Aprile 18th, 2016 Riccardo Fucile
MALUMORI TRA I PARLAMENTARI CINQUESTELLE… E RIMANE OSCURATA LA SCELTA DELLA LEADERSHIP
Da una parte il blitz di Virginia Raggi a Milano da Davide Casaleggio all’insaputa di tutti e dall’altra Luigi Di Maio che si muove sempre più da leader in pectore senza che ci sia stato un sondaggio in Rete per formalizzare il suo ruolo: nel Movimento 5 Stelle è tempo di malumori.
Intanto la trasferta a Milano della candidata 5Stelle a Roma è la dimostrazione che il ruolo di Davide Casaleggio non sarà puramente tecnico.
Anzi, il figlio del co-fondatore del Movimento 5 Stelle, ora che il padre non c’è più, sarà non solo il “garante”, come viene definito, ma vigilerà anche sulla campagna elettorale in vista delle amministrative e assumerà scelte politiche.
Tra queste, per cominciare, si occuperà dei nomi che andranno a comporre la Giunta comunale se la candidata grillina a Roma dovesse diventare sindaco.
Infatti, durante la riunione durata un’ora nella sede della Casaleggio associati, l’erede dell’azienda e Raggi hanno fatto un giro di orizzonte sulle disponibilità raccolte in questo mese e sulle persone da contattare, anche perchè la candidata grillina vorrebbe annunciare a breve la sua squadra per il Campidoglio.
Ciò che tuttavia ha creato non poca irritazione nel Direttorio e malumore tra i parlamentari romani, è il fatto che il colloquio sia stato fissato senza che nessuno lo sapesse e che la candidata lo ha comunicato loro solo quando l’appuntamento era già in agenda.
Inoltre, a differenza della prima volta in cui ha varcato il portone della Casaleggio associati, questa volta Raggi era sola.
All’incontro tra lei e Gianroberto Casaleggio avevano partecipato la deputata Roberta Lombardi, che dal primo momento si occupa della macchina elettorale, e c’erano anche i responsabili della comunicazione Ilaria Loquenzi e Rocco Casalino.
Questa volta c’è stato un vero e proprio faccia a faccia. Al quale nessuno è stato invitato. Ai cronisti che hanno chiesto a Raggi se sia trattato di “una fuga in avanti”, lei ha risposto piuttosto irritata con un “andate a lavorare”.
Per provare a spegnere le polemiche all’interno del Movimento, tornata da Milano, Raggi si è recata a Montecitorio dove era in corso la riunione congiunta tra deputati e senatori del Movimento.
Riunione durante la quale si è discusso della mozione di sfiducia al governo su Trivellopoli, del referendum sulle riforme costituzionale e dell’incontro di mercoledì con il presidente della Repubblica.
Nessuna divagazione e neanche un tributo a Casaleggio, morto martedì scorso. Un modo anche per evitare l’esplosione del malcontento.
Malcontento che riguarda, per esempio, il doppio trauma dei senatori grillini: senza ruolo nel Movimento e con la prospettiva di non avere più una Camera nella quale sedere.
Per questo adesso si giocano il tutto per tutto nel partito per avere voce in capitolo nelle decisioni che contano e di conseguenza avere più visibilità .
Soprattutto chiedono di avere un rappresentante nel Direttorio, al momento composto da cinque deputati.
Si tratta di un problema non ancora risolto, che divide e che pesa.
C’è poi chi non ha gradito le dichiarazioni in cui il vicepresidente si dice pronto ad assumersi la responsabilità di essere il candidato premier e si muove già da leader in pectore.
Non a caso viene sponsorizzato il suo tour europeo a Londra, a Parigi e a Berlino. Tour che in realtà Di Maio intraprenderà in quanto presidente del Comitato di vigilanza per la documentazione della Camera.
E agli incontri istituzionali aggiungerà quelli da “leader del secondo partito italiano”, come spiega Alessandro Di Battista.
Ma a qualcuno del Movimento questa intraprendenza non va molto giù.
(da “Huffingtonpost”)
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Aprile 18th, 2016 Riccardo Fucile
IN PUGLIA E BASILICATA HANNO FATTO IL PIENO DI VOTI
Il day after del referendum sulle trivelle è un po’ meno amaro a casa di due dirigenti dem che si sono
molto spesi per il sì, il governatore della Puglia Michele Emiliano e Roberto Speranza, leader della minoranza.
Per loro i numeri sono stati più confortanti: in Puglia l’affluenza è arrivata a sfiorare il 42%, in Basilicata, terra di Speranza, il quorum è stato addirittura raggiunto, con Potenza, la sua città , che è arrivata al 58%.
A Bari il governatore e il suo staff compulsano i dati senza sosta: il dato che spicca è che nel 2015 Emiliano aveva avuto 793mila voti alle regionali, mentre il sì nella sua regione ne ha totalizzati un milione e 290mila.
“Dopo meno di un anno di mandato la mia posizione prende 500mila voti in più di quelli che ho preso io. E vi pare una sconfitta questa?”, ragiona.
Insomma, c’è un patrimonio di consensi su cui lavorare e da cui ripartire, anche nella battaglia interna al Pd, partito che dalle urne è uscito ancora più lacerato.
Al di là della comune battaglia No triv, tra Emiliano e Speranza non c’è un particolare asse politico: lontanissimi dal punto di vista del carattere, Masaniello il primo, prudentissimo il secondo, lo sono anche dal punto di vista delle prospettive politiche. “A me non interessa nulla del dibattito interno al Pd tra renziani e minoranza”, mette subito a verbale il governatore, che non smette un istante di attaccare Renzi, da lui sostenuto alle primarie 2013.
