Luglio 28th, 2015 Riccardo Fucile
I TECNICI DEL SERVIZIO BILANCIO DEL SENATO DUBBIOSI SUI RISPARMI PER 2,3 MILIARDI L’ANNO
Spese “sovrastimate“, misure di spending review “inefficaci“, dubbi sulla sostenibilità delle correzioni previste dal governo.
I tagli alla sanità dettagliati nel decreto Enti locali sulla base dell’accordo firmato il 2 luglio in conferenza Stato-Regioni spaventano i cittadini.
Ma secondo i tecnici del Senato il rischio principale è che l’auspicato contenimento della spesa di oltre 2,3 miliardi l’anno dal 2015 al 2017 si riveli l’ennesimo flop.
E non contribuisca affatto alla manovra di revisione della spesa del commissario Yoram Gutgeld, indispensabile per permettere la riduzione delle tasse promessa dal premier Matteo Renzi.
Questo al netto del fatto che l’intesa con le regioni prevedeva che i risparmi venissero reinvestiti nel servizio sanitario.
I presupposti per l’insuccesso, secondo il servizio bilancio di Palazzo Madama, ci sono tutti.
Nella “nota di lettura” sugli emendamenti governativi, i tecnici incaricati di verificare gli effetti finanziari di ogni norma di legge evidenziano infatti che gli interventi per ridurre le uscite per beni e servizi e le prestazioni “inappropriate” fanno acqua.
Molti capitoli di spesa, poi, non possono essere tagliati ulteriormente perchè già ridotti all’osso, come ha fatto presente anche il ministro Beatrice Lorenzin: il Fondo sanitario nazionale è sceso dagli oltre 112 miliardi del 2009 a 110.
Quanto all’ipotesi di far pagare a grossisti e farmacisti una parte dell’eventuale spesa in eccesso sostenuta dalle regioni, a bocciarla ci ha pensato la settimana scorsa il Tar del Lazio. Fatte le somme, balla circa 1 miliardo.
Rinegoziare i contratti? Non c’è tempo. E le aziende potrebbero mettersi di traverso
Il caveat più pesante del servizio bilancio riguarda proprio la voce da cui dovrebbe derivare la sforbiciata più corposa: la razionalizzazione della spesa per beni e servizi. L’emendamento del governo stabilisce che i contratti di fornitura siano rinegoziati con l’obiettivo di abbattere i costi del 5% su base annua.
Vale a dire, come dettagliato nella relazione tecnica, 788 milioni nel 2015 e 805 milioni l’anno dal 2016. “Al riguardo, si rappresenta la difficoltà di conseguire un risparmio pieno nell’anno in corso”, avvertono i tecnici. Il problema è che quei 788 milioni dovrebbero essere assicurati nel periodo tra l’entrata in vigore della legge di conversione del decreto e la fine dell’anno: solo pochi mesi, insufficienti per mettere a segno riduzioni di spesa “calcolate su base annuale”.
Non solo: “Andrebbe valutata la possibilità dell’insorgere di contenziosi e l’adozione di comportamenti da parte degli operatori privati volti a ridimensionare l’impatto della norma fornendo prodotti di minore qualità ovvero sfruttando, in taluni ambiti, una situazione di sostanziale monopolio“.
Per i tagli sui dispositivi medici non c’è più margine di manovra
Osservazioni molto simili per quanto riguarda i contratti di fornitura di dispositivi medici, dalla cui rinegoziazione il governo si attende risparmi per 205 milioni quest’anno e 544 a partire dal 2016, “corrispondenti a una riduzione della spesa tendenziale pari al 9% annuo”.
In più i tecnici sottolineano che “nell’arco di due anni si è già registrato un calo di tale aggregato di spesa da 7 a 5,7 miliardi di euro circa”, per cui “la possibilità di realizzare la correzione prospettata appare condizionata”.
I recuperi a carico delle aziende bocciati dal Tar
Sotto il lentino finisce anche il meccanismo del cosiddetto pay back, cioè l’obbligo per le aziende produttrici di dispositivi medici di contribuire al ripiano dell’eventuale sfondamento del tetto del 4,4% del totale del Fondo sanitario regionale.
