Aprile 24th, 2016 Riccardo Fucile
TUTTI I CITTADINI DEVONO ESSERE UGUALI DI FRONTE ALLA LEGGE, COMPRESI I POLITICI
Si possono comprendere i toni striduli della polemica politico-istituzionale che ha fatto seguito alle dichiarazioni del consigliere di Cassazione e neo-presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati Piercamillo Davigo, ma forse le ragioni di tanta acrimonia non sono quelle addotte ufficialmente.
Davigo ha già presentato e discusso innumerevoli volte in sedi pubbliche le tesi dell’intervista senza suscitare particolare sorpresa nè scandalo.
Evidentemente molti si attendevano, ovvero auspicavano, che assunto il ruolo di vertice dell’Anm il magistrato optasse per la facile strategia della collusione di ceto e si convertisse a più miti consigli, magari ottenendo in cambio il controllo o la promessa di qualche strapuntino di potere.
Aspettative che la coerenza e il rigore dimostrate in tutta la sua carriera da Davigo, qualità piuttosto rare tra chi abbia conosciuto equivalenti livelli di popolarità , avrebbero dovuto dissuadere dal coltivare.
Tanto la classe politica — con l’eccezione del M5S e di Sel — che segmenti di vertice della stessa magistratura adesso levano alte le loro voci nell’accusare il magistrato di provocare con le sue denunce di una perdurante corruzione “senza più vergogna” inutili, o peggio ancora pericolose lacerazioni tra i poteri dello Stato.
Proviamo però a chiederci: pericolose per chi?
Per i cittadini, o per chi nella classe dirigente è riuscito negli ultimi decenni a disinnescare con intese opache, accordi sottobanco, scambi di favori, o magari con leggi ad personam e provvedimenti ad hoc i meccanismi di bilanciamento e di controllo istituzionale formalmente assicurati dallo Stato di diritto?
Quegli stessi meccanismi che attribuiscono a una magistratura formalmente indipendente la funzione di rilevare e perseguire la violazione delle leggi, prassi corrente in una quota non irrilevante di quelli che occupano ruoli di vertice, e che dunque pone “fisiologicamente” i giudici benintenzionati in rotta di collisione col potere pubblico corrotto.
Caposaldo dello Stato di diritto è il principio che tutti i cittadini devono essere trattati in modo uguale davanti alla legge, inclusi gli stessi governanti.
Ebbene, in Italia tutte le fonti di conoscenza a nostra disposizione — sondaggi, percezioni, inchieste giudiziarie, analisi scientifiche — convergono nel dimostrare che i “colletti bianchi”, inclusa la stessa classe politica, sono coinvolti con frequenza e intensità abnormi rispetto agli altri paesi liberaldemocratici in pratiche illecite, talora apertamente criminali.
Nel peggiore dei casi la classe dirigente criminale si fa criminogena, di norma mira comunque alla protezione e all’autoassoluzione, tende ad includere altri attori sociali e istituzionali in reticoli opachi di connivenza e reciprocità , alla separazione preferisce la collusione tra i poteri.
Non sorprende che la travolgente ascesa di Davigo nell’associazione di rappresentanza dei magistrati si sia realizzata sparigliando col sostegno della base i giochi delle vecchie correnti, con una sfida aperta al collateralismo politico strisciante dei precedenti vertici associativi.
L’illecito come modello “tollerabile” di condotta per le classi dirigenti — già teorizzato per i partiti da Craxi in un discorso alla Camera il 3 luglio 1992 — produce però costi economici, sociali e persino ambientali insostenibili nel lungo periodo, assai più gravi di quelli della micro-criminalità comune che tanto allarme suscita, restando però sottotraccia.
I sintomi dell’anomalia denunciata da Davigo sono molti e concordanti, talora drammatici.
Dai prezzi fuori mercato di appalti per lavori, forniture o servizi pubblici spesso di dubbia qualità e discutibile utilità , alle voragini scavate tanto nei bilanci pubblici che nelle casse di aziende e banche, spolpate fino ad azzerare i risparmi di azionisti e obbligazionisti, alla permeabilità alla penetrazione mafiosa di aree del centro-nord (persino nella “civica” Emilia), fino agli sversamenti di liquami tossici e ai disastri ambientali, con le loro ricadute in termini di diffusione di neoplasie e malformazioni infantili.
Una zavorra insostenibile, certificata dalle posizioni di coda dell’Italia in tutte le classifiche sulla competitività delle imprese, la crescita economica, la corruzione, l’attrattività per gli investimenti esteri, l’economia sommersa, l’evasione fiscale.