Mentre Speranza ha come obiettivo il congresso del partito, in cui sarà con tutta probabilità il principale sfidante del premier. Una sfida lunga, di cui il referendum è stata solo una piccola tappa.
Un punto però accomuna i due: “Il referendum sulle trivelle non è l’antipasto di quello costituzionale” e dunque quei 15 milioni di votanti non vanno iscritti al fronte del no al ddl Boschi, di cui peraltro non fanno parte nè Emiliano nè Speranza.
Per il leader della minoranza, il tentativo che viene fatto da Brunetta a Sel di contare i sì del 17 aprile come no al governo e alla riforma costituzionale è un “giochino politicista” che non ha senso. Come sommare le mele con le pere.
Emiliano, dal canto suo, non ha mai preso posizione sulla riforma del bicameralismo, sta già lanciando la battaglia per lo smantellamento delle piattaforme esaurite, una trentina, e attacca sul regalo del governo ai petrolieri da “un miliardo di euro”, e su rapporto tra governo e lobby.
Nessun discorso troppo politico, nessun guanto di sfida per il prossimo congresso. “E del resto non mi pare neppure che sia stato convocato”, sorride sornione.
Sia Emiliano che Speranza prendono atto (con soddisfazione) di un dato incontrovertibile. “Alle urne è andato un ampio pezzo di popolo del Pd e del centrosinistra”.
Dati ufficiali sui flussi elettorali non ce sono. Ma è chiaro che l’affluenza alle urne in Puglia e Basilicata si deve, oltre al fatto che sono tra le regioni più interessate al tema petrolio, anche alla campagna vecchio stile condotta in modo capillare da pezzi del Pd: concerti di piazza, manifestazioni, mobilitazione di sindaci e consiglieri comunali e regionali su tutto il territorio.
Che fare ora con questo popolo di centrosinistra che i renziani hanno strapazzato anche ad urne aperte?
Speranza non ha alcuna intenzione di mettere il cappello sugli oltre 13 milioni di sì. “E’ un patrimonio di civismo a disposizione di tutto il Paese”, ragiona coi suoi collaboratori.
Per lui le urne del 17 aprile sono solo una tappa del percorso che arriverà al congresso. E dunque sta lavorando per irrobustire quello che definisce “un punto di vista alternativo dentro il partito”.
“Con i mondi ambientalisti continueremo a dialogare, per me la barra va sempre tenuta più dalla parte di ambiente e salute”. Dialogo, dunque, anche con quei mondi renziani che pure sono andati a votare, come conferma l’impegno di sindaci e quadri del centronord che sono andati alle urne.
Emiliano invece sta costruendo una sorta di partito nel partito in Puglia.
“I renziani qui sono stati costretti a votare scheda bianca, un escamotage, altrimenti la gente se li sarebbe sbranati…”, spiegano fonti a lui vicine.
Un partito che ha come programma quello della giunta regionale: reddito di dignità (70 milioni di euro l’anno per 5 anni), legge per regolare le lobby e sulla partecipazione popolare “alle decisioni più impattanti prese dalla regione”.
Una sorta di modello di governo alternativo, nei metodi e nei contenuti. In fondo, un po’ quello che faceva Renzi da palazzo Vecchio quando alla guida del Pd c’era Bersani.
Emiliano si muoverà dunque con un piede a Bari e uno a Roma, a partire dalle direzioni dem, dove è stato già capace di planare per dar vita a scambi piuttosto vivaci con il premier-segretario.
“Michele, sei migliore di quello che dici, non devi attirare l’attenzione, guarda che noi ti vogliamo bene”, l’ha liquidato l’ultima volta Renzi, dopo che il governatore si era scagliato contro la linea del governo sulle trivelle.
“Prima dello Sblocca-Italia, che prevedeva nuove trivellazioni entro le 12 miglia, chi aveva mai discusso di questi temi nel Pd?”.
“Da adesso in poi le decisioni dovranno essere prese in modo diverso, Matteo deve imparare ad ascoltare sia come premier che come segretario di partito”, la linea del governatore.
Una sfida, raccontano i suoi, che Emiliano intende tenere sempre sui temi concreti, a partire da quelli di maggiore impatto simbolico come la difesa dell’ambiente.
O, come è successo nel recente passato, la scuola pubblica.
Una sfida incalzante, ma fuori dagli schemi maggioranza-minoranza, “da battitore libero”. Capace anche di dialogare col governo su molti temi, dall’agricoltura alle infrastrutture alla Sanità .
Un battitore che, nonostante il flop del quorum, pare destinato a prendersi sempre più spazio sui media nazionali. “Anti Renzi? Non mi sono mai definito tale”, dice il governatore. “E’ stato Matteo durante una puntata di Porta a Porta a investirmi di questa definizione…”.
(da “Huffingtonpost”)
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Aprile 18th, 2016 Riccardo Fucile
IL DOCENTE DELLA LUISS: “RISULTATO SCONTATO, IN FUTURO BASTERA’ IL 37%”
«Mi sarei stupito se si fosse raggiunto il quorum». Roberto D’Alimonte, politologo e direttore del dipartimento di Scienze politiche alla Luiss, non ha dubbi sul dato dell’affluenza sul referendum sulle trivelle.
Le risulta scontato l’esito del referendum?
