GIOVANI MAROCCHINI SALVANO DUE ITALIANI, MA LE BUONE NOTIZIE NON FANNO RUMORE
MOGLIE E MARITO RISCHIAVANO DI SOFFOCARE NELL’INCENDIO DELLA LORO CASA A ROVIGO
Abrahim Aluani e Mohammed El Kardoudi.
Segnatevi questi nomi perchè difficilmente sentirete parlare di loro tanto quanto dei fratelli Chèrif e Said Kouachi, di Amedy Coulibaly e sua moglie Hayat Boumeddiene, di Mohamed Atta o di Abdelmajid Touil.
Venerdì notte Anrahim e Mohammed, giovani marocchini residenti a Lendinara, in provincia di Rovigo, hanno salvato la vita a due coniugi 90enni loro vicini di casa che erano rimasti intrappolati nel loro appartamento in fiamme.
La storia, raccontata dal Gazzettino, è di quelle che non farà il giro del mondo.
I due ragazzi hanno probabilmente reagito come molti altri avrebbero reagito (molti quanti, però?): erano nella loro abitazione in via Filippi quando hanno visto il fumo e le fiamme uscire dalla palazzina vicina e si sono precipitati a sfondare la porta e tirare fuori moglie e marito a quel punto già quasi intossicati.
Il fuoco, appiccato forse da un corto circuito del frigorifero, aveva invaso tutti gli ambienti ma Anrahim e Mohammed ce l’hanno fatta, i due coniugi sono adesso all’ospedale di Trecenta prossimi a riprendersi dallo shock.
Perchè rilanciare questa storia di cronaca per fortuna non nera?
Perchè è probabile che non farà molto rumore.
E perchè proprio per questo ha acceso un dibattito sui social media dove la stragrandissima maggioranza dei migranti di prima, seconda e addirittura terza generazione integrata senza problemi nella società italiana denuncia di sentirsi costantemente criminalizzata per quel che è e non per quel che fa.
«Purtroppo sono persone che non vanno oltre ai sottotitoli» scrive su Facebook Abderrahmane.
E Angioletta: «Come vedi sono stati d’aiuto anche a casa nostra senza farsi troppe domande sul chi cosa e come. Sono di razza umana punto e basta».
La storia servirà di lezione?
Difficile, ammette un altro: «Il rispetto della dignita umana non deve essere riconociuto soltanto quando avviene un atto senz’altro coraggioso simile ma deve essere un principio di convivenza».
E poi ancora: «Eroi!!». «Grandi!». «Bravi!».
Viviamo in un’epoca a rischio di afasia, con il dialogo sempre più minacciato dai toni roboanti di chi, da una parte e dall’altra, urla a squarciagola la riscossa del massimalismo.
Sappiamo che gli immigrati senza tetto vengono cacciati con le ruspe da Ponte Mammolo a Roma.
Sappiamo che una signora di Padova ospita gratis a casa sua sei africani e viene messa all’indice dal quartiere che organizza una raccolta firme contro di lei.
Sappiamo che gli abitanti di Casale San Nicola a Roma protestano con le barricate (“erette” dai volontari Casa Pound) contro gli immigrati loro vicini.
Conosciamo le proteste anti-immigrati nella capitale e quelle a Treviso.
Conosciamo – e legittimamente – il sospetto, la diffidenza, impariamo i nomi di quelli che ci minacciano nel nome del Califfato.
Conosciamo la solitudine della paura talmente bene che mentre scrivo e twitto ricevo già messaggi ironici di chi mi chiama “buonista” e ricorda “quanti migranti salviamo noi nel Mediteranneo”.
Legittimamente, lo ripeto, siamo spaventati, sospettosi e diffidenti.
Non sono di quelli che giustificano i cattivi comportamenti degli altri solo in quanto altri-da-me: mi sono emancipata dal terzomondismo piagnone e paternalista frequentando il Terzo Mondo.
Ma così come legittimamente alziamo la voce per rivendicare il nostro diritto a essere spaventati, sospettosi e diffidenti, altrettanto legittimamente gli stranieri che vivono pacificamente in mezzo a noi (ci sono 30 milioni di musulmani integrati in Europa che il fondamentalismo islamista di al Baghdadi mette a rischio come mette a rischio tutti gli altri cittadini europei) si sentono oggi orgogliosi di Abrahim Aluani e Mohammed El Kardoudi.
Vogliamo dargli torto anche su questo?
Francesca Paci
(da “La Stampa”)
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