Del resto, l’alto status socio-economico può rendere di per sè razionale la scelta di delinquere, visto che la percentuale di “colletti bianchi” in carcere è in Italia un decimo appena della media europea, 0,6 contro il 5,9 per cento.
E all’aspettativa d’impunità si accompagnano spesso la generosa tolleranza, quando non la solidarietà omertosa dei pari, che permette a politici, imprenditori, professionisti, funzionari macchiatisi di gravi condotte — non necessariamente reati — di proseguire imperturbabili la proprie carriere, talvolta beneficiando proprio dei propri precedenti penali come “certificazione” di affidabilità nei maneggi illeciti.
Le parole del consigliere Davigo sull’allarmante propensione all’illecito della classe politica e dirigente italiana somigliano allora a quelle del bambino della nota favola di Andersen, che urlando “il re è nudo” osserva una verità sotto gli occhi di tutti, ma che il re (della corruzione) e i suoi molti cortigiani non possono che continuare a negare, nascondendosi sotto il manto invisibile della loro ipocrisia.
Alberto Vannucci
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Aprile 24th, 2016 Riccardo Fucile
CORRUZIONE: I NUMERI DI CONDANNATI PARI A QUELLA DELLA SVEZIA… I DETENUTI PER REATI ECONOMICI SONO UN DECIMO RISPETTO ALLA GERMANIA…COLPA DI LEGGI INADEGUATE, A COMINCIARE DALLA PRESCRIZIONE
In Calabria non c’è corruzione. Una piccola Svezia trapiantata all’estremo Sud dell’Italia. Questo,
almeno, se si dà retta a Matteo Renzi nella polemica su politici e tangenti sollevata da Piercamillo Davigo, neopresidente dell’Associazione nazionale magistrati e già “dottor Sottile” del pool Mani Pulite di Milano.
Prima di parlare di mazzette bisogna “attendere le sentenze”, ha avvertito il presidente del Consiglio.
Ergo, la regione culla della ‘ndrangheta è un’isola felice, dato che in vent’anni, dal 1982 al 2002, ci sono state solo due condanne definitive per corruzione.
Il dato, basato sul casellario giudiziario nei dieci anni prima e dopo Tangentopoli, è riportato in un libro che proprio Davigo scrisse con la giurista Grazia Mannozzi nel 2007, La corruzione in Italia. Percezione sociale e controllo penale (Laterza).
La situazione è cambiata, ma non di molto, se le condanne, nel 2011, sono state solo 24, più 11 per concussione.
È solo un esempio di come la scappatoia imboccata da Renzi e da buona parte del Pd non regga alla prova dei numeri (un po’ vecchi perchè da anni l’Istat non diffonde dati disaggregati, sorda alle proteste degli studiosi).
Nel 2015, in Italia solo 228 persone risultavano detenute per “crimini economico finanziari” di cui le mazzette rappresentano soltanto una parte (dati Consiglio d’Europa).
Nel 2014, l’Espresso calcolò che i detenuti definitivi per la sola corruzione erano appena 11.
Nella versione di Renzi dovremmo rallegrarcene e guardare dall’alto in basso, fra gli altri, la Germania della Merkel, che tiene in cella ben 6.271 colletti bianchi. O la virtuosa Finlandia, con i suoi 177 detenuti, a fronte di una popolazione che è un decimo della nostra.
L’ultimo dato ufficiale sui condannati per tangenti in Italia risale al 2010: 332, come riporta Alberto Vannucci nel suo “Atlante della corruzione” (Edizioni Gruppo Abele). Una goccia nel mare.
Peccato che, oltre al senso comune, remino contro il presidente del Consiglio le classifiche internazionali sulla corruzione percepita.
Nel 2015 Transparency International ci ha piazzati al penultimo posto dell’Unione europea (peggio di noi la Bulgaria) e al 61esimo nel mondo.
Se poi fossero davvero le sentenze a restituire la realtà del fenomeno, c’è da dire che i pochi colpevoli si spartirebbero un malloppo colossale.
Lucio Picci, uno dei massimi studiosi di indicatori sulla corruzione, ha calcolato che se riuscissimo a portare il nostro tasso di trasparenza a livello della Germania cresceremmo di 585 miliardi di euro in più all’anno. Uno spread che non scalda il dibattito.
Non è vero che tutti i politici rubano, e Davigo non lo ha mai detto.
Questi numeri — con tutti il limiti delle stime su fenomeni per natura occulti — confermano però che quelli che “delinquono” fanno molti più danni dei ladri di strada. E hanno molte meno probabilità di essere puniti.
“Nel nostro lavoro mostrammo che ogni tre condannati per corruzione, il quarto si salvava grazie alla prescrizione”, spiega Grazia Mannozzi, “anche dopo condanne in primo e in secondo grado”.