In pratica, i fornitori delle aziende sanitarie basate in regioni che spendono troppo dovrebbero rifondere il 40% dello sforamento nel 2015, il 45% nel 2016 e il 50% dal 2017.
La relazione tecnica parla di 345 milioni di euro quest’anno e 248 dal prossimo.
Il servizio bilancio si limita a notare che “andrebbe valutata la sostenibilità del complesso della correzione operata nel settore per le imprese interessate”.
Ma la questione è già finita nel mirino del Tar del Lazio, che ha dato ragione all’Associazione distributori farmaceutici annullando un provvedimento con cui l’agenzia del farmaco (Aifa) prevedeva che a pagare non fossero solo le aziende farmaceutiche ma, appunto, tutta la filiera. E ora è atteso un ulteiore pronunciamento sul ricordo presentato da Federfarma.
Risparmi su ricoveri e personale ospedaliero poco dettagliati
“Perplessità ” vengono poi sollevate sulla “conseguibilità dei risparmi nella misura indicata per l’anno in corso” con la prevista riduzione delle prestazioni inappropriate, che passerà anche attraverso tagli della parte variabile dello stipendio ai medici che le prescivono.
Si tratta “solo” di 22 milioni, ma è tutta da dimostrare “l’efficacia dei meccanismi sanzionatori previsti”, si legge. In più, “andrebbe chiarita l’origine del dato relativo alla riduzione dei costi variabili connessi alla minore erogazione delle prestazioni di assistenza specialistica, stimato pari a circa il 30%”.
Troppo poco dettagliate, infine, le modalità con cui il governo intende tagliare i costi connessi ai posti letto in ospedale e al personale ospedaliero: “Andrebbero forniti elementi a supporto dei risparmi indicati dalla relazione tecnica in rapporto all’aumento del tasso di occupazione dei posti letto, alla riduzione della durata della degenza media e del tasso di ospedalizzazione nonchè alla revisione della programmazione degli investimenti”.
In più, “anche in relazione a tali risparmi si solleva la questione inerente i tempi disponibili per l’attuazione degli interventi nel 2015″.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Luglio 28th, 2015 Riccardo Fucile
LOGICA RENZIANA: RINCARI FINO A 117 EURO L’ANNO PER LE FAMIGLIE CHE USANO MENO CORRENTE
Meno tasse sulla casa, più spese per la bolletta. 
Mentre il governo di Matteo Renzi promette di voler cancellare le imposte sugli immobili a partire dall’anno prossimo, c’è un’altra novità che rischia di far aumentare i costi per le famiglie.
E questa, a differenza dell’eliminazione di Imu e Tasi, è già in rampa di lancio. Si tratta della riforma della bolletta dell’elettricità . Che potrà causare rincari fino a 117 euro all’anno per famiglia.
COME FUNZIONA LA RIFORMA
Per comprendere cosa succederà una volta che la riforma sarà approvata, bisogna leggere i documenti pubblicati dall’Aeegsi, l’autorità che vigila sul mercato dell’energia elettrica, del gas e dei servizi dell’acqua.
L’Italia ha recepito una direttiva europea che punta a incrementare l’efficienza energetica nei Paesi membri.
L’obiettivo generale è quello di riuscire a produrre la stessa quantità di energia utilizzando meno risorse, dunque inquinando meno.
In Italia il compito di tradurre in pratica la direttiva europea è stata affidato dal governo all’Aeegsi.
L’Authority si è messa al lavoro per elaborare delle proposte di riforma.
L’idea generale dell’ente presieduto da Guido Bortoni è quella di raggiungere l’obiettivo fissato dall’Unione europea agendo soprattutto su due voci della bolletta: gli oneri di sistema, vale a dire tutti i quattrini pagati dagli utenti per pagare sussidi e incentivi, come quelli sulle rinnovabili o sulla dismissione delle centrali nucleare; e i servizi di rete, quelle spese che il cliente sostiene per farsi arrivare l’elettricità a casa. Non sono voci ininfluenti: rappresentano, in media, il 41 per cento dell’intero costo della bolletta.