«Certo, se il 50% più uno degli italiani si fosse recato alle urne sarebbe stato un fatto eccezionale. Il risultato “normale” è che non si facesse il quorum su un referendum di questo tipo».
Perchè?
«Avrebbe significato una sola cosa».
Cosa?
«Che non avremmo compreso cosa succede nel profondo del Paese. Il che vuol dire non aver capito un bel niente».
Il premier Renzi e l’ex Capo dello Stato Napolitano sono scesi in campo evocando l’astensione. Avranno influenzato l’opinione pubblica?
«No, no. Non credo».
Anche questa volta il quorum è lontano.
«Quando c’è un’asticella così alta per convalidare il referendum si crea un incentivo per i fautori del “no”, un vantaggio strutturale che fa tendere la bilancia da una sola parte».
Come si elimina questo incentivo?
«Bisogna abbassare il quorum, ed è quello che introduce la nuova riforma costituzionale, ovvero il ddl Boschi. Con il nuovo quorum sarebbe bastato il 37%»
Avrà avuto un peso il contenuto del quesito referendario?
«Di certo, se si fosse votato sul divorzio o sull’aborto ci sarebbe stata una partecipazione maggiore e si sarebbe raggiunto il quorum. In sostanza, conta sempre il contenuto, insieme a tanti altri fattori».
D’Alimonte, un’ultima domanda: ieri lei si è recato al seggio?
«No, non ho votato. Sono un’astensionista strategico».
Giuseppe Alberto Falci
(da “la Stampa”)
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Aprile 18th, 2016 Riccardo Fucile
IL PARERE DEI SONDAGGISTI… BASILICATA, PUGLIA E ZOCCOLO DURO DI SINISTRA
Due settimane fa Antonio Noto, direttore dell’Ipr Marketing, aveva sfornato un sondaggio –
pubblicato sul Carlino – in cui prevedeva una partecipazione al referendum del 30 per cento.
Oggi, ragionando sul risultato abbozza una prima analisi: “Confrontando quel sondaggio e i dati veri, si potrebbe dire in modo un po’ tranchant che la campagna elettorale non ha cambiato niente. Non ha influito nè l’inchiesta Tempa Rossa nè la campagna di Renzi a favore dell’astensione. Insomma la comunicazione è stata più mediatica che reale. Un pezzo di paese si sarebbe astenuto comunque”.
I dati spiegano bene come è stato percepito il referendum. Prendiamo come termine di paragone, il dato di partecipazione alle europee, dove l’affluenza appunto è stata del 58,7 per cento.
Comparando il dato con quello del referendum trivelle (32,2) il differenziale, su scala nazionale, è 26,5 in meno.
Usando questo come punto di riferimento, si vede che è maggiore nel nord e minore nel sud, fino al caso limite della Basilicata dove sulle trivelle votano più elettori che alle europee: il 50,2 per cento rispetto al 49,5 di due anni fa. Segue la Puglia, che sulle trivelle ha una percentuale di partecipazione del 41,7, 9 punti sopra la media nazionale ma quasi dieci punti in meno rispetto alle europee (51,5).
Si tratta di regioni di mare, direttamente toccate dal problema, dove si è svolta una mobilitazione vecchio stampo, fatta di contatti personali e di eventi pubblici, come quello organizzato dal leader della minoranza dem Roberto Speranza a Potenza, dove c’è stato il record di partecipazione col 60 per cento.
Anche i parlamentari Pugliesi raccontano che Michele Emiliano “si è mosso come una macchina da guerra” presidiando il territorio come si faceva una volta: “Ancora domenica mattina arrivavano le telefonate per verificare chi votava e chi no”.
Andando verso il Nord il differenziale rispetto alle Europee aumenta, con delle differenze, all’interno delle cosiddette zone rosse. Umbria e Toscana sono andate al mare.
In Umbria alle Europee votò il 70,5 per cento, sulle trivelle il 28,4. In Toscana alle Europee il 66,7, sulle trivelle il 30,8.
Marche ed Emilia invece hanno un differenziale negativo ma sono sopra la media nazionale, rispettivamente il 34,8 e il 34,3.
Nel Nord il Veneto ha il risultato più altro (37,9) con un differenziale in media nazionale rispetto alle europee, dove la partecipazione si attestò al 63,9. Sotto la media nazionale di partecipazione, invece, la Lombardia col 30,5, in media il Piemonte col 32,7.
Insomma, detto in modo un po’ grezzo, il Nord si è astenuto.
Roberto Weber, dell’Istituto Ixè, dice all’HuffPost: “Sì, però è una sciocchezza dire che chi si è astenuto lo ha fatto per seguire le indicazioni di chi diceva non votare. Il vero dato è un altro, che io non sottovaluterei. C’è un pezzo di elettori del Pd lì dentro, con una sensibilità ambientalista, uno, due milioni, che si sono mobilitati sul problema specifico. Non sono mica pochi”.
Elettori che si sono espressi di più in alcune regioni di mare, più Adriatico che Tirreno.
Il voto dice qualcosa anche con l’occhio rivolto alle amministrative. Lorenzo Pregliasco, di Quorum-youtrend, nel suo appuntamento fisso ad Omnibus aveva previsto la partecipazione di un elettore su tre.
Oggi dice: “Ci sono due città dove la media è stata più alta della media nazionale, Roma col 34,8 e Torino col 36,4. Sono le città dove ci si aspetta un risultato più ampio dei cinque stelle. Al netto della cautela nel traslare voto al referendum e comunali, direi che a Torino, Fassino per vincere al primo turno, considerata l’entità del fronte del sì, deve prendere un bel po’ di voti”.