Sono gli effetti della ex Cirielli, la legge mannaia di berlusconiana memoria ancora in vigore, dato che la riforma del ministro della giustizia Andrea Orlando langue in Parlamento per la strenua opposizione degli alfaniani.
I tangentisti godono di un alto tasso di impunità , e non solo per la prescrizione.
La “cupola degli appalti” di Expo (Frigerio, Greganti e soci) ha patteggiato pene inferiori a quattro anni ed è stata esentata, per legge, dallo scontare anche un solo giorno di pena in carcere.
Resta solo la sanzione “mediatica” delle intercettazioni, che svelano il malaffare meglio di ogni statistica. Ma per il bavaglio, trovare l’accordo in maggioranza non è stato un problema.
Mario Portanova
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Aprile 24th, 2016 Riccardo Fucile
SABATO ORE 17: 11 IMBECILLI FANNO PIPI “SFIDANDO” I TURISTI AFFACCIATI DA PONTE UMBERTO, NESSUN VIGILE IN ZONA..E C’E’ CHI APPLAUDE: POI SI LAMENTANO DEL DEGRADO
Nella saga infinita della Roma cafona – quella del piscina party dietro Campo de’ Fiori, dell’elicottero carico di petali rossi da lanciare ai funerali del boss Casamonica, dell’ubriaco di piazza Trilussa disteso su un tappeto di bottiglie di birra o dell’albero di Natale a forma di cono gelato capovolto, smantellato a furor di popolo nel 2011 – questa è un’altra esclusiva, da far vergognare qualcuno.
Sabato 23 aprile, ore 17, banchina del Tevere all’altezza di Castel Sant’Angelo: la scena, per così dire, è figlia di un’urgenza fisiologica.
Ma deve esserci stato anche il gusto di un calcolato sberleffo verso la città eterna nel «blitz» dei nostri eroi, forse reduci da una bevuta di gruppo in un pub.
Fatto è che, a quell’ora, in pieno giorno, visibili da molte centinaia di turisti affacciati da ponte Umberto e dai lungotevere, 11 giovanotti si sono messi a fare pipì.
Il segnale
Tutti insieme. Dopo un segnale convenuto. Pronti, via! Giù la lampo e – nella sconfortante assenza di vigili urbani pronti a intervenire, anche a posteriori, con una salutare contravvenzione – l’immagine dell’Urbe ne è uscita deturpata, umiliata, massacrata.
Non è una novità : uno scatto, una figuraccia planetaria. Come nel caso della foto scattata dal collega Maurizio Caprara allo sbronzo addormentato sulla scalinata di Trastevere che una decina d’anni fa, per l’appunto, finì sulla prima pagina del NYT.
A documentare l’ennesima caduta di stile, stavolta, non è stato un giornalista ma un comune cittadino, un civis romanus indignato per l’andazzo, Carlo Scodanibbio, lettore di giornali perennemente in allerta (per il bene di tutti) contro il degrado, le doppie soste, l’assedio degli ambulanti, le puzze delle cucine dei ristoranti e quant’altro rende spiacevole e talvolta orrenda la vita in una meravigliosa città . «Nessuno dica che non ho visto nulla! – tuona il cittadino censore, appellandosi al Campidoglio – Ormai siamo una latrina a cielo aperto»
Messaggio forte e chiaro. Pervenuto anche lassù, tra la gente affacciata ai parapetti. In tanti gridavano, sfottevano, applaudivano, mentre la «squadra» degli 11 incontinenti si liberava e, con aria di sfida, guardava verso l’alto.
Cori e schiamazzi, nella Roma della grande bruttezza.
Evviva.
(da “il Corriere della Sera”)
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Aprile 24th, 2016 Riccardo Fucile
L’INCHIESTA DI REPORT: IL CASO SOLLEVATO DA UNA VINCITRICE… LA RAI ACQUISTA OGNI ANNO DALLA ZECCA DELLO STATO DA 6 A 10 MILIONI DI EURO DI GETTONI D’ORO PAGANDOLI COME ORO PURISSIMO 999,9 MA QUELLO CHE ARRIVA E’ ORO 995
Cinque grammi di materiale non prezioso per ogni chilo d’oro: è così che una vincita di 100mila
euro si riduce a circa 64mila euro.
Il fornitore? Banca Etruria.
La denuncia parte dal programma di Rai3 Report, che nella puntata del 24 aprile presenta un’inchiesta sui premi “in gettoni d’oro” che dal 1955 costituiscono l’anima di tutti i quiz televisivi.