SUSSIDIATO A CHI
Al momento il pagamento dell’elettricità in Italia — caso unico tra le nazioni europee – si basa sulla regola della tariffazione progressiva.
Significa che spende più soldi, per oneri di sistema e servizi di rete, chi consuma più corrente.
La proposta dell’Aeegsi, pubblicata sul suo sito Internet in una prima versione il 18 giugno e aggiornata il 9 luglio, parte dall’eliminazione della progressività delle tariffa, spiegando che con questo sistema attualmente i circa 10 milioni di clienti che consumano di più «sussidiano» i quasi 20 milioni che consumano meno.
Se la riforma entrerà in vigore così come proposto dall’Autorità , la situazione dovrebbe risultare capovolta. Ci guadagnerà chi consuma più elettricità e ci perderà chi ne consuma meno.
AUMENTI MEDI DA 19 A 71 EURO
Le utenze interessate da questa riforma, che riguarda solo quelle domestiche, sono 29,4 milioni.
Incrociando i dati forniti dall’Autorità , si capisce che la maggioranza sono famiglie che usano meno di 2.700 chilowattora all’anno, ed è questa la quota da tenere a mente per capire chi saranno vincitori e vinti.
Per chi consuma meno di 2.700 chilowattora all’anno — la maggioranza degli italiani, oggi – la riforma comporterà un incremento dei costi che, si legge nel documento pubblicato dalla stessa Aeegsi, varia da 19 a 71 euro all’anno.
Con il picco massimo dei 119 euro raggiunto dai non residenti che consumano 900 chilowattora all’anno (una casa al mare o in campagna, ad esempio).
Chi saranno i maggiori beneficiari? Quelli che usano tanta corrente: per chi supera i 6.000 chilowattora all’anno il beneficio può arrivare fino a 582 euro all’anno.
LA RIFORMA? CI SARANNO PIU’ AUTO ELETTRICHE
La riforma dovrebbe entrare in vigore a partire dall’anno prossimo ed essere completata nel 2018. I giochi, però, non sono ancora fatti.
L’Autorità ha dato infatti tempo a tutti i soggetti interessati fino al 3 settembre per inviare osservazioni e proposte sulla nuova bolletta.
E i pareri sono discordanti.
L’associazione ambientalista Amici della Terra, ad esempio, ha commentato positivamente il progetto : «L’attuale struttura progressiva della tariffa elettrica rappresenta un serio ostacolo alla diffusione delle tecnologie innovative e degli usi efficienti dell’elettricità che saranno strategici in ambito domestico nel prossimo futuro, come le pompe di calore per la climatizzazione estiva ed invernale e le automobili elettriche. Negli ultimi decenni del secolo scorso, la tariffa progressiva è servita a risparmiare energia in un paese, come l’Italia, privo di risorse primarie. Oggi invece», ha detto la presidente dell’associazione, Monica Tommasi «dopo gli investimenti nelle centrali e dopo i recenti costosissimi incentivi accordati alle rinnovabili elettriche, il minor consumo di elettricità indotto dalla tariffa progressiva va a danno di un sistema di produzione di energia elettrica fra i più efficienti al mondo e di una quota di energia elettrica rinnovabile fra le più alte d’Europa».
PAGHERA’ CHI HA INSTALLATO IL FOTOVOLTAICO
Diametralmente opposto il parere di Gianni Girotto, senatore del Movimento 5 Stelle e membro della Commissione Industria. «Così come impostata dall’Autorità , la riforma è una marchetta per i produttori di energia fossile: le centrali a metano, a olio e a carbone al momento sono in difficoltà e l’aumento dei consumi indotto dalla riforma dovrebbe aiutarle a recuperare. A perderci saranno invece i cittadini che cercano di consumare meno energia: chi ha comprato un frigorifero efficiente, ha sostituito delle lampadine ad alto consumo con quelle a risparmio energetico, chi ha realizzato un impianto fotovoltaico in scambio sul posto sarà duramente penalizzato perchè perderà la convenienza economica. Per questo abbiamo fatto di recente un’interrogazione al governo chiedendo di intervenire».