Tra le altre città , la rossa Bologna, federazione bersaniana ha il dato più alto di tutti, col 36,8. Napoli il più basso, col 25,7.
Tornando al dato nazionale: 15milioni e 800mila votanti, con 13 milioni e trecentomila sì.
Il premier, sfoggiando la vittoria contro il partito della spallata, ha chiaramente fatto riferimento al referendum di ottobre.
Riferimento uguale e contrario a quello dei suoi avversari, che vedono nel dato il sedimentarsi di una massa critica contro il governo. Dice Federico Fornaro, senatore della minoranza dem e grande esperto di analisi elettorali — sta per uscire anche un suo libro sull’astensionismo — dice: “La mia impressione è che il referendum di ottobre si vinca con una percentuale di votanti medio-alta, non medio bassa e che il fronte del sì avrà bisogno di una campagna elettorale coinvolgente non sottotono come quella del 2006”.
Concorda Antonio Noto, che non considera affatto una forzatura vedere, nelle trivelle, un sondaggio in vista di ottobre: “Dai nostri dati risulta che l’elettorato che si è più mobilitato sulle trivelle è di sinistra, lo zoccolo duro della sinistra che va a votare sempre. C’è andato sulle trivelle, ci andrà a ottobre, quando non ci sarà il quorum. Per vincere il premier ha bisogno di mobilitare molto, più gente andrà a votare più vincerà Renzi. Detto questo è tutto da vedere che tipo di campagna sarà …”.
(da “Huffingtonpost”)
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Aprile 18th, 2016 Riccardo Fucile
CHIUSO IL TUNNEL “FREMISI-SAN ROCCO” DOVE LO SPIGOLO DI CEMENTO ARMATO HA FATTO GIA’ CINQUE VITTIME… ALTRO CHE INAUGURAZIONE
Fra gli automobilisti che percorrono regolarmente la Salerno Reggio Calabria è conosciuta come la “galleria killer” perchè quando lì si verifica un incidente, c’è sempre almeno un morto da piangere.
Ma da oggi nessuno potrà più percorrerla, perchè finita sotto sequestro preventivo e urgente per “la pericolosità di quel tratto autostradale dovuta a gravi difetti strutturali della sede stradale”.
La procura di Vibo Valentia ha ordinato alla polizia stradale e ai carabinieri di Vibo Valentia di mettere i sigilli alla galleria “Tremisi – San Rocco” in direzione sud sull’A3, tra gli svincoli di Serre e Mileto e al tratto autostradale, dal chilometro 368+160 fino al suo imbocco, a causa del “tangibile rischio per l’incolumità pubblica, per gli utenti della strada che quotidianamente percorrono quel tratto”.
Quella strada – ha deciso la Procura – va chiusa e lì nessuno deve passare perchè “lasciando inalterata la situazione in atto, non si neutralizzerebbe la probabilità di verificazione di avvenimenti futuri, come è stata dettagliatamente stigmatizzata dai tecnici”.
Incidenti fotocopia.
“Si tratta di un provvedimento – spiega il procuratore di Vibo Valentia, Mario Spagnuolo – che si inscrive nell’indagine che da tempo abbiamo aperto su quel tratto autostradale in seguito a due gravi sinistri che sono avvenuti nella stessa zona, con modalità identiche, a distanza di sei mesi l’uno dall’altro”.
Due incidenti fotocopia, due auto che si sono schiantate a tutta velocità contro il medesimo “spigolo” di cemento armato all’imbocco della galleria.
A cambiare è stato solo il numero delle vittime: in quello del 25 novembre 2015 ha perso la vita Domenico Napoli, mentre in quello del primo marzo scorso rimasero uccisi quattro giovani di Gioia Tauro: Marzio Canerossi, Giuseppe Speranza, Fortunato Calderazzo e Francesco Carrozza, tutti fra i 22 e i 24 anni.
Circostanze che hanno spinto i magistrati ad aprire un’indagine per comprendere se la conformazione del tratto stradale abbia avuto un ruolo in quegli incidenti.
“Le indagini sono in corso, sono stati disposti gli accertamenti medico legali e le consulenze tecniche necessarie per ricostruire con esattezza la dinamica, in modo da avere un quadro preciso di come siano andate le cose”, continua Spagnuolo.
Ma i primi dati forniti dagli esperti hanno indotto la procura ad interdire l’uso della galleria. Fra gli accertamenti demandati agli esperti c’è infatti una relazione preliminare, redatta dai professori Domenico Carmine Festa e Vaiana Rosolino dell’università della Calabria, “estremamente interessante e preoccupante” dice il procuratore, che evidenzia una serie di problemi strutturali che rendono rischioso il solo percorrere quel tratto di strada.
Criticità .
Quegli incidenti hanno avuto esito mortale – si legge nella relazione tecnica citata nel provvedimento di sequestro – a causa della “mancanza di un idoneo dispositivo di ritenuta a protezione dello spigolo/montante destro dell’imbocco della galleria artificiale San Rocco identificato quale ostacolo fisso laterale”.
Se ci fosse stata una barriera – spiegano i tecnici – le auto non si sarebbero schiantate contro una colonna di cemento armato, resa praticamente invisibile dall’assenza di illuminazione.