La trasmissione di Milena Gabanelli, si legge nell’anticipazione pubblicata dal Corriere della Sera, spiega che la televisione pubblica sostiene di premiare a differenza di Mediaset i concorrenti con gettoni d’oro 999,9, cioè al massimo della purezza.
L’inchiesta di Sigfrido Ranucci per Report prende l’avvio dalla segnalazione fatta dalla signora Maria Cristina Sparanide, vincitrice nel 2013 della trasmissione Red or Black di RaiUno: come saldo dei 100mila euro vinti, lamentava la signora, la Rai le ha inviato 4 gettoni da 20mila euro, commissionati alla Zecca dell Stato.
La somma non ricevuta serve a pagare le tasse, e il concorrente ne è sempre informato.
Anche se, rileva ancora il servizio di Raitre, solo con la lettera del Poligrafico dello Stato il concorrente apprende di dover pagare anche l’Iva, imposta, questa, che non dovrebbe ricadere sull’oro “per investimento”, quale un lingotto o, appunto, un gettone.
In più, oltre alle tasse così calcolate e al costo del conio del gettone, a carico del vincitore risulta essere anche un ulteriore calo del 2 per cento dovuto alla fusione. Alla fine dei conti, dunque la vincita di 100mila euro si riduce così a poco più di 64 mila.
Ma non solo. Dalle analisi condotte dalla signora Sparanide sui gettoni vinti, risulta un’altra anomalia: secondo l’orafo che li ha valutati, i gettoni della vincitrice non sono costituiti d’oro purissimo 999,9 come riporta la marchiatura della Zecca, ma di oro 995.
Ovvero: per ogni chilo d’oro, ci sono cinque grammi di altro materiale non prezioso. Questo nonostante la Rai lo abbia acquistato, e di conseguenza pagato, come oro purissimo.
La Rai, emerge dall’inchiesta, ogni anno acquista dai 6 ai 10 milioni di euro di gettoni d’oro, pagandolo naturalmente come purissimo.
E da chi lo acquista la Zecca? Da Banca Etruria, già al centro delle polemiche nelle scorse settimane per l’inchiesta per bancarotta fraudolenta che riguarda tutto l’ex cda. Dall’istituto di Arezzo la Zecca ha acquistato, secondo quanto emerso dalle indagini di Ranucci, “milioni di euro in lingotti d’oro per trasformarli in gettoni della Rai per anni e senza bando di gara”.
Perchè “è la banca che ci fa il prezzo più basso”.
La Zecca, intanto, fa sapere che dei lingotti forniti da Banca Etruria, il 20% è stato controllato in ingresso, ed è risultato oro 999,9.
Ma, in ogni caso, ha comunque deciso di presentare un esposto alla Procura per far luce sulla vicenda.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Aprile 24th, 2016 Riccardo Fucile
ECCO I NOMI DELLA LISTA DELLA VERGOGNA: EX PARLAMENTARI, EX ASSESSORI DI ALEMANNO E VOLTAGABBANA DI PROFESSIONE… E ALL’INTERNO C’E’ CHI DEFINISCE LA COORDINATRICE DELLA LEGA “MAROCCHINA DI MERDA”
Ex parlamentari, consiglieri municipali uscenti, assessori della giunta Alemanno, ex delfini messi
al confino, vecchi mestieranti della politica romana, trasformisti di professione.
Alla faccia del rinnovamento tanto promesso da Matteo Salvini, che assicura di mettere in lista a Roma «tutte persone quasi nuove».
L’usato garantito della politica capitolina – che fino a pochi mesi fa definiva come la «Malagrotta della politica romana» – oggi, tra errori di comunicazione e mancanza di progetto, viene imbarcato per superare quel due per cento più Iva attribuito dai sondaggi a Lega-Noi con Salvini Roma.
E tra i riciclati in cerca di sopravvivenza non mancano beghe, litigi, insulti.
L’ultimo a Souad Sbai, definiva «marocchina di m…» da un collega del coordinamento romano. Il tutto condito dal giallo del commissario Gian Marco Centinaio assente giovedì al Pincio all’apertura della campagna elettorale di Giorgia Meloni, assente venerdì all’inaugurazione della prima storica sede del Carroccio a Roma a piazzale Flaminio, sede a lungo cercata dallo stesso Centinaio che ora su Facebook parla molto della sua Pavia e poco di Roma e dintorni. Probabile che la sua assenza fosse motivata dal ruolo di capogruppo del Carroccio a Palazzo Madama, ma tra i quadri dirigenti leghisti ha generato più d’un dubbio.
La coerenza non appartiene alla politica.
Matteo Salvini, tanto per fare un esempio, aveva detto di non accettare alcuna marmellata e di volere un centrodestra nuovo senza il Nuovo Centrodestra.