Stefano Vergine
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Luglio 28th, 2015 Riccardo Fucile
SPUNTA UNA CASSETTA DELLE OFFERTE PER L’EX GOVERNATORE DEL VENETO “IN GRAVE CRISI ECONOMICA”
Colletta per Galan con tanto di cassetta all’edicola in via Facciolati, a Padova. L’edicolante, è un (vero) personaggio non nuovo a scrivere cartelli ironici o sarcastici su vari argomenti, sul pessimo andamento dei tempi attuali e su chi li conduce in tal senso.
In questo caso, l’ironia fa riferimento alle ultime interviste dell’ex governatore del Veneto, che ha patteggiato una pena di due anni e sei mesi e il pagamento di un mega-risarcimento per le tangenti del Mose.
Nell’occasione Galan aveva sostenuto che per fortuna percepisce lo stipendio da parlamentare, altrimenti non saprebbe come andare avanti e che aveva dovuto vendere anche due auto storiche.
Aveva concluso informando che, sempre a causa della sua indigenza, aveva dovuto rimunciare anche all’aria condizionata.
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Luglio 28th, 2015 Riccardo Fucile
LEI REPLICA: “IO FUORI? MA SIETE MATTI”
«Tunisia, Marocco… Emma Bonino corre da una parte all’altra. Ma che ca…o faccia davvero lo
sappiamo solo dalle indiscrezioni di qualcuno». E una.
«La signora Bonino lavora molto. E mai da noi». E due.
A seguire ci saranno anche il tre, il quattro, il cinque e anche oltre. «La Bonino può andare in qualsiasi posto, io no. Io sto cercando di andare dal presidente della Repubblica, che è molto impegnato. Se è lei che vuole un appuntamento, lo ottiene in cinque minuti».
A leggerle nero su bianco, chiunque scommetterebbe che queste parole siano state pronunciate da un qualche arci-nemico politico delle mille battaglie combattute da Emma Bonino.
E invece, a sferrare l’attacco frontale nei confronti dell’ex ministro è proprio il suo principale compagno di mezzo secolo di venture e sventure politiche.
E cioè Marco Pannella, leader storico dei Radicali.
È domenica 26 luglio, ieri l’altro. Come tutte le domeniche, va in scena su Radio Radicale la Conversazione con Marco Pannella condotta da Massimo Bordin, ex direttore dell’emittente e voce della rassegna dei giornali Stampa e Regime . L’appuntamento è un cult per militanti del partito e amanti del genere.
Bordin tira fuori un tema, Pannella risponde. Le domande durano trenta secondi. Le risposte possono durare anche ore.
«Cinque anni fa non volle fare pubblicare un libro»
Ieri l’altro, rilanciando il tema dell’imminente riassetto dell’Onu, Bordin evoca la Bonino, storica candidata radicale a tutte le elezioni che contano.
E il leader carismatico di decenni di radicalismo nazionale e transnazionale, a sorpresa, reagisce male. Male assai.
«Non ritengo che Bonino combatta la nostra battaglia. Perchè Emma telefonò a mezza Italia del potere per impedire la pubblicazione di un libro», esordisce Pannella.
Bordin trasecola, chiede di che libro si tratti. Pannella, di rimando, tira fuori uno scritto che un giovane radicale (Matteo Angioli) avrebbe scritto con l’aiuto di Angiolo Bandinelli e Carlo Ripa di Meana.
Bordin resta senza parole e tenta di chiedere lumi. A quando risale il fatto? «Sei o cinque anni fa», risponde Pannella.
Cosa conteneva il libro? «Chiedetelo a lei».
Impossibile far presente al vecchio leader che negli ultimi «6 o 5 anni» Bonino per i Radicali ha fatto di tutto, dal candidato al Colle al ministro degli Esteri.
Pannella non si ferma. «Emma disse che se fosse stato pubblicato il libro si sarebbe dimessa. Ha fatto pressioni per non farlo uscire».
«Lavora molto ma mai con noi»
E mica finisce qui.
Pannella parte con le recriminazioni. «Sono intervenuto io con Napolitano per fare inserire Emma nel governo (Letta, ndr ). E lei s’è fatta cacciare senza neanche un lamento».