Ma i professori vanno oltre e puntano il dito su Anas e progettisti. “La mancanza del dispositivo di ritenuta è da addebitare ad un errore di progetto; competeva tuttavia all’Ente proprietario dell’autostrada l’installazione dello stesso a maggior ragione dopo il verificarsi del primo incidente”.
Indicazione che la procura ha preso molto sul serio, pur sottolineando che l’inchiesta è ancora in corso e che ci vorranno tempo ed analisi per arrivare all’individuazione di responsabilità specifiche.
“Non è ancora possibile ancora stabilire un nesso causale fra questi fattori e gli incidenti mortali alla base della nostra indagine – chiarisce subito il procuratore Spagnuolo – perchè l’inchiesta è ancora in corso. Gli accertamenti saranno lunghi ed estremamente complicati. Ma dalle consulenze sono emerse queste criticità che non possiamo ignorare. Secondo uno studio inglese, in assenza di barriere di protezione, l’80% degli incidenti è mortale”.
Per questo – aggiunge – “abbiamo adottato questo provvedimento non solo come magistrati per eliminare una condizione di pericolo, ma anche come cittadini”.
E, tra le altre criticità evidenziate dai tecnici, ci sono anche la particolare conformazione della strada che sulla destra presenta “una cunetta/zanella per la raccolta delle acque meteoriche di larghezza nominale 2 metri e una banchina rialzata non transitabile di larghezza variabile”, l’assenza di illuminazione della galleria a causa di continui furti di cavi elettrici e quadri comando, ma soprattutto la totale mancanza di barriere di protezione. E proprio questo – a detta dei consulenti – potrebbe essere un elemento determinante.
Gli indagati.
Nel frattempo, le indagini proseguono. A registro sono iscritte tredici persone, fra cui l’imprenditore di Soriano Calabro, Antonio Capomolla, sei dirigenti Anas, Fulvio De Paolis, Arnaldo Tissieri e Bernardino Cipolloni, collaudatori del tratto autostradale, Giovanni Fiordaliso, responsabile della manutenzione di quel tratto per Anas, il suo Rup Consolato Cutrupi e Giovanni Fiordeliso e il direttore dei lavori di ammodernamento del tratto autostradale A3 Salerno/Reggio Calabria dallo svincolo Serre Mileto.
Ma sotto indagine sono finiti anche Mohammad Ali Sangelaji, legale rappresentante della Condotte d’Acqua Spa, impresa che ha avuto in appalto i lavori di ammodernamento e Sergio Lagrotteria, che per la società era il direttore dei lavori, più i progettisti della Progin Spa Franco Forni, Salvatore Scoppetta, Antonio Grimaldi e Salvatore Esposito.
(da agenzie)
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Aprile 18th, 2016 Riccardo Fucile
“NESSUNA UMILIAZIONE DA CHI STA CON LE LOBBY”
“Il dato del voto è buonissimo, e il governo deve tenerne conto. Milioni di italiani vogliono la tutela
dell’ambiente, pretendono trasparenza nei ministeri, e non vogliono sottostare alle lobby. Vanno ascoltati”.
Un soffio prima delle 23, il governatore della Puglia Michele Emiliano il volto della battaglia no triv, ostenta soddisfazione.
A urne chiuse però Renzi lo attacca dritto, più volte, come “uno degli sconfitti”.
E lui dalle tv replica: “Io non mi spavento, il presidente del Consiglio deve imparare a rispettare le Regioni. Fa finta di essersela cavata, ma sbaglia”.
Niente quorum. Avete perso, non vuole ammetterlo?
Questo referendum era già una vittoria in partenza, perchè abbiamo costretto il governo a non permettere nuove perforazioni entro 12 miglia dalle coste. Dopodichè, l’esecutivo l’ha trasformato in una verifica sulle politiche energetiche. Volevano umiliare le regioni e i movimenti No Triv. Ma hanno completamente fallito.
Però il quorum è rimasto una chimera…
Invitando all’astensione, volevano devastare il campo ambientalista. Ma alle 19 l’affluenza era già sopra il 23 per cento, il secondo miglior risultato degli ultimi 20 anni per i referendum. Avevano già votato più italiani di quelli che nel 2014 hanno dato il 40 per cento al Pd e a Renzi, con 11 milioni di voti. E ora abbiamo in Italia la più larga area ambientalista d’Europa.
Magro risultato potrebbero ribatterle, non crede?
Dico che questo governo ha fatto un grande favore ai petrolieri, risparmiando loro un miliardo di euro per le spese di smontaggio delle piattaforme “non eroganti”. Ma il campo di chi la pensa diversamente è molto ampio, ed è affollato da parlamentari e militanti del Pd: milioni. Un risultato raggiunto nonostante le dichiarazioni pro-astensione di Renzi, di tutti i ministri, di un ex presidente della Repubblica (Napolitano, ndr). E nonostante le pressioni delle lobby.
Questo risultato vuol dire che il governo è impopolare?
Vuole dire che milioni di italiani non hanno voglia di farsi mettere a tacere da decisioni centralizzate. Da oggi Renzi dovrà ascoltarli, con attenzione.
Il renzianissimo Francesco Nicodemo la accusa di essere contro “il partito e il suo segretario”, e in generale lei era il nemico da battere per il Pd renziano. Perchè? Ragionano sempre in chiave del futuro congresso dem?
Io ho trattenuto nel Pd molte persone. Ho tenuto un atteggiamento coerente con il mio programma elettorale e con l’indirizzo che avevo ricevuto dal Consiglio regionale. Ricordo che tutti i consiglieri pugliesi si sono tassati per informare i cittadini sul referendum.