Eppure ovunque, sia alle regionali passate che alle prossime amministrative, ha fatto alleanze con Alfano e soci, a partire dalla sua Milano per non parlare di Liguria e Lombardia.
A Roma e nel Lazio poi le incoerenze dei leghisti de’ noantri non si contano più. Incalzato ripetutamente in tv sugli ingressi nel suo movimento di personaggi vicini alla giunta Alemanno, il segretario di via Bellerio ha sempre garantito di non voler avere nulla a che fare con l’ex sindaco, assicurando che nessun amministratore di Alemanno è entrato o sarebbe entrato in Noi con Salvini.
I fatti lo hanno smentito.
Al Comune correranno Sara De Angelis (presidente del II Municipio con Alemanno) e Roberto Angelini, ex consigliere capitolino, entrato nel 2008 come trentunesimo con duemila preferenze e spicci.
Nei Municipi è in corsa per una presidenza Enrico Cavallari, assessore al Personale di Alemanno, famoso per aver assunto il cognato, Marco Mannucci, fratello di Barbara, la «Claretta Petacci di Berlusconi», forzista di rito dellutriano eletta alla Camera nel 2008 e riciclatasi nelle fila salviniste dove si è ricavata un ruolo da prima donna.
In corsa per la presidenza della Garbatella Andrea Baccarelli, già sconfitto nel 2013.
Salvini avrebbe potuto tranquillamente dire che non tutta l’amministrazione Alemanno era da buttare, che ci sono politici che hanno ben operato e che per questo meritano un’altra possibilità e di proseguire il loro impegno in Campidoglio. Nessuno si sarebbe scandalizzato.
Invece ha pubblicamente e ripetutamente detto di non conoscere persone che in Campidoglio e nei Municipi aveva costituito gruppi con il suo nome e operavano per conto del suo movimento. Tra questi Daniele Giannini, diseredato ma candidato al Comune.
C’è chi ha preferito togliere il disturbo, come Marco Pomarici e Luca Aubert, rispettivamente capogruppo di Salvini in Campidoglio e in I Municipio, tornati in Forza Italia. In pochi però credono al bluff del leader leghista: che segretario è quello che non conosce i propri uomini?
Salvini, poi, aveva assicurato che il suo movimento sarebbe stato prevalentemente civico, salvo poi accorgersi che per superare il quorum ed eleggere almeno un consigliere comunale — impresa storica per la Lega — bisogna trovare centinaia di persone da candidare tra Assemblea Capitolina e Municipi e racimolare qualcosa come trentamila voti di lista.
Insomma, servono struttura, voto organizzato, truppe cammellate.
Così ne ha imbarcate a iosa, assicurandosi campioni di trasformismo.
Per l’Assemblea Capitolina correrà Giancarlo Balsamo, ex Amico di Beppe Grillo che improvvidamente lasciò il comico per aderire da consigliere municipale all’Italia dei Valori.
Di Pietro è sparito, Grillo è volato al 25%, quando si dice il fiuto politico… Oggi tenta la sorte con Salvini.
In II Municipio correrà poi Francesco De Salazar, capace di cambiare sei partiti (Pdl, FI, La Destra, Fratelli d’Italia, Marchini, Lega) in quattro anni e di candidarsi nel 2013 contemporaneamente con due partiti diversi (Lista Marchini e FdI) e avversari tra loro in due municipi differenti.
Altro errore di comunicazione.
Il leader di via Bellerio aveva poi assicurato che il movimento creato nel Centro-Sud non sarebbe mai stato una scialuppa di salvataggio per i trombati del centrodestra.
Nella Lega de’ noantri ci sono più naufraghi che all’Isola dei Famosi, tutta gente che viaggiava in seconda e terza classe sul piroscafo del Pdl naufragato come il Titanic.
Nè manca il correntismo.
Nella corsa all’Assemblea Capitolina, i riempilista civici (dentisti, tassisti e altro, tutti nomi pubblicati ieri in antemprima da Il Tempo ) non hanno possibilità . La parte del leone la faranno le accoppiate dei gruppi organizzati.
Barbara Saltamartini punta sui Luigi Servilio-Sara De Angelis, il duo Fabio Sabbatani Schiuma-Barbara Mannucci su Antonio D’Apolito e Alessia Fontana, Souad Sbai su Daniele Giannini e Simona Renata Baldassarre.
Il resto è contorno, compresa la capolista Irene Pivetti. L’emblema del rinnovamento di Salvini: presidente della Camera nel ’94 in quota Lega, rinnegata da Bossi e candidata tre anni fa con Mario Baccini alle regionali: arrivò quarta cn 617 voti in tutta la provincia di Roma. Anche allora era capolista.
