajani.
I fedelissimi del premier-segretario (Boschi, Guerrini, Serracchiani, Lotti) controllano il 67% della direzione del Pd e appoggiano in pieno il suo progetto.
Nel gruppo anche i seguaci di Dario Franceschini.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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