E ancora: «Si comporta come se non avesse più nulla a che vedere coi Radicali. L’ultima volta che ho discusso con lei è quando ha ottenuto la nomina a segretario del partito di un bellimbusto (il maliano Demba Traorè, ndr ) che poi è scomparso (…)». Ultimo affondo: «In tutte le sue nomine c’entravo sempre io. Lei invece lavora molto ma mai con noi».
Non è il primo scontro della storia tra Pannella e Bonino.
Ma chi li conosce entrambi giura che il loro rapporto, in un momento delicato della loro storia politica e personale, è ai minimi storici. Pannella convoca riunioni, Bonino le evita. Il telefono è muto.
La replica di Bonino: «Io fuori? Ma siete scemi?»
Ieri sera, al tramonto, Emma Bonino dice la sua.
«È una giornata molto complicata, preferisco non parlare». Poi però parla.
Eccome se parla: «Il libro che non avrei fatto uscire? Chiedete a Pannella».
E l’addio ai Radicali? Altra risposta al vetriolo: «Ma siete scemi? Io sono iscritta a quel partito a 2.500 euro al mese».
E lo ripete: «Duemilacinquecento euro al mese».
Tommaso Labate
(da “il Corriere della Sera”)
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Luglio 28th, 2015 Riccardo Fucile
MOGLIE E MARITO RISCHIAVANO DI SOFFOCARE NELL’INCENDIO DELLA LORO CASA A ROVIGO
Abrahim Aluani e Mohammed El Kardoudi.
Segnatevi questi nomi perchè difficilmente sentirete parlare di loro tanto quanto dei fratelli Chèrif e Said Kouachi, di Amedy Coulibaly e sua moglie Hayat Boumeddiene, di Mohamed Atta o di Abdelmajid Touil.
Venerdì notte Anrahim e Mohammed, giovani marocchini residenti a Lendinara, in provincia di Rovigo, hanno salvato la vita a due coniugi 90enni loro vicini di casa che erano rimasti intrappolati nel loro appartamento in fiamme.
La storia, raccontata dal Gazzettino, è di quelle che non farà il giro del mondo.
I due ragazzi hanno probabilmente reagito come molti altri avrebbero reagito (molti quanti, però?): erano nella loro abitazione in via Filippi quando hanno visto il fumo e le fiamme uscire dalla palazzina vicina e si sono precipitati a sfondare la porta e tirare fuori moglie e marito a quel punto già quasi intossicati.
Il fuoco, appiccato forse da un corto circuito del frigorifero, aveva invaso tutti gli ambienti ma Anrahim e Mohammed ce l’hanno fatta, i due coniugi sono adesso all’ospedale di Trecenta prossimi a riprendersi dallo shock.
Perchè rilanciare questa storia di cronaca per fortuna non nera?
Perchè è probabile che non farà molto rumore.
E perchè proprio per questo ha acceso un dibattito sui social media dove la stragrandissima maggioranza dei migranti di prima, seconda e addirittura terza generazione integrata senza problemi nella società italiana denuncia di sentirsi costantemente criminalizzata per quel che è e non per quel che fa.
«Purtroppo sono persone che non vanno oltre ai sottotitoli» scrive su Facebook Abderrahmane.
E Angioletta: «Come vedi sono stati d’aiuto anche a casa nostra senza farsi troppe domande sul chi cosa e come. Sono di razza umana punto e basta».
La storia servirà di lezione?
Difficile, ammette un altro: «Il rispetto della dignita umana non deve essere riconociuto soltanto quando avviene un atto senz’altro coraggioso simile ma deve essere un principio di convivenza».
E poi ancora: «Eroi!!». «Grandi!». «Bravi!».
Viviamo in un’epoca a rischio di afasia, con il dialogo sempre più minacciato dai toni roboanti di chi, da una parte e dall’altra, urla a squarciagola la riscossa del massimalismo.
Sappiamo che gli immigrati senza tetto vengono cacciati con le ruspe da Ponte Mammolo a Roma.