Daniele Di Mario
(da “il Tempo”)
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Aprile 24th, 2016 Riccardo Fucile
“LE SONO VICINA PER AMICIZIA MA NON LA PENSO COME LEI: NON SI PUO’ FARE IL SINDACO DI ROMA SENZA RAPPRESENTARE ANCHE LE MINORANZE”
«La cosa mi ha colpito molto. Ci sono rimasta male perchè mi aspettavo una platea più tollerante. Ero andata non in appoggio della candidatura di Giorgia, quanto per amicizia, per affetto nei suoi confronti. Lei stessa lo sa che io non la penso proprio come lei…».
È scossa Rita Dalla Chiesa, figlia del generale Carlo Alberto, volto noto della tv con simpatie trasversali ma con un occhio di riguardo «per tanti temi della sinistra» e, per qualche ora, candidata indicata da FdI per Roma.
Invitata alla terrazza del Pincio per la kemesse di presentazione della candidatura di Giorgia Meloni, ha avuto un vivace scambio di opinioni con parte del pubblico sui diritti degli omosessuali.
La cosa, a distanza di giorni, la turba ancora. Tanto da metterla in seria difficoltà su chi sostenere nella corsa al Campidoglio.
Dalla Chiesa, completi il discorso che aveva iniziato dal palco a questo punto.
«Sono salita sul palco per salutarla e dire che la stimo pur non avendo le stesse idee sui diritti gay sui quali vorrei fosse più attenta. Lì è successo il finimondo…»
Era il caso di dirlo in quell’occasione?
«Non si può fare il sindaco di Roma senza assistere tutte le comunità e le minoranze. È questo che volevo dire, ma c’è un’intolleranza e un pregiudizio che fanno male. Sono certa però che non c’era il popolo della destra in quella piazza, ma tanti facinorosi. La mia paura è il ritorno al passato.”
Che cosa, invece, la unisce alla Meloni?
«Non parlo da politico: se avessi voluto avrei accettato di candidarmi e invece mi sono sfilata perchè non mi sento in grado. Con lei condivido una cosa molto importante: nel mio dna ho i carabinieri, le forze dell’ordine. Meloni si è sempre impegnata su questo fronte. Mi auguro che mantenga questa attenzione”
A proposito, le piacciono gli altri candidati?
«Della Raggi non ho un’opinione precisa, l’ho sentita qualche volta ma, per il momento, non la trovo strutturata per poter fare il sindaco. Di Giachetti mi è piaciuto il gesto di andare da Rosy Bindi con l’elenco dei candidati: ha dimostrato grande rispetto per l’antimafia».
Quali sono le emergenze di Roma?
«Viabilità , traffico e dare le case a chi ne ha bisogno. Mi fa rabbia pensare che c’è chi paga 100 euro sui Fori imperiali. E poi non voglio più vedere mendicanti dormire per strada, bisogna accoglierli in strutture dignitose. Occorre più coscienza del disagio sociale e meno personalismi».
Rimane un dubbio. Meloni avrebbe votato per lei. Lei voterà invece Meloni?
«Mi dia del tempo per pensarci…».
Davvero?
«Devo capire bene, al di là dell’affetto che ho per lei. Al di là delle emergenze di cui ha parlato, che sono le stesse che denunciano Giachetti, Marchini e Bertolaso, perchè tutti hanno capito che Roma ha bisogno di essere presa per le briglie… Ma dopo quello che è successo al Pincio non so cosa risponderle. Del resto non ho mai detto che avrei votato per Giorgia Meloni. Non sono andata lì per supportarla dal punto di vista politico, ma per amicizia…».
Antonio Rapisarda
(da “il Tempo”)
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Aprile 24th, 2016 Riccardo Fucile
“NON HO SPERANZA IN ISTITUZIONI, POLITICA E MEDIA”
“Non ho speranza verso le istituzioni, verso la politica o nei media. E non credo nella giustizia: in
nome della giustizia vengono fatti i peggiori crimini. Credo invece nella bontà , parola oggi impronunciabile, e nel rapporto uno a uno”.
Lo ha detto Roberto Saviano in un’intervista a Sky Tg 24. Nel corso del colloquio lo scrittore e autore di Gomorra ha parlato del mondo criminale delle organizzazioni mafiose e della loro evoluzione.
“Oggi la camorra è governata da adolescenti e giovanissimi. Credo sia l’unica organizzazione in Italia che punta sui giovani. Le vecchie famiglie sono ancora dietro a questi giovani, con tutte le strutture dell’organizzazione. Ma il controllo militare, il braccio armato, invece. viene gestito dai ragazzini affamatissimi di potere e identità “.