Però lei resta il nemico interno da abbattere.
Questo è un momento storico in cui nel Pd l’indipendenza di pensiero è considerata un atto di lesa maestà . Per carità , ho passato questi momenti anche con la precedente gestione (quella di Pierluigi Bersani, ndr). Nei partiti la maggioranza si comporta così. Non ho mai fatto parte di nessuna corrente, e avevo votato per Renzi nelle ultime primarie.
Accusano: Emiliano fa ancora il gioco dei 5 Stelle, anche loro per il sì nella consultazione.
È un’accusa che mi hanno lanciato molte volte. Ribadisco che sono coerente con il mio programma, e che rispondo ai miei elettori. Invece, non so da quale corpo elettorale e da quale organo di partito siano state legittimate certe decisioni, come il favorire i petrolieri con lo Sblocca Italia. O il predicare l’astensione nel referendum.
Il vicesegretario dem Lorenzo Guerini ha parlato di “rete del partito” che ha sorvegliato l’affluenza. A cosa si riferiva?
Non credo che il Pd possa controllare la votazione in un referendum, è un voto di opinione. So solo che in Puglia tantissimi del nostro partito sono andati alle urne.
Luca De Carolis
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Aprile 18th, 2016 Riccardo Fucile
IL SINDACO: “NUOVE REGOLE PER IMPIANTI A RISCHIO”… TOTI: “E’ UNA EMERGENZA NAZIONALE, NON LOCALE”…L’ECOSISTEMA GRAVEMENTE DANNEGGIATO, RESIDENTI INFEROCITI: “DA ANNI DENUNCIAMO IL PERICOLO, NESSUNO CI HA ASCOLTATO”
L’odore acre, nauseabondo, del petrolio ti entra nelle narici, nella testa già mentre si attraversa la strada di sponda del Polcevera.
Lo sversamento di greggio figlio della rottura di una condotta Iplom avvenuto nella serata di una grigia domenica di aprile ha fatto precipitare Fegino, Borzoli, terre di confine tra il Ponente e la Valpolcevera nell’incubo del disastro ecologico.
Tecnici specializzati e Vigili del Fuoco lavorano senza sosta con schiumogeno, panne assorbenti e ruspe per impedire all’onda nera di raggiungere il mare.
Senza un esito positivo, purtroppo. Ma il viscido nemico sta rendendo difficile la vita agli abitanti di queste zone già da ore.
Abitanti che raccontano la loro rabbia e minacciano proteste: “Da tanto – racconta una donna- denunciamo la situazione di potenziale pericolo senza essere ascoltati”.
E mentre un giovane fruttivendolo pensa anche al suo lavoro “temo che oggi lavoreremo poco ma il mio pensiero va anche ai bimbi delle scuole vicino ai depositi”, un altro abitante ricorda con nostalgia quando qui comandava la terra, intesa come i contadini che lavoravano in zona e non il “progresso”.
E chi lascia Fegino, Borzoli, si porta appresso quell’odore. L’odore della paura e della rabbia di chi non si sente al sicuro a casa propria.
E l’ecosistema del Polcevera, che vede uccelli e piccoli mammiferi, è a forte rischio. Già notati pesci morti nelle acque del torrente.
Si lavora senza sosta a Fegino e lungo il corso del torrente Polcevera, fino alla foce, dopo lo sversamento, avvenuto ieri sera intorno alle 19, di petrolio da una condotta del deposito della raffineria Iplom che ha sede a Busalla e che ha rovesciato una grande quantità di petrolio nel rio Pianego, nel rio Fegino e, da questo, nel Polcevera. Chiazze di idrocarburi si notano lungo tutta l’asta terminale del torrente, tra i quartieri di Sampierdarena e Cornigliano nel ponente cittadino.
Il pm Alberto Landolfi ha aperto un fascicolo per inquinamento e posto sotto sequestro il deposito costiero della Iplom a Fegino da cui si è prodotto lo sversamento.
Quando, poco prima delle 20, c’è stato il guasto, non sarebbero state chiuse le valvole in tempo, permettendo al petrolio di raggiungere il rio Pianego.
I pompieri hanno versato dello schiumogeno per formare uno strato tra il greto e l’aria, proprio per “ingabbiare”la sostanza. Sul posto il nucleo Nbcr, il settore dei vigili del fuoco specializzato negli interventi in caso di rischio nucleare, biologico, chimico e radioattivo.
Decine di persone preoccupate hanno seguito i lavori di messa in sicurezza sulle rive dei torrenti.
Nonostante gli appelli ai residenti di stare “in casa con le finestre chiuse perchè la situazione è a rischio”, in tanti sono scesi in strada per assistere ai soccorsi.
Banche Abera, etiope, ha il figlio asmatico che subito dopo la fuoriuscita di petrolio si è sentito male ed è stato portato al Gaslini. “Resterà all’ospedale”, racconta. “I medici preferiscono tenerlo sotto osservazione per la notte e comunque non farlo rientrare a casa”.
“Stiamo valutando se dal punto di vista legale ci sono le condizioni per chiedere i danni per questo incidente”. Lo ha detto il sindaco di Genova Marco Doria parlando dello sversamento di greggio nel torrente Polcevera a Genova. “Stiamo anche valutando – ha aggiunto il sindaco – tutti i provvedimenti necessari per disciplinare queste attività che rischiano di creare danno”.