Sappiamo che una signora di Padova ospita gratis a casa sua sei africani e viene messa all’indice dal quartiere che organizza una raccolta firme contro di lei.
Sappiamo che gli abitanti di Casale San Nicola a Roma protestano con le barricate (“erette” dai volontari Casa Pound) contro gli immigrati loro vicini.
Conosciamo le proteste anti-immigrati nella capitale e quelle a Treviso.
Conosciamo – e legittimamente – il sospetto, la diffidenza, impariamo i nomi di quelli che ci minacciano nel nome del Califfato.
Conosciamo la solitudine della paura talmente bene che mentre scrivo e twitto ricevo già messaggi ironici di chi mi chiama “buonista” e ricorda “quanti migranti salviamo noi nel Mediteranneo”.
Legittimamente, lo ripeto, siamo spaventati, sospettosi e diffidenti.
Non sono di quelli che giustificano i cattivi comportamenti degli altri solo in quanto altri-da-me: mi sono emancipata dal terzomondismo piagnone e paternalista frequentando il Terzo Mondo.
Ma così come legittimamente alziamo la voce per rivendicare il nostro diritto a essere spaventati, sospettosi e diffidenti, altrettanto legittimamente gli stranieri che vivono pacificamente in mezzo a noi (ci sono 30 milioni di musulmani integrati in Europa che il fondamentalismo islamista di al Baghdadi mette a rischio come mette a rischio tutti gli altri cittadini europei) si sentono oggi orgogliosi di Abrahim Aluani e Mohammed El Kardoudi.
Vogliamo dargli torto anche su questo?
Francesca Paci
(da “La Stampa”)
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Luglio 28th, 2015 Riccardo Fucile
IL SOVRINTENDENTE CHE POI HA FINTO STUPORE DIEDE L’OK, ECCO IL DOCUMENTO
Non era “improvvisa” e tantomeno “selvaggia”, come è stato raccontato, l’assemblea sindacale che
il 23 luglio ha lasciato duemila turisti fuori dai cancelli di Pompei, scatenando una bufera sui sindacati “irresponsabili”.
Il documento che ilfattoquotidiano.it pubblica in esclusiva dimostra il contrario: a dispetto della versione ufficiale, l’assemblea di venerdì 24 luglio era stata comunicata per tempo a tutti i soggetti pubblici interessati e soprattutto regolarmente autorizzata proprio da quel Soprintendente che l’indomani si dichiarerà invece “sorpreso” e “pugnalato alle spalle” dai lavoratori.
Il documento risale al 21 luglio, due giorni prima che si sollevasse un caso nazionale, con il presidente del Consiglio Matteo Renzi furibondo e il ministro Dario Franceschini che profetizza “danni irreparabili al Paese”.
In due pagine il documento racconta però un’altra storia.
E’ l’autorizzazione di quella riunione.
L’oggetto non lascia dubbi: “Assemblea sindacale del personale degli Scavi di Pompei, Ercolano, Boscoreale e Stabia”. Poi la data: 21 luglio, cioè due giorni prima del “fattaccio” assurto a scandalo nazionale.
A firmare la comunicazione è “Il soprintendente prof. Massimo Osanna”, cioè lo stesso funzionario che l’indomani si dichiarerà tradito dalla “protesta a sorpresa” e sarà descritto dalla stampa come un eroe per aver “personalmente aperto i varchi ponendo fine allo scempio”.
La polarizzazione dell’opinione pubblica da parte dei media è immediata: da una parte ci sono i servitori della Patria come lui, dall’altra un manipolo di rivoltosi disponibili a sabotare il cammino del Paese verso l’emancipazione dal sindacalismo più feroce.
Peccato che la versione ufficiale, data in pasto ai giornali e all’opinione pubblica, sia già da riscrivere.
Intanto le assemblee del 23 e 24 luglio proclamate dalle varie sigle — come dimostra il documento — erano state regolarmente comunicate e quindi autorizzate.
Tanto che ai “rivoltosi del sindacato” la Soprintendenza aveva pure concesso l’uso dell’Auditorium tra le 9 e le 11 del mattino.