Saviano parla anche dell’intervista di Bruno Vespa a Salvo Riina a Porta a Porta: alla domanda se secondo lui andasse fatta, lo scrittore risponde: “L’intervista andava fatta ma non così. Certo, è complicato fare questo tipo di interviste. Quando Sean Penn ha intervistato il boss El Chapo si è reso strumento. Stesso discorso per Vespa, quando fai queste interviste rischi di diventare un megafono”.
Perchè, dice Saviano, “nessun mafioso va in tv se non ha un messaggio da dare. Se Riina jr si è esposto così tanto lo ha fatto per lanciare messaggi. Oggi il problema non sono i professionisti dell’antimafia ma i dilettanti dell’antimafia”.
Quanto all’attività di riciclaggio, le grandi città sono l’ambiente migliore. “Roma è la piattaforma migliore per riciclare denaro per le organizzazioni mafiose, che sanno sfruttare il buco delle banche, ovvero la mancanza di liquidità “.
Infine, Saviano ha parlato dei punti in comune tra organizzazioni criminali e quelle jihadiste: “I jihadisti dell’Isis vengono da ambienti criminali, sono pusher e rapinatori che impiegano poco tempi a radicalizzarsi. In questo senso il mondo criminale da cui provengono li addestra alla morte. Diversamente da Al Qaeda, i terroristi dell’Isis producono metanfetamina, ma basta pensare alla produzione di Hamas di hashish, o dei talebani di eroina. Quando le consideriamo strutture islamiste facciamo loro un regalo”.
(da “Huffingtonpost”)
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Aprile 24th, 2016 Riccardo Fucile
IL FRONTE DEI GIUDICI PRO-DAVIGO: “IL SUO E’ STATO UN RICHIAMO INECCEPIBILE”
“Mafia e corruzione sono ormai facce della stessa medaglia, ma mentre i boss sono adeguatamente puniti, i corrotti che vanno a braccetto con i padrini sono garantiti da una sostanziale impunità dalla politica”.
Così in un’intervista a ‘La Repubblica’ il sostituto procuratore di Palermo Nino Di Matteo, che replica anche all’uscita di Piercamillo Davigo sui “politici che continuano a rubare”. Se Davigo ieri era stato “scaricato” dai alcuni colleghi magistrati, come Cantone, Bruti Liberati, Ardituro, oggi c’è una corrente che sostiene invece la posizione del neo presidente dell’Anm.
Nino di Matteo, titolare dell’inchiesta Mafia-Stato dice: “Parole chiare, coraggiose, la stragrande maggioranza dei magistrati la pensa così. Nei pochi casi in cui si riesce ad acquisire la prova di quei fatti di reato, tutti gli sforzi vengono mortificati dal sistema della prescrizione, che non si riesce a riformare”.
Al Corriere della Sera, Piergiorgio Morosini, componente del Csm e già gip a Palermo dice: “Nella magistratura ci sono sensibilità diverse e questo può anche essere salutare. Ma Piercamillo Davigo va rispettato, anche se non si condivide tutto ciò che dice”.
“A mio avviso Davigo non intendeva attaccare genericamente la classe politica e neppure qualche politico in particolare. Il presidente dell’Anm ha voluto porre l’attenzione sul tema dell’emergenza etica e sulla diffusione del malaffare, che rischia di danneggiare gravemente non solo l’economia e le istituzioni, ma anche l’immagine del nostro Paese”.
Alla domanda se sia stata la politica a fermare il processo di risanamento dell’Italia dalla corruzione, Morosini spiega:
“La lotta alla corruzione necessita non solo della risposta giudiziaria, ma richiede anche un’azione che riguarda le pubbliche amministrazioni e la legislazione (…). Alcuni profili andrebbero migliorati. Penso alla riforma della prescrizione e alle risorse, cominciando dal nuovo personale ausiliario che non viene assunto da anni”.
Sull’ipotesi di una nuova “crociata” mediatica e giudiziaria contro Palazzo Chigi, Morosini afferma:
“Non ho alcun elemento in merito. Però vorrei dire che parlare di barbarie giustizialista, come ha fatto il premier qualche giorno fa, rischia di alimentare le tensioni tra magistratura e politica”.
Renzi contro le toghe, come Berlusconi? “Non mi entusiasmano i paragoni col passato – replica -. Piuttosto vorrei evidenziare come, sulle intercettazioni, ci sia una legislazione robusta a difesa della privacy degli indagati”.
