EMILIANO E SPERANZA: UNO FARA’ IL ROTTAMATORE ANTI-RENZI, L’ALTRO LO LOGORERA’ IN VISTA DEL CONGRESSO
IN PUGLIA E BASILICATA HANNO FATTO IL PIENO DI VOTI
Il day after del referendum sulle trivelle è un po’ meno amaro a casa di due dirigenti dem che si sono molto spesi per il sì, il governatore della Puglia Michele Emiliano e Roberto Speranza, leader della minoranza.
Per loro i numeri sono stati più confortanti: in Puglia l’affluenza è arrivata a sfiorare il 42%, in Basilicata, terra di Speranza, il quorum è stato addirittura raggiunto, con Potenza, la sua città , che è arrivata al 58%.
A Bari il governatore e il suo staff compulsano i dati senza sosta: il dato che spicca è che nel 2015 Emiliano aveva avuto 793mila voti alle regionali, mentre il sì nella sua regione ne ha totalizzati un milione e 290mila.
“Dopo meno di un anno di mandato la mia posizione prende 500mila voti in più di quelli che ho preso io. E vi pare una sconfitta questa?”, ragiona.
Insomma, c’è un patrimonio di consensi su cui lavorare e da cui ripartire, anche nella battaglia interna al Pd, partito che dalle urne è uscito ancora più lacerato.
Al di là della comune battaglia No triv, tra Emiliano e Speranza non c’è un particolare asse politico: lontanissimi dal punto di vista del carattere, Masaniello il primo, prudentissimo il secondo, lo sono anche dal punto di vista delle prospettive politiche. “A me non interessa nulla del dibattito interno al Pd tra renziani e minoranza”, mette subito a verbale il governatore, che non smette un istante di attaccare Renzi, da lui sostenuto alle primarie 2013.
Mentre Speranza ha come obiettivo il congresso del partito, in cui sarà con tutta probabilità il principale sfidante del premier. Una sfida lunga, di cui il referendum è stata solo una piccola tappa.
Un punto però accomuna i due: “Il referendum sulle trivelle non è l’antipasto di quello costituzionale” e dunque quei 15 milioni di votanti non vanno iscritti al fronte del no al ddl Boschi, di cui peraltro non fanno parte nè Emiliano nè Speranza.
Per il leader della minoranza, il tentativo che viene fatto da Brunetta a Sel di contare i sì del 17 aprile come no al governo e alla riforma costituzionale è un “giochino politicista” che non ha senso. Come sommare le mele con le pere.
Emiliano, dal canto suo, non ha mai preso posizione sulla riforma del bicameralismo, sta già lanciando la battaglia per lo smantellamento delle piattaforme esaurite, una trentina, e attacca sul regalo del governo ai petrolieri da “un miliardo di euro”, e su rapporto tra governo e lobby.
Nessun discorso troppo politico, nessun guanto di sfida per il prossimo congresso. “E del resto non mi pare neppure che sia stato convocato”, sorride sornione.
Sia Emiliano che Speranza prendono atto (con soddisfazione) di un dato incontrovertibile. “Alle urne è andato un ampio pezzo di popolo del Pd e del centrosinistra”.
Dati ufficiali sui flussi elettorali non ce sono. Ma è chiaro che l’affluenza alle urne in Puglia e Basilicata si deve, oltre al fatto che sono tra le regioni più interessate al tema petrolio, anche alla campagna vecchio stile condotta in modo capillare da pezzi del Pd: concerti di piazza, manifestazioni, mobilitazione di sindaci e consiglieri comunali e regionali su tutto il territorio.
Che fare ora con questo popolo di centrosinistra che i renziani hanno strapazzato anche ad urne aperte?
Speranza non ha alcuna intenzione di mettere il cappello sugli oltre 13 milioni di sì. “E’ un patrimonio di civismo a disposizione di tutto il Paese”, ragiona coi suoi collaboratori.
Per lui le urne del 17 aprile sono solo una tappa del percorso che arriverà al congresso. E dunque sta lavorando per irrobustire quello che definisce “un punto di vista alternativo dentro il partito”.
“Con i mondi ambientalisti continueremo a dialogare, per me la barra va sempre tenuta più dalla parte di ambiente e salute”. Dialogo, dunque, anche con quei mondi renziani che pure sono andati a votare, come conferma l’impegno di sindaci e quadri del centronord che sono andati alle urne.
Emiliano invece sta costruendo una sorta di partito nel partito in Puglia.
“I renziani qui sono stati costretti a votare scheda bianca, un escamotage, altrimenti la gente se li sarebbe sbranati…”, spiegano fonti a lui vicine.
Un partito che ha come programma quello della giunta regionale: reddito di dignità (70 milioni di euro l’anno per 5 anni), legge per regolare le lobby e sulla partecipazione popolare “alle decisioni più impattanti prese dalla regione”.
Una sorta di modello di governo alternativo, nei metodi e nei contenuti. In fondo, un po’ quello che faceva Renzi da palazzo Vecchio quando alla guida del Pd c’era Bersani.
Emiliano si muoverà dunque con un piede a Bari e uno a Roma, a partire dalle direzioni dem, dove è stato già capace di planare per dar vita a scambi piuttosto vivaci con il premier-segretario.
“Michele, sei migliore di quello che dici, non devi attirare l’attenzione, guarda che noi ti vogliamo bene”, l’ha liquidato l’ultima volta Renzi, dopo che il governatore si era scagliato contro la linea del governo sulle trivelle.
“Prima dello Sblocca-Italia, che prevedeva nuove trivellazioni entro le 12 miglia, chi aveva mai discusso di questi temi nel Pd?”.
“Da adesso in poi le decisioni dovranno essere prese in modo diverso, Matteo deve imparare ad ascoltare sia come premier che come segretario di partito”, la linea del governatore.
Una sfida, raccontano i suoi, che Emiliano intende tenere sempre sui temi concreti, a partire da quelli di maggiore impatto simbolico come la difesa dell’ambiente.
O, come è successo nel recente passato, la scuola pubblica.
Una sfida incalzante, ma fuori dagli schemi maggioranza-minoranza, “da battitore libero”. Capace anche di dialogare col governo su molti temi, dall’agricoltura alle infrastrutture alla Sanità .
Un battitore che, nonostante il flop del quorum, pare destinato a prendersi sempre più spazio sui media nazionali. “Anti Renzi? Non mi sono mai definito tale”, dice il governatore. “E’ stato Matteo durante una puntata di Porta a Porta a investirmi di questa definizione…”.
(da “Huffingtonpost”)
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