Lo stesso soprintendente ne dà comunicazione ai soggetti interessati, perchè possano predisporre le misure necessarie allo svolgimento dell’assemblea e a garantire i servizi essenziali.
“I Direttori degli Uffici Scavi — si legge — in collaborazione con il responsabile del servizio di sicurezza — assicureranno le presenze del numero minimo essenziale di addetti necessari alla tutela dei monumenti durante le ore di assemblea”.
Ora più d’uno, dal sito di Pompei, chiede un’operazione-verità al Governo.
Massimo Battaglia, segretario generale della Federazione Confsal-UNSA chiede “innanzitutto una correttezza intellettuale e morale nel ricostruire i fatti che hanno portato alla fila per l’accesso al sito di Pompei nei giorni scorsi e di non strumentalizzare l’esercizio delle libertà sindacali. Quello che viene chiamato scandalo, non è altro che un’assemblea richiesta da tre organizzazioni sindacali e regolarmente autorizzata dal Sopraintendente”.
Che trasmette l’autorizzazione a tutti gli uffici competenti: i responsabili degli scavi, della sicurezza, personale, informatica, ufficio stampa, questore di Napoli, vari commissariati di polizia.
Insomma, lo sapevano proprio tutti, anche se passa la versione dello “sciopero selvaggio”, anche grazie ai titoli del Tg1 della sera: “Brutta sorpresa, e non è la prima volta, per i turisti in visita a Pompei. Per un’improvvisa assemblea sindacale, i cancelli sono rimasti chiusi. E’ stato il soprintendente di Pompei, Ercolano e Stabia che ha personalmente riaperto i cancelli permettendo di entrare agli oltre duemila turisti in attesa”.
Dettaglio: dal documento si evince anche il tentativo del Soprintendente di posticipare il problema: “Si chiede alle organizzazioni sindacali di valutare l’opportunità di un differimento in orario successivo alla presenza dei visitatori”.
Per uno che non ne sapeva proprio nulla, non è poco.
Thomas Mackinson
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Luglio 28th, 2015 Riccardo Fucile
STORIA DI ORDINARIA FOLLIA
Frecciarossa Milano-Roma, ieri.
Salgo a Firenze alle14.04 con due amici e colleghi. Treno semivuoto, solita temperatura polare (Trenitalia non conosce mezze misure fra +50 e -20 gradi: o caldo equatoriano,quando l’aria condizionata non funziona, o cella frigorifera).
Entro nella toilette e chiudo la porta,o almeno questa è l’impressione che ho.
Ma, proprio mentre inizio a fare le mie cose, la porta si riapre. Non funziona. E vabbè, ordinaria amministrazione. Pigio “Acqua”,ma non viene giù niente.E vabbè, ordinaria amministrazione.
Mi siedo al mio posto e appoggio il giornale sul tavolino. I piedi mi si incollano al pavimento, dove noto tracce mesozoiche di un liquido nero e appiccicoso.E vabbè,ordinaria amministrazione.
Prelevo il giornale, ma anche quello è diventato un tutt’uno col tavolino: stesse tracce preistoriche a presa rapida. E vabbè, ordinaria amministrazione.
Arriva la controllora, molto compresa nella parte.Scruta e riscruta sul display del mio cellulare il codice Pnr del mio biglietto elettronico, e con un certo disappunto non trova nulla da obiettare: quel posto è proprio il mio.
E vabbè,ordinaria amministrazione. Quando però tocca ai miei due amici, scopre con malcelato godimento che il loro biglietto (prenotato, come il mio, due ore prima dalla segreteria del giornale) è sì per il Freccia-rossa Firenze-Roma delle 14.04,ma la data è quella di oggi anzichè di ieri.
Per un errore di digitazione, non si sa se di Trenitalia o della nostra segreteria.
Il poderoso apparato informatico sciorinato dal personale viaggiante consentirebbe di correggere la svista con un clic che riposizioni sul 27 il biglietto che segna 28.Invece no.
L’aspirante kapò si fa scura in volto ed elenca ammende, tariffe, contravvenzioni e supercazzole, per un totale di 189 euro, in aggiunta ai due biglietti già pagati dai due colleghi 90 euro (45+45).