“Siamo in contatto quasi costante con il ministro dell’ambiente Galletti, per decidere quali saranno i percorsi per chiedere i fondi necessari all’importante opera di bonifica e, se le condizioni di legge lo permetteranno, potremmo chiedere lo stato di emergenza”.
Lo ha detto il presidente della Regione Liguria, Giovanni Toti, durante il sopralluogo con l’assessore all’ambiente, Giacomo Giampedrone, sul luogo dello sversamento di greggio in Valpolcevera.
“Questa non è solo un’emergenza regionale ma è nazionale, visto il danno ambientale. Serviranno fondi straordinari perchè questo corso d’acqua ha subito un danno molto serio”, ha detto Toti .
(da agenzie)
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Aprile 18th, 2016 Riccardo Fucile
SULLA RIFORMA COSTITUZIONALE NON VI SARA’ QUORUM, VINCERA’ CHI PRENDERA’ PIU’ VOTI
Per i referendari il 32% è un dato inferiore alle aspettative della vigilia. 
Dopo lo scandalo Tempa rossa, i promotori del referendum speravano di arrivare un po’ più in alto, almeno alla soglia psicologica del 35%. O addirittura al 40%.
Il fronte del sì mastica amaro, ma si consola con un dato incontrovertibile: i 14,5 milioni di italiani che sono andati alle urne.
Un tesoretto che alimenta le speranze della “Grande alleanza” che sogna di abbattere Renzi al referendum costituzionale di ottobre.
Come se questa fosse stata solo una prova generale della madre di tutte le battaglie. E in fondo, al netto di Emiliano che replica parlando di “vittoria” e rilancia la sfida col governo sulle politiche energetiche, da Civati a Brunetta l’obiettivo è proprio la sfida di ottobre.
“Vittoria di Pirro di Renzi. Quindici milioni italiani gli hanno votato contro, più che sufficienti per mandarlo a casa a ottobre”, twitta il capogruppo di Forza Italia.
“Per chi crede nella democrazia oltre 15 milioni di elettori sono un grande risultato. Ricordiamo che il 40% del Pd alle europee equivaleva a 11 milioni di elettori”, scrive l’ex Pd Civati.
Federico Fornaro, senatore bersaniano, lancia un messaggio chiaro: “I dati di affluenza confermano che il risultato del referendum di ottobre è tutt’altro che scontato e Renzi commetterebbe un errore madornale a trasformarlo in un referendum sul governo”.
Stessa linea da Sinistra italiana, in prima fila per il sì. Alfredo D’Attorre e Arturo Scotto parlano del patrimonio di circa 15 milioni di voti conquistati “a mani nude”. “A ottobre questi voti serviranno per salvare la Costituzione e chiudere finalmente l’esperienza di questo governo”.
Per tutta la giornata, a urne aperte, dentro il Pd se le sono date di santa ragione.
Teatro della sfida è stato twitter, dove Emiliano è stato bersagliato da Francesco Nicodemo, dello staff di Renzi. ”Retwitti le parole di chi odia il Pd”. “Avete fatto un danno enorme al partito”, la replica del governatore.
Sempre su twitter il deputato renzianissimo Ernesto Carbone ha ironizzato sui referendari, con un “ciaone” al quorum che è diventato rapidamente un caso, con migliaia di commenti, quasi tutti polemici. “Irridere chi vota è un boomerang da irresponsabili”, la replica della minoranza Pd con Miguel Gotor.
Che a urne chiuse ha utilizzato la stessa formula di Brunetta: “Il mancato quorum è una classica vittoria di Pirro. L’invito all’astensione è una scelta spregiudicata che rischia di rivelarsi un boomerang. La maggioranza del Pd sta lasciando la bandiera della questione morale e quella della partecipazione civica al M5s: è un errore strategico che rischiamo di pagare caro perchè continuiamo a schiaffeggiare settori del nostro elettorato sempre più ampi e disillusi”.
Collegato con La 7 a seggi appena chiusi, Emiliano replica con durezza al premier: “14,5 milioni di persone respingono l’idea che le lobby contino più delle Regioni, adesso cambia tutto, costringeremo i potenti ad ascoltare e chiederemo una legge sulle lobby. Un politico deve essere imparziale, Renzi invece non conosce l’imparzialità ”. L’affondo finale: “Sul viso del premier ho colto una certa preoccupazione…”.
I leader del M5s, a partire da Grillo e Di Maio, per tutta la giornata hanno esortato gli elettori a recarsi alle urne, fino all’ultimo minuto utile. Senza dubbio, il movimento era la forza politica più grossa schierata per i sì e il mancato quorum è anche una sconfitta grillina. A urne chiuse dal blog Grillo ringrazia i votanti, “eroi della democrazia”.
“Hanno combattuto come Davide contro i Golia delle lobby del petrolio di Trivellopoli e della disinformazione”.
“Oggi chi ha perso, soprattutto la faccia, sono il governo del Bomba e l’ex presidente della Repubblica che hanno dimostrato di non amare la democrazia, la partecipazione civica e la Costituzione sulla quale hanno giurato”, prosegue Grillo.
Che cita i 15 milioni di italiani che “vogliono un futuro diverso”, ma a differenza delle altre forze antirenziane non cita il possibile sfratto del governo a ottobre e si concentra su “uno sviluppo energetico differente”, uno dei temi che più gli stanno a cuore da prima di entrare in politica.
“Siamo pronti a dimostrare che con le tecnologie oggi disponibili è già possibile cambiare il Paese e liberarlo in pochi anni da carbone e inceneritori”, chiude il leader M5s.