Alla Stampa, Marcello Maddalena, ex procuratore generale di Torino, che aggiunge: “Nessuno vuole alimentare conflitti. Il richiamo di Davigo alla doverosa distinzione tra giudizio politico e giudiziario mi sembra ineccepibile””
“Fermo restando che è impossibile stabilire i livelli di “vergogna” individuali e collettivi, certo è che la sensibilità di fronte ad accuse di corruzione nella gestione della cosa pubblica si è attutita. Sempre più spesso si invoca, per trarre le conseguenze politiche di un comportamento illecito, una sorta di “moratoria” fino al passaggio in giudicato dell’eventuale sentenza di condanna. Sotto questo profilo, il richiamo di Davigo alla doverosa distinzione tra giudizio politico e giudiziario mi sembra ineccepibile”
“Il presidente dell’Anm si limita a testimoniare verità percepite da tutti,senza tanti calcoli politici”. “In una certa misura – aggiunge quindi – il conflitto tra potere politico e giudiziario è fisiologico, deve esserci tensione”. “Credo – osserva anche – che nessuna categoria come quella dei magistrati sia sottoposta a simili meccanismi di controllo, a mio avviso sono addirittura eccessivi”.
(da “Huffingtonpost”)
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Aprile 24th, 2016 Riccardo Fucile
“TUTTI GLI SFORZI VENGONO VANIFICATI DAL SISTEMA DELLA PRESCRIZIONE”
“Mafia e corruzione sono ormai facce della stessa medaglia – dice Nino Di Matteo – ma mentre i
boss sono adeguatamente puniti, i corrotti che vanno a braccetto con i padrini sono garantiti da una sostanziale impunità dalla politica”.
Il pubblico ministero del processo Stato-mafia riprende le parole di Piercamillo Davigo sui politici che “continuano a rubare e non si vergognano”, sulle difficoltà nelle indagini.
Le definisce: “Parole chiare, coraggiose, la stragrande maggioranza dei magistrati la pensa così”.
E rilancia: “Nei pochi casi in cui si riesce ad acquisire la prova di quei fatti di reato, tutti gli sforzi vengono mortificati dal sistema della prescrizione, che non si riesce a riformare”.
Perchè, secondo lei?
“Probabilmente, una parte della politica trova conveniente l’eventualità di continuare a utilizzare la prescrizione come un comodo rifugio rispetto alla responsabilità dei delinquenti dal colletto bianco”.
Si è già riaperto un conflitto fra politica e magistratura?
“Non c’è stata e non c’è una guerra fra politica e magistratura. Una guerra evoca volontà e azione bilaterali. Piuttosto, negli ultimi 30 anni, con sfumature e governi di colore diverso, c’è stata un’offensiva organizzata, costante e abilmente condotta di una parte della politica contro una parte della magistratura, quella che si ispira esclusivamente al principio dell’eguaglianza di tutti innanzi alla legge”.
La politica critica i magistrati per certi processi che si concludono con un nulla di fatto. Perchè le sembra un fatto anomalo?
“Tante assoluzioni o archiviazioni riguardanti esponenti politici fanno riferimento a rapporti accertati con mafiosi, dunque a dei fatti, che però non sono diventati reato. E la politica cosa fa? Si è dimostrata del tutto incapace di reagire, punendo con meccanismi di responsabilità interna coloro che cercano i mafiosi. È molto più facile attaccare i magistrati”.
La politica invoca le sentenza definitive.
“Questo non può essere un alibi. A prescindere dall’eventuale configurabilità di un reato, certe frequentazioni fra mafia e politica sono evidenti, e la politica ancora oggi non sa o non vuole capire. Non è un caso che negli ultimi dodici anni due presidenti della Regione Siciliana siano stati processati per mafia”.
Per colpire il voto di scambio politico mafioso, la politica ha avviato la riforma dell’articolo 416 ter.
“Considero quella riforma un’occasione persa. Le pene per il voto di scambio sono molto più basse di quelle previste per l’associazione mafiosa. Non si vuole capire la gravità estrema del patto elettorale mafioso. Ritengo che la nuova norma sia stata formulata male, con aspetti di equivocità “.
C’è stato già qualche banco di prova?
“Di recente è stato assolto un politico siciliano che era stato invece condannato per voto di scambio sotto il vigore della vecchia legge”.
Su cosa si potrebbe riaprire un tavolo di dialogo fra magistratura e politica per le riforme?
“Per prima cosa, la politica dovrebbe recuperare il messaggio di Pio La Torre, il segretario del Pci ucciso dalla mafia, e ispirarsi alla sua capacità di denunciare le collusioni del potere prima ancora delle inchieste della magistratura”.
Salvo Palazzolo
(da “La Repubblica”)
argomento: Giustizia | Commenta »