I malcapitati guardano la tipa con aria incredula: “Mica siamo dei furbacchioni che salgono senza biglietto, c’è stato un piccolo errore: com’è possibile che ora dobbiamo pagare il triplo?”.
Seguono altre supercazzole a norma di regolamento. Mi intrometto, anch’io poco pratico ma sbalordito. “Ci sarà una differenza fra i portoghesi che tentano di viaggiare gratis truffando Trenitalia e due persone oneste che hanno regolarmente pagato il biglietto ma sono incappate in un refuso del computer”. Niente.
Obietto che 189 euro per due biglietti da 90 sono una rapina, specie su treni dove non funziona nulla, e da parte di un’azienda che dovrebbe scusarsi per i suoi, di errori.
L’aspirante kapò non sente ragionie tende il palmo della mano in attesa dei soldi.
I colleghi, giustamente, non conciliano e annunciano ricorso. Segue richiesta dei documenti ai due putribondi figuri.
Poi il doppio verbale: la controllora chiama in soccorso un collega maschio, forse perchè due verbali sono troppa fatica per una controllora sola, o forse perchè così vuole il regolamento, non è ben chiaro.
Espletata l’improba missione, la coppia in divisa se ne va.
Ma, prima che la porta (eccezionalmente funzionante) si richiuda alle loro spalle, la gentile signora mi insulta: “Ah quel Travaglio, che figura di merda”.
Non si rende neppure conto — glielo faccio poi notare io—che la figura di merda è quella che la costringe a fare la sua azienda, sempre chè le sue supercazzole fossero a norma di regolamento.
Il treno, naturalmente,arriva a Roma con 10 minuti di ritardo, il che basta e avanza in Spagna per ottenere il rimborso dell’intero biglietto: in Italia invece,per un numeretto errato, il biglietto lo paghi il triplo.
E ringrazi pure l’azienda perchè il treno era “quasi puntuale” (espressione intraducibile in qualunque altra lingua).
Racconto questa storia perchè personalmente non mi riguarda (le vittime sono i miei due amici) e perchè negli occhi della controllora ho letto un sincero stupore dinanzi alle nostre, peraltro civilissime, proteste :evidentemente casi come questo le capitano spesso, e nessuno s iribella mai ai soprusi di un’azienda tanto corriva con i propri errori e disservizi quanto feroce e rapinosa quando a sbagliare, peraltro in buona fede, sono i clienti.
Anche se uno avrebbe diritto al rimborso, parziale si capisce, del biglietto, non prova neppure a chiederlo, tanti sono gli adempimenti burocratici e le code da fare in questo e quell’ufficio.
Lo stesso accade sui treni “ordinari”, i carri bestiame che trasportano pendolari, colpevoli soltanto di lavorare lontano da casa.
Accade sugli aerei Alitalia che, specie d’estate, non riescono mai a decollare una sola volta in orario.
Accade sulle metropolitane, quando arrivano, e sugli autobus, quando passano.
Ci prendono per sfinimento. E noi, spossati e rassegnati, ci lasciamo fare di tutto dai cosiddetti “responsabili ” dei presunti “servizi pubblici”, buttando lì al massimo qualche battuta cinica, tipo: “Vabbè, siamo in Italia…”.
E se Roma affoga nella monnezza, per la gioia dei topi, ormai assurti alle dimensioni dei dinosauri di Jurassic Park, un po’meno dei turisti, siamo tentati di dare ragione ad Alessandro Gassman che, giustamente disperato ed esasperato, invita i cittadini romani ad armarsi di scope e a fare da sè.
E a nessuno viene in mente di rivolgersi all’Ama, cioè all’azienda municipale profumatamente finanziata coi soldi nostri per pulire la città .
Su questo cà mpano i politici (che ci prendono pure in giro con gli annunci sul taglio delle tasse e i tagli alla sanità ): sulla nostra infinita sopportazione che farebbe invidia a Giobbe. Il giorno in cui cominceremo a pretendere che facciano ciò per cui profumatamente li paghiamo, sarà sempre troppo tardi.
Ma sarà la loro fine.
Marco Travaglio
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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