Al Nazareno, sede Pd, l’aria che si respira è quella della vittoria. Il senatore renziano Andrea Marcucci spiega che “quando si passa dal teatrino alla realtà , i numeri cambiano ed il buon senso prevale. Tutti i partiti erano per il voto, la maggioranza degli italiani ha considerato il quesito inutile. Il Pd rispetta tutti gli elettori sempre. Dispiace soltanto per chi, in Parlamento, aveva immaginato improprie spallate al governo Renzi. Tanto rumore per un flop”.
Più prudente Debora Serracchiani: “L’esito della consultazione conferma che la maggioranza assoluta degli italiani non ha ‘sentito’ il quesito proposto”.
Tra i ministri parla il titolare dell’Ambiente Gianluca Galletti, Udc: “Vince l’Italia moderata che non contrappone ambiente e sviluppo, che difende il lavoro. Perdono i partiti del populismo ipocrita”.
Per i dem, in ogni caso, è un’altra giornata di guerra interna.
Se il partito era arrivato alle urne diviso, ne esce ancora più lacerato. E Michele Emiliano, oltre alla minoranza di sinistra, appare sempre più in campo come oppositore del premier-segretario.
(da “Huffingtonpost”)
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Aprile 18th, 2016 Riccardo Fucile
PARTONO I RICORSI ALL’EUROPA CHE STA ANDANDO IN SENSO CONTRARIO…NELLE AREE INTERESSATE FORTE PRESENZA ALLE URNE
L’alt alle trivelle non è scattato, ma il problema resta.
Il mancato raggiungimento del quorum al referendum lascia spazio all’estrazione di petrolio in mare. Gli impianti già attivi all’interno delle 12 miglia potranno continuare a pescare idrocarburi senza scadenza. E altre escavazioni potranno essere fatte all’interno dei giacimenti che hanno ottenuto la concessione.
L’inerzia del sistema referendario, cioè la larga astensione fisiologica sommata ai no, ha avuto la meglio.
Insomma, le previsioni sono state rispettate. Il referendum era stato depotenziato dalla riduzione dei quesiti (da 6 a 1) ottenuta dal governo modificando le norme.
Dalla decisione di separare la consultazione dalle amministrative (costata quasi 400 milioni di euro). E la politicizzazione della campagna condotta negli ultimi giorni aveva in parte cambiato la percezione della posta in gioco dando alla partecipazione un significato anti Renzi e all’astensione un significato opposto.
E’ difficile però negare che al centro della contesa ci sia una partita diversa e che questa partita sia tutt’altro che chiusa.
Gli italiani amano la politica, ma talvolta la collegano alla vita reale. Per capire qual è la posta ancora in gioco bisogna distinguere tra un aspetto locale e un aspetto più generale.
Quello locale riguarda la gente che vive di fronte alle trivelle. Qualcuno, soprattutto in Romagna, era preoccupato per il posto di lavoro legato all’estrazione degli idrocarburi. Molti avevano e hanno invece il problema opposto: il lavoro temono di non riuscire a conquistarlo per colpa delle trivelle, per una scelta di sviluppo che punta su infrastrutture dal futuro incerto sacrificando vocazioni alternative come il turismo e la pesca.
Se gli impegni presi alla conferenza sul clima di Parigi verranno rispettati, l’uso del petrolio dovrà infatti essere ridotto in maniera severa per proteggere il clima e gli investimenti in questo campo potrebbero rivelarsi rischiosi nel medio periodo.
La questione locale era di tutta evidenza e infatti in alcune delle aree più coinvolte dall’estrazione il quorum è stato raggiunto: gli interessati hanno dato un’indicazione chiara.
La questione generale invece è apparsa più sfuggente perchè gli idrocarburi in gioco erano poca cosa.
Parliamo di meno dell’1% del petrolio e di meno del 3% del gas utilizzati a livello nazionale. E parliamo di combustibili per i quali non è in discussione un abbandono immediato, come fu ai tempi del nucleare.
Non si trattava quindi di dare un giudizio secco, non era in gioco una richiesta immediata.
Il Comitato per il sì sottolineava la necessità di spostare l’asse energetico del paese in direzione delle indicazioni che suggeriscono i climatologi e che sono sempre più apertamente sostenute dalle maggiori istituzioni internazionali: riduzione del carbone netta e immediata, diminuzione dell’uso del petrolio, impiego del gas per la fase di transizione, forti investimenti sull’efficienza energetica e sulle fonti rinnovabili, smart grid, città intelligenti, elettrificazione del trasporto.
Del resto è stato lo stesso presidente del Consiglio a ripetere, alla vigilia del voto, che entro la fine della legislatura le rinnovabili dovranno dare il 50% dell’elettricità .
Il punto è che dal 2014 ci siamo mangiati buona parte dei vantaggi energetici che avevamo accumulato. Sul fotovoltaico, appena arrivati in cima alla classifica abbiamo cominciato a perdere colpi. Migliaia di posti di lavoro nelle rinnovabili sono andati in fumo. L’annunciato green act è come l’araba fenice: invisibile da due anni.
Lasciare campo libero alle trivelle senza fissare una scadenza per lo sfruttamento dei giacimenti è una decisione che va nella direzione giusta?
Il mancato raggiungimento del quorum non permette di dare in Italia una risposta diversa dal sì del governo.
Ma gli ambientalisti hanno già annunciato il ricorso davanti all’Unione europea.
Sulle trivelle la battaglia continua.
(da “La Repubblica”)
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